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R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER LE MARCHE
ATTI E MEMORIE
DELLA
R. DEPUTAZIONE
DI
STORIA PATRIA
PER LE PROVINCE
DELLE MARCHE
NUOVA SERIE - VOLUME Vili
1912
ANCONA
Presso la li. Deputazione di Storia Patria
1014
Proprietà riservata della R. Deputazione
1121149
WkDk
Ascoli P., 1914 - Stab. grafico G. Cesari
L' ITINERARIO D' ISABELLA D' ESTE GONZAGA
ATTRAVERSO LA MARCA E L' UMBRIA NELL' A-
PRILE DEL 1494
È costume antico di molte donne di fare voto di pellegri-
naggio a santnaci in occasione di parto imminente. Lo seguì
anche Isabella D' Este, marcìiesa di Mantova, figlia di Ercole
d' Este, duca di Ferrara, e moglie, dal 1491, di Francesco
Gonzaga, la tempra femminile più squisita del nostro Rinasci-
mento: ma è dubbio che i suoi voti e il consecutivi i)ellegri-
naggi fossero effetto soltanto della fede religiosa. Forse v' en-
trava un po' il pensiero di vìncere le difficoltà che talora si
opponevano alla sua grande passione per i viaggi. 11 primo di
codesti voti fu quello di recarsi ai santuari di Loreto e di
Assisi fatto dalla marcliesa sulla fine del 1493 poco prima di
dare alla luce la sua primogenita Eleonora. (1) L' itinerario,
fissato d' accordo colla cognata e amica amatissima p]lisabetta
Gonzaga Montefeltro, duchessa di Urbino, seguiva, per il viaggio
a Loreto, la via del mare e segnava due giorni di sosta nella
Santa Casa: il 20 e 27 marzo 1494. Da Loreto Isabella, per
la via di Sanseverino e Camerino, sarebbe risalita a Gubbio
per poi ri[)rendere la via di Ferrara e Mantova attraverso la Ro-
magna. Il viaggio si svolse secondo questo itinerario salvo nel
tratto da Loreto a Gubbio nel quale Isabella non risalì verso
l'Appennino j)er la valle del Potenza, ma tenne la via di Iesi.
(I) Luzio A. Renikr R. Gara di viaggi fra due celebri daìne del Eiuasoi-
meuto in luteniiezzo, rivista di scienze, lettere ed arti, I, 155, Alessandria
1890 — Luzio-Renier Mantova — Urbino, Isabella D' Eale — Gonzaga ed
Elinahetta Montefeltro nelle rela/Auni fdniigliari e nelle vicende politiche, Torino,
Roux, 1893, 72 e segg. e 123.
4 —
Probabilmente dalla valle dell' Esino, in Inogo di rimontare il
fiume fino a Fabriano, la comitiva ragginnse Sassoferrato e per
Scheggia si diresse a Gubbio.
Quando la marchesa di Mantova era a Loreto, da un messo
di Giulio Cesare Varano, signore di Canjerino, ricevette calda
preghiera di voler visitare questa città nel ritorno a Gubbio :
al che la Gonzaga non consentì dicendo che le conveniva di
prender la via piti breve di Iesi per osservare la promessa
fatta ni duchi di Urbino di passare con essi la Pasqua, ma
promise che avrebbe toccato Camerino nel tornare da Assisi.
In conformità di questo impegno Isabella colla prima delle let-
tere che pubblichiamo scritta dà Assisi il primo di aprile, an-
nunciò al signore di Camerino che il venerdì prossimo sarebbe
giunta a Serravalle, castello dello stato camerinese.
Come- tutte le mogli. Isabella aveva 1' obbligo d' informare
il marito degl' itinerari seguiti nei suoi viaggi ed ottenerne
l'assenso. Ma ciò non impediva che ella facesse la sua volontà,
giustificando con innocue e accorte bugie la violazione degli
accordi prestabiliti o degli ordini ricevuti. Poiché della visita
a Camerino non aveva tenuto parola col marchese, volle spie-
gargliene la ragione colla lettera del 2 api ile nella quale Isa-
bella afterma che Giulio Cesare Varano, non pago dell' invito
fattole a Loreto, lo aveva istantemente ripetuto dopo che ella
era tornata a Gubbio. Naturalmente il rifiuto a tanto cortese
insistenza (inventata dalla marchesa, che l'invito era stato uno
solo) sarebbe stato segno di alterigia e d' altra parte ai Gon-
zaga giova avere amici dappertutto. Nello stesso modo, molti
anni più tardi, cioè nel 1514, Isabella, desiderosa di prolungare
il soggiorno a Roma, dove il tempo le passava piacevolmente
tra feste e cerimonie in compagnia dei fastosi cardinali di
Leone X, fece che il ])apa indirizzasse un breve al Gonzaga per
indurlo a pregar lei di trattenersi a Roma fino al Natale (1).
(1) Luzio A. Isabella D' Ente nei primordi del papato di Leone X e il suo
viaggio a Roma nel 1514-15, Milano, Cogliati, 1907, 54, 55
— 5 -
Il giorno fissato, 4 aprile 1494, la nostra gentildonna, ve-
nendo da Assisi, accompagnata da nna parte del suo seguito,
incontrò, al confine del territorio di Foligno — die corrisponde
a quello d' oggi sulla nazionale Foligno Loreto — 1' ormai vec-
chio Varano coi suoi figlioli e insieme con lui continuò il cam-
mino alla volta di Serravalle. Lungo il tragitto ammirò il ca-
nale sotterraneo, tuttora esistente (la botte) fatto costruire da
Giulio Cesare per asciugare la conca settentrionale del lago di
Colflorito (1). Alla propria destra vide il forte castello di Di-
gnano e alla sinistra le mura di quello di Montacchiello, oggi
scomparso, e in alto, sulla pendice di Monte Maggio, la rocca
di Telagio anch'essa perita (2). Poiché non ci resta notizia che i
(1) Vedi Appendice, I.
(2) 11 nome di Montacchiello resta tuttora nella tradizione locale a desi-
gnare la cresta che verso W. continua quella di monte Maggio (in. 1376) a
N. di Serravalle. Lo scomparso castello di quel nome, compreso durante il
Medio Evo nel ducato di .Spoleto e nella diocesi di Nocera, dovette venire
in possesso dei Varano sul priucii)io del secolo XV. È del 2 sett. 1409
(Camerino, per rogito di Tommaso di Pietro, copia in codice Varanesco del-
l' archivio di Parma, e. 311^) la vendita di una parte del castello, con terre
annesse, per il prezzo di 300 ducati, a Gentilpandolfo e Berardo Varano da
parte di una Margherita del fu Antonio da Montacchiello. Si può congettu-
rare che alla giurisdizione di questo cuKtrum appartenessero la rocca dì sopra e
la rocca di Fiordisjnna, località menzionate tuttora nella tradizione deglf abi-
tanti di Serravalle. Sono ancora discernibili tra il cespugliato di un poggio
le tracce delle fondamenta nella rocca di Fiordispina. La tenuta di Mon-
tacchiello passò alla Camera Apostolica insieme coi beni allodiali dei Varano
e nel Seicento fu tolta in affitto da famiglie di Nocera. (Tesoreria dello stato
di Camerino voi. Ili nell' archivio di stato di Roma). Dell' asserito dominio
feudale su Montacchiello della famiglia Pierbenedetti di Camerino non cono-
sciamo alcuna prova. (Cf. Colucci G. Antichità pìcane, V. 43).
Delia rocca di Telagio la notizia più antica è in un atto di Berardo,
vescovo di Camerino. « Datum apnd roccam Telagli in ecclesia S. Silvestri »
(10 sett. 1320, Arch. Capitolare di Sanseverino, cass. Ili, ,5). Dalla Deseri-
pHo Marchie del card. Egidio Albornoz (Theixek A. Codex diplomaticus tem-
poralis domina ecc. Roma 1862, II, 338) sappiamo che nel 13.")6 la rocca di
Telagio era nelle mani di Fidesniido, figlio di Rodolfo II Varano. Da Fi-
desniido passò al figlio Giorgio, vicario del papa in Orvieto 1' anno 1360;
Varano possedessero fuori del castello di Serravalle comode
case di abitazione, come a Pioraco e S. Anatolia, ci ])are ve-
morto a Viterbo nell'agosto o settembre del 1362 (Antonelli M., La domi-
nazione pontificia nel Patrimonio durante gii ultimi anni del periodo avignonese,
Roma, 1908 p. 47 dell' est.)- L' eleuco delle cose contenute nella rocca di
Telarlo si legge nell' « Inentarium domine Todesche de boiiis flliorum » de-
nunciato avanti al giudice delle cause civili della curia generale della Marca
a Fermo, il 3 febb. 1364, da Todesca, figlia del fu Massio di Gentiluccio'
da Mogliano e vedova del detto Giorgio di Fidesmido Varano, in nome dei
suoi tìgli Berardo, Matteo e Lucrezia (Codice Varanesco dell' arch. di Par-
ma e. 160).
I documenti del Quattrocento a noi noti tacciono della rocca di Telagio.
È probabile fosse già al>bandonata. Era pure perita alla fine del secolo XVI
la chiesetta di S. Silvestro situata accanto alla rocca di Telagio, e il ve-
scovo di Nocera, Roberto Pierl»enedetti da Camerino, nella visita pastorale
del 1596-97, scriveva: « deinde de longe aspexit ecdesiam S. Silvestri de
rocca Telarla situatam in vocabu lo il piano della rocca in cacumine montisqne
est diruta » (Arch. vescovile di Nocera). Una postilla marginale a queste
parole ci apprende che la chiesa di S. Silvestro apparteneva al vescovo di
Nocera e godeva di un beneficio cui il vescovo Varino (-\- 1537) assegnò a
Gabriele di Giacomo Voglia, cappellano di Giulio Cesare Varano, signore di
Camerino. Questo beneficio di S. Silvesiro è mentovato nel catasto Devoti
(1783j. Anche alla fine del Cinquecento era quasi in macerieni, secondo la
citata visita del Pierbenedetti, la chiesetta di S. Niccolò di Val Porrara
della diocesi di Camerino, nominata nelle Collettorie della curia pontificia
fino dal Dugento, che sorgeva nella frazione di Copogna anche oggi detta
S. Niccolò e che fu dipendenza dell' abazia di Sassovivo (cf. D. Placido
Lugano, Le chiese dipendenti dall'abazia di Saasovivo in Rivista storica Bene-
dettina, VI, 88, Roma, 1913).
II nome di Telagio dura ancora ia Capo Telata e Fiè Telaia, vocaboli di
terreni appartenenti alla parrocchia di S. Lucia di Serravalle. La rocca
sorgeva nei pressi della vetta di Monte Maggio, a oriente di Montacchiello,
se male non interpretiamo quanto si legge in una sentenza di confini tra
Copogna e Serramula (parte inferiore di Serravalle) pronunciata il 24 di-
cembre 1506 dal noto giureconsulto Ippolito Fidi da Fiastra, uditore di
Giovanni Maria Varano, e in un esame testimoniale, pure per causa di con-
fini tra i detti due luoghi, in data 23 sett. 1620. (Libro m«. della comunità
di Copogna contenente verbali delle aduaanze dei padri di famiglia e alcune
sentenze relative ai confini: atti, la piti parte del Seicento, riuniti e cuciti
con grande disordine).
- 1 -^
rosiiiiile clie Isabella fosse ospitata nelF ampia rocca — forte
arnese di guerra assai curato per la sua posizione dai Cameri-
nesi e spesso nominato nella storia dei loro contrasti bellici —
la quale nell' ambito suo comprendeva i)arte dell' aggregato di
case che anche oggi* serba nome di castello nella parrocchia di
S. Martino della diocesi di Nocera.
Attraversata la villa di Bavareto e lasciato a destra il
Cliienti, il corteggio s' incontrò, presso a Gelagna e allo spar-
tiacque tra il Chianti e il Potenza, con Giovanna Malatesta,
moglie di Giulio Cesare, e Isabella s'ebbe da lei festose acco-
glienze; le quali dovettero certamente ripetersi a Camerino da
parte degli abitanti in forma di festoni di verdura e di spari
quando 1' ospite vi entrò per la porta S. Giacomo destinata,
secondo il Lili (1), agi' ingressi solenni di personaggi cospicui.
Il soggiorno d' Isabella nella nostra città durò due giorni
che furono sabato e domenica 5 e 6 aprile. La mattina del lu-
nedì la marchesa di Mantova, accompagnata da Giulio e dai
figlioli di lui, si condusse a Piòraco passando per Lanciano,
dove, come ella scrive, ammirò il parco, opera recente di Gio-
vanna Mahitesta. Da Pioraco, secondo il pristino disegno, la
comitiva avrebbe dovuto recarsi a S. Anatolia, presso alle
sorgenti dell' Esino: ma, o perchè 1' attraesse la mirabile ame-
nità dell' alta e tortuosa valle del Potenza o per risparmiare
tempo a so (2) e nuovo dispendio al Varano, Isabella, nonostante
le preghiere di lui, rinunciò alla designata sosta a S.
Anatolia e volle muovere per Gubbio seguendo la strada di
Gaifana. Pertanto, postasi in cammino la mattina del martedì
8 aprile, attraversò il castello di S. Giovanni di Fiuminata,
passò sotto le rocche alpestri di Spinoli e Orve — forse qui
(1) Lili C, Historia di Camerino^ TI, 317.
(2) Da S. Anatolia a Gualdo di Nocera il canitnino sarebbe stato più
lungo sia che si volesse tornare nella valle del Potenza risalendo il fosso
di Palazzo e discendendo a Fiuminata sia che si preferisse una delle mu-
lattiere che conducono a Belvedere o a Serradica nel fosso di Serradica.
— 8 —
si congedò dai Varano che in segno d' onore la scortavano —
lasciò a destra la valle di Soniaregia e giunta al villaggio di
Capodacqna, parte di una comunità della diocesi e del territorio
di Nocera cliianiata Ginggiano, salì la mulattiera' che rimonta
il fosso del lupo, superò il monte Faeto e discese a Gaifana
nel bacino del torrente Caldognola, affluente di destra del To-
pino, a circa 6 km a sud di Gualdo di Nocera (presso all'antica
Tadinuni) sulla Flaminia. ìTon è meraviglia che l'angusta strada
di montagna oggi frequentata solo da pochi tra Giuggiano e Gai-
fana vedesse nel Quattrocento il sèguito di una gentildonna che
viaggiava per piacere. Il pregio massimo di ogni itinerario, quando
si viaggiava a piedi o a dorso di mulo e di cavallo era la brevit.*!,
e però si seguivano le valli e si attraversavano direttamente
le catene dei monti nel punto dove si apriva un sentiero. Papa
Niccolò V nel 1450 giunto da Roma a Gnaldo, diretto a Fa-
briano, si mise per la via più breve e discese, secondo una
cronaca fabrianese (1), la dirupata Val Sorda tra il monte Serra
Santa (1348 m.) e il monte Maggio (1361 m.) che finisce a
Serradica nel bacino del Giano.
La modificazione apportata al primiero disegno che fissava
la pernottazione a S. Anatolia fu cagione che la tappa dell' 8
aprile riuscisse lunga e faticosji, che il cavalcare dalle prime
ore del mattino, dopo una breve sosta, ])er il «lesinare, a Gai-
fana, durò fino a sera quando si arrivò a Gubbio: una marcia
di pili che 60 chilometri. I cavalli erano stanchi e meritarono
una giornata di riposo: ma il giovedì tornarono all'usata fatica
sulla via di Cagli.
Il Varano, a dimostrare come gli dolesse che la visita della
marchesa fosse stata troppo breve, da S. Anatolia il 12 aprile
le scrisse « Habiando qui ad Sancta Anatolia alcuni fructi de
montagna dove la Ex V. non si è voluta transferire mi è parso
farneli parte et raandoli per Francesco presente latore alcuni
(1) Cronaca di Fabriano di Costanzo Gili e Silvestro Guerrieri compilata
su documenti. Bibl. coui. di Fabriano.
presucti, teste et lingue salate. La Ex Y. se dignarà pigliare
la mia ()j)tima volniità et ad quella me raccomando. Ex Sancta
Anatolia 12 aprile 14vM ». (1).
I>. Fei.iciat^gf.li
(1) Ardi. Gonzaga di Mantova.
<i^ «^
LETTERE D' ISABELLA D' ESTE GONZAGA, MAR-
CHESA DI MANTOVA
I.
A Giulio Cesare Varano - Gubbio 1 aprile 1494
Illuatri domino Camerini
lllustris eie. El niintio che ce mandoe V. JS. a Lo-
reto a visitare et invitarne a casa sua ne fece tanta
instantia che volessimo of/ni modo compiacerla: che,
non potendo allora, per non prevalicare da V ordine
dato a lo lll.mo S. Duca de Urbino de venire a fare
le feste qua, nui non 2)otossimo negarli ne V andata
nostra ad Asisio de venire a Camerino per farli que-
sto contento. Però, havendo deliberato de andare sobia
ad Asisio, veneri a, disnare a 8j)el et a cena a Sera-
valle, castello de V. S., j)er essere el sabbato a Came-
rino, cum intentione de starli la domenica, el lune
venirsene a S. Natòlia et marte gionger qua, x' è
parso avisarne la 8. V. et mandarli la lista de la
committiva nostra, quale per magiore commodità de
allogiamenti, havemo limitata. In questo mexo ne offe-
rimo a V, 8, Eugubii prima Aprilis 1494.
— 14 —
II.
Al marchese di Mantova - Gubbio 2 aprile 1194
lll.mo Domino nostro
lll.mo /Signor mio. Per Amoroso cavallaro ho re-
ceuto due lettere de V. Mv. de XXV et XX VII del
passato per le quale ho inteso el henestar suo et de la
nostra figliolina, che me ha dato grandissimo piacere
et m' è stato anche gratissimo Vainso del presente che
gli ha fatto la Maestà del JS. Be de XXV jumente,
signo de grandissimo amore. Piacene simelmente de
Castin, (1) ambasciatore del Turco., dia speranza alla
Ex. V. de farli havere la camisa de Cristo Nostro
Signore., perchè^ quando succedesse, se poteressimo glo-
riare de haver la più bella reliquia del mondo. Pin-
gratio V. jS. del scriver suo.
Ceterum, quando io era a Loreto, il signor lulio de
Camerino me mandò ad invitare ad andare a casa sua,
dopo che gli era cussi apresso, cum lemagiore offerte etma-
giore instantia dil mondo. Io., per volere ogni modo essere
qua a fare Pascha, ringraziandola summamente, non
volsi acceptare el partito., per non havere anche causa
de prolungare el intorno mio. Dopo eh' io sono qua,
intendendo che vado ad Asiso, me ha, ì'ejdicato et in-
stato cum grandissima efficacia che per amor suo et
per confirmatione de V antiqua amicitia et affinità che
(/) Su questo ambasciatore vedi Pastor L. Geschicte der Papste, III, 310,
Freiburg, i, B. : 1895,
— 15 —
è fra casa nostra et sua voglia^ esser eontenta de spen-
dere una giornata per farli una singulare gratta . Ad
che non ho saiìuto contradire, per non monstrare alte-
ricia et troppo extimatione^ sapendo che V. S. non
2)ensa in altro che aquistar amici. Cussi, jìersuadendone
non gli habia a dispiacere, non mi tolendo giù de via
piìl de una giornata, gli andar ò da Asiso et, per non
diferire per questo el ritorno mio, starò un giorno
manco ad Urbino che non haveria facto. Alexandre
da Baiese se ne ritorna, come me scì^ive V. Ex. a la
bona gratia de la quale me raccomando. Euguhii 2
aprilis 1494.
III.
A Girolamo Stanga, messo del marchese di Man-
tova a Napoli - Camerino 5 aprile 1494.
Hyeronimo Stanghe
Hieronymo, Vui sapeti el mal servicio che havemo
de maestro lasone per modo che non lo poterne tolle-
rare. Credemo che a JVapoli .sia copia de boni cochi;
maxime adesso che V è mancata la M.tà del 8. Re
Ferrando poteria essere che se ne tr avaria de recapito.
Vogliamo che faciati ogni diligente inquisitione inten-
dendovi cum maestro Rosso coco de la 31. del Re nuo-
vo et, atrovandone alcun bonOf lo conducati qua.
Hèri, secundo l'ordine dato, venissimo a Serravalle
et havessimo incontro più de quatro milia el S. lulio
cum tutti li figlioli. Questa mattina, accompagnate da
- 16 —
le loro signorie venessimo qua et lontano de qui ritro-
vassimo più de quatro milia la Madonna. Da, tutti
siamo molto acarezate et lionorate. Domane staremo
firme, lune andaremo a disnare al Piorieo et a cena
a Santa Natoia^ el 31arte ad Mufjubio, seguendo poi
el viagio nostro verso casa.
Camerini V ajìrilis 1494.
lY.
Al niarcliese di Mantova, Francesco Gonza^i^a -
Gubbio 10 aprile 1494.
Ill.mo Domino nostro
La. Ex V. senza resjtecto alcuno può sempre aprire
le lettere mie, conio ha facto de quella del TU. /S. Don
Ferrante mio fratello, quali ho receuto insieme cum
la sua de V ultimo del passato. Et inteso per essa el
benestare de V. /S. et de la putti na nostra: ite ho preso
grandissima consolacione, intendendo maxime che in
2)resentia sua la facesse vestire (1). Io ancora me gli
voria essere ritrovata per vedere conio la se teneva
bona. Piacerne che V. S. sia andata a P^errara ])er con-
durre lo lll.e 8. Don Alphonso mio fratello a Gon-
zaga. Ma me rincresce ben ch'io non sii insieme cum Y-
/Signorie ad pigliare ricreatione. Del tutto ringracio V.
Ex. quanto j^ià posso. Non sto già senza, qualche admi-
(1) Luzio-Renier, Mantova-Urbino, 74-75.
— 17 —
racione che due lei' "e scripte da Bavenna, una da
Arimine, una da Loreto, una da lese, et due de qui,
da EuguMo, nauti V andata mia ad Asiso, che sono
in tutto septe senza quelle che r/li scripsi da Ferrara
et sensa quella die de mia mano gli haverà dato mò
Alessandro da Baese, non habia resposta alcuna, o
almanco aviso de receptione: che, quando non le havesse
mandate per nostri cavallari et persone fidate, duhitaria
fussino andate in sinistro. Fero la supplico se digni
commettere che me sia notificato la receuta a ciò non
stia suspesa che V. Ex non le hahi havute.
Io andai zohia ad Asiso, comò scrissi per V ultime
lettere a V. Ex., et, satis facto al voto, andai el di se-
guente 2ior satisfare al signore de Camerino che ne
fece tanta instancia, secando che 2^cr altre mie haverà
inteso, ad jSeravalle suo castello, distante da Camerino
dece milia. Hehi incontro sopra da jSeravalle dicto si-
gnore cum li figlioli più de quatro milia dal quale
cum tanto honore, careze et revercntia fui racolta che,
sei fusse stato pheudario, non haveria facto più, no-
minando sempre la Ex V. per signor suo et lui per
servitore de quella. El medesimo facevano li figlioli.
El sahhato, ((ccompagnata da essi, venni a Camerino,
lontano dal quale ritrovai la 3Iadonna a cavallo, che
non manco amorevolmente me racolse. Eui allogiata
nei palazo suo, quale è molto hello (1) et era benissi-
mo apparato. Stetti ferma la domenica pei' vedere hi
terra, quale, per cita de monte, e ricca et ben 7>oj>w-
(1) Nola A.
2 — itti e Hemorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912.
— 18 —
lata (1). JEJl lune me condusse al Piorico loco tanto
ameno quanto la natura havesse potuto fare, per ha-
vere j??'iwwf, presso a due milia, uno parchetto jneno
de salvatichi animali (2): poi, fra due altissimi monti,
due laghetti separati et una pischera cum due iso-
solette in mezzo de tanta recreacione ogni cosa che più
non se poterla immaginare, et chi non li vedesse non
crederia mai che fra dui a sperimi monti la natura ha-
vesse insito loco tanto ameno (3). Disnai lì et gli stetti
tutto el giorno cum gran piacere. Questo loco ha una
bona casa jmr del signore et è presso a Camerino cin-
que milia. El marte partii de lì a bonora. El signore
cum li figlioli me fecero compagnia più de cinque mi-
lia. In ogni suo rasonamerto et maxime nel tuore li-
cencia me fecero le magiore offerte del mondo, conclu-
dendo chel voleria che V. Ex et io potessimo sempre
disponere del stato et j^a^sona sua conio de uno nostro
afeccionato servitore. Ad che feci conveniente risposta
in nome de V. 8. et mio, cum dire che lo volevimo per
bon fratello et per la età sua per caro jf^ftre, ringra-
ziandolo del honore et humane parole usate et offeren-
doli parimente le facultà nostre (4). Le dimostracione
sue sono state de natura chel m' è parso mio debito
cusì diff^usamente significarle a V. Ex a ciò che la
cognosca li amici suoi.
Quel giorno che partii dal Piorico venni a disnare
(1) Nota B.
(2) Nota C.
(3) Nota D.
(4) Nota M.
— 19 —
a la Gaifana et a cena qua. El S. Duca et M. Du-
cliesfia me vennero incontro un hon pezo. Heri et hof/i
sono stata ferma per lassare reposare li cavalli. Do-
mane andar emo a Caglio^ sabato a Casteldurante,
domenica, o lune, ad Urbino, dove, stata tre o qiia-
tro dì per satisfactione de questi signori, che fanno
far certe raj)resentacione, me avierò jìoi verso casa. In
questo mezo me raccomando in bona fjratia de V. Ex.
Eugubii X ajìrilis 1494 (1).
(1) Archivio Gonzaga di Mantova, F., II 9, libro IV.
fe^ t^
Nota A
CENNI STORICI SUL PALAZZO DEI VARANO
IN CAMERINO (1)
Sommario: Le più antiche case dei Varano in Camerino — Cenno sulla de-
scrizione del palazzo varanesco contenuto nell' inventario borgiano del
1502 — Le case nuove costruite da Giulio Cesare non furono da lui
abitate — Quando egli le costruisse — Ciò che si può arguire dell'or-
namentazione di esse — Le decorazioni pittoriche relative a Francesco
Sforza e Giacomo Piccinino — Analogie e differenze tra il palazzo di
Camerino e quello di Gubbio — Le finestre guelfe nel convento di S.
Maria delle Grazie presso Senigallia — Le relazioni di Baccio Pontelli
con Giulio Cesare — Questi chiamò a sé alcuni lapicidi toscani — Gli
elogi e gli stemmi dei Varano nella grande sala — Cenno sulla vita
che si conduceva nella corte varanesca — Il palazzo varanesco dopo
la devoluzione del ducato di Camerino alla Santa Sede.
Il comune di Camerino, benché in possesso delle sue fran-
chigie fin dalla seconda metà del secolo XII (2), pare non
avesse un suo proprio ])alazzo destinato alle adunanze dei con-
sigli prima della fine del Dugento. Più documenti di questo
(1) Ci restringiamo ai cenni storici, poiché la descrizione particolareg-
giata del palazzo varanesco non riuscirebbe chiara senza illustrazioni gra-
fiche. Esse con esatta ricostruzione ideale della parte interna dell' edificio
(pianta planimetrica e cortile), quale era nel Cinquecento, sono state composte e
delineate sui documenti, non senza industre e dotta fatica, dal nostro amico
ing. comm. L. Mariani, al quale, mentre gli esprimiamo la nostra gratitu-
dine per alcune indicazioni cortesemente forniteci, facciamo viva preghiera
di voler rendere di pubblica ragione il risultato dei suoi studi.
(2) AcQUACOTTA C, Memorie di Matelica, Ancona 1838, I, 62, II, 21.
— 22 —
j^ecolo i)rovano (5lie i consigii si tenevano o nell' episcopio o in
qualche cliiesa (S. Maria niaggioi-e - la cattedrale - S. An-
gelo, S. Venanzio, S. Francesco) oppure nelle case di qualche
l)rivato cittadino (1). Nel palazzo dell' inclito Gentile di Jlodolfo
Varano si stipularono più atti (2), mentre egli era podestà, uf-
tìcio conferitogli nel 1260 certamente dal partito guelfo cui
Gentile, in qualità di capitano del po])olo, aveva guidato e ri-
condotto al ricupero della città nel 12(52 dopo il triennio di
esilio seguito alla nota vittoria dei Ghibellini e di Percivalle
Boria (1259).
Il palazzo di Gentile non fu fabbricato da lui, come credette
il Lili: (3) che anche suo patire, Eodolfo, aveva case in Ca-
merino (4): il che avvalora la nostra non recente opinione che
la famiglia Varano non fosse di fuori, ma originaria del contado ca-
merinese. Le i)iù antiche case dei Varano erano nel terziero
di Sossanto e corrispondono alla parte del palazzo ducale abi-
tata dal sottoprefetto (contigua alla casa Gennari) e ai locali
occupati dal comizio agrario e dall'ufficio di pubblica sicurezza.
Anche nel Trecento si chiamavano il palazzo di Gentile (5) —
nulla di più probabile che i)er opera di lui risorgessero dalle
(1) Santoni M. Il libro rosso del comune di Camerino, Foligno, 1885, n.
18, 29, 30, 31, 36. 54. Nella casa di un signor Kerartlo di Venuto si adnnò
il consiglio per nominare il procuratore che doveva ricevere una parte delle
terre dei Magalotti (8 genu. 1259, libro rosso, u. 27).
(2) Libro rosso n. 29 (dove deve leggersi 1262 e non 1261), 38 e 41.
(8) Hisloria di Camerino, II, 22.
(4) « Tempore domini Gregori pape et Friderici impei-atoris die 6 Tbris
coram D. lacobo priore Sancti lusti et aliis testibus dominus Rodulfus de
Varano lecit testamentun:. Reliquit heredem Gentilitium eius fìliuni et domi-
ne Rocche. Actum Camerini in domibus testatoris ». Codice Vatic. Barberin.
2441 e. 30^. Questo Eodolfo vissuto ai tempi di Gregorio IX e Federico II
h il padre di Gentile I {Gentiluecio) morto nel 1284.
(5) Un atto del 22 ottobre 1328 col quale Berardo di Gentile acquista
terre e case presso Belforte 6 stipulato nella strada o piazza pubblica di
Camerino « avanti alla chiesa di S. Maria maggiore e alle case dell' inclito
8ig. Gentile ». Cod. Varanesco dell' archivio di stato di Parma e. 84.
— 23 —
rovine del sacco del 1259 — e giungevano fin presso all'attuale
ingresso della sottoprefettura dove, prima dell' ultimo restauro
(1892), si scorgeva manifesta nella esterna adesione delle pietre
la linea divisoria tra una grossa torre d'angolo di queste case
e il palazzo fabbricato da Venanzio Varano nella seconda metà
del secolo XIV. Quest' ultimo edificio, che i nostri eruditi so
gliono chiamare il palazzo di Yénanzio, non <X)mprese grande
spazio, poiché tutto fa credere terminasse, includendola, all' o-
dierna sede dell'ufficio telefonico provinciale. In esso fu aperta
dallo stesso Venanzio la grande sala di cui diremo piìi avanti.
Un poco a levante della torre d' angolo del vecchio palazzo di
Gentile si partiva un cavalcavia, detto il .ponte di Madonna^
perchè la moglie del signore e le altre donne di casa Varano
se ne servivano per attraversare la strada e accedere alla cap-
pella gentilizia dedicata a S. Ansovino nel duomo. Di questo
passaggio, che probabilmente divideva il terziero di Sossanto
da quello di Mezzo, fanno ricordo documenti del Quattro e
(Jinquecento (1).
(1) « Iteni reliquit et disposuit quod predicti eius fìlli oinnes et siuguli
cnuì eoruiu fainiliis possiut ire ad ecclesiaui S. Marie maioris de Camerino,
videlicet ad capellaiu in volta supra altare S. Ausoviui ad audienduin mis-
sas et divina officia et redire per domos suas per loca et partes ipsarutu
doniorum niiuus incomodas habeutibus ipsas domos prout visuni fuerit dictis
suis filila ordiiuire. Diccus dictus testator quod facere aditnni retro cameram
nnicorniiornni et ingressuni de sala grandi et exire in logiau) Hupra ponteni
qui est ante et iuxta dictam capellani sibi videbatnr actius et conimodius
quain per alias partes ipsaruui doiuoruni ». Testamento di Rodolfo III Varano.
Il ponte che congiungeva le case dei Varano colla parte superiore (o
coretto) della cappella di S. Ansovino — che la tradizione (cf. Benigni Angelo,
Frammenti historìali della città di Camerino, nis. della bibl. Valentin, e. 56)
vuole fondata da Gentile — doveva esistere fin dal secolo XIV. Pare che
ad esso si potesse accedere da varie parti e che Rodolfo desiderasse di
aprire un accesso unico. Ignoriamo se la sua raccomandazione fu tradotta
in atto. Il ponte è ricordato anche nella descrizione dei funerali di Giovan-
na Malatesta (1511) e nei capitoli concessi dal comune di Camerino agli
Ebrei, perchè questi, a cominciare da esso, avevano divieto di aprire botte-
ghe od abitare nelle piazze e vie principali della città, (Cf. Conti A, Ca-
merino e suoi dintorni, Camerino, 1872, 132-133).
— 24 —
Naturalmente, a mano a mano che la famiglia Varano si
faceva più numerosa, ricca e potente, acquistò nuove case nella
città e ampliò le anticlie: di che si hanno chiare prove nei te-
stamenti (li Gentile II (1350) e di Eodolfo III (1418): dove
pure si mostra palese la cura di dividere le abitazioni in euisa
che ciascuno degli eredi potesse liberamente disporre di un
certo numero di stanze, le donne avessero le loro particolari
dimore e, pur restando in coujune ingressi, scale e cortili, si
ovviasse, per quanto era i)ossibile, al pericolo di contestazioni.
Al qual fine, come ognuno sa, miravano le divisioni dei beni
allodiali e dei beni dello stato che s' incontrano così spesso
La cappella di 8. Ansoviuo dovette preesistere nella vecchia cattedrale
alla signoria varanesca. I primi Varano ne accrebbero le rendite e vi eles-
sero il sepolcro gentilizio, quando fu ricostruita nel nuovo duomo della
seconda metà del Dugento. Dalle parole su riferite del testamento di Rodolfo
III (« supra altare S. Ansovini ») parrebbe doversi arguire che la vera
cappella di S. Ansovino fosse 1' inferiore, cioè quella a livello della cliiesa.
Dove fosse allora 1' arca del Santo — ora nei sotterranei della cattedrale —
s' ignora. Il Benigni dice che a suo tempo (metà del Seicento) all' estremo
del braccio sinistro della crociata, o tranaepf, era la cappella della S. Croce
— da cui s' intitolava la pih nobile e ricca confraternita della ciltà — e
dirimpetto, all' estremo opposto, si ammirava la moderna cappella di S. Pie-
tro, adorna di oro e stucchi eretta dai fratelli Prospero e Angelo Glori.
« Sopra di ()nesta, così continua il Benigni, siede la cappella di S. Ansovino
detta la cappella delli Signori per essere stata erecta per quanto ho trovato
da Gentile II Varani e dotata di molti benefici e Giulio Cesare vi ag-
giunse il pavimento di pietra, di porfido con la sua arme nel mezzo, con
lettere che dicono: lalius Cesar C. D. In questa cappella è il deposito di
marmo di S. Ansovino intagliato con molte colonne ». Da questa descrizione
e specialmente dal particolare del pavimento nella cappella superiore emerge
che questa fu appunto la cappella di S. Ansovino posseduta dai Varano.
Ma tale conclusione non ci pare si accordi con ciò che si legge nel citato
testamento del 1418. Le pietre di porfido nominate dal Benigni sono le stesse
al cui trasporto da Roma a Camerino consentì Inoocenzo VIII col breve
(7 giugno 1488) pubblicato da E. MOntz, Les arfs à la conr des papes (1484
1503), Paris, 1898, 287. Lo stemma di Giulio Cesare in mosaico si conser-
vava ancora nel 1872 colle altre cose dell' antica cattedrale rovinata nel
1799 (Conti op. cit. 156). Poi è scomparso.
^
— 25 —
nella storia delle famiglie x)'''^!^] pesche italiane del Rinasci-
mento e clie si ripeterono quasi ad ogni generazione nella fa-
miglia Varano. Provvidenze vane, che le discordie e i fratricidi
insaguinarono più volte le case e le terre varanesche.
Il documento, che ci conservò la nuda, ma pur ])reiiiosa
descrizione del palazzo Varano, è 1' inventario fatto compilare,
nel settembre del 1502, da papa Alessandro VI, quando nominò
duca di Camerino il fanciullo Giovanni Borgia (1). Esso di-
stingue le case vecchie e le case nuove: nelle prime (palazzo di
Gentile e di Venanzio) dove erano le stanze di Venanzio Va-
rano (1470 1502), [)rimogeuito di Giulio Cesare, di sua moglie
Maria Dalla Kovere, dell'altro figliolo legittimo Giovanni Maria,
della loro madre Giovanna Malatesta e dello stesso Giulio Ce-
sare, annovera 01) vani tra cucine, camere, camerini, salotti,
studioli, sale e uccellari, 4 logge o cortili coperti e scoperti e
tre cellari o cantine. Nelle case nuove, cioè nel palazzo costruito
da Giulio Cesare, tra camere, anticamere, camerini, andati (cor-
ridoi), sale e dispcjise, 1' inventario registra 40 vani non com-
presii la stalla capace di 94 cavalli. Questo edificio pare fosse
destinato più ad accogliere alcuni ufììci dell' amministrazione
patrimoniale e dello stato (specialmente que]h> della cancelleria) e
gli ospiti illustri che a servire di abitazione al proprietario, il
quale continuò ad abitare, come abbiamo detto, nelle case vec-
chie, ossia nel palazzo detto di Venanzio eretto nel Trecento.
E che non tanto all' agio proprio quanto a decoro della
città Giulio costruisse le case nuove, egli che sì compiacque
delle fabbriche intese ad affermare la ])ropria fede, a beneficare
ed abbellire la sua Camerino e tale sua benemerenza volle ri-
cordata in un atto notarile (2), si può inferire dai nomi coi
(1) Archivio estense di Modena.
(2) È 1' atto (13 nov. 1493) col quale Giulio Cesare dona al monastero
di S. Maria di Col di Bove in Camerino dell'ordine di S. Benedetto di Mon-
te Oliveto, i beni che egli possiede nelle adiacenze di Umana e Sirolo. Nel
proemio si legge: « lUnstrissimus et potentissimus Dominus Inlius Cesar de
Varano Cam. ,etc. volens aguoscere douuni immensum ab altissimo, omnipo-
— ^6 -
qnali designò alcune delle stanze: nomi, almeno in i)aite, tratti
dalle figurazioni e ornamentazioni i)ittoriclie: camera della fortuna,
dei leoni, dei pavoni, de li grifoni, delle ninfe, delle aquile, delle
hiscie. Queste stanze, destinate ai forestieri ])iìi cespicui, do-
vettero ospitare la marchesana di Mantova.
Dall'epiteto nuovo, attribuito al palazzo, e da qualche parohi
del Lili (1) potrebbe inferirsi che il Varano imprendesse dalle
fondamenta la costruzione delle sue case. Se non che è invero-
simile che un' area notevolmente si)aziosa fosse restata vuota
di fabbricati fino ai tempi di Giulio in città situata sull' an-
gusta vetta di un colle e dalla crescente pox)olaziane sjiinta a
l)rofittare di tutto lo spazio atto alle fabbriche. Di più il te-
stamento di Rodolfo III (1418) contiene un accenno a case
rimaste incompiute esistenti di fronte al palazzo della custodia
che trovavasi nella i)iazza del mercato, cioè nella parte orien-
tale dell' odierna piazza del duomo. Su quelle case, con nuovo
disegno e con opportuni ampliamenti, pensiamo sorgesse il pa-
lazzo di Giulio. Questi lo avrebbe fabbricato, secondo il Lili (2),
intorno all' anno 1400: asserzione non consona al fatto delle
frequenti condotte militari del signore di Camerino e delle con-
secutive assenze di lui dalla città negli anni 1453-14G4 e alla
presunzione che nei primi tem})i del suo regno non dovevano
essere copiosi i proventi, mentre occorreva dividerli col cugino
Rodolfo, che morì nel '64, né ancora i favori ottenuti più tardi
da Paolo II e da Sisto IV è le lucrose condotte avevano mi-
gliorate le condizioni economiche della famiglia. Che, i)erò, uiui
parte del palazzo fosse già costruita prima del 1470 si può
indurre da ciò che tra le figure fatte dipingere nella sala della
tente Deo sibi iuiuiictnin regimiuis luagnifice civitatis Camerini silique corni-
tatus, fortie et disfcrictua, semper divino lamine inspiratus dedit effica-
cem operam sicuti de presenti dat in construeudis ecclesiis cappellis et in
ampliandis rebus omnipotentis Dei et in faciendo hospitalia in ipsa ci vitate
ecc. ». Arch. not. di Cam. Rog. Antonio Pascucci.
(1) II, 165, 213.
(2) II, 165.
— 27 —
Fortuna mancava, secondo il Lili (1), quella di Venanzio, primo
dei fij>lioli legittimi di Giulio e nato appunto nel '76. Certo è
che, ammessa pure per vera la data approssimativamente asse-
gnata dal Lili all' inizio del palazzo — la quale fa pensare
che Giulio volesse procurare una separata abitazione al cugino
Eodolfo e alla famiglia di lui — conviene riferire ad un tempo
posteriore, cioè agli anni 1489-92, il compimento della fab
brica e la «costruzione della corte, che di essa fu 1' ornamento
maggiore. Appunto agli anni 1490-1492 appartengono i pochi
documenti a noi ])ervenuti relativi a trattative del Varano con
un lapicida fiorentino, ai rapporti con Baccio Pontelli e u quie-
tanze di hivori fatti da più artefici nel palazzo. Di queste fonti
diremo qualcosa più innanzi. Ora, per conckidere sul proposito
del tempo della fabbrica, osserveremo che il Lili si ap-
pose al vero scrivendo che il Varano nel 1489 e negli
anni seguenti « era tutto ijiteso alle fabbriche » (2) e alla co-
struzione della corte del palazzo. Il quale dovette essere con-
dotto a- termine nello spazio di molti anni con lavori lenti e
non ininterrotti secondo la copia dei mezzi finanziai'i e secondo
il costume quasi generale allora e poi nelle costruzioni civili e
religiose. Se dobbiamo credere ad Angelo Benigni, erudito ca-
merte che compilò i suoi Frammenti historiali verso la metà del
Seicento, il palazzo ebbe un'iscrizione' di questo tenore « Julius
(1) II, 213.
(2) Lili, II, 240-41. Iva fabbrica dell' ospedale (S. Maria della Misericor-
dia) era finita nel 1479, come attesta P iscrizione, anche questa porduta, ri-
ferita dal Lili. « laliits Caesar Varauxs paupertati et misericordiae pie dedicavit
a natali Christiana lustri S90 anno quarto ». Si legge anche in Bombaci G.,
Arbore della casa Ma(jalotti, Bologna, 1669, 14, doTe h detto che l'iscrizione
trovavasi sopra la porta della chiesa dell' ospedale e che al lati vedevansi
le armi dei 12 coufrati o annninistratori dell' ospedale nel tempo della sua
fondazione. Il Bombaci ha la variante «anno III»: ciò che significala data
1478 e non 1483 coni' egli traduce. Se ne inferisce che la dedicazione del-
l'ospedale, istituito dal Varano colla concentrazione di altre opere pie con-
sentita dalla bolla di Sisto IV del 1474 (cf. Conti A. Camerino e i suoi
dintorni, 62), avvenne nel 1478 o 1479, quando ne fu compiuta la costruzione.
- 28 —
Gaesar Ioannis II filius palatii Jiuius novi et atri fundator A. D.
MCGCGXCVIII». Sarebbe stato, dunque, finito nel 1498, quat-
tro anni dopo la visita d' Isabella d' Este. S' intende che la
data dell' iscrizione — scomparsa e probabilmente posta nella
corte (atrium) — se la trascrizione del Benigni è esatta, de-
signa la fine della decorazione di tutto 1' edifìcio (1). Certo, il
cortile, chiamato anclie logia magna, era compiuto fin dal 1491 (2).
L'inventario del 1502 ben poco dice dell' arredauiento delle
stanze dei signori Varano e dei mobili si restringe a mentovare
le ledere colle rispettive cariole{3) e qualche banco e cassone:
lacuna che si può spiegare ammettendo che una parte delle
cose preziose fosse stata posta in salvo a Venezia dove, poco
prima dell' assalto dato a Camerino dalle genti del Borgia,
s' era rifugiato Giovanni Maria Varano colla madre, e ricor-
dando che in molte stanze da letto solevano mancare le seg-
giole sostituite dai cassoni. Non è da escludere, però, a spie-
gare la povertà dell' arredamento, quale a])parisce nell' inven-
tario, che una parte dei mobili fosse sparita i>er opera dei Ca-
(1) Anche 1' elogio di Giulio Cesare composto da Varino Favorino attri-
l)UÌ8ce agli ultimi anni del secolo XV e precisamente al 1499 latine del pa
lazzo « Palatii huìus novi et atriì fundator MCDIC » Vedi la serie degli elo-
gi dei Varano in Savini P. Storia della città di Camerino, 2'^ ediz. con note
ed aggiunte di M. Sautoui, Camerino Savini 1895, 224. Ma in altre reda-
zioni dell'elogio predetto leggesi la data 1489, pili simile al vero. Cf. la
cronaca di Camerino in cod. Vat. Borg. 282.
(2) Un atto di cessione enflteutica di due case da parte di Annibale Va-
rano a Domenico Ridolfini, dottore di medicina, è datato così: « Actum in
civitate Camerini videlicet, in donjo lUu. domini lulii Cesaris posita in con-
trada Medii iuxta plateam comunis et iuxta logiam magnani dicti Uln.
Domini etc. ». Camerino 7 aprile 1491. Rog. Antonio Pascucci.
(3) La carriola era « un lettuccio sulle rotelle che di giorno spingevasi
e rimaneva nascosto sotto il letto più grande » Galli Ettork, La casa di
abitazione a Pavia nelle campagne nei secoli XIV e XV, in Bollettino della
Società pavese di storia patria, Pavia 1901. Cf. ad verbum il dizionario de-
gli Accademici della Crusca (quinta impressione, Firenze, 1866) dove un
esempio del Panciatichi fa pensare che nella carriola si usasse mettere vesti
ed altri oggetti.
— 29 —
merinesi nei giorni seguiti alla cattura di Giulio e dei figlioli.
Della casa principesca del Kinascimento non si palesa nianife
stanjente il carattere di eleganza artistica dal documento
borgiano che abbiamo dinanzi; ma non è da credere che ne
fossero prive le case del Varano, massime quella costruita da
lui. 11 freddo annotatore tiene conto di ciò che al nuovo pro-
prietario preme di difendere da pericoli o danni e però registra
gli usci e i telai delle finestre e tace le pitture murali, gì' in-
tagli e i fregi artistici delle porte. Gli usci sono asporta-
bili e gli affreschi e gli intagli fan parte dell' immobile.
È parola di molti camini — fatti necessari dal clima rigido —
di alcuni soffitti a quadroni (cassettoni), di cui alcuni dorati,
di stndioU e di una libreria che attestano la cura della vita
dello spirito: sono anche ricordate le uccelliere dove si tene-
vano uccelli piccoli e graziosi e grossi rapaci. Di porte con
pilastri, fregi e cornici, di camini con intagli in pietra, di sof-
fitti dorati in legno, di pitture murali occorre, frequentissima
menzione in un altro inventario, posteriore di due secoli a
quello borgiano, fatto compilare nel 1701 dalla reverenda ca-
mera apostolica per conoscere lo stato del palazzo della teso-
reria di Camerino di sua proprietà (1).
D' intagli e soffitti parla pure il Lili (2): il quale con senso
d'arte, che tanto ])iii lo onora quanto era piìi raro ai suoi tempi,
esalta la bellezza semplice e composta del portale del palazzo
di Giulio — due colonne ai lati con architrave adorno del
semibusto del Varano — e deplora che un governatore ])onti-
ficio lo atterrasse « per intagliarvi il suo nome o frapporvi
l' aruie che oggi vi sono di ninno artificio o nobile architet-
tura » (3). Colla scultura gareggiò la pittura uell' abbellire il
[)alazzo, le cui stanze, secondo il nostro storico, erano « tutte
universalmente historiate con pitture a fresco e a olio » (4).
(1) Aich. di Stato in Roma Tesoreria dello stato di Cameriuo voi. III.
(2) II, 220.
(.3) II, 241.
(4) II, 213, 240.
— 30 —
Al tempo del Lili accoglievano gli uffici del tesoriere dello
stato di Camerino e pativano già le oftese del tempo e degli
uomini, cosicché le pitture erano qua e là « barbaramente of-
fuscate col bianco e colla calce ». In una stanza, quella della
Fortuna, il Lili vide molte figure, cioè 1 personaggi della fami-
glia Varano di tre generazioni a cominciare da, Rodolfo III
(1424) fino a Giulio Cesare, molti cavalieri raffiguranti ca])itani
di ventura camerinesi al Lili sconosciuti, qualche rappresenta-
zione uìitologica e i due grandi condottieri italiani del secolo
XV, Giacomo Piccinino e Francesco Sforza il quale era rai)pre-
sentato « so])ra un carro tirato dalla Fama e dalla Fortuna
con le tre parche avanti che ordiscono i stami della sua vi
ta ». (1) Aveva ben. ragione il Varano di conformarai ai suoi
tempi nell' onorare di fede e di culto la Fortuna, egli che,
scamilato miracolosamente, ancora in fasce, a crudelissime per-
secuzioni, aveva potuto restituire forza e lustro alla famiglia
decimata e spodestata: e doveva altresì compiacersi di eternare
in Camerino la memoria dell' avo suo Rodolfo IV, autore mas-
simo della potenza a cui casa Varano era giunta nel primo
trentennio del secolo, e quella di quei due capitani delle opposte
fazioni militari in Italia. Francesco Sforza, eversore della si-
gnoria nel 1433 e 1434, aveva poi concorso a consolidarla
(l)oichè fu risorta, e il fratello di lui. Alessando, ebbe impalmata
Costanza Varano), e in più modi nveva favorito Giulio, marito
di una sua ue[)ote: Giacomo Piccinino, l' ultimo «lei grandi
condottieri politici, col quale Giulio militò nel regno di Napoli
contro Ferdinando d'Aragona, simboleggiava la fazione bracce
sca, grande benefattrice della signoria camerte come quella che
nel novembre del '43 aveva colle armi ricondotti a Camerino
i Varano e coronati di pieno successo gl'iijtrighi e gli sforzi
di Elisabetta Malatesta, madre di Rodolfo IV.
(1) II, 241. Pare che la raffigurazione dei personaggi storici conteuipo-
rauei non fosse frequente uella decorazioue pittorica delle case fiorentine.
Cf. SCHiAPARELLi A. La casa fiorentina e i suoi arredi nei secoli XI F e XV,
Firenze, Sansoni, 1908, I, 152 e segg.
- 31 —
Di quale disegno e magistero fossero le numerose pitture
che, stando al Lili, sì aftbllavano sulle ])areti della stanza
della Fortuna — occupante, verosimilmente, lo spazio in cui
oggi sono gli uffici del, rettore e del segretario dell' università
e 1' attiguo corridoio per cui si passa alla bibli<)teca Valenti-
niana — non possiamo dire, I pochi disegui, che il Lili fece
trarre delle figure di principi e principesse di casa Varano e
che solo dopo la sua morte furono incisi su rame a cura di
Giusei)pe Antonucci (1), non ci affidano di sufficiente fedeltà
per giudicare del i)regio delle pitture: riserva che ci vien sug-
gerita dalla grande uniformità dei volti. Nemmeno ci è dato di
sai)ere se le pitture fossero di buon fresco o a guazzo, come
quelle dei manieri di Beldiletto, Pioraco e Santa Anatolia.
("osi pure ignoriamo affatto se le denominazioni di leoni, pavoni,
grifoni, aquile, bisce ecc., imposte ad alcune delle stanze, deri-
vassero da figurazioni del fregio che soleva adornare in alto le
pareti accanto al soffitto o se, coni' è più i)robabile, anche per
la menzione di pitture nell' inventario del 1701, si riferissero
alle decorazioni delle pareti stesse. Ad ogni modo è certo che
ad ornare l' interno del palazzo varanesco la pittura concorse
così larganìente da superare, almeno sotto il rispetto del nu-
nuuìcro delle decorazioni, il celebratissimo palazzo di Urbino.
Forse perciò il Lili scrisse che Giulio Varano e Federico di
Montefeltro gareggiarono di magnificenza nell'erigere la proprie
case (2). Come il palazzo di Urbino, anche il Varanesco ebbe
il giardino e il parchetto da giostra e graiuli stalle e cantine.
Né vi mancava la spezieria.
Giulio Cesare Varano, condottiero valoroso e cercato da
l)rincipi e repubbliche, ammiratore dei guerrieri dell'anchità di
cui rinnovò il nome nei figlioli naturali (Annibale, Cesare,
Pirro), non insensibile al fervido moto intellettuale del Rina-
scimento, volle che la sua dimora, dalle linee semplici e pure
fi) Vedi V juticolo di M, Santoni sulla storia del Lili nella Bibilioteca
storica di Carlo Lozzi, Imola, 1886.
(2) II, 213, 247.
— 32 —
e dalla vaga ornamentazione, attestasse che la signoria vara-
nesca era per lui risorta a ricchezza e latenza e sapeva emu-
lare le altre della regione. Benché il nuovo edificio, couie quello
di Gubbio (1), includesse antiche e modeste case, i)ure si con-
formò a un prefisso disegno: di che ci persuadono la disposi-
zione delle stanze, ciò che ci è pervenuto della bellissima corte
e le legittime induzioni consentite dai documenti. È, difatti,
evidente che le molte stanze del piano sovrastante alla corte
o sono disposte intorno a questa o sono rivolte verso la piazza
del Duomo e verso la vìa nova (detta così nel Quattrocento e
Cinquecento, poi la piana, oggi Favorino) e che le colonne, gli
archi, le finestre a croce (guelfe), le targhe portanti il cane ma-
rino coi vari (stemma dei Varano) o con la rosa o col nodo
d' amore dei Malatesta, cose tutte che si ammirano ancora,
presuppongono un concetto direttivo ispirato dallo stile della
Rinascenza. Inoltre la notizia contenuta nella seconda ])arte
dell' inventario del 150L> die sei stanze avevano tutte le me-
desime dimensioni e il ricordo che leggiamo nell' inventario
della Camera Apostolica (1701) di camini e finestre adorne di
cornici e fregi sembrano escludere ogni dubbio intorno all' esi-
stenza di un disegno comi>iuto in tutte le sue parti. Chi ne fu
l'autore? Alla domanda non è possibile rispondere che con una
congettura.
Non occorre notare che una delle parti dei i)alazd del Ri-
nascimento nelle quali più rifulgeva la ricchezza dei pro})rietari
e V ingegno artistico degli architetti era 1' atrio o cortile. Qui
si apriva quasi semi)re l'ingresso, qui cominciava o si svolgeva
la scala, qui erano ammessi sud<liti e forestieri, qui si compi-
vano ceriuionie e alcuni princii)i davano udienza. Nei ])alaz/>i
di Urbino e di Gubbio il cortile è come il centro di tutto
1' edificio dove lo stile architettonico del tenqìo lia lasciato le
pivi visibili impronte e dove si è spiegata 1' eleganza della co-
%
(1) Calzini E. Il palazzo di Gubbio iu Archivio storico doli' arte, Serie
II, I, 373 (1895).
— 33 —
struzione (1). Da ciò la convenienza, anzi la necessità, quando
manchi la facciata — 1' altra parte degli ediflzi civili destina-
ta a rivelare la bellezza delle linee — d' istituire raffronti tra
1 cortili per giudicare dei rapporti genetici dell' architettura
dei palazzi. Ora chi riguardi il cortile del palazzo varanesco
— quale era avanti che le colonne di arenaria, ofl'ese dagli
agenti atmosferici e dai terremoti e minaccianti rovina, fossero
rivestite degli odierni pilastri in laterizi — e lo avvicini al
cortile del palazzo di Gubbio — in buona parte riprodu-
zione di quello di Urbino e, come questo, dovuto, secondo
l'opinione degli storici e dei critici, a Luciano da Vrana — (2)
non può non vedere la palese somiglianza del semplice e snello
porticato. Sopra al quale, nel cortile di Camerino, gira una
fascia in pietra chiusa fra due trabeazioni e adorna di targhe
lapidee portanti scolpiti alternatamente lo stenuua dei Varano
e alcuni emblemi araldici di Giovanna Malatesta. Tra l'una e l'altra
targa erano grafiti rappresentanti sirene e al sommo di ciascun
arco del portico, sotto alla fascia, una corona o ghirlanda a rilievo
con in mezzo, a grafito, la sigla di Giulio Cesare Varano: un'ipsi-
lon maiuscola e una C vagamente intrecciate {lulhis Caesar Vara-
ima). La fascia e le corone (o tondi) si vedono anche nel palazzo di
Gubbio. La maggior diff"erenza si scorge nella parte superiore
dove il palazzo varanesco ha grandi finestre a croce, di bella
forma, ma semplicissime — tre nei lati lunghi e due negli al-
tri — ciascuna rispondente a una colonna, mentre quelle di
Gubbio sono rettangolari , separate da alti pilastri, con capi-
tello ionico corinzio, a riscontro dei capitelli del portico, e fian-
cheggiate da pilastrini. Tra l'una e l'altra delle finestre guelfe
continuava la decorazione a grafito e consisteva in figure
mitologiche ciascuna con la proi)ria denominazione : Melpo-
mene, Venere (la dea sulla conchiglia in atto di guidare 1
(1; BiJDiNiCH e, Il palazzo ducale di Urbino, Trieste, 1904, 135.
(2) Calzini E. Il palazzo ducale di Gubbio in Archivio storico dell' arte
Serie II, I, .374.
3 — itti e Memorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1913.
34
delfini) Apollo (suonante la lira, circondato dalle muse), V Aurora
(sul carro tirato dalle colombe), la Fortuna (anche questa, la
ruota in mano, sul carro tirato da cavalli), le Grazie^ Mercurio,
Minerva. Un'ultima fascia sopra a queste figure e sotto l'ampio
sporto si componeva di due fregi sovrapposti: l' inferiore a
candeliere e fogliame, 1' altro di losanghe alternate con circoli.
Di tutta questa ornamentazione a grafito — che incliniamo a
credere del secolo XV e ispirata dal largo uso che se ne fece
allora in Roma (1) -- oggi non resta che qualche pallida trac-
cia nella parete rivolta a levante: ma di quale vago effetto
essa dovesse essere un temi)0 si i)uò giudicare dal disegno che
delle parti che ancor duravano fece fedelmente eseguire l' ing.
Mariani nel 1889.
Assai più solida e ricca appare la decorazione della parte
superiore nel palazzo di Gubbio dove i fregi nella pietra delle
finestre e dei pilastri, onde esse sono divise, meglio apiccano
sulle pareti costruite in cotto. Un' altra non trascurabile diffe-
renza è costituita dalla mancanza del porticato nel lato della
corte di Gubbio rivolto a sud ovest e addossato al monte, in
cui il muro non ha che archetti e caditoie. Ne vorremo tacere
che in luogo delle ghirlande il palazzo di Gubbio ha semplici
tondi, forse un tempo adorni di maioliche colorate, che i pe-
ducci degli archi non somigliano nei fregi a quelli di Camerino
e che nel palazzo varanesco mancano i rosoni posti nel centro
delle arcate di Gubbio. In conclusione, pure ammettendo che
Giulio Cesare Varano, che ebbe costanti rapporti colla corte
feltresca e vi allogò il proprio parente Piergentile (2), potesse
^
(1) Burckhardt Iacopo, Cicerone, Mittelalter I, 147-48, Leipzig, 1911.
(2) Vedi Ratti F., Della famiglia Sforza, Roma, 1795, II, 138, e Zan-
NONi G., Scrittori cortigiani dei Montefeltro in Rendiconti dell' Accademia dei
Lincei, Roma, 1894, p. 80. Piergentile, figlio di Rodolfo IV, dal 1503 fu
alla corte di Giovanni Sforza a Pesaro dove morì per un calcio di mulo
nel 1508. Pare fosse fiero nemico di Pandolfo CoUenuccio e ne tramasse la
rovina presso il signore della città. Di ciò lo accusa una lettera a Giovanni
Sforza di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, Goito 6 luglio 1504.
C'f. Renier R. Niccolò da Correggio in Giornale storico della lett. it. XXI, 235,
— 35 —
ammirare le costrnzioni ispirate o commesse dal duca Federico,
assai lodate dai contemporanei, massime nella nostra regione,
non crediamo di dover riconoscere tali affinità tra il palazzo
di Camerino e quelli di Gubbio e Urbino da far ritenere che
il primo derivasse da questi.
Forse il raffronto tra i palazzi feltreschi e ((uello di Came-
rino fornirebbe argomenti di valore decisivo, massime ai dotti
di critica d'arte, ae il porticato del secondo non ci fosse celato
dai pilastri in cotto in cui sono chiusi archi, capitelli e colonne.
Ma, se non e' inganniamo, le analogie dei ymrticati si possono
spiegare colle forme d' architettura prevalenti sul cader del
Quattrocento nell' Italia centrale e il motivo caratteristico del
disegno del palazzo varanesco si deve scorgere nelle finestre a
croce. Ora finestre a croce si veggono in un edificio coevo al
palazzo di Camerino, cioè nel convento di S. Maria delle Gra-
zie, a tre Km. da Senigallia, eretto da Giovanni Della Rovere
nel 1491 con disegno dell' architetto fiorentino Baccio Pontelli
e coli' opera di Sabatino da Fabriano, maestro di muro (1).
Un figliolo di Giulio Cesare (probabilmente Annibale) assistè alle nozze
di Gnidobaldo Montefetiro con Elisabetta Gonzaga (1488). Rknier, Mantova-
Urbino, p. 18.
Diretti rapporti con Federico di Montefeltro ebbe Giulio Cissare nel 1477,
come si arguisce dal breve di Sisto IV indirizzato al Varano il 10 giu-
gno di queir anno per invitarlo a tener le sue genti agli ordini del duca
di Urbino, gonfaloniere della Chiesa. Cf. Zampetti Tullia, Giulio Cesare
Varano, Roma, 1900, doc. 42.
(1) « Et fu pigliato questo luoco di Santa Maria delle Grazie nel 1491.
Et 1» sua Eccellentia [Giovanni Della Rovere] lo edificò tutto dalli fondamenti
come appare, eccetto la chiesia, perchè voleva fare una chiesia tanto magna
et ornata quanta ne fusse un' altra in Italia per chiesia de frati dell' obser-
vantia tanto et io so certo che lui mandò più maestri per l' Italia per cer-
care se trovassero alcnne chiesie che fossero belle per portare il diseguo et,
benché le ne fussero portati piìi, lui n' ellesse doi che li piacevano, cioè la
chiesia di Sauto Bernardino apresso Siena, detta la Capriola, et 1' altra la
chiesia del loco nostro de Vercello et più volte io ebbi quel disegno in mano.
Volse dare al maestro che edificò il loco 14 milia ducati d' oro se voleva
fare la detta chiesia, ma il maestro non lo volse fare perchè li pareva che
— 36 —
Ivi il chiostro elegante, ma inferiore a tanti altri del tempo,
ha le piccole finestre rettaiigolari che danno Ince alle celle, né
certo poteva avere le grandi finestre guelfe (1), ma queste si
ai)rono sulle pareti esterne in capo ai lunghi corridoi.
Non conosciamo edifi<;i di carattere <;ivile dovuti al Pontelli
dai quali trarre qualche utile elemento di raffronto. E non sa
premmo dire se le somiglianze manifeste nella forma e nei
fregi dei capitelli pensili del cortile di Camerino e di quelli delle
lesene della chiesa di S. Aurea in Ostia, attribuita al Pontelli
fuase poco per fare tale edifitio. Fu disognato nel 1191 a di 15 d' agosto. Il
maestro che disegnò il luoco si chiamava maestro Baccio da Urbino. Il
maestro che 1' edificò, cioè che lavorava, si chiamava maestro Sabbatino da
Fabriano. In prima che fosse edificato questo luoco di Santa Maria delle
Grati© qui proprio era bosco et ci era una chiesetta tutta piena de spine e
d' elula [edera] d' intorno la quale si chiamava S. Maria del Pignotto » La
vita et gesti della bona memoria signor lohan Prefetto di Frate Gratia de Fran-
cia in Cod. Vatic. Urb. 1023, e. 321. r. Cf. Sikna L. Storia di Senigallia,
ivi, 1746, p. 160. Il Burckhardt (Der Cicerone, li, 143, decima ediz. Leipzig,
1910) attribuisce la chiesa di S. Maria delle Grazie a Sabatino da Fabriano:
ma questi non fu che 1' esecutore del disegno del Pomelli. Frate Grazia è
fonte autorevolissima, essendo stato guardiano del convento di Senigallia,
come egli stesso dice nel dar termine all' opera sua, ricca di preziose no-
tizie. Pare che Senigallia ammirasse il fervore artistico e letterario di Ur-
bino e di qui chiamaese artisti e letterati. E da Urbino, oltre il Pon-
telli, fece venire Luciano da Vrana detto anche lui da Urbino: denomi-
nazione, che, del resto, può spiegarsi, come nel caso del Pontelli, col fatto
dell' essere questi artefici cittadini e proprietari in Urbino. Cf. Nuova rivista
Misena Vili, 1895, p. 30. Ai funerali di Giovanni Della Rovere (morto il
6 nov. 1501) disse 1' elogio 1' umanista Ludovico Odasi da Padova, precet-
tore e segretario di Guidobaldo Montefeltro, duca d' Urbino, cognato del
Della Rovere. (Cronaca di frate Grazia). Tale componimento è da aggiungere
agli altri mentovati da A. Pinetti, L' umanista Ludovico Odasio alla córte dei
duchi d' Urbino in Archivio storico lombardo, XXXIII fase. 10, 1896.
(1) « Neil' interno del chiostro di Senigaglia appaiono delle alte e grosse
fiinestre a croce, che sono un' imitazione perfetta delle grosse finestre del
palazzo Venezia a Roma ». Cosi Paolo Giordani, Baccio Pontelli a Roma in
Arte, 1908 p. 105. Evidentemente il critico non vide il chiostro di S,
Maria delle Grazie e fu ingannato da qualche informatore,
— 37 -
dal Guglielmotti, (1) possano tenersi motivo sufficiente a conclu-
dere che l'architetto fiorentino fu l'autore del disegno del palazzo
varanesco. Certo, questa nostra opinione si avvalora principal-
mente da ciò che sappiamo dei rapporti del Pontelli col Varano.
Il 21 luglio 1492, presso la Torre dei Bilancioni (oggi Torre
del Parco) un computista del signore di Camerino, Bartolomeo
di Tommaso da Pesaro, riceveva mediante rogito del fido notaio
di casa Varano, Antonio Pascucci dal castello di S. Giovanni
di Fiuminata, dichiarazione di debito da parte di maestro Bar-
tolomeo (Baccio) di Fino Pontelli, architetto del papa, per la
somma di 400 fiorini che il detto maestro confessava di avere
avuti in prestito dal Varano e prometteva di restituire avanti
il prossimo settembre (2). Questo debito del Pontelli rappresen-
tava veramente un semplice mutuo? Se ne deve dubitare, che
1' atto lo dice risultante dal computo dei denari somministrati
a maestro Baccio da Giulio Cesare, dalla costui moglie Gio-
vanna Malatesta e da Annibale, figliolo illegittimo di Giulio.
'Ne l' intervento del ragioniere s' intenderebbe senza ammettere
che fra i contraenti fossero partite di dare e di avere, che,
cioè, la somma di 400 fiorini formasse l'avanzo degli anticipati
compensi all'artefice per servigi. Ignoriamo quali questi fossero
ma non è dubbio — e la qualifica di architetto del papa lo
conferma — che si riferissero a lavori nella signoria camerte
per edifici militari o civili.
Il Varano poteva aver conosciuto il Pontelli in Toscana: più
probabilmente nella Marca dove l'artista dimorò in due distinti
periodi, dal 1479 al 1482 in Urbino al servizio del duca Fede-
rico e dal 1487 fino alla morte — seguita in Urbino — mentre,
per commissione di papa Innocenzo Vili, dirigeva la costruzione
delle rocche di Osimo, Ofifida e Iesi. (3) Sappiamo che con breve
(1) Storia delle fortificazioni nella spiaggia romana, Roma, 1880, 55.
(2) Aleandri V. L' architetto Baccio Pontelli debitore di Giulio Cesare Va-
rano in Arte e Storia, XXIII, n. 18, Firenze 1904.
(3) Muntz E., Les aria à la cour d«8 jpapes Innocent Vili, Alex. VI,
Pie III, Paris, 1898, 47.
- 38 —
(tei 4 maggio 1492 Innocenzo Vili prescrisse al governatore
della Marca di Ancona di ricliiamare il Pontelli a Iesi perchè
vi terminasse la rocca restata incompiuta per l'assenza di lui. (1)
Dunque il Pontelli, non pago della larga provvisione di 25
ducati al mese, non attendeva assiduamente alle opere affidategli
e accettava altre commissioni. iNel 1491, come vedemmo, diede
il disegno per il convento di S. Maria delle Grazie a Senigallia:
1' anno seguente era a Camerino o per dirigere il compimento
del palazzo varanesco o per consigliare Giovanna Malatesta
negli adattamenti del maniero della Torre di Lanciano o per
altri lavori (2). Ti! probabilissimo che altre volte egli fosse
salito a Camerino, poiché l'accenno alle molteplici somministra-
zioni di denaro da parte di Giulio e Annibale Varano e di
Giovanna Malatesta implica varietà di commissioni date in tempi
diversi; di che ci pare sia indizio anche l'entità della somma
(400 fiorini) alla cui restituzione Baccio si obbligava coli' atto
del 25 luglio 1492. Il quale crediamo possa avere rapporto di
causalità colla minaccia contenuta nel breve citato di sostituire
al Pontelli un altro architetto, se, entro un termine da asse-
gnarsi, non fosse tornato a dirigere la fabbrica della rocca di Iesi.
Poiché il Pontelli - come molti altri nmestri del tempo - al-
l'architettura era giunto dalle officine d'intaglio e di tarsia questa
fu la prima sua arte e pare che per essa fosse chiamato in
Urbino dal Montefeltro - non é da ritenere fuori del verisimile
che potesse aver dati disegni e consigli alla esecuzione dei lavori
decorativi in legno che non mancavano nelle case vecchie e
nelle nuove del Varano. Ancora nel 1701 alcune stanze e qual-
che camerino del palazzo nuovo mostravano assai vaghi soffitti
(1) GlANUlzzi P., Documenti in Archivio storico dell'arte III, 298 (Roma
1896), doc. IV.
(2) Si noti che i Varano e i Della Rovere vissero in grande dimestichezza
anche prima del parentado conchiuso colle nozze, celebratesi nel 1497, di
Venanzio Varano e Maria della Rovere, figlia di Giovanni, signore di Seni-
gallia. Queste nozze erano state fissate fin dal 148.5, il che apprendiamo da
una lettera di Giulio al duca di Milano, 15 luglio 1485. Arch. di stato di
Milano.
— 39 —
antichi requadrati con rosoni dorati e l'inventario del 1502 eDii-
inera nove stanze soffittate fra cui le due chiamate dei leoni e
delle bisce con soffitto a quatruni la prima e a quatruni dorati
la seconda. E perchè non vorremo ammettere che al maestro
fiorentino si dovessero i disegni degli ornati lapidei, cioè delle
trabeazioni, dei pilastri, dei festoni che decoravano nell'interno
del palazzo porte, finestre e camini ?
Tanto più accettabile ci apjjarirà la supposizione che il si-
gnore di Camerino chiedesse l'opera; di qualche insigne architetto
a disegnargli il palazzo, se terremo conto delle sue cure intese
a condurre buoni artefici forestieri anche per le parti secondarie
e ornamentali dell' edificio a cui egli volle raccomandare il suo
nome di principe amico delle arti. L' 11 dicembre 1490 riceve-
vano dal Tarano 270 fiorini per lavori fatti nelle case di lui
un Agostino e un Cecco, padre e figlio, forse maestri da muro, (1)
entrambi da Fabriano, luogo donde uscirono quel Sabatino che
eseguì il disegno del Pontelli a S. Maria delle Grazie presso
Sinigallia, e quel Bartolomeo di Pietro Giunta che restaurò il
palazzo comunale di Iesi nel 1475. (2) Il 3 maggio del '91 un
messo di Giulio, Pier Matteo di Venanzio da Camerino, som-
ministrava 30 fiorini a Francesco di Filippo di Leonardo da
Lalora, capo dei lapicidi addetti ai lavori in pietra nella abbadia
di S. Pietro di Perugia, a patto che entro un mese si recasse
a Camerino per compiervi quanto il Varano gli avrebbe com-
messo. La promessa non fu mantenuta e il denaro fu restituito,
come ci apprendono i libri di amministrazione dell' abbadia
predetta (3). Ma il Varano, edotto della perizia dei lapicidi toscani,
(1) La quietanza è « prò toto laborerio facto per ipsos ruagistrum Ciccum
et magÌBtrnm Augnstinum ia domibus dicti IH. mi domini usque in presentem
diem. » Arch. not. di Camerino, Kog. di Antonio Pascucci.
(2) Vedi GiANANDREA A. Il palazzo comunale di led, Iesi, 1887, 12.
(3) Manari D. Luigi, Documenti e note ai cenni storico-artistici della basi-
lica di S. Pietro in Perugia, in L' Apologetico, periodico religioso, IV, 371-72
Perugia 1865. Si hanno qui molti nomi di maestri di pietra toscani che
lavorarono a Perugia.
— 40 —
fece venire a sé un altro maestro della cui opera ci dice qua!
cosa un rogito del nostro archivio notarile. È la quietanza, in
data 12 luglio 1491, per la somma di 419 fiorini e 09 soldi che
un Francesco di Matteo Fasini, detto Lancino, da Settignano
dichiara di aver ricevuto in compenso dei lavori in pietra da
lui o dai suoi garzoni diretti e fatti nella casa nuova e in altri
luoghi del Varano.
Uno di quei lavori era certamente il lastricato in pietra nel
cortile del ])alazzo dove maestro Lancino si obbliga a rifare
tutte le pietre e le commessure già da lui collocate e lavorate,
ma non bene riuscite. Per una sonima stabilita assume anche l'ob-
bligo di eseguire, secondo i patti contenuti in altra scritta speciale,
la bocca di un pozzo che si trovava in una corte del palazzo,
forse la principale. Da ultimo il lapicida promette di fare,
su disegno di Giulio Cesare, quattro armi o scudi in pietra
da collocarsi negli spigoli del palazzo (1). Può credersi che si
tratti di quattro delle 24 targhe — sette nei due lati lunghi
e cinque negli altri ~ che ornavano il fregio sovrastante al
colonnato e portavano scolpiti o lo stemma dei Varano (i vari col
cane marino per cimiero) o emblemi araldici dei Malatesta (la rosa
o il nodo d' amore). Se il Varano avesse usata la pietra d' Istria,
come fece il comune di Iesi, che con essa, perchè resistente
al ghiaccio, ordinò a maestro Michele da Milano di formare,^
scolpire gli scudi col leone rampante, emblema della città (2),
ci sarebbero, probabilmente, pervenute molte delle belle targhe
lavorate dallo scalpellino di Settignano. Ma, fatte di pietra
arenaria, le più perirono. Ne restano solo alcune, né tutte in
buono stato.
Gran peccato è che non ci sia pervenuto alcun disegno
della facciata del palazzo verso la strada. Che il prospetto dif-
ferisse da quello del palazzo vecchio o di Venanzio (sec. XIV),
è manifesto non solo per i tempi diversi della costruzione, sì
(1) Appendice, II.
(9) GlANANDREA op. cit. p. 2c
— 41 —
anche per le parole dell' erudito Benigni (1). Del portale, come
dicemmo, conosciamo solo il poco clie ne dice il Lili. È dubbio
se le finestre avessero la stessa forma di quelle del cortile: cliè
nell' inventario del 1701 n' è ricordata una a croce e un' altra
avente nel mezzo una colonnina, cioè bifora. Ma né le notizie
di questo documento danno luce sufficiente a chiarire il punto,
né si può escludere la possibilità che quella bifora non fosse
antica.
Se il signore di Camerino vivajnente si compiacque di con-
ferire lustro alla pr )])ria famiglia e al piccolo stato coll'erezione
del palazzo nuovo, sull' esempio dei vicini signori e delle città
della regi(me — gli Ottoni di Matelica (2), gli Sforza di Pe-
saro, i Della Kovere di Senigallia, i Montefeltro d' Urbino, i
comuni di Iesi e di Ancona — continuò tuttavia, ad abitare
come diceuìmo, nelle case vecchie. Quivi noteremo, accanto a
uno studiolo di Giulio Cesare e a una cappellina « una camera
secreta dove dormiva lo signore, softìctata, intabolata dentro, con
lectera et una fenestra ferrata et invitriata et uno uscio ».
Non sappiamo quale foSvSe il rivestimento ligneo di questa stan-
za: ma, se essa era segreta, non par verosimile che le pareti interne
di legno avessero decorazioni in tarsia come i celebrati stud:oli
di Federico di Montefeltro in Urbino.
Del palazzo vecchio la parte i)iù appariscente dovette essere
allora e poi la grande sala che nell'inventario del 1502 è registrata
così: « Item una sala grande con doi camini soffictata con la soia
porta et credenza: octo fenestre grande, doi piccole: de lungheza
coutovinti pedi et larga pedi quaranta et quatro con sidici banchi
in essa sala de tavoloni de ulmo, vinti pezi de stanghe con ferrecti
da pendere pandi da raza [2)anni d'arazzo] » (3). In questa grande
(1) « Questo palazzo /l' apostolico e della tesorerìa] ... . fu edificato in più
fiate et da diversi signori et per questo non è unito nell'architettura ».
Frammenti historiali e. SO"".
(2) ACQUACOTTA, op. CÌt. II, 10.
(3) Molte parole dell' inventario borgiano ricordano 1' italiano-romagnolo
del contemporaneo cronista forlivese Andrea Bernardi detto Novacula (Vedi
-in-
sala si compivano dal signore gli atti e le cerimonie più so-
lenni, si teneva udienza, si accoglievano e si festeggiavano, an
che con spettacoli drammatici, gli ospiti. L' inventario borgiano
ci ha serbato ricordo dei cavalietti di legno coi quali si costrui-
va il palco (1). Qui si fece l' esposizione della salma di Gio-
vanna Malatesta il 2 nov. 1511 (2) e qui, anche dopo finita
la signoria varanesca, in onore dei molti personaggi che pas-
savano per la prossima strada Loreto Roma, si diedero feste
e dispendiosi spettacoli dall', impoverito comune di Camerino
invano repugnante a questo oneroso tributo, che gli era imposto
dal governo papale. Specialmente fastosa fu la cerimonia per
il passaggio della regina Cristina di Svezia 1' undici dicembre
1655 (3). La grande sala, costruita da Venanzio Varano — di
che ne accerta il trovarne ricordo nel testamento di Rodolfo
III (1418) — adornata di arazzi (aparata) al tempo di Giulio
Cesare in occasione di feste, ebbe più tardi una stabile e ajj-
pariscente decorazione.
Giovanni Maria Varano, unico dei figli di Giulio Cesare
scampato alle vendette dei Borgia, come fu investito del titolo
di duca di Camerino da Leone X, zio materno di sua moglie
Caterina Cibo, quasi presago dell' imminente fine dell' avito do-
minio, volle che nella grande sala fossero dipinti gli stemmi
degli antenati che avessero regnato e fosse scritto un breve
elogio di ciascuno di questi. Gli stemmi erano collocati in alto
sulla parete, a destra di chi entrasse, quelli degli uomini di
le sue cronache pubblicate da G. Mazzatinti a cura della r. Deputazione
storica della Romagna, Bologna 1895-97). Anche il Novacula scriTe pandi
per panni e sondo per sono. Forse 1' estensore dell' inventario fu uno dei
molti romagnoli a servizio dei Borgia.
fi) Neil' inventario delle case vecchie, a e. 90'': « Item una stanza dove
sedeva cinque cavallecti de legname da edificare el barco ne la sala ». Com-
medie si diedero nel 1451 per le nozze di Giulio Cesare. Cf. Lili II, 206.
(2) Vedi la descrizione dei Funerali di Giovanna Malatesta pubblicata da
M. Santoni, Camerino, 1881.
(3) Satini P. op. cit. 138, 140, 141, 142, 156, 163-64.
— 43 —
casa Varano, sulla parete a sinistra quelli delle donne venute spose
nella famiglia (1). Degli elogi ci pervenne copia nella storia del Lili
e nelle carte di altri eruditi camerinesi del Seicento dalle quali
li i)ubblicò il Santoni in appendice al Compendio del Savini. Degli
stemmi ci è pervenuta una riproduzione a colori, che tuttofa cre-
dere fedele, insieme colla copia degli elogi autenticata da tre
notai (1609), in un fascicolo cartaceo appartenuto al compianto
e illustre concittadino, Servilio Marsili (2). Qui lo scudo vara-
nesco portante 1 vari (ora bianchi su campo azzurro, ora az-
zurri su campo d'argento), e sormontato dall'elmo, non sempre
ha per cimiero il cane marino che vediamo in tutti gli stemmi
varaneschi in pietra dei secoli XIV e XV. Nello stemma di
(1) A e. 2 (lol cod. Vatic. Barber. lat. 5276 si ha : « La sala del
palazzo di Camerino è grande palmi 44 e 20 larga. In faccia dell' entrata,
nel muro, quasi presso alli travi è un giro finito de quadri con 1' arme
de Varani a mano diritta e a mano manca ammezzato (?) da quelle delle
mogli dove si sa che sia stato fatto questo dall' ultimo dominatore di
essa casa che pare poiché in lui mancò la signoria. Ma perchè, per
la vecchiezza, molte cose non s'intendono, ci mettei'ò le seguenti. Quadro
nel mezzo al quadro grande — Origo dominoruvi de Vara.no — » . Se-
guono alcuni degli elogi con molte lacune ed errori. Il recto della carta
2 ed ultima finisce « sui Ladislao rege »: frammento dell' elogio di Rodolfo
III. A tergo della e. 2, scritte per traverso si leggono le parole: « Niccolò
[il Lili, II, 241, dice Giacomo'] Piccinino, vestito di lungo di broccato, senza
barba. Ancora Francesco Sforza da Milano senza barba e capo calvo in Ca-
merino in una camera ». Questi ritratti insieme con altri dei Varano, erano
nella sala della Fortuna, cioè nel palazzo di Giulio e non nella sala grande,
come scrisse il p. Orazio Civalli nella nota visita triennale (Colucci Anti-
chità Picene, XXV p. 39). Gli elogi del Favorino si hanno anche in Cod.
Vat. Capp. 165 e. 90.
(2) L' autenticazione dei notai camerinesi Giulio Bellazzi, G. Battista Ver-
gelli e Giuseppe Rovelli, in data 5 novembre 1609, si riferisce alla trascri-
zione degli elogi a ciascuno dei quali sovrasta nelle pagine in folio il doppio
stemma del personaggio, di cui parla 1' elogio, e della moglie. Alla copia
dell' autenticazione precedono notizie storiche su Camerino che è lecito cre-
dere fossero scritte dal Massarelli, leggendosi esse in un volume ms. di lui
conservato nella Valentiniana.
— 44 —
alcuni personaggi il cimiero è costituito da un particolare embleuìa
araldico, o adottato realmente dai singoli antenati di Giovanni
Maria, o ad essi da lui attribuito. Il cimiero di Rodolfo I (-{-1316),
è un cane seduto colla zampa destra anteriore levata in alto,
quello di Giovanni I (-j-1385), soprannominato nell'elogio spac-
calferrOj è fatto di due mani in atto di spezzare un ferro da
cavallo (1): due falci sormontano 1' arme di Venanzio (-j- 1380)
detto falciai/erro: una testa di cavallo con un corno uscente
dalla fronte (unicorno o lioncorno), sovrasta allo scudo di Gentile
III (-1-1399), di Piergentile (-]- 1433) e Rodolfo IV (-{-1464): il
grifo alato di Perugia è cimiero nello scudo di Berardo III
(-f-1434). Un sole raggiante sopra all'elmo si vede nello scudo
di Berardo I (-H1329), di Gentile II (-f 1355) e Berardo II
(-}- 1350).
I signori di Camerino adottarono lo stemma parlante dei
vari (probabilmente dall' avito castello di Varano d<mde, a no-
stro avviso, vennero a Camerino nel Dugento o prima) al quale
sovrapposero il cimiero del cane marino durante il secolo XIV,
quando cominciarono a signoreggiare nella loro città. Tra le
armi varanesche a noi pervenute (fatta eccezione di quelle di-
pinte nella grande sala del palazzo ducale) non se ne conosce
alcuna che porti altre figure: cosicché par credibile che lo
stemma derivasse unicamente dalla signoria e che gli scudi, dove
non si vedono che i vari, siano da assegnarsi all' ultimo dei
signori, Giovanni Maria Varano, il quale, conseguito il princi-
pato col diploma pontificio del 30 aprile 1515, soi)presse 1' em-
blemac della città per affermare la legittima derivazione e 1' au-
tonomia della propria sovranità. È, dunque, assai probabile che,
se altri segni e altre figure araldiche furono da Giovanni Maria
attribuite ai suoi antenati, egli non avesse altra giustificazione
storica che la tradizione domestica relativa ai fatti e alle pre-
dilezioni dei singoli dinasti camerti: tradizione, la quale nulla
vieta di ritenere che fosse avvalorata da fonti attendibilissime
(1) LiLi, II, 68, 106.
— 45 —
a noi ignote, quali sarebbero i sigilli, dove talora all' arme
della famiglia si accompagna una particolare impresa araldica (1).
E a questo proposito non vogliamo tacere che il grifo ])erugino
nelP arma di Berardo II F ci sembra pienamente spiegato dall'ami-
cizia e parentela di questo Varano con Braccio da Montone e
1' unicorno di Gentile III trova conferma nella menzione della
camera degli unicorni che si legge nel testamento di Rodolfo
III (1418). Non sarebbe, perciò, ragionevole ripudiare come
falsi i personali emblemi araldici di cui discorriamo. Ma è dub-
bio che SII questo ])articolare si facessero allora diligenti ricer-
che: e, certo, non si fecero a proposito delle geste degli antenati,
che il duca Giovanni Maria, seguendo l'esempio di altri princii>i
e delle rejmbbliche di Firenze e Vene/in, volle brevemente ricor-
date negli elogi comi)ilati dall' umanista c« inerte. Varino Favo-
rino, vescovo di Nocera (1^). V^ero è che i i)iù di essi, nella
loro semplicità epigrafica ci conservarono ])reziose notizie con
precise e quasi sempre veridiche determinazioni cronologiche.
Ma nel proemio e nell' elogio di Gentile I è i)ure palese l' in
(1) Ci piace notare che il sigillo di Rodolfo Varano illustrato dal Santoni
(Bullettino di Numismatica e Sfragistica, II, 43, Cameriuo, 1884-86) e attribuito
a Rodolfo II {-\- 1384) ha la corona marchionale e il cane marino armeggiato che
appariscono nello scudo di Rodolfo II dipinto nella sala del palazzo ducale.
Dubitiamo, però, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre, che quel
sigillo, già esistente nella jireziosa collezione Corvisieri (passata al museo di
Castel S. Angelo) sia fattura del secolo XVIII ispirata allo stemma di Ro-
dolfo dipinto nella sala ducale. Se il nostro venerato maestro, Milziade
Santoni, dotto numismatico, avesse avuto modo di esaminare V originale, in
luogo di un' accurata riproduzione a penna, avrebbe concepito gravi dubbi
sull' autenticità di esso.
(2) Bknigni. op. eit. e. 201^ « Camerini F. nei Supplementi al Lili. Si
noti che quelli stampati dal tipografo Sarti a Camerino nel 1835 non com-
prendono tutte le aggiunte fatte dal Camerini. Questi completò la Storia del
Lili e ne preparò un bellissimo esemplare per la stampa ora posseduto dal
chiar.mo dott. cav. Battibocca, alla cui cortesia dobbiamo — e glie ne siamo
grati — di averlo potuto esaminare. Per gli esempi di epigrafi storiche nel
Rinascimento vedi Burckhardt I. La civiltà del Rinascimento in Italia, trad,
it., ediz. di G. Zippel, Firenze 1899, I, 314,
- 46 -
tendiniento di attribuire alla famiglia Varano un'origine antica
ed illustre per la quale i signori di Camerino si collegano al-
l' Impero romano — giusta le tendenze classiche del Cinque-
cento — appariscono primi autori della conversione dei Camerti
al Cristianesimo e instauratori del culto della Vergine e di S.
Venanzio (alla prima è dedicata la cattedrale, il secondo è il
protettore della città) e si dicono investiti di Camerino dal
pontefice Alessandro IV, asserzione quest'ultima da rapportarsi
alla costante prevalenza del Guelfismo nel nostro comune. Fa
vole dovute alla vanità umnna, all' interesse politico, alle qua-
lità di umanista e di vescovo che si congiungevano nel dotto
Favorino e ad antiche tradizioni locali. Ma con queste non ha
che vedere certamente la curiosa storiella che Gentile I fosse
capitano di un Edoardo, re d' Inghilterra, e da costui Rodolfo I
(-[-1316) ricevesse l'ordine della giarrettiera (1), di cui il cin-
(1) « Rodnlfus primus Gentilis fìlìus habuit Galateam a rege Angliae a.
1285 et confirmatus fuit in Canipaniae comitatu ab Honorio Pont. IV a. Ì285.
Regnavit cuui fratre anuis XXXII. Obiit a. 1316. Uxor ignoratur. »
Il Lili (II, 68-69), a proposito di questo elogio, notò che il Sansovino in-
tende Galateam per nome di donna e dice che questa Galatea fu di sangue
reale d'Inghilterra e moglie di Rodolfo. Aggiunse poi che nell'arme di
Rodolfo dipinta nella sala si vedeva il cingolo della giarrettiera: ma non
tacque 1' obiezione dell' impossibilità che sul principio del Trecento si conce-
desse l' ordine cavalleresco istituito da Edoardo III non prima del 1349. A
noi, poiché conviene conciliare ì' uxor ignoratur coli' esistenza del cingolo
della giarrettiera nello stemma di Rodolfo I, parve di dover ammettere un
errore di trascrizione nella parola galateam. Di fatti in una copia (cod. Vat.
Borg. 282 s. n. d. e.) della raccolta di notizie dagli eruditi cittadini del
Sei e Settecento chiamata talora Cronaca Varana, talaltra « Historie di Ca-
merino » compilata, non senza favole ed errori, forse sul finire del sec. XVI,
nel cui testo italiano sono inseriti più passi degli elogi del Favorino, leg-
giamo: » Ròdulfus habuit calarem (sic) a rege Angliae, 1285. » In un' altra
copia (tra le carte di M. Santoni) si legge calcarem (sic). Si tratterebbe,
dunque, degli sproni, insegna cavalleresca che non ha che vedere colla giar-
rettiera. Si può anche pensare a galatium, insegna marchionale usata in
Francia nel M. Evo (Ducange Gloosarium, ad verbura). Ma non possiamo
accogliere 1' ipotesi di un errore di trascrizione ora che abbiamo sotto gli
occhi la citata autentica trascrizione degli elogi dove è scritto: galateam; se
-- 47 —
golo fu effettivamente dipinto nel mezzo dello scudo di questo
Kodolfo.
#
* #
Della vita che si conduceva entro alle sale eleganti del
palazzo dei Varano negli ultimi decenni del Quattrocento e nei
primi del Cinquecento non ci resta alcuna diffusa descrizione.
Tuttavia gli accenni dei diari liliani relativi a visite di prin-
cipi e a varie cerimonie, alcune parole dell' autobiogratìa di
Camilla Varano (Beata Battista) e le induzioni consentite dal
complesso dei fatti noti intorno al carattere e alle geste di
Giulio Cesare, al palazzo da lui costruito, e al regno di Gio-
pure non sì voglia supporre nell' originale la forma galateram (dall' italiano
giarrettiera o gartiera, traduzione suggerita dalla somiglianza del snono)
colF abbreviazione della r, ohe non fu veduta o fu negletta dai trascrit-
tori del Seicento. In latino l'ordine della giarrettiera si chiamò ordo garterii
(dall' inglese garier), come si vede nei documenti riferiti da J. Denni-
STOUN, Memoirs of the dukes of Urbino, II, 444, 446, London, 1851. Rispet-
to al fatto asserito è lecito dubitare che non si tratti di anacronismo dovuto a
semplice ignoranza poiché, sebbene lo spirito critico e V accertamento
dei fatti nello studio della storia e nella genealogia delle famiglie prin-
cipesche del Cinquecento, malgrado 1' opera del Valla e di pochi altri
critici umanisti , fossero quasi sconoseiuti , tuttavia non è credibile
che s' ignorasse il vero intorno alle onorificenze conseguite dalla fa-
miglia Varano. D' altra parte in quei pretesi rapporti dei primi Varano
coi re d' Inghilterra si potrebbe vedere lo studio di assegnare ai Varano
il medesimo vanto — la decorazione delle insegne della giarrettiera —
onde era lodata la casa ducale di Urbino allora rappresentata da Fran
Cesco Maria Della Rovere, aperto nemico del duca di Camerino, perchè
fautore dei tentativi di Sigismondo di cacciare lo zio dall' avito dominio.
L' aver fatto Gentile I capitano del re d' Inghilterra dovette essere
un' abile preparazione alla fandonia della giarrettiera concessa al figlio
di lui, Rodolfo. Il Sansoviuo (Dell' origine e dei fatti delle famiglie illustri
d'Italia, Venezia 1582, e. 15"^), che ebbe, certo, notizia degli elogi del Fa-
voriuo, diede Galatea per moglie a Rodolfo e tacque il nome della jnoglie
di Berardo, altro figlio di Gentile I. Però il Lili affermò che la moglie di
Berardo si chiamò Emma « nome francamente inglese » e congetturò che
anche costei fosse principessa britannica. Ma 1' elogio di Berardo ripete
ì'uxor ignoratxir di quello di Rodolfo: il che è a noi sufficiente motivo a ripu-
diare le relazioni e le parentele inglesi dei primi Varano alle quali prestò
parziale fede il Litta. (Famiglia Varano).
— 48 —
vanni Maria ne fanno certi che la i)iccola corte di Camerino
ebbe costumi gentili, vide sontuose feste e banclietti, fu di-
spensatrice di favori e godette là benevolenza dei sudditi, no-
nostante quella immutabile volontà Uhertesca che Ludovico Clodio
attribuì alle classi diligenti di Camerino, Ci basti riferire un
breve passo della relazione che quel sicuro conoscitore delle
cose di Camerino e astuto politico compilò e indirizzò a papa
Alessandro VI quando questi lo ebbe incaricato di procedere,
come oggi diremmo, a una diligente inchiesta circa le cause
onde era derivata la ribellione al governatore pontifìcio e s'era
effettuata 1' effìmera restaurazione del dominio varanesco nel
novembre del 1502. L'arciprete di Caldarola — così dalla sua
patria fu chiamato il Clodio avanti che fosse vescovo di No-
cera — dopo aver chiarite Io i)rime due cause della ribellione
di Camerino, espone la terza colle parole seguenti: « La terza
causa è stata una universal perdita di tutta la terra, e mas-
sime di giovani, di tutta la ricreazione sua che avevano in
Camerino la quale tutta era nella corte di casa Varana: adesso
[gennaio e febbraio], come erano ventiquattro ore, tutta la Terra
andava a corte: chi a scaldarsi, chi a giuocare, chi a ronfa (1),
chi a tavolieri, chi a sentir nuove, chi a parlare al signore
fino a tre e quatr' ore di notte, poi il giorno chi a giuocare alla
palla, chi uccellare col signore e questo sempre, ad ogni tempo,
per modo che ricordandosi ogni dì e sera la università tutta
de la privazione di tal ricreazione non le pareva saper vivere,
sospirando ogni uomo la sera a casa al foco, dicendo: Ove sta
casa Varano! Crescendoli ogni di più il desiderio di aver-
la ed anco la ricreazione delle donne di Camerino perchè
la Madonna aiutava questa passione per modo che, quando sen-
tirono Giovan Maria, corsero tutti con desiderio gridando: Va-
(1) La ronfa era un jjiuoco di carte proprio più della plebe che dei prin-
cipi, secondo un passo delle rime del Lasca riferito dai dizionari della Cru-
sca e del Toinniaseo. Dei giuochi di carte del Rinascimento, mentovati in
una dotta nota dai sig.ri Luzio-Reniek in Mantova- Urbino p. 63-65, soprav-
yive ancora nelle nostre campagne il nichino o scassaquindici,
— 49 —
rano con ogni ricreazione sua venuta. Son cose die non
paiono niente e nondimeno importano tutto Io stato. » (l).
Chi non ripensa alla benignità e affabilità verso i sudditi di
altri principi del Rinascimento e alle parole semplici e ve-
ridiche di Vespasiano da Bisticci colle quali si esalta la popo-
larità di Federico da Montefeltro tra gli Urbinati ?
Quando, finito tra noi il principato e seguita 1' annessione di
Camerino agli stati della chiesa nel 1545, il governo pontiti(;io
concesse una limitata autonomia coi noti capìtoli intposti alla
nostra città dal cardinal Durante, la Curia papale ordinò che
lo stato di Camerino avesse una sua speciale tesoreria (2). Gli
uffici di questa amministrazione furono collocati nel i)alazzo di
Giulio Cesare, che si disse palazzo della tesoreria, mentre il
tesoriere e il vicetesbriere ebbero per abitazione il palazzo di
Venanzio con la sala grande la quale continuò a servire a
cerimonie, spettacoli e ricevimenti. Il go'v amatore, cioè il pre-
lato rappresentante del papa, come oggi il sottoprefetto, abitò
il palazzo di Gentile. Questo e l'altro contiguo, abitato dal
tesoriere, furono spesso designati colla denominazione di palazzo
apostolico (3). A pian terreno, dov' è ora 1' ufficio telefonico, fu
posta la cancelleria criminale congiunta coli' appartamento del
(1) Relazione dello Stato di Camerino di Lodovico Clodio pubblicata da A.
Conti in Archivio storico marchigiano diretto dal prof. Cesare Rosa, Ancona
1879, p. 217 e segg.
(2) I registri della tesoreria di Camerino (1539-1808) si conservano nel
R. Archivio di stato di Roma.
(3) Benigni op. cit. loc. cit. Il palazzo ducale è chiamato palazzo del Go-
vernatore, tesoriere, cancelliere e carceri in una pianta dell' antichissiìna città di
Camerino, a penna, recentemente (1912) acquistata dalla biblioteca Valenti-
niana. Questo disegno, pregevole documento in tanta rarità di fonti storiche
cittadine, fu tracciato nel Seicento, come dimostra la scrittura dei nomi, da
un ignoto Camerinese. Le prigioni erano un tempo nel palazzo della custodia
o guardia, il quale, verosimilmente, sorgeva nella piazza del Duomo di fron-
te al palazzo nuovo, o di Giulio. Lo demoli mons. Taverna milanese, gover-
natore di Camerino, che trasferì le carceri in una parte del vecchio palazzo
i — km « Henorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912,
— 50 —
giudice criminale (1). Più in giù era 1' ufficio del podestà con
« V udienza e sala dei notai » .
Il palazzo varanesco, a cominciare dal Cinquecento, fu sot-
toposto a restauri e rifacimenti dei quali non è nostro proposito
discorrere qui. Eicordererao soltanto che il più antico, per quanto
ci consta, è del 1571 (2) e il più radicale, se non c'inganniamo,
fu eseguito per ospitare l' università degli studi istituita da
Benedetto XIII nel 1728. Pare che le trasformazioni più rag
guardevoli cominciassero nel 1749 quando, secondo scrisse Luigi
Sparapani nella sua storia inedita di Camerino (parag. 527,
ad annum), la camera apostolica cedette al comune una parte
del palazzo a[»puTito per 1 bisogni delle facoltà universitarie.
di Gentile dove fece apporre la seguente iscrizione: Has aedes vetnstate
iam collapsas instaurari, carceresque e reraotiori translatos pubblicae iudi-
ciorum comoditati in eis construi curavit a. MDLXIX: « Cf. Argenti Venan-
zio, Eaccolto Historico, Ms. Valent. e. 244^^ e Savini P. Storia di Cam. 140.
(1) Salmon Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo, Venezia,
Albrizzi 1757, voi. XXI con incisione (a p. 554) che riproduce la piazza del
Duomo di Camerino.
La cancelleria criminale si trovava nel palazzo varanesco anche ai tempi
di Giulia Varano e di suo padre Giovanni Maria. Il Lili (II, 339) ricorda
P incendio di alcune stanze del palazzo e con osse di tutte le scritture della
cancelleria criminale, incendio avvenuto uell' ottobre del 1539 per « li fuochi
d' allegrezza » accesi a festeggiare la visita di papa Paolo III.
(2) Del 21 marzo 1571 (Roma) sono i capitoli per il restauro del palazzo
della corte in Camerino tra la Rev. Cam. Apostolica rappresentata da Gia-
como Melchiorri, vescovo di Macerata e chierico della Camera, e il maestro
muratore Giacomo Bartolini da Città di Castello, abitante in Roma, sulla
piazza degli Orfanelli. Ai capitoli segue un accessio nella quale « magister
lannottus Alibertinus florentinus lapicida in Urbe ubi dicitur la Ciambella »
si dichiara responsabile in solidum col detto maestro Giacomo per 1' osservanza
degli obblighi da questo assunti. Il restauro consisteva nella costruzione di
cinque grossi contrafforti in cotto, anche oggi esistenti, destinati a sostenere
il palazzo di Gentile e di Venanzio dal lato di levante, con la rilevante spesa
di scudi 4003 e baiocchi 20. Biblioteca Vallicelliana di Roma Cod.
mise. G. 63, e. 373. Allora fu ampliato 1' alloggio del governatore e aperta
la comoda scala a chiocciola di 106 gradini. Cf. Savini o^. cit. p. 128. Sul
primo contrafforte o sperone (verso S. Venanzio) si vede tuttora 1' iscrizione
« Piu8 V. pont. max. MDLXXI »
N OT A B
SULLE CONDIZIONI
ECONOMICHE E DEMOGRAFICHE DI CAMERINO
E SULLA RICCHEZZA DELLA FAMIGLIA VARANO
Sommario : La prosperità economica di Camerino dal sec. XIV al XVI de-
rivò più dall' industria e dal commercio che dall'agricoltura — L'in-
dustria più fiorente era quella della lana — Cominciò la decadenza nel
primo trentennio del Cinquecento — Si aggravò dopo la devoluzione
del ducato alla Santa Sede — Indarno nel Seicento si tentò di dare
nuovo impulso all'arte della seta I proventi di Giulio Cesare Varano
quali risultano dalla descrizione dello stato di Camerino nell' archivio
estense di Modena - Il Varano comperò moltissime terre — I dati
demografici — Presunta popolazione della città e dello stato nei secoli
XVI e XVII.
Della prosperità economica di Camerino e dei Varano c'in-
trattenemmo in una nostra memoria (1) e però non crediamo
necessario ripetere quanto ivi scrivemmo. Aggiungeremo poche
notizie. La produzione agricola, risultante soprattutto di grano,
orzo, spelta, vino, olio, croco e bestiame, coltivati, secondo tre
tipi di contratto — il cottimo, il lavoreccio e la sòccita — (2)
(1) Belle relazioni di Francesco Sforza coi Camerti e del suo governo nella
Marca in questi Atti N, S. voi, V- 402, 403, 409, 410, 415.
(2) Tanto il lavoreccio, quanto il cottimo erano a tempo determinato. Il
primo contratto (colonia parziaria) stabiliva la ripartizione dei prodotti tra
proprietario e lavoratore a quote fisse: quasi sempre a metà (mezzadria), se
si trattava di terre collinose o in pianura, con vantaggio del lavoratore
(^/s o ^/ó) 8® di terre montuose o sterili. Il cottimo stabiliva in una misura
fissa la parte del prodotto spettante al proprietario (per lo più tante salme
di grano o spelta), lasciata al lavoratore tutta la restante. In complesso, tali
— 52 —
non bastava ai bisogni degli abitanti, causa la prevalenza del
terreno montuoso e boscoso. Cespugliato e macchia copiivano
allora gran parte delle colline poste oggi a coltura. Se gli atti
notarili coi frequentissimi contratti provano il grande numero
di terre coltivate, ciò deve spiegarsi non coli' estensione del-
l' agricoltura, bensì coli' enorme frazionamento della proprietà
terriera; fatto, a nostro avviso, assai antico e però tale da far
dubitare di quella concentrazione dei possessi, che, secondo gli
storici, si sarebbe avverata dappertutto nel periodo feudale. La
divisione della proprietà non poteva compensare colla maggiore
relativa produzione la preponderanza dei monti e dei boschi:
indi la continua importazione del grano dalla bassa Marca, cura
costante dei Varano. Ancora più di un secolo do])o la fine della
Bignoria varanesca il cardinal Casanata, governatore di Came-
rino, così scriveva del territorio della città: « Stendesi il suo
stato (di Camerino) per venti miglia di lunghezza e circa 60
altre di giro. La maggior parte è montuoso, ma tra V uno e
l'altro monte si dilatano brevi sì ma amene pianure dalle quali
e dai colli piìi colti si raccoglie abbondantemente (benché non
a sufficienza al mantenimento de' suoi popoli) ciò che al vitto
umano si desidera » (1).
Alla deficiente produzione agricola sopperivano i guadagni
della esportazione dei prodotti dell' arte della lana fiorente tra
noi come nelle altre piccole città dell'Appennino umbro-mar-
contratti durano tuttora: ma senza il carattere di sopraffazione della proprietà
sul lavoro che la legislazione medievale sanciva. Vedi la rubrica: De labora-
toribus, lahoritiis et coptumis nello statuto di Camerino, Gioioso, 1563, e. 108.
La sòccita concerne il bestiame, come tutti sanno.
Nel contado di Camerino abbondavano l** vigne che si davano a lavo-
reccio (mezzadria) coli' obbligo da parte del proprietario di fornire le canne
e i vimini e qualche prestito in denaro.
(1) Informazione sopra lo stato di Camerino alla Sacra Congregazione sojìra
lo sgravio delle comunità, 15 sett. 1655. ms. fra le carte di M. Santoni nella
Valentiniana. Con amplificazione mendace Fkancesco Pamfilo scrisse del
territorio camerte: Undique sunt saltus: steriles vix terra niyricas lunipero-
sque parit: tam lapidosus ager » De laudibus Piceni p. 84, Macerata, 1575,
— 53 —
chigiario, perchè favorita dalla coj)iosa pastorizia e dalla rela-
tiva ])rossiinità a centri di produzione e consumo quali Roma,
Perugia e Siena dove i uiercanti caraerinesi trasportavano a
dorso di mulo i loro tessuti. I numerosi salvacondotti concessi
dagli ufficiali della Curia pontifìcia a mercanti di Cauierino diretti
a Roma o ad altre città dello stato ecclesiastico, gli scambi
commerciali con Siena attestati dai carteggi, la presenza di
mercanti toscani a Camerino (1), la floridezza della colonia
israelitica (donde i molti Camerino e Camerini sparsi oggi per
V Italia), l' esistenza nella città di quattro banche e di una
(1) Negli atti di Ser Arcangelo (V Innocenzo, cancelliere del vescovo Fa-
brizio Varano, troviamo ricordati un Pietro di Bartolomeo da Firenze orefice
camerinese (Camerino 16 luglio 1498) e un Francesco fiorentino, favnliaris
sive magister camere domini lulii Cesaris (25 sett. 1493). Fu pure di Firenze
quel Francesco Morelli-Boni che esercitò la mercatura per molti anni in Ca-
merino e che, forse colla complicità del Varano, fece moneta falsa (Cf. Zam-
petti T. Giulio Ces. Varano doc. XVIII, 4 luglio 1468).
Nel settembre del 1470 era a Camerino, o nei dintorni, un valente orafo
fiorentino, Simone di Giovanni liberti, al quale, perchè meglio potesse cu-
rarsi della malattia d' occhi che lo affliggeva, papa Paolo II, suo estima-
tore e mecenate, mandava la somma di 100 ducati. Cf. il documento (3 sett.
1470) pubblicato da G. Zippel, Vite di Paolo II di Gaspare da Verona e
Michele Cancnsi (Muratori B. I. S. Città di Castello, IHll, p. 191) opera
ricchissima di documenti e di preziose illustrazioni della storia politica e
artistica del Rinascimento.
Si è detto essere venuto alla corte varauesca negli anni 1470 e 1471
per missioni politiche 1' autore del Morgante, Luigi Pulci. Se non che le sue
lettere, e meglio un sonetto di Matteo Franco, attestano che egli viaggiava
per negozi mercantili. Il Franco dice che il Pulci veniva quassù cercando el
chermisi: il che, però, non significa che fiorisse grandemente tra noi 1' arte
della seta allora poco coltivata in paragone di quella della lana. Vedi Let-
tere di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico e ad altri edite da Salvatore Bongi
Lucca, 1868, 38, 39, 46 e Volpi G. Luigi Pnlci, studio biografico in Giornale
storico della lett. italiana, XXII, 1893, 13, 14.
Delle relazioni di Camerino con Firenze e con i Medici e del frequente
andare e venire di ebrei e mercanti camerinesi tra Marca e Toscana fanno
chiara testimonianza le lettere di Giulio Cesare Varano a Lorenzo il Magni-
fico esistenti in piìi filze del carteggio mediceo nelP archivio fiorentino.
^ 54 —
strada detta dei mercanti, il grandissimo numero di contratti
di comi)ra-vendita di gualchiere e di pannilana di Camerino
I)rovano ad evidenza la prosperità dell' industria della lana e
del conseguente commercio, la cui floridezza riceve luminosa
conferma dal trattato di concittadinanza stipulato nel 1474 tra
i comuni di Camerino, Ancona ed Ascoli dove si aiferraa che
il trsifftco delle tre città contraenti avanza quello di tutte le
altre della regione (1). E che il denaro abbondasse risulta in
modo non dubbio dalla frequenza dei depositi nei rogiti notarili.
I danni patiti dalla città per 1' assedio postole dalle milizie
borgiane nel giugno e luglio del 1502, per la guerra tra il duca
Giovanni Maria Varano e suo nepote Sigismondo nel 1522 e
specialmente per il sacco datole dalle milizie di Sciarra Colonna
nel 1527 menomarono notevolmente la prosperità economica di
Camerino (2). La decadenza si aggravò quando, dopo la fine
della signoria varanésca e della breve dominazione di Ottavio
Farnese (1540-45), venuto lo stato di Camerino sotto l' imme-
diata giurisdizione dei papi, scomparve la borghesia mercantile
e si costituì 1' oligarchia locale dei possidenti che formarono i
consigli cittadini, vsecondo i capitoli del cardinal Durante (1545).
Allora, come accadde nelle altre città dello stato ecclesiastico, a
causa dell' esaurimento economico e politico della nazione e dei
grandi eventi che conducevano sulla scena della storia le na-
zioni dell'Occidente europeo, illanguidirono e si spensero le
industrie locali. Alla scaduta arte della lana si cercò di sosti-
tuire quella della seta che non aveva ricevuto grandi cure per
lo addietro. Al principio del Settecento i mercanti di seta in
Camerino erano ancora abbastanza numerosi, ma non ritraevano
dalla loro operosità cospicui guadagni e però lesinavano le
mercedi agli operai. Di questi assunse la tutela il consiglio
comunale — composto in prevalenza di nobili possidenti —
con alcune deliberazioni lesive degl' interessi degl'industriali e
dei mercanti i quali, all' intento di farle annullare, ricorsero al
(1) LiLi II, 222, 23, e Maroni M. Concittadinanze unite, Ancona, 1905.
(2) Peranzoni N. De laudibua Piceni in Colucci, XXV, 98.
— 56 -
tribuiiiile della Sacra Consulta. Tale reclamo contiene una ape-
eie di antefatto in cui si afferma che la decadenza economica
di Camerino fu effetto della esclusione dei mercanti dai consi-
gli cittadini e si riferisce questo passo della relazione del Ca-
sanata: « Nella città è distinta la nobiltà dalla plebe, benché
anticamente tutto il popolo fosse annoverato per le arti. Di
queste ne fiorivano per 1' addietro molte con grandissimo co-
modo delli cittadini: ma, essendo ultimamente mancata quella
della lana, si travaglia solamente in quella della seta e concia
de' corami: la prima con 1' impiego di qualche somma conside-
rabile e dell'applicazione della maggior parte dei cittadini, e la
seconda con debole sforzo di qualche mercante ». (1) Piri esplici-
tamente i mercanti rilevano la funesta sopraffazione dei possidenti
colle ])arole : « Quando 1' ambizione dei Nobili ha prevalsu-
to [sic] di scacciare dal consiglio li cittadini inferiori, allora
la città è andata miserabilmente deteriorando e da uno stato
precedentemente florido pervenuta ad una strettissima schiavitù,
(1) I capitoli dell' arte della seta dell' anno 1687 furono pubblicati da M.
Santoni in Archìvio storico dell'Umbria e deUe Marche, Foligno 1884 I, 61
e segg. La coltura dei gelsi (Statuto di Camerino e. 108) e 1' arte della seta
si praticavano anche nel secolo XV.
Luigi Sparapani (-f- 1821) nella sua Storia di Camerino (nella bib.* Valen-
tiniana a cui è pervenuta coi mss. del can. Santoni), sotto l'anno 1681, nota
che « la concia delle pelli, il lavorio della seta e 1' altro dei pettini furono
le arti più favorite dai Camerinesi » e aggiunge che le prime due industrie
erano proprie della città, la terza del contado (parag. 526). Questo storico,
sebbene non conoscesse quasi altra fonte che il Lili, dove delle condizioni
economiche si leggono scarsi cenni, bene intese e rilevò che la prosperità
di Camerino negli ultimi secoli del Medio Evo doveva ripetersi dall' indu-
stria e dal commercio, non già dall' agricoltura (paragrafi 522-27 e altro-
ve). Di famiglia borghese — e però affatto diversa da quella che si estinse
colla nota amica di Alessandro Verri, 1' intellettuale Margherita Sparapani-
lìoccapaduli — giureconsulto valente, lo Sparapani sentì V alito rinnovatore
della coltura scientifica del secolo XVIII e deplorò la decadenza della vita
intellettuale ed economica della sua patria, imputandola al corporativismo
gretto della nobiltà imperante a Camerino, come in tutto il resto dello stato
ecclesiastico.
— 56 —
come ben lo dimostra una relazione della chiara memoria del
card. Casanata, ma anche lo comprovano tante notorie liti oc-
corse nei tem])i passati e lo confermano le presenti che si trat
tano in varie congregazioni di questa corte di Roma » (2). Eter-
na lotta di classe !
Se consideriamo la somma dei redditi dello stato di Ca-
merino e di quelli patrimoniali di Giulio Cesare Varano nel
1502, ammontanti, i primi, a circa 19300 fiorini e i secondi a piiì
che 12700 (3), dovremo riconoscere che la ricchezza dei signori di
Camerino, fatta ragione dei tempi e della fortuna degli altri
principi dello stato ecclesiastico, non era delle |)iù modeste. Ma
non si deve trascurare un altro cespite assai ragguardevole,
quello delle condotte militari. Le grosse paghe concesse dai
maggiori stati d' Italia ai condottieri, quando questi fossero si-
gnori di terre, castelli e città — come i piccoli dinasti dello
stato della Chiesa — più che al criterio economico della pro-
porzione tra la ricompensa e le qualità personali di chi rende
un determinato servigio, benché indubitatamente alcuni signori
si segnalassero per il loro valore, rispondevano alle particolari
condizioni nelle quali il servizio militare si compieva. Di fatti
(1) « Alla sacra consulta monsignor Foscari ponente Camerinen. capitulorum
per li mercanti di seta e manuali della città di Cameriìio contro alcuni fattionarii
sotto nome della medesima città » Korna, typis de Comitibns, 1709. Questa
memoria defensionale munita di prove e quella della parte avversa trovansi
nella miscellanea Franceschi della bib^ Valentiniaiia. Secondo le dichiarazioni
documentate dei mercanti, la produzione della seta iu Camerino al principiare
del Settecento era in tanta copia che in soli quattro mesi e 10 giorni (a. 1709)
si tesserono da 32 botteghe, o fabbriche, canne 22,288, pari a metri 44,577. Cf.
1' opuscolo del comm. O. VrrALiNi per le nozze Bruschetti-Carocci, Cameri-
no, Savini, 1878.
(2) App., III. Le rendite dello stato erano alquanto scemate, causa i tristi
eventi del 1527, al finire della reggenza di Caterina Cibo, se costei ne valu-
lutava 1' ammontare a 14 mila scudi, equivalenti a 28 mila fiorini, cifra iu
cui riteniamo fossero compresi i redditi dello stato e quelli dei beni allodiali
(1534). Vedi la già citata memoria sulla vita di Caterina Cibo Varano, p.
194 e 288. Che lo scudo valeva due fiorini si ha dallo Statuto di Camerino
(Camerino 1563) e. 131^
— 57 —
le compagnie comandate dai signori risultavano in buona parte
di uomini d' arme e di fanti che erano sudditi del capitano e
quindi a lui vincolati per legami ben più saldi che non fossero
quelli meramente militari. Ne doveva scaturire — a prescindere
dal numero — una compagine più omogenea e sicura, una
maggiore disciplina e, in complesso, un' azione bellica meno
inefticace di quella che potevano spiegare le piccole coD)pagnie
capitanate da condottieri privi di signorie.
Giulio Cesare Varano, sempre intento a imprese guerresche
e solito a tenere in armi fanti e cavalieri, ebbe anche lui con-
dotte laute, massime ai tempi di Paolo II e Sisto IV, dalle
quali trasse quei guadagni che gli permisero così le ricche fab-
briche come le numerose compere di terre attestate dall'inven-
tario dell' archivio estense e da un libro di amministrazione
del suo patrimonio (1). I protocolli di Antonio Pascucci, notaio
dei Varano contengono, soprattutto per l'ultimo ventennio del
secolo XV, un gran numero di acquisti di terre in tutte le
parti del piccolo stato: acquisti, suggeriti oltreché dalla ragione
economica, cioè dalla tendenza del capitale a cercare la terra,
anche dalla ragione jìolitica che traeva i signorotti del Rinasci-
mento a consolidare la signoria col possesso fondiario e a vin-
colare a se il contado. Il novero dei beni allodiali di Giulia,
figlia ed erede dell' ultimo dei Varano e duchessa di Urbino,
disteso in grosso fascicolo (2), dovette costituire il fondamento
della rilevante indennità di 78 mila scudi che la Reverenda
Camera Ax)Ostolica pagò a quella principessa nel 1539, quando
ella rinunciò ai suoi diritti sul ducato di Camerino.
*
# *
La Descriptio Marchine (8) di Egidio Albornoz (1356) asse-
(1) Libro dell'entrata e dell' uscita delle possessioni di lulio da Varano. Cod.
Magliabechiano ci. XXVI, 30 nella bib. nazionale di Firenze.
(2) « Copia del catasto dell' apprezzo della 111. ma Casa Varano » registro
cartaceo in folio di p. 114 in Archivio di Stato di Parma, IX, 5,
(3) TuElXER A. Codex diplomaticus temporalis domini S. Sedis, II, 343,
Koma, 1862.
— 58 —
gna al comune di Camerino 8 mila fumanti, il che, secondo il
computo di cinque persone per fuoco, imj)licherebbe la popola-
zione di 40 mila abitanti. È certo che in questo numero sono
compresi tanto gli abitanti del territorio, o distretto, cainerinese,
soggetto allora al comune, quanto quelli di alcune grosse comu-
nità rurali, già nel Quattrocento dette terre raccomandate, cioè:
Sefro, 8. Anatolia, Serrapetrona, Camporotondo ed altre mi-
nori (1). In tutta hi regione una sola città, quella di Fermo,
con 10 mila fuochi, avrebbe superato Camerino ai tempi del
grande cardinale Egidio. Meno di venti anni dopo, nel 1371,
un altro legato pontificio in Italia, il cardinale Anglico, chia-
mava Camerino « insigni» et pulchra cuni magno comitatu » (2).
Forse crebbero la ricchezza e la popolazione sul finire del Tre-
cento e nei ])rimi decenni del secolo seguente quando i Varano
ebbero ottenuto in vicariato o in feudo più che venti tra città,
terre e castelli delle valli del Chienti, del Potenza e del I^Iera.
Tuttavia, anche alla metà del Quattrocento, quando la signoria
varanesca era ristretta agli antichi confini, Camerino appariva
ricca e popolosa e Flavio Biondo la qualificava: « in Picenti-
bus primaria opiìms et popitli frequentia ». (3).
L' inv_entario del 1502 ci offre due dati demografici a scopo
fiscale: quello dei fochi, 5540 in tutto il ducato, dei quali 1233
nei tre tcrzieri della cittA, e l'altro delle ventine {'i). Ogni grup-
po di venti uomini d'età superiore a quindici anni era detto
ventina, forniva due fanti che dovevano correre in armi al
cenno del comune di Camerino o dei signori Varano e i)agava
(1) « Castra occupata per Camerinenses: Canipirotuiidi, Caldarole, Serre
filioruiu Petroni, Ploraci, S. Anatolie, Caprilie, Fluininate » Theiner l. cif.
Nel novero dei luoghi di cui la Descriptìo nota i fumanti da antico registro
della Camera apostolica non appare alcuno di questi castelli.
(2) Theiner, op. cit. II, 527.
(3) Italia iUmtrata, Venezia, (1.558 e. 129''\ Anche Leandro Alberti, De-
scrizione di tutta Italia, Venezia, 1553, e. 251 disse la nostra città « ben
piena di popolo ».
(4) Santoni M. Le ventine in Appennino, IV, n. 14, Camerino, 1879.
— 5^ -
una tassa annua (ciascun nomo tre soldi e sei denari della
Marca) destinata allo stipendio dei medici e dei maestri di
scuola. Gli uomini superiori ai 15 anni erano 1451 in città e
10538 in tutto il ducato. La cifra dei fuochi, moltiplicata per
5, fa salire la popolazione della sola città a 6165 abitanti e a
27700 quella dell'intero ducato. Ma non si deve dimenticare
che nel computo dei fuochi l' inventario tace affatto delle quat-
tro grosse terre sopra mentovate, come di alcune altre anch'esse
raccotnandate {l)y e naturalmente esclude dal novero le famiglie
degli immuni dalla tassa o perchè privilegiate, o perchè di estrema
povertà. Così dalla somma degli uomini d'età superiore ai quindici
anni devono escludersi gli esenti dalla tassa personale delle
ventine. Ci pare, dunque, che il numero delle famiglie, tra-
smessoci dall' inventario, abbia a valutarsi notevolmente infe-
riore al vero e che non ci si possa tacciare di esagerazione,
se alla cifra su indicata di 27700 abitanti, tenendo conto delle
terre raccomandate, del clero (la cui proporzione si calcola che
variasse in Italia dal 6 all' 8 7o) e dei nulla tenenti, aggiun-
giamo altre sei o sette migliaia, cosi da toccare le 35 mila
anime sparse nella città e nel territorio, cioè press'a poco nel
r attuale circondario. Più di settemila dovevano essere gli abi-
tanti della città quanti, all'ingrosso, ne contava Urbino ai tempi
di Federico e Guidobaldo di Montefeltro (2). Né, considerata
la montuosità delF alta Marca e tenuto conto della demografia
dell' Italia del Einascimento, dove non vivevano più di undici
milioni d' uomini e assai rari erano i centri cittadini che oltre-
passassero i centomila abitanti (3), si dee meravigliare che fos-
(1) Vedi App. III.
(2) LuzzATTO G. Il censimento della popolazione nel ducato d' Urbino nel
secolo XVI, iu « Le Marche » II, 202, Fano, 1902.
(3) Beloch G. La popolazione d' Italia nei secoli XVI, XVII, XVIII,
Estr. dal Bullettin de 1' Institut internatiouale de statistique, III, 1888, Roma.
Secondo i diligenti e acuti studi del Beloch V Italia, alla metà del Cinque-
cento, contava 11,165,000 abitanti. Cinque città superavano i centomila: Na-
— 60 -
sero stimate yjopolose Urbino e Camerino. Naturalmente, in que-
st'ultimo luog^o, per necessità topografica, un quartiere di den-
sità relativamente alta fu il borgo, del quale il Lili scrisse
« superare d' ampiezza molte altre città » (l).
Le cifre forniteci dalla sicura testimonianza dell' inventario
borgiano provano che 1' avv. Luigi Sparai)ani nella sua storia
inedita di Camerino (2), scritta tra la fine del Settecento e il
principio dell' Ottocento, cadde in non lieve errore attribuendo
alla sola città, circa l' anno 1560, 13500 abitanti. Sulla fede
di lui il compianto erudito M. Santoni fece salire a quasi 21
mila gli abitanti • del centro urbano nella seconda metà del se-
colo XV, al tempo di Giulio ('esare Varano (3). Il vero è che
nel 1566 gli abitanti di Camerino, giusta i computi del libro
dei fuochi di qnell' anno — che registra tutte le bocche — erano
4992, esclusi gli ecclesiastici (4). Scemarono verosimilmente
sulla fine del Cinquecento per le pestilenze e si)ecialmente per
la terribile carestia degli anni 1590 e 1591. Il JMassarelli (pri-
mo decennio del secolo XVII) scrisse che i fuochi iji città nel
1602 non erano più di 900 (5). Ma i vuoti pare si colmassero
nel Seicento, se dice il vero una relazione (Ul vescovo Pran
soni del 1666 la quale assegna alle tre parrocchie urbane (S.
poli (237, 784) Milano (170,000). Venezia (159,467) Palermo (114,131) Roma
a09,729).
(1) II, 350,
(2) Storia nis. di Camerino dall' anno 444 di Roma all' anno 1802 d. C.
parag. 432 e segg., all' anno 1570. Vedi anche Savini P. Compendio della
storia di Camerino, 128.
(3) Nota al Satini, op. cit. l. cit.
(4) Arch. Coni, di Camerino. Il calcolo fu fatto dal nostro dotto amico,
V. Aleandri.
(5) Savini op. cit. 151-52. « Dall' anno della mortalità 1590 in qua è
sminuita la città assai di gente e dall' ultima descritioue dei fochi, fatta del
1602, si è trovato esservi nella città solamente 900 fochi dove prima passava il
numero di 1400. » Massareixi, Trattato dell' origine et historia della città di
Camerino, ms. della Valentiniana di Camerino, 8. n. d. e.
— 61 -
Venanzio, Duomo, S. Maria in via) 7 mila anime e 29230 al
distretto o territorio (1),
(1) « Rclatio status ecclesie Camerinensìs exhihita sacrae congregaiioni concila
tridentini die 5 martii 1607, cod. Vatic. Barberin. 2853 e. 227 e segg. Un'al-
tra testinioiiiauza del secolo XVII è la notizia che leggiamo in un Tolume
nis. di cose agiografiche e profane relative a Camerino compilato dal p. Do-
menico Passini delia congregazione dei Filippini: « 21 febb. 1664, fu data
V assegna dell' anime della città e stato di Camerino, la quale ascende al
numero di .36817 anime. » Bibl. Valent.*
fe^w «^
^
K O T A C
LANCIANO
Sommario: Le piÌL antiche nieuzioni di Lanciano — Quando e perchè vi
sorse la rocca — I possessi adiacenti — Giovanna Malatesta ricostruì
e ampliò gli edifici e dal marito ebbe in dono il luogo — Questo, dopo
la devoluzione del ducato camerte, fu posseduto in enfiteusi da varie
famiglie — I restauri di Alessandro Bandini — Aspetto attuale.
Si è creduto che qui nell' alto Medio Evo fosse una delle
otto corti o possessi, che la celebre Abazia di Farfa ebbe nel-
1' antico comitato di Camerino (1). Ma i documenti farfensi non
ci tramandarono il ricordo di una corte^ bensì di una chiesa
di S. Angelo di Lanciano (2), la quale ignoriamo dove precisa-
mente fosse. Non pare si possa identificare colla parrochiale
del villaggio di S. Angelo, presso a Castel S. Maria, sì per la
la non trascurabile distanza da Lanciano, sì ])erchè nei docu-
menti del secolo XVI il villaggio, che oggi designi ano colla
semplice denominazione di S, Angelo, era detto di Camogiano
o Canesiano (3): nome scomparso affatto dalla tradizione orale.
(1) Conti A. Carnet-ino e i suoi dintorni, Camerino, 1872, 53 e Santoni
M. Il diploma del cardinal Sinibaldo Fieschi, legato della Marca per le franchi-
gie dei Canierinesi, Camerino, 1894, p. 11. Le corti farfensi nel comitato o dio-
cesi di Camerino, secondo i documenti farfensi, furono: Trevenano, S. Abbon-
dio, S. Vito, Salabona, Selvapiana, S. Anzia in Castello Petroso (Pieroaara)
Casa Feuaria e S. Maria in Manciano. Cf. Chronicon Farfense ediz. Balza-
ni, passim. È dubbio se il vico S. Angelo mentovato a e. LXII del Largitorio
di Gregorio di Catino (ms. Farfense 298,2 nella Nazionale di Roma) si rife-
risca a Lanciano.
(2) Chronicon farfense, I, 339, II, 7, 282.
(3) Arch. arciv, di Camerino, Pergam. 9 ott. 1558 e visita pastorale del
64 —
Col semplice nome di Lanciano il luogo è ricordato nel
diploma del card. Sinibaldo dei Fieschi, lecito della Mar-
ca, concesso 1' anno 1240 al comune di Camerino a confer-
ma delle sue franchig^ie (1). I documenti a noi noti tac-
ciono di Lanciano tino alla metà del Trecento. 11 testamento
di Gentile II Varano (28 genn. 1350) nomina « domos omnes
et castellare et molendina Lanciani » cose assegnate dal testa-
tore a Gentile, quarto dei ue])oti ex filio (2). Ma Lanciano non
è nominato né tra i castelli, né tra le rocche che nella notis-
sima Descriptio Marchie il cardinale Egidio xVlbornoz, legato
delegato apostolico De Lunel, vescovo di Gaeta, 14 febb. 1572 e. 43, dove
si legge: « in loco qui dicitur Camogiani. » Un breve d' Innocenzo Vili,
27 agosto 1488. concede di vendere alcuni beni delle chiese di S. Cassiano
di Fiuminata e S. Angelo di Canesiano a Cristoforo da Pioraco, rettore di
esse, Arch. Vatic. Arm. 39, tomo 20 e. 465.'"
(1) « lurisdictioneni vero quam ecclesia romana habet vel consuevit habere
in Lauzano et saia adiacentiis et quibusdam honiinibns ultra Potentiani vobis
de gratia duximua concedendam » Vedi Santoni M. Il diploma del cardinal
Sinibaldo Fieschi l. e. Da qual titolo derivasse la giurisdizione della Curia
pontificia su Lanciano non sapremmo dire. Di tale giurisdizione troviamo
menzione nel cod. Vat. Barb. latino 2441 (e. 25'') che contiene preziose
e sconosciute notizie su Camerino e sui Varano. « Simon tituli, S. Martini
presbyter card, apostolica sedis legatus Perusii octavo cai apostolica sede
vacante. Concessit d. Gentili de Varano potestati Camerini de bona [sic] sive
possessione posita in curia Ploraci et Lanciani videlicet terras, molendina,
hominumque servitia ad romanam ecclesiam pertinentia iurisdictionem et do-
miuia que dieta ecclesia habere consuevit tenendi, possidendi eaque frueudi
«te. cura pieno iure et pieno dominio et proprietate. » Evidentemente la
cessione fatta dal cardinale feimone Paltinieri dovette essere conferma di
quella del card. Fieschi (1240). Gentile Varano dal libro rosso del comune
e da una pergamena dell' arch. com. apparisce podestà di Camerino nel 1266
e nel 1272, quando la sede pontificia non era vacante. Pertanto, se dob-
biamo credere alla notizia del cod. Barberiu., conviene ammettere che te-
nesse queir ufficio un' altra volta, forse durante la lunga vacanza della sede
papale di due anni e nove mesi alla morte di Clemente IV. Del card. Pal-
tinieri, morto nel 1276, vedi l'importante sentenza contro i Ghibellini della
Marca (Fabriano 10 maggio 1265) in Gentili Gian Cahlo, De ecclesia sep-
tempedana, Macerata, 1838, III, 290.
(2) Codice Varanesco nell' archivio di Parma e. 92,
- 65 —
d' Innocenzo VI, designa come appartenenti, a buon diritto o
|)er usurpazione, al comune di Camerino o ni Varano. At-
tesa la diligenza di quel documento, tale silenzio vuol signifi-
care che gli edifìci di Lanciano non avevano ancora funzioni
militari. Le quali cominciarono negli ultimi decenni del Trecento.
Un indice frammentario di un libro di amministrazione —
disgraziatamente perduto — di liodolfo II f, sotto al titolo « La-
vorecci de le fortezze et case » (1405) registra Lanciano e
Aiello. Tre<lici anni dopo, nel 1418, lo stesso Rodolfo III con
disposizione testamentaria assegna al ])rimogenito Gentilpandolfo
le rocche di Lanciano e di Aiello fornite di giurisdizione e posses-
si (1). Dunque nel 1350 a Lanciano erano un molino e un castellare,
cioè una casa fortificata, nel castello di Aiello alcune case e
una torre. Poco più di 50 anni dopo Lanciano e Aiello avevano
la rocca. La spiegazione del fatto è da cercare nella situazione
della collina di Camerino e nelle vicende (iei Varano nel sec.
XIV. L'eminente elevazione su cui sorge la città si collega verso
nord est a monte Letegge (catena del Suavicino) con lene declivio,
mentre ha pendii lunghi e ripidi verso le altre direzioni dell'oriz-
zonte. Pertanto i pericoli e gli assalti, onde Camerino fu minac-
ciata ed espugnata nel M. Evo, vennero sempre dal lato meno
munito dalla natura, i)er opera specialmente delle vicine e rivali,
Matelica e Sanseverino. Nella seconda metà del Trecento Ko-
dolfo Varano, favorendo la riconquista dello stato ecclesiastico
da parte del cardinale Egidio Albornoz e mescolandosi attiva-
mente con varia politica ai maggiori eventi degli stati italiani,
come accrebbe la ricchezza e potenza della famiglia, così espo
se a non lievi pericoli ii piccolo stato. Quand'egli dall'alleanza
coi Fiorentini e colla lega 'formatasi contro pa])a Gregorio XI
improvvisamente tornò sotto le bandiere papali (sett. 1377),
(1) L' indice qui citato fu rinvenuto da M. Santoni nell' archivio nota-
rile di Camerino e in piccola parte pubblicato nel Bollettino di nuniiamatico
e sfragistica, Camerino, 1884-86, 48, 56. Il tetstamento di Rodolfo III è nel
codice Varanesco dell' archivio di Parma e. 320.
5 — itti e Hemorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912.
— 66 —
più città della Marca, istigate e sovvenute dalla repubblica di
Firenze, gli assalirono i dominii aviti e gli acquisti recenti. Natu
Talmente tra i più fieri nemici erano i Matelicesi e i Sanseve-
rinati che concorsero alla vittoria del conte Lucio Landò, con-
dottiero dei Fiorentini, su Rodolfo, presso al castello della Rancia
(ottobre 1377). Per alcuni anni durarono intense le ostilità dei
Varano cogli Ottoni di Matelica e cogli Smeducci di Sanseve-
rino, alimentate dalla irnv^otenza in cui lo scisma d' occidente
travolse il governo pontificio. Giovanni Varano, che pare risie-
desse in Camerino, mentre Rodolfo, il maggiore dei fratelli e
rappresentante della famiglia in tutti gli affari politici, dimorava
d' ordinario a Tolentino, intraprcvse la costruzione di una serie
di fortificazioni al duplice fine di contenere gli eventuali nemici
interni e allontanare gli esterni. Restaurò le rocche di Api)en-
nino e di Capriglia, am])liò quella di Sentino ed eresse il ma-
niero di Beldiletto (1).
Con queste opere mirò ad assicurare il confine dal lato di
Sud e Sud-Est e a dominare il tratto dell'alta valle del Chienti
compreso nella signoria camerte e già difeso, a monte, dal
castello di Serravalle e dai fortilizi adiacenti di Montaceli i elio
e Telagio, a valle dalle rocche di Varano e Camixdarzo. Ma la
persistente inimicizia di Matelica e Sanseverino imponeva di
assicurare la città verso Nord e verso Nord P^st, cioè dalla
parte del fiume Potenza. Già al juincipio del secolo il comune
di (damerino aveva ottenuto da Raimondo di Valenza, legato
di Clemente V, di poter compiere la costruzione di Casteirai
mondo (così detto dal nome del legato) e di erigere fortilizi sul
monte di Beregna e nella Pieve di Aria, sul fiume Cesolone (2).
E si era costruito Castelraimondo e, malgrado la tenace o])po-
sizione di Sanseverino, si era mantenuto il i)osseSvSo di Fannia
(torri di Orespiero). Ma queste difese non parevano sufficienti.
(1) Feliciangeli B., Di alcune rocche dell' antico stato di Camerino in
questi Atti N. S. voi. I, 162, Ancoua, 1904.
(2) Cocl. Vatic. Barberi!!. 2441, e. 33^,
- 67 —
Onde Giovanni Varano, d'accordo col comune di Camerino,
deliberò di fabbricare una nuova linea di opere fortitìcatorie, un
8emi(^;ercliio che da Pioraco giungesse allo spartiacque tra il
Ch lenti e il Potenza, alle falde di monte Letegge. Da ciò la
cos ruzione di tre nuovi fortilizi: la torre detta Porta di ferro,
sulle rive del Potenza tra Lanciano e Pioraco, la Torre chia-
mata da Giovanni Varano salvimi me fae, detta più tardi dei
Bilancioni o Bianconi od anche del parco, e quella di Beregna
battezzata dal fondatore col nome di troncapassi. A collegare
e fare piìi efficace V azione di tali difese il Varano ampliò i
fortilizi di Lanciano e di Aiello, che nei documenti del Quat-
trocento sono noverati tra le rocche, fece la tagliata, fosso con
terra])ieno e grossi alberi abbattuti (aperto, probabilmente,
lungo la destra del Potenza e lungo il fosso della rocca d'Aiello
dalla torre del Parco a torre Beregna) e fortificò il borgo di S.
Venanzio nella città di Camerino (1).
(1) « In Dei nomine anno Domini millesimo CCCLXXXI indictione UH
tempore domini Urbani pp. VI die dominico prima mensis septenibris pre-
sentibus etc magnificus et potens miles dominus Johannes domini Be-
rardi de Camerino nomine et vice comunis et populi civitatis Camerini et
nomine omninm de domo sua de Varano et in servitiis sancte Ecclesie fnn-
davit qnandam terrim Tel fortellitinm in monte Beregne et vocatnm fnit
troncapassi posiinm in districtu Camerini inxta etc. Item anno domini
MCCCLXXXII die XX jnnii V indictione edificata et facta fnit turrys salvum
me fac per dictnm dominum loh.annem. Item anno domini MCCCLXXXII
die XX iuuii edificata fnit tnrris porte ferri per dictnm dominum Ioannem.
Item unno Domini MCCCLXXXII facta fuit lagliata a truncapasso nsque ad
castrnm Ploraci per d. dom. lohannem prò defensione civitatis Camerini. »
Codice Varanesco dell' arch. di Parma e. 245"',
La porta di ferro sorse lungo il Potenza non lungi dal punto in cui co-
mincia il canale del molino di Lanciano, non sappiamo con sicurezza se
sulla destra o sulla sinistra del fiume. La denominazione dura tuttora e de-
signa i terreni circostanti all'inizio del vallato senza che si possa dire se
il vocabolo, scomparso dal catasto moderno, sia adojìerato ad indicare una
ben delineata località. Una tradizione orale, raccolta dall' ing. comm. Luigi
Mariani, accenna ad una torre, posta sulla sinistra del fiume nel piano di
Contra, le cui rovine sarebbero servite per fabbriche fatte a Lanciano nel
— 68 —
Alla rocca di Lanciano, oltre i niolini, andavano congiunti
notevoli estensioni di terra, le quali bastarono a garantire la
dote (5 mila ducati) di Sveva dei conti di Loreto Aprutino
andata sposa a Gentilpandolfo Varano, primogenito di Rodolfo
III, nel 1401 (1). Questo ci apprende una bolla di Calisto III
(1456) che a frate Bartolomeo, vescovo di Corneto e Montella-
acone, ordina, in conforuìità di una sentenza giudiziaria, di
prendere possesso della rocca di Lanciano e delle sue terre e
di farne consegna alle vedove Antonia Smeducci e Orsolin»
Trinci, figlie ed eredi della fu Sveva di Loreto la cui dote era
stata impegnata e ipotecata nella rocca predetta (2). Giulio Ce-
sare Varano e suo cugino Rodolfo dovettero affrettarsi a com-
porre la lite colle loro ])arenti e a pagare il pro[)rio debito,
perchè 12 anni dopo Lanciano venne compresa nel novero delle
13 rocche dello stato di Camerino nominate nella investituia
di Paolo II a Giulio Cesare Varano, figli e nepoti, atto di
Settecento e nell' Ottocento. Ma nna notizia da noi letta in un nis. dell' ar-
chivio parrocchiale di Pioraco attesta esplicitamente che il vocabolo porta
di ferro «ra dato a un terreno ìielle pertitianze di Seppio appresso il fiume Po-
tenza, dunque sulla destra del fiume (Supplica del pievano Gaetano Caselli
al couiiglio comunale di Pioraco in data 1. maggio 1768). Che la porta di
ferro Cverosimilmente destinata a trattenere le eventuali incursioni dei Mate-
lioesi contro Camerino quando fosse venuto in lor potere il castello di S.
Maria situato sulla retta Seppio-Matelica « già tanto conteso tra Camerino
a Matelica nel DugentoJ si trovasse sulla destra del Potenza si può arguire
dall' essere sulla medesima riva la torre del Parco, opera pur essa di Gio-
vanni Varano. Della tagliata, nel Cinquecento, pare restasse o si conoscesse,
solo il tratto dalla torre del Ponte a Torre Beregna. Cf. St aiuta Camerini
Camerino, 1563, e. 110*, lib. IV, rub. .57. Per le fortificazioni del borgo di
8. Venanzio vedi LiM, II, 121. Sulla parete settentrionale della torre del
Ponte (o del Parco) vedesi tuttora lo stemma varanesco con intorno la scritta:
« J. D. MCCCLXXXI (sic). Hoc castrum fec. fieri Ioannes D. Berardi d.
Gentilis d. Berardi. »
(1) Codice Vatic. Barber. 2441 e. 45*.
(2) Reg. Vatic. 444 e. 82''. Delle due figlie di Gentilpandolfo Varano qui
nominate Antonia fu moglie di Smeduccio Smeducci da Sanseverino e Orso-
lina di Ugolino Trinci da Foiigno,
— 69 -
grande rilievo in quanto con esso i Varano per la prima volta
ottennero la legittimazione del loro principato ereditario (1).
L' inclusione di Lanciano tra le rocche dello stato di Camerino
non vuol dire che fosse ancora arnese di guerra. Le case for-
tificate di Giovanni Varano giacevano anzi in rovina, quando
della posizione amenissima s' invaghì Giovanna Malatesta, moglie
di Giulio Cesare, e volle trasformare quel luogo in un delizioso
maniero. Mentre il marito abbelliva e beneficava la città col
palazzo nuovo e colla fabbrica dell' ospedale, Giovanna restau-
rava a sue spese la rocca di Lanciano e vi costruiva, stando
al Lili, la corte e una grande sala dove fece dipingere i ritratti
delle donne illustri quasi a riscontro dei gloriosi guerrieri fatti
effigiare da Giulio nel suo palazzo di Camerino (2). Questi
lavori di restauro, secondo 1' iscrizione incisa in onore di lei
nella rocca, per ordine del figliolo, e tuttora esistente {S), ap-
parterrebbero all' anno 1489, cosicché li avrebbe potuti vedere
Isabella D'Este: ma costei non accenna che al parco e agli animali
che lo popolavano. Vero è che la proprietà di Lanciano non
fu di Giovanna Malatesta prima del 1492, quando il marito
le donò quella rocca con tutti i possessi adiacenti, come risulta
da un rogito di quell' anno (4): la qual cosa potrebbe far pen-
sare che la signora di Camerino solo allora avesse cominciato
a prodigare le sue cure al prediletto luogo di diporto. Ma,
senza dire che tale ipotesi contrasta alla precisa testimonianza
dell' iscrizione su ricordata, non si deve dimenticare che la
(1) Lili II, 217 e Zampetti Tullia, Giulio Cesare Varano, signore di
Camerino, 105.
(2) Lili, II, 241.
(3) Illustrissiiua domina Ioanna Malatesta Varana filia principis Sigi-
smundi Ariminensis et neptis ducis Francisci Sfortiae nupsit septimo aetatis
anno illustrisaiiuo lulio Caesari Varano Caraertium principi optimo et hano
arcem dirutam propriis pecuniis iustauravit anno a natali christiauo MCCCCLX
XXVIIII reguavit cum marito unum et L aunos cum Alio pientissimo Ioanne
Maria novem obiit in festo omnium sanctorum inaudito dolore fllii et totius
populi MDXI.
(4) Arcb. not. di Camerino, Rogito di Antonio Pascucci, 11 dicembre 1492,
— 70 —
Malatesta dimoniva a Camerino già da 40 anni e che quindi
aveva avuto il tempo e 1' agio di occuparsi di Lanciano cui
ella anteponeva a Beldiletto probabilmente perchè i)iìi vicino
a Camerino e di piìi felice postura come soggiorno estivo. È
molto verosimile che già da più anni le fosse lasciato il godi-
mento delle non tenni rendite di Lanciano colle quali provvide
alle spese dei restauri e che consistevano nei proventi del mo-
lino — di esso erano obbligati a servirsi molti villaggi del
bacino del Potenza — e nei frutti di una vigna e dei vasti
poderi circostanti. Il i)rezioso inventario dei beni dei Varano
e delle rendite dello stuto caraerte, fatto comiulare nel 1502
da papa Alessandro VI, assegna Lanciano al terriero di Mezzo
della città, e nota che « è un casale con palazzi et ]»eschere et
belle abitazioni ». V'era un castellano-fjittore retribuito con 30
tiorini l'anno. Da lui ricevevano ordini gli abitanti dei villaggi
di Mecciano, Ormagnano e Seppio ai quali incombeva l'obbligo
di far la guardia alla rocca (1). Evidentemente questi obblighi
e apparati militari, imposti, forse, da Giovanni Varaifo, nel Tre-
cento, non si effettuavano più e Lanciano non era che luogo
di svago. Quando, nel 1522, Giovanni Maria Varano duca di
Camerino, si fu coli' assassinio liberato del nepote Sigismondo,
molesto pretendente all' avita signoria, a festeggiare il sospirato
successo si recò a Lanciano e Pioraco insieme colla duchessa
Caterina Cibo, mentre parte dei sudditi inorridiva e mormorava (2).
Dopo la breve dominazione di Guidobaldo Della Rovere
(1535 39) e di Ottavio Farnese (1540 45), devoluto lo stato di
Camerino alla S. Sede, insieme coi beni allodiali dei Varano,
alcune delle rocche coi rispettivi possessi passarono nel Cin-
quecento e Seicento a famiglie nobili di Camerino. Lanciano
fu ceduta dapprima in affitto ai Voglia che la tennero fino al
1621. Passò poi in enfiteusi ai Rosa i quali nel 1680 la rinun-
(1) Dooazione già citata della rocca di Lanciano a Giovanna Malatesta
da parte del marito.
(2) LlLl II, 294. Lo storico attinse al diario del suo antenato Bernardino,
come si vede in nis. Liliano, IV, 34 nella Valentiniana.
— 71 —
ciarono a favore dei Rossetti. Estintasi questa famiglia, Ales-
sandro Bandini ebbe il possesso di Lanciano e Bustano con
titolo di marchese nel 1754 dal papa Benedetto XIV (1).
Lanciano — proprietà del principe Giustiniani-Bandini —
è oggi una villa che ha aspetto di castello, perchè vi si
veggono piccoli merli guelfi e due torri, una sul lato set-
tentrionale, l'altra sul meridionale. Ma chi esamini da presso
si avvede subito che né i merli, né la torre dal lato di Sud
risalgono ad età remota e appartengono, invece, ai restauri
fatti eseguire dal marchese Alessandro Bandini dei quali parla
l' iscrizione situata sotto al loggiato a riscontro di quella de-
dicata da Giovanni Maria Varano a sua madre, Giovanna Ma-
latesta. La torre verso settentrione è certamente anteriore al
secolo XVIII: il che è più chiaramente manifesto dal materiale
della base e dallo spessore delle mura. Accanto si apre l' in-
gresso della villa con arco a tutto sesto, in parte in pietra,
coperto d' edera: opera moderna. A pochi metri da esso, sotto
1' edera lussureggiante, esiste la base di una grossa torre che
si ergeva sulla scoscesa riva sinistra del Potenza e che verso
il fiume ha una grande porta con architrave in pietra: l'ingresso
principale, verosimilmente, dell' antica rocca. Questa torre e
l'altra in piedi, trasformata dai risarcimenti e forse decapitata,
dovettero formare la parte essenziale del fortilizio nel Trecento
e nel primo Quattrocento prima dei restauri di Giovanna Ma-
latesta. Le due torri, sullar^sinistra del fiume, erette, probabil-
mente, da Giovanni Varano e tra loro collegate, cinte all'intorno
da corsi d' acqua, cioè verso oriente dal fiume e verso ponente
dal canale o vallato del molino, potevano concorrere a quel
1' azione di difesa militare che il Varano si studiò di rendere
compiuta colla linea di fortificazione detta tagliata. È credibile
che dopo la parziale rovina di quelle costruzioni, le quali, seb-
bene annoverate col nome di rocca di Lanciano tra le fortez e
(1) Attingiamo la notizia dui uoini degli enfiteiiti dalle schede Santoni
dove non è citatla a fonte.
— 72 —
dello stato eamerte, furono considerate militarmente inutili e
trascurate, ])erchè situate sulla sinistra del fiume e percliè la
sig^noria vamnesca s'era saldamente afforzata nei primi decenni
del Quattrocento, uè più temeva i nemici esterni, Giovanna
Malatesta ampliasse il fabbricato intorno alla torre di nord e
formasse il parco. Degli edifìci allora eretti forse oggi non resta
che una piccola parte nell' ala settentrionale del castello adia-
cente a quella torre: del parco si vedono gli avanzi nelle an-
nose quercie sulle rive del Potenza. Due secoli di abbandono,
durante i quali gli enfiteuti di Lanciano non curarono clie le
terre, jjrodussero nuove rovine, finché Alessandro Bandini,
attratto dalla bellezza del luogo, si risolse a farne un ameno
soggiorno estivo. E vi ordinò lavori ampi e dispendiosi che,
secondo le parole della lapide già ricordata, ingrandirono e
trasformarono gli edifici esistenti (1). Appartiene a questo tempo
la così detta galleria, una grande sala rettangolare, adorna di
pitture, fabbricata sopra il portico che unisce le due ali del
castello, con disegno di Giovanni Antinori da Camerino, uno
dei piti reputati architetti del Settecento (2). Sulla parete
esterna dovette allora esser collocato lo stemma dei Varano
che ancor vi si vede e che non sappiamo dove fosse in addietro.
Questo Alessandro Bandini arrecò alla sua prosapia nuovo
decoro di nobiltà e di prosperità economica e ii piacque della
tradizione della patria e degli avi. Ottenuto il titolo di mar-
chese di Lanciano e liustano nel 1754, riuscì nel 1773 a con-
seguire le pingui enfiteusi di Piastra, di San Kocciano e di S.
Maria in Selva — più tardi mutate in proprietà dal figlio Si-
gismondo (1802-1803) - ricostruì Lanciano (1769) e restaurò
(1796) la cappella gentilizia nel duomo di Camerino eretta dal
(1) D. O. M. — Alexander Bandinius patricius — Camera claviger impe-
rialÌ8 — Lanciaui et Rustani marchio — arcem incuria ac vetustate teniporis
— pene collabentem pristinae — firmitati in hauc ampliorem — splendidiorem-
que formam — ornatam restituii. — Anno MDCCLXIX.
(2) Ricci A, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona,
Macerata, 1834, II, 387.
— 73 —
remoto antenato Melchiorre, cavaliere e precettore dell' ordine
di S. Giovanni, vissuto nel secolo XV (1). Della sua ricchezza
e della devozione al papato volle dar segno nel giugno del
1 782, qnando, presso alla rocca della Rancia (fondata sul Chienti
e nel territorio di Montemelone da Rodolfo II Varano nel 1352),
offerse ristoro di bevanda e di cibo a papa Pio VI (il Pelle-
grino Apogtoliiio) reduce dal non lieto viaggio di Vienna.
(1) La prima cappella a destra del duomo di Camerino ricostruito, com' è
noto, nei primi decenni dell' Ottocento, dopo il terremoto del 1799, conserva
tuttora, oltre allo stemma dei Bandini, un medaglione coli' effige di Mel-
chiorre e 1' iscrizione: « Sacellum Deo in honorem B. M. V. a fr. Melchiorre
Bandinio camerte equite hierosolym. conditum sec. XV Alexander Bandiuius
instaurat anno MDCCXCVI » Cf. Fkliciangeli B. Sulle opere di Girolamo di
Giovanni da Camerino, pittore del secolo XV, Camerino, 1910, 10, 28.
«^ fe^
V
K o T À D
PI ÒK A C O
SoMMAHio: Le memorie dell'evo romano u eli' alta valle del Potenza — La
bellezza del paesaggio — Le fortificazioni medioevali — Notizie sul-
l' industria della carta Piòraco, luogo di villeggiatura dei Varano,
menzionato dai poeti Lazzarelli e Benivìeni — I laghi e le isolette
— Le memorie francescane — Cenno su alcune cose d' arte.
L' alta valle del Potenza è una delle più agevoli e amene
dell'Appennino umbro marchigiano, Lunga circa 14 Km. dalle
sorgenti del fiume a Pioraco, chiusa tra monti non molto ele-
vati, ma ricchi, massime nelle età trascorse, di foreste e di
cespugliati, si svolge tortuosa, con lievissimo pendio, e i)resenta
aspetti sempre varii e attraenti ora per 1' orrido alpestre, ora
l)er vaghezza e grazia di acque e di prati. Notissima nell' evo
romano, quando vi passava quel ramo della via Flaminia che
era la \m\ breve comunicazione dall'Umbria propriamente detta
all' Adriatico, nell' Età di mezzo irta, dapprima, di rocche feu-
dali, indi contrastata tra i comuni di Nocera, Fabriano e Ca-
merino e venuta poi, per la maggior parte, in dominio di
quest' ultima città, acquistò più tardi prosperità e fama per
l' industria della fabbricazione della carta che a Pioraco sorse
nel Trecento e vi fiorisce tuttora.
Dei tempi dell' impero romano restano a Pioraco: il ponte
Marmone, un tratto di sostruzione dell' antica strada a valle
del paese e sulla sinistra del Potenza e un'iscrizione un tempo
collocata sul ponte ad attestarne la costruzione o il restauro
da parte di Ottaviano Augusto patrono, ed ora nascosta sotto
l'intonaco e in parte coperta da un muro in una stanza che i
— 76 -
Piorachesi, con eufemismo di ardire fantastico, chiamano tea
tro (1). Auguriamo si trovi miglior luogo a sì venerando testi-
monio della sapienza dell' impero romano che in fatto di via-
bilità può insegnare molto anche al secolo XX.
La strada romana che, come è detto nell' itinerario di An-
tonino Pio, tra Nocera e Settempeda (Sanseverino) aveva due
stazioni, Dubios a 8 miglia da ì^ocera e Prolaqueum a 16 mi-
glia, è ancor visibile in più tratti. A valle di Pioraco corri-
sponde, per il tracciato, a quella che è stata costruita nel 1911
X)er dare accesso alle nuove grandi cartiere: a monte, dopo il
ponte Marmone, costeggiava, al pari dell'odierna provinciale, la
sinistra riva del Potenza, e in alcuni punti era tagliata sul
vivo scoglio, dove si scorgono qua e là i solchi dei carri, e
passava a un livello notevolmente superiore a quello della
strada presente, perchè la valle era occupata dal lago. È tradi-
zione che sopra uno scoglio, che sovrasta alla strada, designato
col nome di Mascione, a circa 200 metri dal ponte Marmone,
si vedesse inciso, or non sono molti anni, il n. XVI (2).
A Pioraco, /nel 1897, si fecero altri trovamenti dell'evo
romano dei quali non resta che il ricordo, tutto essendo stato
ricoperto per i lavori dell' acquedotto: gli avanzi di un teati-o
e di una piscina epuratoria o limarla, i primi v>i'esso alla chiesa
di S. Francesco, gli altri presso alla pieve di S. Vittorino (3).
^
(1) Corpus iuscriptionuni latiuarum, XI, P. I, 819.
(2) L' egregio mona. Ludovico Ludovici, pievano di Pioraco, tanto bene-
merito delle memorie storiche del suo paese, crede che nella sporgenza poco
regolare, che pare artificialmente scolpita sullo scoglio, si debba riconoscere
la forma di una colonna miliar« e che la denominazione di mascione derivi
da manaio. Non sapremmo dire quanto di vero possa esaere in tale opinione.
Ma è un pò strano che quel numero XVI, manifestamente visibile quindici
o venti anni fa, ora si celi ad occhi ben più acuti dei nostri.
(3ì Ne scrisse il compianto archeologo can. M. Santoni in Appennino,
giornale camerinese, 10 sett. 1897. Egli, quale r. ispettore onorario per la con-
servazione dei monumenti, inviò al Ministero della P. I. un cenno delle sco-
perte avvenute in Pioraco perchè fosse inserito nelle Notizie degli ecavi.
Un funzionario rispose cambiando arbitrariamente la piscina limarla in cali-
— 77 —
Non par dubbio — ed è ragionevole ripetere il fatto dalla
prossimità del ramo della via Flaminia — che del territorio
di Camerino la parte meno povera di memorie romane sia l'alta
valle del Potenza, poiché ivi, senza dire dei monumenti di
Pioraco e di quanto fu rinvenuto nei pressi della stazione di
Dubios (1), furono scoperti: in contrada Paradiso un sepolcro
romano dall'ing. comm. Luigi Mariani, una grande anfora figu
lina a Castel S. Angelo (2), le tracce di un edificio, forse una
villa, presso Perito, (3) e un'iscrizione a Mergnano S. Pietro (4).
darium e promettendo l'inserzione che poi non avvenne. Vedi anche nna cor-
rispondenza da Pioraco, in data 15 ott. 1897, della Proviruna Maceratese do-
ve la piscina divenne nn impluvium.
(1) Cf. Osservazioni sull'antico Dubios in CoLUCCi, Antichità picene,
XXII, 30.
(2) Ludovici L., Pioraco e le antiche sue memorie, Matelica, 1901, 13. In
questo opuscolo si discorre anche di templi e di altari a divinità pagane e
della caserma degli antichi soldati romani. Ma le pietre, che dovrebbero
essere indizi degli uni e dell' altra, possono non avere relazione alcuna col-
1' antichità. Dei magazzini militari è menzione anche in Spada Lionello,
Due settimane nell' Appennino centrale, ovvero storia naiìirale e cenni storici di
Pioraco e suo territorio, Osimo, Quercetti 1878, 7. Le etimologie di nomi sto-
rici proposte dallo Spada farebbero arrossire Varrone e Menagio.
(3) PlGORlNi L. Notizie degli scavi, 1897 p. 95 e segg. Il Pigorini discorre
anche delle tracce di abitazioni umane preistoriche rinvenute da raons. Lu-
dovici. Nel 1882 in una caverna presso al paese distrutta per la costruzione
della nuova strada furono trovati alcuni oggetti di bronzo, per i quali vedi
Santoni M. Notizie degli scavi, 1882, p. 104-105.
(4) Un lastrone in calcare (m. 1,49X1) ■ dello spessore di 18 cent. - gia-
cente in una stalla di proprietà della famiglia Rocchetti, porta incise su due
colonne in bei caratteri, forse dei primi secoli dell' Impero, le parole :
C - L - F - COR FADIAE - L - L
. . A E D EVCHINEMl
A. F . . . R. . . I T VXORI
FRATE FECIT
L' epigrafe, certamente sepolcrale, segnalata al can. Santoni dall' illustre
senatore Luigi Pigorini con lettera del 6 settembre 1897, non appaie nel
Corpus Inscriptionum. Alcune delle lettere della prima colonna assai consunte
sono state da noi supplite.
— 78 —
Isabella d' Este, benché non ignara di storia romana e in-
namorata dell' antico, non ebbe, certo, notizia alcuna dei ricordi
romani a Pioraco, né curò di rnccoglierne, tutta i)resa di ammi-
razione per la bellezza del paesaggio. II quale attrae l'occhio
e l'anima del viandante sopratutto per il contr.ivsto tra l'aspetto
del luogo a valle del i>aese e quello a monte: il primo selvaggio
e quasi pauroso, massime a chi lo riguardi salendo l'antica strada
(i' unico accesso prima del 1884), per le alte e strapiombanti
rupi di monte Primo e monte Gemmo non divise che da breve
spazio dove rumoreggia spumoso il Potenza, il secondo lieto
di verdi praterie e di boscose pendici. Tra i due sì diversi
tratti della valle, n«d ])unto più angusto di essa, si aft'ollano
e si inerpicano le case di Pioraco. Il pittoresco i)aesaggio nei
tempi della marchesa di Mantova era fatto assai più singolare
che oggi non sia dai due laghi in cui si allargavano il Potenza
e lo Scarsito, suo affluente, cristallini e vivi di verdi riflessi,
e dalla linea delle torri e delle mura che mirabilmente armo-
nizzava nel colore e nella funzione di difesa colle ru])i cir-
costanti.
Due muri chiudevano 1' abitato verso oriente, cioè a valle.
Quello superiore cingeva il castello propriamente detto e in esso
si a[)riva la [)orta del eastrum : il muro inferiore congiungeva i
due monti opposti e accanto alla ])orta, sotto cui passara la strada,
e alla destra del fiume, aveva una torre, distrutta dalle tìamme
nel 1889, la quale pare dovesse precipuamente servire a per-
mettere V apertura e la chiusura di una saracinesca a fine
di allagare, quando la difesa lo esigesse, lo s])azio tia le due
cinte in cui sorse il borgo. Presso alla porta della cinta ester-
na una ])ietra ha la data 1445, ad attestare, ]ìrobabilmente,
un restauro eseguito a cura della saggia e risoluta Elisabetta
Malal està- Varano che per il figliolo Kodolfo e per il nepote
Giulio Cesare resse la jìiccola signoria camerte dal 1443 al 1448.
Dal lato di ponente chiudeva il castello un' altra cerchia di
mura merlate avente due porte, quella di Fiuininata sulla vstra-
da romana e quella dì Sefro presso alla chiesa di S. Francesco,
~ 79 —
Un secondo nìuro di sbarramento, dal lato di mezzogiorno, si
spiccava dagli scogli di monte Gualdo, propaggine del contraf-
forte che divide il Potenza dallo Scarsito, e, attraversando con
un arco quest' ultimo fiume, terminava sul!' opposta pendice di
monte Primo. Una torre, fabbricata sullo scoglio, sovrastava
alla porta di Fiuminata, un' altra, (nella tradizione orale la
guardiola, della quale resta qualche misero avanzo) si ergeva
sopra uno scoglio — poco meno che inaccessibile — di monte
Primo, verso sud, isolata con taglio artificiale. Scorgeva Lan-
ciano e Rocca d'Aiello (dalla sommità forse anche la torre dei
Bilancioni), non poteva contenere che pochissimi uomini ed era
destinata, a nostro avviso, più alle segnalazioni che a scopi di
vera, attiva difesa (1).
Due documenti del secolo XIII fanno menzione della rocca
di Pioraco: uno dei quali, registrato dal libro rosso di Carne
rino, è il diploma col quale 1' imi)eratore Ottone IV conferma
i privilegi della città e le condona le ingiurie e i danni recati
all'Impero nella rocca e nel castello di Pioraco {2i), l'altro è
una deliberazione del consiglio generale dei Camerinesi guelfi,
profughi dalla patria — dopo la parziale distruzione della città
nel 1259, opera dei ghibellini favoriti da Manfredi, re di Sici-
lia — per premiare un concittadino, Giovanni di Atto, che
« nell' espugnazione della rocca di Pioraco era stato il primo
(1) Di multe delle notizie raccolte sulle fortificazioni lìiedioevali di Pio-
raco eiamo debitori alla cortesia e dottrina dell' ing. comm. Luigi Mariani
a cui rendiamo vivissime grazie.
(2) LiLi C. Historia di Camerino I, 230 e Santoni M. Il libro rosso del
Comune di Camerino, Foligno 1885, doc. n. 2. (S. Salvatore dell' Amiata 29
agosto 1210). Il Lili, forse sulla fede delie parole del diploma imperiale, cre-
dette ad una sconfitta toccata all' avanguardia dell' esercito di Ottone IV
nella gola di Pioraco. Ma di essa manca ogni indizio. Ci pare che le offese
fatte da Camerino ai diritti imperiali in Pioraco possano significare un' in-
debita occupazione di cosa che 1' impero pretendeva per sé. Anche i papi si
studiarono di serbare il dominio dei luoghi fortificati e di sottrarli ai vicini
comuni, sicché Onorio III nel 1216 avrebbe riservato alla Chiesa, di fronte
fil comune di Camerino, le rocche di Pioraco e Serravalle, LiLi, II. 234,
— 80 —
a salirne le mura ». (1) Nei documenti a noi noti posteriori alla
seconda metà del Dugento non si trova piìi ricordata la rocca,
benché tale denominazione apparisca nel piìi recente catasto. Dura
tuttora il vocabolo rocchetta a designare uno spazio occupato da
case sul fianco di Monte primo, al cominciare dell'abitato, sopra
alla strada nuova che sale da ponte Cannaro. Ma già nella
prima metà del Quattrocento la rocchetta non era più arnese
militare e vi sorgevano case, di che ne accerta un atto notarile
del 1425 (2). Alla fine di quel secolo Pioraco non aveva più
né rocca, né rocchetta, se pure l'una fu cosa distinta dall'altra
(1) Feliciangkli B. Di alcune rocche dell' antico stato di Camerino in que-
sti Atti N. S I, 38-39 (Ancona 1904).
(2) Una certa Pucciarella « quondam Contutii Ufredutii de castro Plora-
ci vendidit Benedicto Macteì de Pioraco uuam petiam terre viueate positani
in sindicatu dicti castri in loco qui vulgariter dicitur la rocchetta iuxta etc. »
Pioraco 30 ott. 1425 in rogiti di Bartolomeo di Nicola da Fiuminata. Arch.
not. di Camerino, credenza V, n. 28. Si noti che questo bastardello dovrebbe
essere riunito agli altri due che sono dello stesso notaio, seguati col n. 22
(anni 1405-1433). Bartolomeo di Nicola non rogava sempre nel natio castello
di S. Giovanni di Fiuminata e a, Pioraco, che molti dei suoi rogiti furono
scritti a S. Anatolia e a Camerino. É un esempio tipico del nomadismo dei
notai del Medio Evo. In uno dei suoi bastardelli abbiamo trovato una me-
moria non priva di pregio per la storia dei Varano, perchè e' informa della
data precisa, che invano si chiede alle numerose fonti sincrone, della uccisione
di Giovanni A'^arano, fatto perire dai fratelli, e della decapitazione di Pier-
gentile seguita per volere del fiero Vitelleschi a Recanati nel 1433. Cf Gior-
nale storico della letteratura italiana, XXIII, 5, Torino 1894 e questi Atti
N. S. voi. VI, 180 e segg. « Memoria, quod in anno Domini MCCCCXXXIII
ind tempore domini Eugeni! pape IV die sabati VITI mensis augusti Pe-
trusgentilis domini Rodulfi dominus de Camerino dieta die ivit ad terram
Sancti Severini locuturus domino gubernatori Marchie et ad solvendum cer-
tam qnantitatem prò censu seu afiScto quod tenehatur solvere prò parte sua et
ibi dieta die per dictum domiuum gubernatorem fuit captuset retentus necpotuit
reverti Camerinum. Et dieta die post predicta, quasi in hora XXIII dicti
diei fuit occisus et mortuus Ioaunes Kodulfi de Camerino frater carnalis dicti
Petrigentllis. Et die veneris XVIII mensis septembris fuit incisum caput
dicto Petrogentili in civitate Eecanati » Arch. not. di Cam. Rogiti di Bar-
tolomeo di Nicola voi. 2. nel recto dell' ultima carta, Cf. LiLi, II, 172.
- 81 -
« È Castel murato ed ha la torre » Così di Pioraco nel docu-
mento del 1502, già citato, il quale distingue i luoghi muniti
di rocca dagli altri difesi da una semplice torre, die talora era
quella posta sopra alla porta dove si pagava W passo o pedaggio (1).
Le acque del Potenza, le mura e il raffermato dominio dei
Varano tacevano buona guardia al castello. Tuttavia esso fu
ancora una volta testimone di a])parecclii e fatti guerreschi
quando, nell' estate e nell' autunno del 1527 e al principio del
1528, Ercole Varano di Kodolfo IV, coi tìglioli Alessandro e Mattia,
tentò di torre la signoria di Camerino alla duchessa Caterina
Cibo, vedova di Giovanni Maria Varano e reggente per la figlia
Giulia. 11 castello di Pioraco si diede ad Ercole Varano (set-
tembre 1527) che vi si potè sostenere contro i partigiani e i
difensori della duchessa fino al febbraio del '28, allorché ne fu
cacciato, secondo il Lili, dagli stessi abitanti, paurosi del sac-
cheggio a cui per opera di milizie mercenarie inviate alla Cibo
dal duca di Urbino, Francesco Maria Della Rovere, era stato
abbandonato il castello di Pievebovigliaua anch'esso ribelle alla
reggente. Ercole Varano, fuggito da Pioraco e raggiunto presso
Souìaregia, fu catturato e condotto nella rocca di Pesaro (2).
(1) Il pedaggio di Pioraco nel 1297 fu ceduto per un anno dal comune
di Camerino ad un certo Mercato nativo di quel castello per sole cinque
libre di denari (Arch. com. di Camerino Libro rosso, s. n. d. e, nel verso
della carta che segue alla prima che contiene 1' indice). Ma il commissario
pontificio, che nel 1430 per volere di papa Martino V divise tra i discordi
fratelli Varano le rendite dello stato paterno e delle terre umbre e marchi-
giane tenute in vicariato, collocato Pioraco nella porzione di Giovanni, com-
putò la rendita annuale del passo in 15 ducati. (Sentenze arbitrali di
Astorgio Agnesi, vescovo di Ancona e luogotenente della curia della Marca,
in data Sanseverino 13 luglio e 5 settembre 1430 in pergamene di Urbino
nell' archivio di stato in Firenze). Nel 1430 i luoghi di confine nella signo-
ria caraerte soggetti a pedaggio erano: Passus Trave due. XVI. Passus Beregne
due. XX. Cese due. XIII. Vallis Sancti Angeli due. V. Ploraci due. XV.
Turris Biancioni d. XVI. Valcimarie due. XL. Plebis Turine due. XXIV.
Cesapalumbi d. X. Nel 1297 il passo di Serravalle fu venduto dal comune
di Camerino per un anno lib. 105. É singolare che non sia ricordato nel 1430.
(2) Lili, II, 316.
— itti < UeDorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marcite. 1912.
— 82 —
Già ai tempi d' Isabella D' Este i Pioracheai si chiarivano
alieni dai ludi di Marte e amatori della i)ace altrice di ricchez-
za. Da più di un secolo coltivavano l'industria dei pannilana e
della carta e fornivano i loro prodotti ai numerosi mercanti
della vicina Camerino. Un erudito camerinese del Seicento scrisse
che Giulio Cesare Varano « introdusse il modo di far la carta
e lo fece esercitare nel castello di Pioraco »: ma tale arte vi
esisteva fin dal Trecento. Non è però da revocare in dubbio che
alla floridezza di quell'industria, attestata per il Quattro e Cin-
quecento dai frequenti contratti d' acquisto da parte anche di
forestieri, concorressero eflBcacemente i Varano i quali trassero a
a «è il monopolio del commercio dei cenci nel loro stato, pos-
sedettero cartiere in Pioraco e j)ermisero che meicanti camerinesi
ve ne stabilissero. Tra i j>iù ricchi, e proi)rietario anche lui di
cartiere i>iorachesi, fu Melchiorre di Angelo della famiglia dei
Paolucci, ])adre di quell'Angelo che nel 1502, insieme con altri,
agevolò l'acquisto di Camerino a Cesare Borgia, si ebbe in pre
mio 1' ufficio di tesoriere del ducato camerte e patì poi le ven
dette di Giovanni Maria Varano. D'ordinario le cartiere erano
affidate ad abitanti «lei luogo che ricevevano, oltre i locali e
gì' istrumenti necessari alla fabbricazione, determinate quantità
di cenci e si obbligavano a consegnare, entro prefissi termini di
tempo, denaro e carta. Questa era di piìi marche o filigrane,
se fina — le più usate: l'oca, la rosa, la sirena, l'agnus Dei — :
era detta del fioretto — come oggi — se di qualità meno
buona (1).
(1) La menzione più antica della fabbricazione della carta a Pioraco si
riferisce agli anni 1363-66, date segnate nel registro di un mercante fabrianese,
Ludovico d'Ambrogio, che vi notò una compera di carta acquistata a Pioraco
portante il segno della levere e del dì-ago. Vedi ZoNGHi AureIjIO, Le pili an-
tiche carte fairianesi alla esposizione dì Torino, Fano, 1884 p. 7 - 8. Per le
marche o filigrane vedasi la recente pubblicazione del prof. Augusto Zonghi,
I segni della carta, la loro origine, e la loro importanza, Fabriano, 1911. Mat-
teo Pascucci, 1' autore della vita di S. Venanzio e della Beata Battista
Varano, attribuì a Giulio Cesare anche un decreto vietante ai cartai piora-
ohesi di restare assenti da Pioraco piìi di 15 giorni, sotto pena della vita,
— 83 -
Qualche utilità materiale il castello di Pioraco traeva pure
dai frequenti vsoggiorni dei Varano, aignori di Camerino, che
fin dal Trecento vi possedevano molini, terre e case (1). Queste
dovettero essere ampliate e adornate da Giulio Cesare, del
a fine di impedire la propagazione dei)' arte e di conservare il grosso pro-
vento di 4 mila scudi provenienti dalla gabella della carta. Esagerazioni
patenti, se non favole. Vedi Pascucci, Scritti i^arii Ms. della A^alentiniana
senza numerazione di carte. Che i Varano riservassero a sé la einciara o la
facoltà di acquistare gli stracci risulta dagli atti coi quali essi la cedevano
ad altri per determinati compensi. Ricorderemo il contratto del 24 marzo 1491
rogato da Antonio Pascucci, notaio dei Varano, in cui Giovanna Malatesta
Varano concede a Domenico di Bartolomeo da Pioraco « usufructuum cinciarie
de civitate et comitatu Camerini prò uno anno incipiendo in Kalendis aprilis
cum pactis, modia et conditionibus hactenus consnetis prò pretio 125 floreno-
rum. » Torà Varano, vedova di Niccolò Trinci, il 19 febb. 1450, diede in
affitto una cartiera a Bartolomeo di Giacomo da Pioraco per un anno e per
il prezzo di 25 fiorini. La predetta signora promette di consegnare in Ca-
merino a Bartolomeo « sex miliaria cincioruin subtilium ad sceltam cameri-
nensem de quibus sex miliaril)us cinciorum diotns Bartolomeus promisit la-
borare et cartam facere et cousignare maguifice domine Tore ]»ro quolibet
miliari cinciorum 20 rismas carte firn? et bone acte ad scribendum ponderis
sexdecim librarum cum dimidio prò qualibet risma » Rog. Pascucci - Il 31
ottobre 1450 Melchiorre di Angelo fa quietanza a Piermatteo di Lorenzo del
castello di Pioraco di tutto ciò che il detto Piermatteo dovesse a Melchiorre
per il fitto « valcherie a carta et occasione cinciorum ». E ciò fa perchè
Piermatteo promette di dare per il resto del fitto ed entro il mese di mag-
gio p. V. « octo ballas carte videlicet sex ballas carte fine et duas ballas
floricti et de decem rismas prò qualibet balla ». Arch. not. di Camerino,
Rogiti Pascucci.
Per Angelo di Melchiorre, le cui ricchezze provenienti princii)almente dal
commercio si possono arguire dai frequentissimi contratti, registrati negli
atti dell' archivio notarile, vedi LiLI II, 258, 271.
(1) Case e gualchiere, quali proprietà dei Varano, sono nominate nell'atto
col quale Rodolfo di Berardo acquistò nel 1355 il patrimonio del cugino
Rodolfo di Giovanni. Vedi Feliciangeli B. Di alcune rocche dell' antico
sfato di Camerino in questi Atti, N. S. I, 52, Ancona 1904. Le case di Pio-
raco restarono possesso comune tra i quattro figli di Rodolfo III nella di-
visione delle terre del contado camerte stipulata nel 1429. In Turchi O,
Camerinum aacrum. Doc. 104,
— 84 —
quale lo stemma col suo nome vedesi ancora in una di esse
sulla piazza principale (1). L'altra casa, di maggiori dimensioni,
ora in istato di lacrimevole abbandono, fornita, un temjK), di
cortile -- cinto, dicono, da portici — con giardino e palombaro,
aveva ampie stanze e un salone, che oggi quei del luogo chia-
mano il capannone, dove si conserva, sotto la data 1400, gra-
fita, a cifre arabiche di scrittura del tempo, un avanzo di de-
corazione pittorica a guazzo raffigurante una bottiglia con ac-
canto un panierino di pere: motivo quest' ultimo rlie, com' è
noto, ricorre nelle decorazioni pittoriche di Beldiletto e S.
Anatolia e che il Lili (li, 220) spiegò colla passione infelice
di Giulio Cesare per una donna della famiglia Pero/zi cameri-
nese. L' abitazione dei Signori a Pioraco aveva nome di corte:
designazione restata nella tradizione locale a indicare il giardino.
« Item le case de la corte sono in Pioraco con lo cortile, palom-
hara, orti et pescera apresso la piazza de Sancto Victorino, la
via, lo fiume, lo monte et V orto di Santo [Francesco] ». Così
l' inventario borgiano del 1502.
L' accentramento statale rappresentato dalla conquista del
Valentino non segnò la fine dei lieti giorni della corte piora-
chese che negli ultimi anni del Quattrocento aveva accolti
ospiti ragguardevoli. Ancora vi risonavano festose risa al tempo
dell' ultimo dei Varano (2). Ma, forse la predilezione per Pio-
(1) In una camera di questa casa resta tuttora una Vergine col Bambino
affrescata da buon pennello del secolo XVI. Si dice che fosse dipinta da
Camilla da Varano, figlia di Giulio Cesare, (Beata Battista da Caiuerino ^ 1526).
Ma non si conosce prova od argomento qualsiasi che avvalori tale tradizione,
cui, del resto, contraddice il silenzio dell' aurea autobiografia della Beata
colà dove ricorda gli svaghi e le vanità della prima giovinezza spesa in
cantare, ballare, sonare e pazzeggiare. Opere spirituali della B. Battista Varano
a cura di M. Santoni, Camerino, Savini, 1894, 11. Per la tradizione rela-
tiva all' affresco cf. Pigorini-Beri Caterina, Il Venerdì Santo a Pioraco in
Natura ed Arte, V, 746.
(2) I luoghi di villeggiatura dei Varano erano Beldiletto, Lanciano, S.
Anatolia e Pioraco. Qui soggiornò anche Giovanna Malatesta che nel 1476
Ti diede alla luce il primogenito dei maschi, Venanzio (Lili II, 224). Luoghi
— 85
raco l'aveva mostrata Giulio ('esare. Certo, egli si compiaceva
di condurre i forestieri ad ammirare le bellezze dell'alta valle del
Potenza — come fanno i Camerinesi anche oggi — e al tempo
suo ai)partengono la menzione e le lodi di Pioraco che ci la-
sciarono due poeti umanisti, Ludovico Lazzarelli da Sanseverino
e Girolamo Beni vieni, fiorentino.
di svago furono anche: la rocca di Sentine (dove erano le prigioni per i rei
politici) la Torre dei Bilancioni (Torre del Parco) e Mergnano S. Savino.
Pare che talora i Varano soggiornassero anche nella rocca d' Ajello (Cf. la
nostra memoria: Notizie e documenti sulla vita Caterina Cibo- Varano, duchessa
di Camerino, Camerino, 1891, 182-93). A Sentino si crede fossero stipulate
nel novembre del 1444 le nozze di Costanza Varano con Alessandro Sforza
(cf. Giornale storico della lett. it. XXIII, 43). Ivi fu pure accolto Antonio di
Niccolò degli Abbati da Pesaro inviato da Alessandro Sforza nel 1457 a
regolare coi Varano il pagamento del residuo della dote di sua moglie
Costanza morta dieci anni prima. (Arch. not. di Cam. Rog. di A. Pascucci,
Rocca di Sentino 13 dicemdre 1457). Dalla Torre dei Bilancioni è scritta
una lettera di Giulio Cesare a Lorenzo de' Medici per raccoaiandare il ca-
merinese Girolamo Bidolli, dottore di leggi, aspirante alla nomina di ufficiale
alla mercanzia a Firenze (16 ott. 1476, Arch. mediceo avanti il principato.
Carteggio, F. 33, 873) ed è datato V istrumento della dote di Emilia Varano,
figlia naturale di Giulio Cesare e moglie di Ranuccio di Antonio Ottoni dei
Signori di Matelica (23 marzo 1480, Rog. di A. Pascucci). La torre, detta
anche del Ponte, col diritto di tenervi osteria e macello, per concessione di
Caterina Cibo-Varano, reggente di Camerino (1527-35), passò in proprietà
della confraternita del Sacramento eretta nella cattedrale di Camerino. Data
dapprima in enfiteusi a certi Cruciano Puntoni e Pietro Sensini da Camerino,
perchè il canone non fu più pagato dagli eredi dei primi concessionari, fu
dalla confraternita venduta ad Evangelista Palletta, vescovo di Tuscolo, detto il
cardinale di Cosenza, per la somma di 784 scudi. Una bolla di Paolo V (24 di-
cembre 1614. Pergani. dell'archivio arcivescovile di Cam.) diretta all'arcidiacono
e al vicario generale della diocesi, approvò quella vendita. Più tardi Giu-
seppe Palletta ottenne il titolo comitale della Torre del Parco (dura anche
oggi nei suoi discendenti) con chirografo di Clemente XI (10 giugno 1701,
Arch. di stato iu Roma, Segretari e concellieri della R. C. A.). È probabile
che si caricassero un pò le tinte, quando si volle giustificare la cessione — a
cui ostavano i canoni della Chiesa e uno speciale rescritto di Paolo II —
rappresentando quasi inmiinente la rovina della torre, il cui stato, a giudi-
care da quello presente, doveva essere abbastanza buono. Forse fin d' allora
— 86 —
il primo, autore del noto poemetto latino Bomhyx, ospite di
Fabrizio Varano, vescovo di Camerino, a cui si dice fosse stato
maestro, cominciò a scrivere in Pioraco il suo lungo ]>oema in
16 libri « De fastis christianae religioni» », tuttora inedito, che
terminò a Koma (1). 11 secondo, Girolamo Benivieni, fu certa-
erano caduti i ripiani e le volte interne: ma le quattro mura erano certo
ben salde.
A Merguano S. Savino, lungo la via che scende alla provinciale verso
Nord, si vede una torre di assai modesta altezza, perchè dimezzata, oggi
proprietà del Sig. Carlo Nicolai e ridotta ad uso di granaio e cantina del
colono. La porta dagli stipiti a grossi conci squadrati e scalpellati, di pietra
arenaria, con grande architrave luonolite riposante su due mensole, a cui
rispondono sulla soglia due pietre rientranti, mostra costruzione antica e
non volgare. Le pareti interne, orientale e occidentale, del vano a pian ter-
reno, a volta, sono adorne di serie di vari in nero (forse originariamente in
azzurro anneriti poi dal tem))o e dall'umidità) su fondo bianco in mezzo alle quali
è una fascia o fregio di rose in rosso. Non par dubbio che in tale decorazione
si abbiano a riconoscere gli emblemi araldici di Giulio Cesare Varano e di
Giovanna Malatosta. Sulla parete che guarda verso mezzogiorno si discer-
nona a stento le tracce di un' altra pittura murale contornata da un fregio
con fiori e frutta. Sul muro di fronte al primo ramo dell' angusta scaletta
è tracciata a carbone la figura di un guerriero che il tempo va scolorando.
La testa coperta da una celata, il corpo protetto dallo scudo, tiene nelle
mani un' asta e ha sopra il capo una scritta in nero su due linee, illeggi-
bile o quasi. Non vi potemmo leggere chele parole: « Non passar chi no.n ».
Il piano superiore della torre ha una finestra che fu una volta feritoia,
come si rileva dalla forna e direzione del doppio sedile interno. Pen.siamo
che la torre con qualche costruzione vicina, ora scomparsa o trasformata, sia
anteriore al secolo XV, cioè al tempo in cui Giulio Cesare e Giovanna, attratti
dall'eminenza e dal temperato clima del luogo, adattarono o vollero adattare
ad uso di soggiorno campestre gli antichi edifici.
Degli altri numerosi possessi dei Varano nel territorio camerinese — che
non siano stati o non siano oggi in castelli e ville — uno solo, per quanto
ci è noto, serba ancora qualche traccia di quei proprietari, ed è Ro vegliano
dove, in una casa colonica, durai lo stemma varanesco in arenaria col solito
cane marino e coi vari.
(1) LancelIìOTTI GianfranCESCO, Ludovici LazzareUi septempedani poetae
laureati., Bombyx, Aeesii 1765, p. 10 e 15. Lo stesso LazzareUi nel lib. XVI
dei Fasti scrisse: Clansit Roma, meos orditur Ploraca fastos. Secondo gli autori
della Biblioteca Picena (Osimo 1796, V, 243) il LazzareUi pronunciò un' ora-
— 87 —
mente a Camerino, in gioventù, e vide la verde valle dell'alto
Potenza che gli diede materia ad alcuni versi della prima delle
sue ecloghe intitolata Varo e da lui dedicata a Giulio Cesare,
come il poeta stesso dice nell' argomento. Così nell' ecloga è
ricordata 1' amenità dei prati a monte di Pioraco:
L' aura, gli uccelli e le fontane
Eisonar fanno 'I ciel là dove esprome
Natura un fiume che d' alj)estre vena
Potente surge ond'egli ha preso il nome.
Nella pili vaga parte et piìi amena
Del dilettevol colle un prato siede
Bel sì eh' immaginar non puossi appena.
Ivi tra 1' erba e i fior lieti si vede
Mille pastor che sicuro ocio pasce
Et riposo tranquillo e pura fede.
Ivi non fiera, ivi non cosa nasce
Nocente alcuna, ivi tra sterpi o rubri
Non è chi 1' erbe aveuenate lasce.
Nitide corron 1' acque et da colubri
Purgate sempre: '1 ciel benigno e '1 vento
Soave e 1' erbe e fior dolci et salubri.
A così riposato, a così lento
Stato ni' inclina '1 ciel. Varo m' invita
Taro, salute al mio languido armento.
Varo per cui mia fragil vita,
E tu '1 sai lasso pur 1' alma che fore
Ritiene ancor lalma [sic] smarrita ». (1)
zione per le nozze di Emilia Varano con Ranuccio Ottoni. L' istrnmento do-
tale è dell' anno 1480: ma ignoriamo il tempo delle nozze. Il 3 agosto 1493
è mentovato col titolo di poeta quale testimonio di un atto notarile insie-
me con un Venant'ms Marchittì da Camerino. Arch. not. di Cam. rog. di
Arcangelo d' Innocenzo, cancelliere della curia vescovile.
(1) Opere di Girolamo Beni vieni fiorentino novissimamsnte rivedute, Ve-
nezia, Niccolò Zoppino, 1522, e. 82'',
— 88 —
È la poesia pastorale artefatta che imperversò nella nostra
e in altre letterature. Ma non ci par dubbio che questi versi
accennino ad un paesaggio reale veduto e ammirato. Il poeta
visitò Camerino prima del 1481, anno in cui dall'officina tipo-
grafica del Miscomini vennero in luce a Firenze le sue ecloghe.
Le quali, secondo 1' autorevole opinione del più recente storico
della poesia j)astorale italiana, sarebbero state composte tra il
1478 e il 1481 (1). Se il futuro, appassionato seguace di fra
Girolamo Savonarola e coraggiovso consigliero di moderazione a
papa Clemente, dopo la vittoria su Firenze nel 1530, facesse lungo
soggiorno fra noi o vi tornasse dopo il li81 non sappiamo.
Non crediamo di poterlo confondere con un Girolamo da Firenze
che era a Camerino nel 1495 (3).
Del fatto che a monte di Pioraco le acque correnti formarono
due laghi è testimonianza geologica la morfologia della valle,
mentre il nome di Prolaque e Prolcbce, che si legge nell'itinerario
di Antonino Pio e negli atti della vita di S. Vittorino (3), n'è,
verosimilmente, la testimonianza linguistica. Ma non occorre
incomodare ne la geologia, né la linguistica per dimostrare
1' esistenza dei due laghi poiché questi durarono fino a tempi
relativamente a noi, vicini. Il documento i)iìi antico in cui si
parli di un lago i)loracense è un lodo arbitrale del luglio 1298
nel quale è fatto obbligo ai Piorachesi di demolire un certo
muro che essi avevano costruito e che a danno degli abitanti di
Sefro impediva il deflusso delle acque dello Scarsito ed era
(1) Carrara E., La poesia pastorale, Milano, Vallardi, 1908, 175.
(2) Testimonio ad un atto del 16 giugno stipulato da sei- Innocenzo di
Arcangelo, cancelliere del vescovo Fabrizio Varano. Arch. not. È, forse, il
Girolamo Vigori fiorentino, mercante di panno di lana e seta, che appare in
un rogito del notaio Antonio Pascucci, 4 luglio 1480. Un altro poeta, an-
che lui di nome Girolamo, il Montagnani, dedicò a Giulio Cesare Varano
alcune sue liriche latine: Hher de amoribus, de ìiece, et epistolae amatoriae »
Cod. 22 della raccolta Morbio nella Braidense in Mazzatinti G. Inventari
dei ìnss. delle biblioteche d' Italia, VII, 29-30.
(3) Pelerà Bomanorum itineraria, Amsterdam, 1735, p. 311-12, Bollano
Aeta Sanctorum, lan. 8, I, 500, Antuerpie, 1643.
— 68 —
stato quindi cagione di zuffe tra i due paesi (1). I documenti
del Quattrocento si riferiscono alla facoltà che i Varano, per
uno o due anni e per un compenso assai variabile, concedevano
di esercitare la pesca nei due laghi: 1' uno detto di Pioraco,
formato dal Potenza, 1' altro, di Sefro, formato dallo Scarsito.
Nel 1502 da questo affitto si traevano 50 fiorini 1' anno: ma a
circa 15 fiorini fissano il provento due contratti del Quattro-
cento, in uno dei quali viene mentovato il recessorium o sara-
cinesca (2) che, per il lago di Pioraco, era a pochi metri dal
(1) Si trova tra i documenti della pubblicazione fatta dal pievano di
Pioraco D. Ferdinando Angelici in una lite contro il marchese Bandini.
« Storia dello Scarsito di Pioraco dall'anno 1298 al 1805, Matelica, Pignotti,
1859.
(2) Neil' inventario (a. 1502) dell' archivio estense: « Iteni el laco de
Pioraco se vende 1' anno fiorini cinquanta »
In un frammento di bastardello del notaio Pascucci di cui non è possi-
sibile determinar 1' anno, ma che è certamente vicino al 1457, leggiamo che
Ber Puccetto di Ser Luca, fattore dei fratelli Varano, diede in affitto a Tom-
maso di Antonio da Pioraco per due anni, a cominciare dal mese di aprile,
i due laghi di Sefro e di Pioraco alle solite condizioni e al prezzo di 31
fiorini e mezzo. Un altro contratto contiene qualcosa di piti « Die 19 nov.
1457. Ser Pucciptns Ser Luce de Camerino ut et tamquam procurator Illu-
strium dominornm locavit ad coptumum Giorgio Ioannis de castro Ploraci et
Francisco Ioannis etiam de Pioraco prò uno anno proximo futuro incipieudo
in Kalendis aprilis p. f. lacnm de Sefrio cum pactis et conditionibus hacte-
nus consuetis et cum hoc quod si lacua non posset piscari per maius tem-
pus uno mense, quod prò ilio pluri debeat fsicj prò rata restaurari de pretio
infrascripto, videlicet quando jaceret lacus propter recessorium. Et hoc fecit
quod promiserunt tenere ad usum boni coptumarii et solvere prò coptumo
XV florenos videlicet medietatem in medio anno et aliara in fine dicti anni
et pisces et gamraaros cousuetos. » Ci pare evidente che il risarcimento prò
rata di cui qui si parla debba appartenere ai cottimari od affittuari del lago
i quali cercavano e pattuivano un compenso alla cessazione del lavoro della
pesca e del consecutivo provento. Dovrebbe, dunque, leggersi debeant dove è
scritto debeat. Ma di errori e di omissioni non mancano i bastardelli o im-
breviature, massime se si tratti, come in questo caso, di convenzioni consuete
e periodiche. Quanto alla locuzione : « lacus iaceret propter recessorium » la
interpretiamo nel senso che, abbassandosi (iaceret) le acque dei laghi per
- 90 —
ponte Marmoiie colà dove se ne vede ancora la scanalatura
su i)ilastri lapidei. È probabile che un'altra saracinesca si tro-
vasse nel muro di sbarramento che chiudeva il lago sefrano e
che la funzione di entrambe avesse i)recipua attinenza colla
difesa.
Belle due isolette, che la marchesa di Mantova ammirò, non
si saprebbe deterujinare se appartenessero a uno solo dei laghi.
Forse la prima, cioè la più vicina a Pioraco, risultava di quella
elevazione del terreno che la strada di 8efro su])era dopo ol-
trepassata la così detta cartiera del palazzo. L' altra isoletta
era senza dubbio ijel lago di Sefro di che abbiamo notizia certa
da un docuniento del 1489, cioè l'atto di donazione delle terre
che Giulio Cesare Varano possedeva in Umana e Sirolo a un
poeta e umanista anconitano venuto a Camerino, insieme con
alcuni illustri concittadini, per stringere alleanza, in nome del
♦proprio comune, col signore di Camerino e con lui fermare gli
accogli intesi a sostenere il re di Napoli, Ferdinando d'Aragona,
e il costui genero Mattia Corvino, re di Ungiieria, contro papa
Innocenzo Vili. Il Varano condusse la comitiva a Pioraco e
mediante 1' oi)era del fido notaio Pascucci diede forma di rogito
alla propria generosità verso il magnifico cavaliere aurato e poeta
laureato Francesco Cinti dei Dionisi, « in quadam insulecta
existente intus lacum qui dicitur lu laco sefrano in qua insu-
lecta, ut dicebatur, fuit locus fratrum Sancti Francisci x> (1).
1' apertur<a della saracinesca fino a un certo limite, fosse vietata la pesca
per impedire la distruzione dei pesci.
I laghi e i pescatori di Pioraco sono oggetto di una speciale rubrica
dello statuto di Camerino nella quale si vieta di portare il pesce fuori del
territorio della città. Cf. Statata populi civitatis Camerini, Camerino. Gioioso,
1563, e. 127.'-
(1) Arch. not. di Camerino Rog. 29 maggio 1489. Tra i testimoni sono
i nobili uomini: Giuliano di Ber Antonio dei Saraceni, Antonio di Francesco
Ferretti, Girolamo di Pompeo Scacchi tutti di Ancona, il poeta Macario Muzio
da Camerino e Galeotto Giugni da Firenze. Per le relazioni di Giulio Cesare
Varano con Mattia Corvino vedi LiLl II, 240; Fraknoi d.' Wilhelm Ma-
thias Corvinus Konig von Ungarn, Freiburg im Brisgau, "1891 p. 262-263 e
-- 91 —
Chi da Pioraco risale lo Scarsito, dopo poco più di mezzo Km.,
8i avvede di ima lieve sporgenza del suolo sulla quale è age-
vole ancora discernere qualche tratto delle fondamenta di un
muro, in questo luogo, detto di Malpasso, fu eretto un piccolo
convento dell' ordine di 9. Francesco nel secolo XIII e non
molti anni dopo la morte del Sauto. Circa il 1327, a apese di
una pia donna, Margherita dei Salimbeni, (che dovette esaere
della ricca e potente famiglia di Camerino) i Francescani, ornai
alieni dalle capanne e dai rustici rifugi che erano tanto piaciuti
al loro i)afriarca, lo sposo della Povertà — ebbero più degna
sede entro il castello di Pioraco in un nuovo convento, più tardi
ampliato ed ornato — non è detto quando — da un conte
Kaniero nobile di Camerino e da un maestro Pietro Antonio,
provinciale della Marca. Sulla tìne del Cinquecento la chiesa
a])pariva nell'interno tutta dipinta colle storie di S. Francesco e
conteneva le tombe dei nobili di Somaregia. Questo ci apprendono
il Wadding e il Civalli (1). Ne da essi discordano le fonti ])iù anti-
che: il Provinciale ordinis Minorum e il trattato sull'indulgenza
della Porziuncula di Assisi di Francesco di Bartolo entrambi del se-
colo XIV. Il secondo racconta che un tale di Sanseverino, verso il
1335, in viaggio verso Assisi per il perdono, fece la sua confessione
generale nel convento di Pioraco e che una donna di questo
paese, ossessa dai demoni, non guarì se non quando frate Guar-
nitto, il guardiano dei Francescani del luogo, la condusse a
visitare S. Maria della Porziuncula (2). Discendiamo poi al
Carusi K. Dispacci e lettere di Giacomo Gherardi, Roiua, 1909, p. CLXXII,
CLXXIV, 103, 410.
(1) Wadding L. Annales Minorum IX, 182, Roma 1734, Civalli O. Tisita
triennale in CoLUCCi, Antichità picene. XXV, 73.
(2) Vedi Bullarium franciscanum, V, 589, Roma, 1879 e Sabatibr P.
Tractatus Francisci Bartoli de indulgentia S. Mariae de Portiuncula, Paris, 1900,
60 e 61. Cf. anche Foglietti R. Pioraco, Torino, Baglione, 1899, 23. L'au-
tore di questo opuscolo comunicò al Sabatier (op. cit. 204) la notizia che a
Malpasso fu un antico tempio pagano: di che uou si ha il menomo indizio.
Il povero Foglietti, uomo, del resto, d'ingegno e dottrina non comuni, incli-
nava a vedere le traccie dell'antichità e della preistoria anche dove non sono.
— 92 —
1407 coi flocnmenti da noi conosciuti, e nei bavStardelli del
notaio già mentovato, Bartolomeo di Nicola, troviamo ricordo
della chiesa di S. Francesco di Pioraco nel testamento di un
Giacomo di Paolo da Castel S. Giovanni di Fiuminata, clie,
avanti di partire pellegrino al santuario di S. Giacomo di Ga-
lizia, volle, secondo 1' uso, disporre dei snoi beni e mostrare la
sua devozione anche ai vicini padri di S. Francesco (1).
Oggi la chiesa, ramrnodernata, ha di notevole, nelP interno,
una tela del Seicento con S. Carlo Borromeo, forse di scuola
bolognese, e d' antico serba l'abside e il portale sormontato da
bifora a tutto sesto. La i)orta sul fianco settentrionale con
sull'architrave le parole « Società» cordigeromm 1618 » è di
recente fattura e non può essere stata trasportata dal piccolo
convento dell' isoletta del lago sefrano, come alcuno crede. Del
convento secolarizzato durante il regno italico di Napoleone I,
non restano che il chiostro — dove si vedono gli nrchi chiusi —
e alcune stanze di cui una assai grande, forse quella che, secondo
la tradizione, servì alle adunanze di un capitolo provinciale (2).
Da pochi mesi vi rombano i motori di un molino elettrico.
(1) Castel S. Giovanni di Finnaiuata, 2 febbr. 1407. « Volens visitare
ecclesiani S. lacobi apostoli Itein reliqnit plel)i de Plorano dnode-
ciin denarios, operi ecclesie S. Francisci de l'ioraco diios solid. den. Item
prò operibus occlesiaruni 8. lohannis, S. Racchiani, Sancte Marie, S. Petri
et S. Pauli 12 den. prò ipsaruni qualibet. Item operi S. Cassiaui 5 solid.
den. » Arch. not. di Cam. Rogiti di Bartolomeo di Nicola nel primo dei
due bastardelli esistenti al n. 33 della cred. 5. Le chiese qui nominate pos-
sono fare intendere quanto grande ne fosse il numero nelle nostre valli fino
al Settecento. A S. Francesco erano due campane: la più grossa portava la
solita scritta « Mentem sanctam spontaneam eie. indi » Petrus Curpensis fecit
MCCCCLXXXXVIIII. Sulla minore si leggeva: MCCCCIII M. Antonins me
in veneciis M. » La prima si ruppe nel 1881 e fu rifusa a fare la nuova
campana, come si ha da Ludovici Ludovico, Relazione di tina- nuova cam-
pana fusa dai fratelli De Poli di Fittorio Veneto nel settembre del 188 L s. 1.
d. stampa.
(2) CiVAi.Li op. cit. 74 che assegna il capitolo al 1326 con manifesto er-
rore, che il convento, secondo il Wadding, stette fino al 1327 nelP isoletta
di Malpasso.
— 93 —
Ben venj^ano le feconde api»licazioni della scienza quando
aieno senza offesa di quella vita spirituale che si nutre delle
bellezze naturali ed artistiche. Qui il carbone bianco fornisce
nuovo alimento all'industria della carta, madre ed altrice della
possente invenzione onde fu la moderna civiltà: ma da esso si
aspetta un altro non meno grande benefìcio: la ferrovia Càstel-
raimondo-Nocera, alla cui costruzione, fatta ragione dei tempi, si
oppongono minori difficoltà e minori spese di quelle die ebbero
a superare e sostenere i Komani ])er congiungere Prolaqueum
con Nuceria Camellaria.
Da più che due secoli sono andati scomparendo i laghi a
monte di Pioraco, sostituiti da pingui pascoli che la reverenda
Camera Apostolica dal Cinquecento al Settecento affittò o ce-
dette per ridicoli canoni. Scemò la pesca dei celebrati gamberi
e capeiciotti: non così che il comune di Pioraco non sentisse
il bisogno di anteporre, nel proprio stemnni, con apparenza di
retrivismo, il gambero ad altro qualsiasi simbolo che raffiguras-
se 1' operosità industriale (1). Ma, se il disi)arire dei laghi fece
che una parte del fondo della valle, nei pressi di Fiuminata,
fosse posta a cultura e producesse foraggi, cereali e legumi, è
probabile che ciò concorresse a rendere i)iù frequenti quelle
inondazioni che attrassero l' attenzione degli ingegneri della
(1^ PiGORiNi Beri C. Il venerdì santo a Pioraco in Natura ed Arte anno
V, 1895-96, 746. Sul pulpito della chiesa plebale era scolpito in legno e di-
pinto un gambero rosso su campo azzurro, forse in memoria di un preteso
miracolo seguito nel 1594, quando, dopo una terribile alluvione che allagò
il paese, si vide, ritiratesi le acque, un gambero ancor vivo sulla predella
di un' altare della chiesa di S. Francesco. Pare che quell' ornamentazione
del pulpito del Sei o Settecento bastasse a giustificare la proposta attuata
una trentina d' anni fa di porre il gambero al naturale su campo rosso
nello stemma del comune dove in passato era stata la figura del patrono
S. Vittorino, come dimostra un timbro in ferro colla data *17l4 e le parole
'< comunitas castri Ploraci » Si volle ripudiare il santo in nome dei tempi
nuovi e si prese per insegna un crostaceo che nella opinione volgare è la
negazione del progresso. Cecità frettolosa! Preferiamo pure la zoologia alla
storia, ma siamo più oculati ^ più cauti.
— 94 —
Camera Apostolica fin dal 1702 e che ora impongono al genio
civile dello stato italiano la costruzione di nuovi e potenti
argini (1).
La pesca e l' industria della carta dovettero ben presto ri-
volgere i pensieri dei laboriosi Pioracbesi a fini pratici — a
questi oggi s' informa quasi esclusivamente la loro attività,
secondo vogliono i temjù — : ma, poiché la prosi)erità materiale
fu sempre stimolo alla elevazione degl' intelletti e degli animi,
non tacquero in essi i bisogni dello spirito, ^on sapremmo dire
quali esempi imitabili di opere artistiche dessero a Pioraco
nelle proprie case i Varano. Le decorazioni pittoriche alle quali
abbiamo accennato furono, assai verosimilmente, di disegno rozzo
e prive di vera im})ronta d'arte, se, come è lecito congetturare,
uscirono da quel medesimo pennello a cui si debbono le altre
di Beldiletto e di 8. Anatolia, più atte a col[)ire colle dimen-
sioni delle figure e colla vivezza dei colori, che non colla pu
rezza delle linee e la forza dell' espressione. Ma, a prescindere
dallo scultore Armanno da Pioraco che lasciò il suo nome in
uno dei leoni che ai)partennero ad un portale della antica cat-
tedrale di Camerino (ultimi decenni del sec. XIII), (2) tracce
(1) Angelo Benigni che scrisse i suoi Frammenti historiali della città di
Camerino verso il 1660 (Ms. della Valentiniana e. 313) ci fa sapere che ai
suoi tempi il lago di Pioraco era quasi riempito.
Un architetto della R. Camera Apostolica, Sebastiano Cipriani, incaricato
nel 1702 di studiare i rimodi atti a salvare dalle inondazioni' del Potenza i
prati e i campi di Fiuminata propose anzitutto il divieto di coltivare le ter-
re adiacenti al fiume. Arch. di Stato in Roma, Tesoreria di Camerino, III,
1701-1717.
(2) I due leoni in pietra cornea oggi esistenti nel sotterraneo del duo-
mo — dove dell' antica chiesa romanica si conservano altri pochi fram-
menti — appaiono della stessa mano, benché portino due diverse iscrizioni.
Nella base di uno di essi in caratteri gotici si legge: Magister Armanus de
l'ioraeo fecìt hoc opus. Vittorio Aleandri (Due leoni e maestro Armanno da
Pioraco in Chienti e Potenza, Camerino 1904, 7 febbraio) sulle orme del
— 95 —
notabili lasciarouo di sé artefici ignoti nelle due chiesette del
Crocifisso e di 8. Sebastiano. La prima, più antica, fuori del
paese, a valle e accanto al fiume — di una strana architettura
per le parti onde si compone l'edificio in cui, però, i costoloni
di una piccola abside e qualche finestra attestano della origine
remota — contiene una maestà, che oggi costituisce 1' altare,
ivi trasportata, dicono, dalla vicina riva del fiume. La Vergine
col Bambino nel cavo di un arco e i due angeli nelle pareti
di esso — figure dipinte nel Quattrocento e assai guaste dai
ritocchi — ci parvero cose poco pregevoli. Assai bello è invece
qualche volto affrescato sui muri della maestà nei quali è age-
vole discernere due e ])ertìno tre strati d' intonaco dipinto. Un
tabernacolo in legno coli' Annunciazione ricopre la parte ante
riore dell'altare e il medesimo soggetto in affresco del secolo XVI.
Tutta adorna di pitture votive era un tempo, come ogni
visitatore può vedere, la chiesetta di 8. Sebastiano situata nel
borgo e già minacciata di distruzione dall'irresistibile avanzare
del trionfale industrialismo, moderno rappresentato dall'ampia
cartiera ora in costruzione. Qua. e là, sotto l'intonaco, si veg-
gono figure di santi non senza qualche segno di bellezza arti-
stica e di quell'intima fede che nelle frequenti jK'stilenze traeva
le turbe i)erco8se di terrore a prostrarsi dinanzi agli altari di
8. Sebastiano e S. Rocco. Questi due santi sono raffigurati
sulla parete di destra con buon disegno e col rosso crudo che
è caratteristico delle jtitture murali delle chiese di cam])agna.
Chi scoprisse diligentemente questi affreschi vi troverebbe, oltre
iscrizioni votive e date del secolo XV e XVI, alcun buon se-
gno dei tempi felici dell' arte. Ai quali pure appartengono,
ma solo per la cronologia, le figure affrescate, assai mal ridotte,
ancor visibili sulle pareti della scaletta che conduce alla tribu-
na dell' organo nella pieve di S. Vittorino.
Di gran lunga superiore alle rappresentazioni i)ittoriche qui
Larjzi credette di scorgere in una delle iscrizioni alcune lettere greche. Noi
siamo d'altro avviso. Ma sarebbe fuor di luogo chiarire qui questo problema
di epigrafia,
— 96 —
sopra ricordate è da giudicare un angelo su tavola - già si)or-
tello di armadio — in atto di compiere la salutazione alla Ver-
gine, posseduto dal rev.mo monsignor Ludovici. La grazia del-
l'attitudine e la soavità dell'espressione lo fanno assai pregevole,
cosicché, secondo la nostra impressione di profani, esso non
sarebbe al tutto disgradato, se figurasse a fianco della mirabi-
le Annunciazione di Girolamo di Giovanni nella pinacoteca di
Camerino. QuCvSto angelo (secolo XV) e un camino in pietra
con eleganti fregi cinquecenteschi ci parvero, sotto il risi)etto
artistico, le cose migliori di quante relative alle memorie locali
adunò con lungo amore nella sua raccolta il volonteroso i)ievano
monsignor Ludovici al quale ci piace render qui i)ubbliclie grazie
della liberale cortesia onde favorì le nostre ricerche.
«<^ fe^
Nota E
DI ALCUNI RAPPORTI DEI VARANO COI GONZAGA
Sommario: Le lettere scritte dai Varano ai Gonzaga sono^ per lo pivi, offi-
ciose — Trattano d' invio di doni, chieggono notizie, raccomandano
persone, alcune delle quali ci sono alFatto ignote — I Varano chiede-
Tano spesso il dono di cavalli delle celebri scuderie dei Gonzaga e lo
ricambiavano con prodotti dell' Appennino camerinese — Eapporti d'Isa-
bella D'Este con Fabrizio Varano, vescovo di Camerino — Notizie di
questo umanista, che fece parte dell' accademia romana — Altre rela-
zioni d' Isabella D' Este con altri Varano e specialmente con Caterina
Cibo-Varano.
I Gonzaga e i Varano, divisi dalla grande distanza dei due
principati, benché affini (certo, per le nozze di Battista, figlia
di Costanza Varano Sforza, con Federico di Montefeltro il cui
tìglio sposò Elisabetta Gonzaga), non ebbero frequenti, assidui
rapporti: ma questi furono ispirati a simpatia e benevolenza.
Le non numerose lettere dei Varano custodite nell' archivio
Gonzaga di Mantova, delle quali siamo informati — le piìi degli
ultimi quindici anni del secolo XV e dei primi del XVI — con-
tengono couuinicazioni di notizie politiche, o di eventi domestici,
richieste e scambi di servigi e favori, o raccomandazioni di
persone e dimostrano che le due famiglie si trattavano con la
officiosa cordialità propria delle persone che sanno di non avere
interessi comuni. In più stretti rapporti furono nel 1496, allorché
due figli di Giulio Cesare Varano, Annibale e Venan?.io, cam-
peggiarono contro i Francesi nell' Italia meridionale, dove a
combattere contro gli stranieri si trovò anche il marchese Fran-
1 — itti e Memorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912.
— 98 —
Cesco Gonzaga stipendiato dalla repubblica veneta (1). In quel-
l'occasione Venanzio si ebbe particolari segni di cortesia dal mar-
chese di Mantova, di che Giulio Cesare ringrazia il Gojizaga con
lettera da Camerino del 27 dicembre 1496^ mentre, in altra lettera
colla stessa data ad Isabella le rinnova la preghiera di tornare a
Camerino per farvi lungo soggiorno (2). Più tardi, nel 1501, lo
stesso Venanzio Varano, per cagione a noi ignota, ebbe a so-
stenere le sue ragioni dinanzi al marchese di Mantova in una
controversia giuridica con uno Stefano da Vergara e però mandò
a Mantova messer Ricciardo Fontani da Cerreto di Si)oleto,
uditore del signore di Camerino e della medesima famiglia da
cui uscirono il grande Gioviano e il minore umanista Tommaso (3).
Alcune lettere dei Varano ai Gonzaga, presentando qualche
inviato e pregando di prestargli intera fede, dissimulano la trat-
tazione di negozi delicati, secondo il costume dei tempo, che, in
politica, alla lettera preferiva il discorso per inter[)osta persona,
se la prudenza consigliasse il segreto e non si volesse che dei ne-
goziati restasse traccia o si bramasse di non tener fede agl'impe-
gni. Altre missive comunicano o domandano notizie politiche.
Cosi, p. es., Annibale Varano, con lettere al marchese del 22
maggio e del 28 luglio 1501, ti:asmette novelle della guerra
franco-spagnuola nel regno di Napoli: il 22 novembre dello
stesso anno il ventenne Giovanni Maria Varano, 1' ultimo dei
figlioli legittimi di Giulio, dicendosi « desideroso d' intendere
(1) Sanudo M. Diarii, I 93, 103, 183 (Venezia, 1879) e Luzio-Renier,
Mantova- Urbino, 87, 90. Venanzio Varano al principio della guerra (primi
di ottobre del 1495) era caduto prigioniero dei Francesi. M. Sanudo, Spedi-
zione di Carlo Vili in Arch. veneto, 1873, 632, LlLi, II, 243. Altra breve
prigionia, per opera degli Orsini, gli toccò insieme collo zio materno di sua
moglie, il duca d' Urbino, nel gennaio del '97. M. Sanudo, Diarii, I, 496.
(2) « Adcadendomi questo messo non ho voluto venga senza questi po-
chi mei versi alla E. V. rechiedendola de fede che '1 me voglia osservare
quanto quella me promesse che '1 venga ad stare qua in questi soi lochi
cum uni almeno per dui mesi certificandola, che, venendo ad me serra tanto
piacere quanto mai altro potesse recevere. »
(3) Camerino 13 aprile 1501,
— 99 —
qualche nova utile presertim ad questa afflicta Italia » chiede
d' essere informato delle « cose quale se tractano nella Germa-
nia ed appresso la Cristianissima Maestà di Francia >> e, circa
un mese dopo, lo stesso Giulio mandava a Mantova il proprio
cancelliere Silvio per intendere il concilio dell' imperatore Mas-
similiano: parole che si riferiscono manifestamente al trattato
di Trento e al convegno di Blois (1).
La visita d' Isabella a Camerino concorse a rendere i Va-
rano pili deferenti e devoti alia corte di Mantova: il che si
vede nelle lettere scritte da essi doiio il '94 per dare o chie-
dere novelle della salute o i)artecipare qualche nascita in fami-
glia. Dà una di esse apprendiamo che nel maggio o giugno 1501
venne al mondo Sigismondo Varano, l'infelice figlio di Venanzio
e di Maria Della Rovere (2).
Delle persone raccomandate dai Varano ai Gonzaga possia-
mo credere che fossero degne di protezione il venerabile frate
Andrea da Niano « procuratore et executore de Santo Spirito di
Eoma » e il gentiluomo perugino messer Girolamo Della Stafi'a. Ma
si potrebbe dubitare che fosse cittadino santissimo quel Branca,
nato suddito del duca di Urbino e mandato a Gubbio da Gio-
vanna Malatesta-Varauo il 10 aprile del '94, appena Isabella si fu
allontaiuita da Camerino, acciò, munito di calda commendatizia,
chiedesse alla marchesa di Mantova una grazia molto desiderata.
Kifugiatosi a Camerino dopo aver commesso un omicidio nel
ducato urbinate e allogatosi presso il Varano, per mezzo di
questo aveva ottenuto l'assoluzione dal bando ed ora colla me
diazione d'Isabella sperava di conseguire la grazia anche dalla
pena pecuniaria a cui era stato condannato. Del resto, senza
dire che ignoriamo affatto i motivi e le circostanze del reato,
perche dovremmo fare alte meraviglie della protezione accordata
(1) Cf. Cipolla C. Storia delle signorie ifaliaiie, Milauo, 1881, p. 784.
(2) Lettera di Venauzio al marchese e alla marchesa, Cameriuo. 2 giugno
1501. Rubrica Eoma. Il 26 maggio 1500 Giulio Cesare scriveva da Ca-
meriuo ai coniugi Gonzaga per congratularsi della nascita di un tìglio ma-
schio che fu Federico, primo duca di Mantova,
— 100 —
agli omicidi da qualche principe del Rinascimento, mentre, i)ur
nella nostra raffinata civiltà, i malfattori intelligenti hanno
tanta fortuna? (1)
Nulla sappiamo di quel maestro Niccolò fiorentino, familiare
del marchese, che da Mantova s'era recato a Camerino e della
cui opera il Varano si loda in una lettera al Gonzaga del 18
luglio 1485. Dalla Toscana si spargevano allora per tutta Italia
numerosi artefici dei quali talora conosciamo soltanto il nome,
come di questo maestro Niccolò, tal' altra solo le attitudini, oltre
il nome, come di quell' Adriano, fiorentino anche lui, versatile
artista, scultore, medaglista, improvvisatore e musico, che Eli-
sabetta Gonzaga, duchessa di Urbino, raccomandava al fratello
nel maggio del 1495 (2). Ci è pure ignoto quel messer Alberto,
suddito del duca di Milano e uomo di grande ingegno col quale
Giulio Cesare Varano dice di aver conferito su « alcuni dise-
gni i)ertinenti a lo uso militare et expugnatione di terre »
nell' atto che lo invia a Milano e lo raccomanda a Ludovico
il Moro (3).
Tutti sanno che le corti italiane del Rinascimento solevano
scambiarsi doni, massime cose mangerecce, prodotti delle terre
rispettive. Da Urbino e da Pesaro partivano alla volta di Fer-
rara., Mantova e Milano mazzi di fichi secchi e talvolta il vino
di pome granate di Roccaeontrada (Arcevia) del quale fa parola
al duca di Milano Giacomo Giordani da Pesaro (4). Da Mantova
a Ferrara viaggiavano spesso i rinomati carpioni del Garda (5).
I Varano di Camerino solevano presentare gli amici di carni
salate non alterabili nei lunghi viaggi e abbondanti nell' alta
Marca allora che folti boschi coprivano colli e monti, soprattutto
(1) Lettere di Giulio Cesare al marchese 14 dicembre 1491 e 13 ott.
1501. Lettera di Giovauna Malatesta alla marchesa, Cameriiio 10 aprile 1494.
(2) Luzio-Renier, Mantova e Urbino, 84,
(3) Camerino 24 ott. 1498, Arch. di Milano, Potenze estere, Camerino.
(4) 11 febb. 1458 Arch. di stato di Milano. Pesaro. Dai carteggi di que-
st' archivio e di quello di Modena risulta V invio dei lichi secchi.
(5) Luzio-Renier, Mantova - Urbino^ 57.
— 101 —
intorno alla nostra città, e alimentavano di ghiande saporose
stuoli di suini, come accade tuttora in qualche parte dell' A-
bruzzo. Facemmo già ricordo dei prosciutti e delle lingue e
teste salate che Giulio Cesare offerse alla marchesana nel '94.
Cinque anni dopo è menzionato un altro dono de alcìini frutti
della montagna che pensiamo consistesse delle solite carni sa-
late (1). Il 19 nov. 1500 Annibale Varano manda al marchese
« dieci para, de tracossi de carne salata fructi de quisti pagisi »
e aggiunge: « son pochi ad ciò che le sappiano migliori » Que-
ste offerte, semplici e un pò rusticane, davano ardire ai Varano
di chiedere il ricambio di dono ben più prezioso e desiderato
che non fossero i prosciutti e i tracossi, vogliam dire i cavalli,
dei quali era dovizia nella signoria gonzaghesca. La razza man-
tovana, la prima d' Italia (2), dava prodotti assai ricercati così
per i palli, come per la guerra: e i figlioli del signore di Ca-
merino ne domandarono più volte al marchese. Nel 1500 An-
nibale Varano lo ricercava di un barbero e Venanzio, 1' anno
seguente, di un friscione (frisone, olandese), la razza preferita
per gli usi militari (3). Il Gonzaga, alla sua volta, profittava
di quanto il territorio di Camerino poteva fornirgli. Sappiamo
dell'invio a Mantova di due asini riproduttori e di due aquile:
quelli rappresentavano un prodotto jìroverbi al mente noto nelli,
Marca inferiore, ma jiiuttosto scarso nel territorio di Camerino,
come si ])uò arguire dalle parole dello stesso donatore, il Va-
rano: queste, le aquile, strappate ai rupestri nidi dell'Appennino,
erano allevate nello stanzone munito di rete, che è notato
(1) Giulio Cesare al marchese 12 aprile 1499.
(2) Cf. Cavriani C. Le razze gonzagheache di cavalli nel Mantovano e la loro
influenza sul puro sangue inglese, con documenti inediti, in Rassegna contem-
poranea, Roma, 1909, fase. Ili, 117-.S2, IV, 106-109.
(3) La lettera di Annibale è del 15 maggio 1500, quella di Venanzio del
12 aprile 1501. A questa ne segui un' altra, pure c^.i Venanzio, indirizzata
ad Enea Forlani, uno dei segretari del marchese, e chiedente lo stesso
favore.
— 102 —
nell^ inventario del palazzo varanesco (l). Tra i nostri monti
s' incontrava ancora qualche capriolo (2).
Oltre la politica, la milizia e lo sport diedero occasione e
alimento alle relazioni dei Varano coi Gonzaga lo spirito della
Rinascenza e l'intellettualità d' Isabella D'Este. Costei qualche
mese dopo la visita fatta a Camerino, avuta notizia da Teofilo
Collenuccio, figlio dell'umanista Pandolfo, che Fabrizio Varano
di Rodolfo IV, fin dal giugno del 1482 vescovo di (Jamerino,
aveva composto versi ad imitazione di altri di Alfano Alfani
da Perugia, scrisse a Fabrizio chiedendogliene cojìia. Questo
componimento, secondo le parole della marchesa, era « fatto con
tale arte che chi lo legeva a la directa laudava una donna,
chi cominciava a la fine d' esso, legendolo indreto al reverso,
era tuto contrario e la vituperava ». Tanto più Isabella si di-
ceva bramosa di avere quel bizzarro componimento, poiché aveva
inteso essere Fabrizio persona virtuosa et docta: parole che ci
fanno ritenere che egli, forse perchè lontano, non avesse cono-
sciuta la marchesa nel tempo della visita di lei a Camerino.
Il vescovo rispose in questi termini: « 111. ma et Ex. ma Domina.
Ricevuta la lettera di V. E. mandai subito uno mio ad Came-
rino per satisfare ad la domanda, non ad la expectativa de quella:
li quali retrovati gli mando. Non che io i)resuma quelli esser
degni non dico de comparire al conspecto, ma né essere ascoltati da
la E. V. desideroso demonstrarli etiam in minimis voler satisfarli
comò afiectionatissimo mancipio. Tali quali sono gli mando:
però che non furono composti i)er elegantia né per fama, ma
per prova se erano possibili ad farsi, così volgari corno latini
et sì comò potrà cognoscere in essi. Essendo, come sono, inele-
ganti, cognoscerà non esser mio tale exercitio. Quale sia de
Alfano o tnio non lo recognosco per non averci trovato el titulo,
né in ciò faccio difficoltà essendo infra ambedue un' anima in
(1) Giulio al marchese 20 maggio 1501 e Annibale allo stesso 19 nov.
1500.
(2) Vedi lettera di Caterina Cibo-Varano da Camerino 11 agosto 1530
nelle nostre Notizie e documenti sulla vita di Cai. Cibo, 265.
^ Ì03 —
iiiodo che, mentre tale rasonamento era infra de noi, volendo
exemplificare, quello che volevamo intendere con la penna,
benché separati, componessimo uno medesimo verso et havuta
insieme qualche dolce parola de la nostra unanimità, esso ne
compose uno et io 1' altro. Attribuisca V. S. Ill.ma il megliore
ad Alfano et 1' altro ad me: et h avevo facto in lo medesmo
artificio uno sonecto borchiellesco quale, per non haverlo re-
trovato, non lo mando. Queste simili rime i)rimo aspectu apaiono
alquanto durecte o aspre ad legere ])er la difficile loro composi -
tione. Me rendo certo, vedendosi tal principio, per li ingegni de
li vostri de là ss ne faranno de più eleganti et che più piaceran-
no ad V. Ex. Ad noi basterà haverli retrovati in tale artificio.
Me lacomando iterum ad piedi di quella. Ex S. Anatolia XI
oct. 1494 . (1) Da questa lettera impariamo che Fabrizio poetò
anche in volgare e si dilettò di quei giocherelli poetici, come
li chiama il Renier, che sono i versi retrogradi, e delle bizzarrie
del famoso Burchiello, rinnovate dal Pistoia. Giovanetto, aveva
studiato nell'università di Perugia, dove si legò di fraterna amicizia
con Alfano Alfani (2). Che negli anni primi gli fosse precettore
Lodovico Lazzarelli, vissuto per qualche tempo alla corte di
Giulio Cesare Varano e beneficato anche dal vescovo Fabrizio,
fu scritto dal Turchi e dal Lancellotti (3), ma non è provato e
(1) Luzio-Renier. La coltura e le relazioni letterarie d' Isabella I)' Eate,
in Giornale storico della letteratura Italiana, XXXIX, 249-50, 1902.
(2) Giulio Cesare Varano, scrivendo da Camerino (16 ottobre 1474, Ar-
chivio fiorentino. Carteggio mediceo, F^ 30, n. 984) prega Lorenzo dei Me-
dici di permettere che Bernardo Lippi da Arezzo, avvocato generale della
Curia della Marca d' Ancona e scudo di ttitti i fioi-entini in questa provìncia,
mandi a studiare a Perugia, piuttosto che a P'sa, un suo figliolo di 17 anni
dimorante nella corte varanesca, affinchè sia affezionato compagno al nepote
di Giulio, il magnifico Fabrizio che lo zio intende mandare allo studio di
Perugia. Da questa lettera è dato inferire che Fabrizio fosse coetaneo del
figliolo di Bernardo Lippi o avesse qualche anno di meno e quindi fosse
nato tra il 1457 e il 1460. L' amico di lui crediamo possa identificarsi con
quel Lorenzo Lippi Collense mentovato dal Gikaldi (De poetis nostrornm tem-
porum, ediz. Wotke, Berlin, 1894, 24) e dal Lancellotti (Bombyx, 21).
(3) Turchi, Carutrinum saorum, 297, Lancellotti, Bombyx^ 9,
— 104 —
non è in tutto probabile, che il poeta setteinpedano superava
Fabrizio solo di pochi anni, ne questi chiama il Lazzarelli con
altro titolo che di vate nei versi a lui consacrati ed editi dal
Lancellotti. Chi che si fosse il suo maestro, è certo che avanzò
sicuro negli studi e compose molti carmi latini non privi di
correttezza e fluidità che si leggono in alcuni codici della bi-
blioteca Fabretti di Perugia e dei quali pubblichiamo quello in
lode del marchese di MantoviR, preteso vincitore a Fornovo (6
luglio 1495). (1) Quanto il vescovo camerte sapesse di critica
dei testi e di archeologia apparisce dai suoi rapporti con Aldo
Manuzio, che ce lo rivelano ricercatore di manoscritti greci (2),
da una lettera a lui indirizzata dal jioeta spoletino Pier Giu-
stolo, in cui si discorre di una interpretazione proposta da Fa-
brizio di un passo di Claudiano (3), da un' altra lettera del
nostro vescovo diretta all'Alfani, dove è parola di una variante
di un passo di Plinio (4), dalla partecipazione alla ristamjia di
Tolomeo (5) e soprattutto dall' oi)uscolo Gollectanea Urbia, che
(1) Appendice, IV.
(2) Una missiva di Scipione Carteromaco ad Aldo Manuzio (19 aprile 1505
da Roma dove pare soggiornasse allora il vescovo di Camerino, cf. Liu, 11,
272) attesta che il grande editore trattava con Fabrizio per acquistare da
lui un esemplare di Ateneo. Uu' altra lettera dello stesso Carteromaco (Roma
14 aprile 1507) al Manuzio fa ricordo di un viaggio dello scrivente nella
Marca e a Bologna insieme col cardinal Farnese e di domande rivolte a
Fabrizio per avere quelli opuscoli di Virgilio che dovevano servire per la
stampa dopo essere stati corretti dal Varano. Da questa lettera si ha che il
vescovo possedeva una sua casa a Fabriano, Dr Nolhac P. Lea correapon-
danta d' Aide Matinee in Studi e documenti di Storia e Diritto, Vili. 287,
289-90, Roma, 1887.
(3) Petri Francisci Iustuli, Opera Academiae Spoletinae atudio ruraua
vulgata et ineditis aueta, Spoleto, 1855, 143. Il Giustolo (p. 101) ricordò Fa-
brizio con lode e con affetto uell' ecloga che prende nome da Genga, luogo
allora compreso nella diocesi di Camerino.
(4) Camerino 26 uov. 1489 in Conkstabile Giancarlo, Memorie di Alfa-
no Alfani, Perugia, 1848, p 105-07.
(5) Blessich a. La geografia alla corte aragonese di Napoli Roma, Loescher
1897, 36-37.
— 105 —
dimostra salda conoscenza dei classici latini e della topografia
di Roma antica, che ebbe agio di studiare sui luoghi (1). De-
gli antichi scrittori latini fu commentatore lodato ai suoi tempi,
sicché, non molti anni dopo la sua morte, taluno era accusato di
aver largamente attinto ai commenti di lui ad Ausonio, Solino
e Ovidio (2).
Dedito alla poesia e allo studio pare non si conìmovesse
troppo delle calamità pubbliche — all' amico Alfani raccoman-
dava di non crucciarsi della invasione dei Francesi (3) — e si
compiacesse di soggiorni campestri. Da S. Anat(>lia è scritta
la lettera alla marchesa di Mantova e in Pievetorina, all'ombra
di salici, presso ad ameni ruscelli, ricevette egli il Giustolo (4).
Ma non neglesse i suoi doveri i)astorali nei quali ci piace d'im-
maginarlo assorto nel 1489 quando, scrivendo al diletto amico
perugino, si dice occupatissimo in molte faccende e dei quali si
manifesta sollecito in una lettera ad un ignoto cardinale, un
protettore dei Varano e della città, per accompagnare due ca-
nonici della cattedrale camerte, Piermarino e Lorenzo, inviati
a Koma colla missione di ottenere che cessino le vessazioni di
certi decimatori esigenti dal cajìitolo somme non dovute (5).
(1) Ve(\i il raro libretto « De Roma \ prisca et \ nova varii \ autoren prout
in se I quenti \ paj gella cer | nere est. Rome ex aedibns lacobi Mazochii Ko.
Achadeniia bibliopolae a D. MDXXIII etc. Coni' è noto, in questa ristampa,
con aggiunte, del De mirahilibus Urbis di Fkancesco Albertixi (cf. 1' edi-
zione di A. Schmarzow, Heilbronn, 1886) a. e. 140, è una breve sezione in-
titolata. « Fabricii Varani episcojìi caviertis de urbe collectanea » in cui si parla
delle porte e dei colli dell'Urbe. A Roma Fabrizio fece soggiorno più volte dopo
nominato vescovo (13 giugno 1482) e prima dell'anno 1500, sotto il pontificato
di Innocenzo VITI e Alessandro VI (cf. i versi del Lazzarelli che ricordano
Fabrizio quale socio dell' accademia di Pomponio Leto in Lancellotti op. cit.
123). Può tenersi per certo che egli partecipò alle gite archeologiche tra i
monumenti antichi di Pomponio Leto e degli altri accademici romani.
(2) Mariangeli Accursii, Diatribae, Roma, Argenti, 1524 s. u. d. e. e
Fabricii Alberti, Bibliotheca latina, Venezia, Coleti, 1728, II, 92.
(3) CONESTABILE, op. cit. p. 102-04.
(4) Lett. cit. Spoleto 7 ott. 1499.
(5) Camerino 5 settembre 1501. Biblioteca Angelica di Roma; Ms. 1077 f. 11.
— Ì06 —
Se Fabrizio, il cui fratello maggiore, Ercole, dimorante a
Ferrara, considerava Giulio Cesare quale usupartore, a suo
danno, dell' avita signoria, si dolesse o si allietasse della rovina
apportata nella sua famiglia dal nepotismo borgiano, non è dato
sapere. Poiché nel 1503 era a Roma — donde scrisse una let-
terina al cardinale Ippolito D' Este a proposito di un beneficio
ecclesiastico da questo desiderato — (l)è lecito congetturare che
Alessandrt) VI non si fidasse troi)po di lui e non lo vedesse
volentieri a Camerino e che egli, tornato in patria dopo la morte
del papa, vivesse in sincera concordia col i)arente Giovanni
Maria fino alla morte che lo colse a Fabriano, non ancor vec-
chio, nel marzo del 1508 (2). Tra i suoi carmi ve n' ha che
cantano le lodi di Venanzio e Giovanni Maria, figli di Giulio
Cesare, col quale ebbe rapporti sinceramente amichevoli, secondo
appare da una sua lettera all' Alfani (3): testimonianze queste,
a nostro avviso, di viva gratitudine per i benefici e favori onde
(forse per motivi i)olitici) il dinasta cauìerte colmò il vescovo
Fabrizio, suo nepote cugino. Il quale, e per la dottrina critica
ed archeologica, i)er 1' arte poetica che felicemente coltivò, per
le relazioni che ebbe col Maturanzio, col Carteromaco, col Can-
talicio, con Iacopo Antiquari, col concittadino Francesco S[)erulo
e con altri letterati del tempo e per aver fatto parte della ac-
cademia romana di Pomponio Leto nel secondo periodo di essa (4),
(1) Arch. Estense di Modena, Lettere dei vescovi, Roma 3 aprile 1503.
(2) Secondo il Lili (II 273-74) il corpo fu trasportato a Camerino e se-
polto nella cattedrale (cioè nella cappella gentilizia dei Varano). E lo stori-
co aggiunge: « fu per qualche tempo coperto da un sasso scritto in questa
forma : « Fabritius Varauus episcopus Camerini frater Petri Gentilis vir in
sacris literis maxime eruditus, philosophia et legum scientia pollens qui eccle-
siam camerinensem optirae guljernavit, obiit anno 1508 ».
(3) Camerino 22 maggio 1501 in Conestabile op. cit. 107-108.
(4) Cf. i versi del Lazzarelli pubblicati dal Lancellotii (op. cit. 122, 123)
i quali si hanno a riferire alla seconda accademia perchè, secondo le notizie
biografiche del poeta settenipedauo, questi non giunse a Roma che dopo
il 1469.
Il cod. Vatic. Lat. 5890 contiene sei lettere del Maturanzio a P"'abrizio,
— 107 —
meriterebbe d'essere meglio conosciuto. A noi basti qui il poco
che se n' è detto per concbiiulere che il buon gusto di Fabrizio
ci consente di creder probabile che a lui si debba la costru-
zione dell' elegantissimo portale, ricco di graziosi fregi, che
adorna la sacrestia di 8. Venanzio in Camerino. Sopra la co-
lonna di sinistra si legge: tyjXó6sv late à[j,órjTot, la nota formula
rituale dei sacerdoti pagani (procul este prof ani, Aeneid., VI, 258)
ripetu'^a in ebraico sull'altra colonna. Ci piace immaginare che
Fabrizio e il suo amico Lazzarelli, che conosceva 1' ebraico,
suggerissero questa iscrizione all' opera di S. Venanzio che in
buona parte rinnovò la chiesa verso il 1480 (1).
L'influsso di Isabella D'Kste valse a far sentire il desiderio
della poesia anche agli uomini intonti alle armi. Venanzio Va-
rano, avendo avuto occasione di visitare la corte di Mantova,
ne apprezzò il carattere spirituale e la consuetudine di ricercare
e gustare le novità letterarie e però, tornato a Camerino, volle
ricordare alla marchesa la promessa di mandargli i più recenti
componimenti dei due poeti alla moda. Serafino Aquilano e il
Tebaldeo, allora esaltati dal mal gusto cortigiano dei letterati
e dei principi. E lo fece con questa letterina: « Ill.ma et Ex. ma
Domina, Venendo Vincentio presente exhibitore là per alcune
facende prego V. E. che i)er lui mi voglia mandare qualche
cosa nova o del Thebaldeo o de Seraphino, come mi ])rome8e
quando fui lì, che mi sarà cosa gratissima, offerendomi fare il
medesimo verso V. E. quando mi accada cosa alcuna nova a la
quale sempre mi ricomando. Camerino VIII julii 1499. Venan-
tius Varanius Camerini etc. (2).
Durante il soggiorno che Isabella fece a Roma nel 1514 e
nel 1515 indubbiamente conobbe Caterina Cibo, figlia di Mad-
dalena de' Medici e però nepote di Leone X, allora fanciulla
tatte senza data e di scarso interesse per la biografia del vescovo di Ca-
merino.
(1) Santoni M. e Aleandri V. La chiesa di Camerino rinnovata nel secolo
XV, in Rassegna bibliografica dell' arte italiana, IX, (1906).
(2) Arch. Gonzaga.
— lOS —
e già promessa a Giovanni Maria Varano al quale andò sposa
nel 1520. Le due donne si rividero dieci anni dopo, al tempo
di Clemente VII, quando la marchesa di Mantova lungamente
dimorò a lloma (dove fu anche spettatrice del celebre sacco) e
Caterina, duchessa di Camerino, vi tornò due volte nel 1525 e
nel 1526. Ad Isabella, che, diretta a Eoma, passava nella valle
del Ohienti per il territorio di Camerino, presentò, in segno di
omaggio, i suoi uomini armati il duca Giovanni Maria il 24
febbraio 1525, mentre Caterina era a Roma (1).
La ricchezza e l'eletto gusto degli abbigliamenti della mar-
chesana avevano fatto di lei la regina della moda fin dagli
inizi fastosi del pontificato di Leone X, sicché non è meraviglia
che la duchessa di Camerino, piti tardi reggente del suo i)iccolo
stato per la figlia Giulia, cercasse, come altre gentildonne, i!
consiglio e 1' opera d' Isabella D' Kste per la confezione delle
])roprie vesti. È del 10 agosto 1533 una lettera della marchesa
a Caterina per annunziarle che si stava eseguendo a Mantova
una sua commissione (2). Non sai)piamo se altri rapporti inter-
cedessero tra le due dame diverse d' età, come di gusti, e tut-
tavia entrambe segnalate, ciasciin.i nella pro])ria condizione,
per operosità politica e per vita di pensiero.
(1) « Paaaò per lii valle del Chienti la marchesana di Mantova che veniva
da S. Maria di Loreto e andava ad Konia al jìerdono qnale si diceva che
menava 60 mule e il S. Duca li andò all' incontro con alquanti cavalli e
fo fatta la mostra da Conte e da Achille » Diario di Bichnardino Liu in
Carte Liliane, t. IV, Valentiniana di Camerino.
(2) « Voglio che sappi già essersi dato principio a lavorar le vesti et
spero che habbiuo tutte a riuscire tali [sic] et perchè il desiderio che tengo
di vederle di tutta bellezza è infinito et perchè in questa cittade sono per-
sone che in ricamare hanno quella scientia che habbino altri in Italia et
che la prefata M.™*! d' Orleans et V. S. rimarranno satisfatte. » Luzio-Rknier
Il lusso d' Isabella D' Esie marchesa di Mantova in Nuova Antologia, IV se-
rie voi. 62, 455 56 (1 giugno 1896).
Appendice
I.
LETTERA DI GIULIO CESARE VARANO
A GIOVANNI DI COSIMO DEI MEDICI
(Camerino 20 gennaio 1458) (1)
Magnifico vir et taniquani frater amatissime etc. La gran sicurità
qual continuamente lio abbiita colla M. V. me rende pronto ad pigliar
coufidentia di quella. Unde al presente me occorre voler fare ascintare
una acqua, la qual è in una pianura in nel mio tenere (2) et qui
(1) Archivio di stato iu P^'ireiize, Carteggio Mediceo, filza VI n. 306.
(2) Crediamo che quest' acqua sia quella del lago inferiore di Colfiorito,
che Giulio Cesare Varano, mediante canali (forme), raccolse nel cunicolo
(botte) che finisce sopra il castello di Serravalle, lungo ni. 446. Vedi Mex-
Gozzi G. Dei Plestinì Umbri in Antichità Picene, XI, Fermo, 1790, 83. Il 10
dicembre 1461 i cugini Rodolfo e Giulio Cesare Varano, in nome proprio, e
Ser Ansovino di Ser Domenico da Camerino, in nome della città, donarono
a Cesare, figlio di Giulio, « hi piano de Fistia si ve vulgariter dictum In
piano de Serravalle » (Rog. di Antonio Pascucci nelP archivio notarile di
Camerino). Questa donazione sembra avvalorare la nostra ipotesi.
Quasi nel medesimo tempo si apprestavano altri prosciugamenti nei pressi
di Foligno, come mostra il breve seguente di papa Calisto III indirizzato
« dilecto filio Aroiolo de Azolinis de Firmo utriusque iuris doctori ».
Calistus pp. III.
Nostra Fulginei comunitas desiccationem paludium sibi vicinarum sumere
desiderat. Nos<iue etiam ad hoc eo sumus prodi viores quo intelligimus ibi
aerem salubriorem agrique colendi copiam inde colonos esse assecuturos. Sed,
cum alie siut ibi vicine comunitates que super hiis aliquod interesse preten-
dere possent, ea propter voliunus ut operam tnam in hoc diligenter adhibeas
comunitatumque omnium quarum noveris interesse votis debite perscrutatis,
postqnam ad hoc eque omnium concordia pariter atque voluntas accesserit,
desiccaudi onujimodoque toUendi lacunas illas auctoritate nostra petentibua
— 110 —
abbio carestia de ingegneri in tali exercitii docti secando si convcrria,
et sento lì in Firenze ne sono perchè si sono exercitati in ne le Chiane.
Pertanto priegho la IVI. V. li piaccia voler mandarmene uno de quelli
qui ad Camarino, al qual parendoli si possa fare li darrò in le mano
et con utile et non parendoli si possa, mi levar<à fantasia de la testa
et lui non perderà li passi. Et di questo la M. V. mi farà gran pia-
cere. Offerendome ad quella con tucte mie facultà. Camereni XX'* ja-
nuarii 1458.
Julius Cesar de Varano Camerini etc.
(A tergo) [Magn]iflco viro
taraqunm [fratri] amatissimo lo-
[hanni Cosilie de
[Medicis] de Florentia.
IL
RICEVUTA DI UN LAPICIDA DA SETTIGNANO
A GIULIO CESARE VARANO (1)
(Camerino 12 luglio 1491)
Die duodecima mensis iulii 1491, Actuni in civitate Cauierini vide-
licet sub. logia comunis diete cìvitatis sita in centrata Medii iuxta plateaiu
comunis et iuxta domum heredum Pandulfi Francisci, presentibus Pe-
tro Paulo Bartholomei Fatii et Ser Macteo Venantii alias da Fratesacco
de dieta civitate Canierini testibus etc. Franciscus Mactei Fosini alias
Lancino de Septignano comitatue Florentie per se et heredes suos, sua
expontanea voluntate, fecit tìnem, quietationera etc. Ser Perluce Eva-
gneliste de dieta civitate et mihi notarlo infrascripto ut et tamquam
plenam et ouinimodam liceutiain impartiaris. Ubi vero quid opponi coutiii-
gat incontinenter rei nos vel apostolicani camerara quare predicta fieri non
debeat per tuas literas certiorare curabis. Datura Rome apud S. Petrum sub
anulo piscatoris die XVI mensis iunii MCCCCLVII, pontific. anno tertio /sic/
(Arch. Vaticano, Arra. 39, 8, e. 1^).
(1) Arch. not. di Camerino, Rogiti di Antonio Pascucci, Cred. 8, 1. n.
di posiz. 122,
— Ili -
publice persone ijresentibus et stipulantibus et recipientibns nomine
et vice 111. Domini lulii Cesaris de Varano Camerini etc. et eius here-
dibus de quadringentis decem et noveni florenis et solidis sexaginta
novem. ad rationem 40 bononenorum argenti prò quolibet floreno qui
sunt prò salario, coptumo et mercede ipsius Fraucisci prò toto conci-
mine lapidum et prò toto laborerio facto et quod dictus Franciscus
fieri ,fecit usque in pi'esentem diem inclusive eideni IH. domino tam
prò domo et in domo ipsius IH. Domini nuper facto quam in aliis
quibuscumque locis que omnia et singula laboreria et loca et quodlibet
predictorum dictus Franciscus et Ser Perlucas dictis nominibus volue-
runt et mandarunt in presenti instrumento haberi prò particulariter ac
sufficienter expressis ac si de ipsis ac quolibet ipsorum facta esset
mcntio specialis. Et hoc fecit dictus Franciscus prò eo quia ibidem
presente interrogante et acceptante dicto Ser Perluca et me notaro in-
frascripto dictis nominibus dixit, asseruit et piene confessus et con-
tentus fuit sibi fuisse et esse de dictis quadringentis decem et novem
florenis et sexaginta novem solidis denariorum integre et plenarie so-
lutum et satisfactum computatis omnibus denariis liabitis a dicto Ser
Perluca per ipsum Franciscum et alios eius nomine in grano, vino,
carnibus, pannis, rebus et bonis quibuscumque et tam a dicto Ser
Perluca quam ab aliis quibuscumque usque in presentem diem inclusive
et in pluribus et diversis vicibus et locis inclusis usque in dictum
hodiernum diem inclusive: liiis tamen pactis expresse liabitis et flrmatis
inter dictos contrahentes quod in presenti quietatione non intelligatur
ncque sit modo aliquo inclusum sed penitus exclusum et reservatum
laborerium factum et fieri factum per dictum Franciscum in monasterio
Sancte Giare de Camerino (1): item quod dictus Franciscus usque ad
(1) Con atto del 4 gennaio 1484 (Rog. di Antonio Pascucci arch. not. di
Camerino) Giulio Cesare consegna il monantero di S. Chiara al padre Dome-
nico da Leonessa, vicario generale dei Minori Osservanti nella Marca ed
assevera di avere costruito il monastero stesso « suis sumptibus et magnis
impeusis ». Se non che Camilla Varano (la Beata Battista) datava le suo
lettere dal monastero di S. Maria nova: il che vuol dire che il luogo ritenne
per qualche tempo V antico nome impostogli dal fondatore Giovanni Varano
Cf 1385) che vi stabilì gli Olivetani. Se ne può inferire che Giulio Cesare
non fabbricò il convento dalle fondamenta, ma ampliò ed adattò per le mo-
nache di S. Chiara V antico monastero degli Olivetani. A questi fu dato
1' altro monastero di S. Gregorio e di S. Maria di Coldibove arricchito (ro-
— 112 -^
festura omnium Sanctortim proxime futurura teneatur et debeat in
bona forma ad dictum boni magistri facere de lapidibus quatuor arma
in spiculis cortili» diete domus dicti Illu. Domini secundum designimi
factum per prefatum Illu, Dominum lulium Cesarem et similiter teneatur
et debeat reactare sive reacconciare omnia concimina lapidum de dicto
cortile diete domus in bona forma et ad dictum boni magistri videlicet
illa concimina facta et fieri facta per dictum Franciscum videlicet illa
concimina que non essent bene facta per dictum Franciscum vel ipsius
Francisci ministro» vel aliquem ipsorum Francisci et ministrorum suorum
similiter usque ad festum omnium sanctorum proxime futurum. Item quod
nsque ad dictum terminum dictus Franciscus teneatur et debeat facere
buccbam cisterne existentis in reclaustro diete domus eo modo et forma
proutdicit scripta facta occasione diete buccbe inter ili. dictum dominum
et dictum Franciscum. Et factis predictis, ut supra, per dictum Fran-
ciscum quod dictus 111. Dominus Julius. Cesar teneatur et debeat solvere
dicto Francisco prò sua mercede predicti laborerii trigintaquinque fio-
renos cum dimidio ad rat. 40 bononenorum argenti prò quolibet lio-
reno. Item quod dictus Franciscus teneatur et debeat dare et solvere
dicto Illu. domino medietatem XXVII ducatorum auri usque ad termi-
num predictum quos XXVII ducatos auri, ut dicebatur, babuerat dictus
Franciscus et Marcus Micbelis de Septignano a dicto Illu. domino in
ci vitate Floi-entie per manus Hieroniuii Gruidatii de Florentia nisi
dictus Franciscus intra dictum terminum monstraverit dictum Marcum
restituisse dicto Illu. domino dictos XXVII ducatos auri. Item quod in
presenti quietatione non includantur ncque inclusi intelligantur sed
penitus exclusi XV floreni quos dictus Franciscus, ut ipse asseruit, de-
bet recipere ab spetialibus personis de civitate Camerini occasione
stratarura et acconciraine ipsarum (1) usque in presenteni diem. Item
gito di A. Pascucci 13 nov. 1493) colle proprietà di due altri monasteri
(delle monache di S. Maria de Silva e dei monaci di S. Pietro di Elee) e della
chiesa di S. Michele di Antico, Il Lili (II, 237) ebbe notizia della consegna del
monastero di S. Chiara e scrisse che essa fu fatta al confessore della Beata
Camilla. Che tale fosse il padre Domenico da Leonessa non risulta in ni un
modo.
(1) Poche erano le strade selciate (per lo più con mattoni) anche nel
Cinquento. Tra i lavori edilizi di Giovanni Maria Varano il diario di Pie-
rantonio Lili ricorda la selciatura di una strada: « 1509. Lu lU.mo signor Gio.
Maria fece sfasciare li balcunl di Lorenzo e tirare inderetro le case di Pe-
— 113 -
quod in presenti quietatione non includantur contenta in quadam
scripta dieta die facta per dietimi Ser Perlucam inter dictum ili. do-
niinum et dictum Franciscum que scripta et contenta in eo sunt pe-
nitiis exclusa a presenti quietatione quia sic actum pactuni et expresse
conventum extitit inter dictos contrahentes etc, Eenumptians dictus
Franciscus etc,
III.
«SUMMARIO DE TUCTO INTROITO DEL STATO DE CAMERINO» (1)
In primis per focili, dative et lioniini del contado et de la cita de
Camerino come particularmente in questo [libro] fiorini 12028, soldi
XIIII, denari X ad grossi X per fiorini:
Item per XII (2) t<irre reconimendate et per
tripaulo de lu Sborghero e quelle de li lieredi de m. Matteo e molte altre
e foce li quattro pantiglie in nella piazza di corte e fé lu jardino canto la
casa di quelli di Salambè [SalimbeneJ 80[>ra la fonte di Cisterna e fece mat-
tonare la strada canto la casa di Gio. di Nuccio ». -Bib. Valent. Carte
Liliaiie, II, 71''.
(1) « Ragioni e descrizione del ducato di Camerino » e. 86^ e segg. in
Archivio Estense dì Modena.
(2) Il ms. ha chiaro XII: ma conosciamo solo nove terre raccomandate, cioè
quelle di' cui fa menzione lo statuto di Camerino (e. 15'', ISO""): S. Anatolia
Sefro, Serrapetrona, Camporotondo, Poggio [ Poggi osorri fa], Dignano, Rocchetta
Percanestro ed Elei. Di queste, appunto perchè raccomandate, tace l'inventario
del 1,502 nel novero delle torre e dei castelli. Non sapremmo dire quali siano le al-
tre tre, se pure si debba escludere un errore di trascrizione. Non crediamo che
possano essere Macereto (Visso ?) Pastinia (?) Appignano (nel territorio di Ascoli?
cf. Dizionario geografico delle Marche in Ciavarini C. Collezione di documenti storici,
I, 22 e 42, Ancona, 1870. Il castrum Appignani potrebbe anche essere quello vici-
no a Treia): luoghi sui quali accampava ragioni il comune di Camerino (Statuto
e. 13^). Di sei delle nove comunità rurali o terre raccomandate a noi note
conosciamo lo statuto, garanzia di una ristretta libertà amministrativa: S.
Anatolia, Serra, Camporotondo, Sefro, Poggio e Rocchetta. Ma nel Seicento,
giusta la relazione del card. Casanata, solo le prime quattro godevano ancora
di qualche parvenza di autonomia.
8 — itti e Memorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912,
— 114 —
li hebrei in questo f. 1193, soldi
78 ad dieta rasione F. MCXCIII S. LXXVIH
Itera per le guardie se fanno in la cipta cioè
per la graveza posta a tucti li homini
da XV anni in su che provengono
da et da pontature che ne cavava
sotto sopra el S"". lulio, pagati li oflSciali
et portenari et altre spese come appare
in un foglio in questo fiorini septecento F, Dl'C
» per se rescotono da le castella acor-
date per le guardie come in questo appare F, CCCXXr S. LXIIII
» la gabella de la [carne?] se ne ca-
va sotto sopra, uno anno per 1' altro,
trattene le spese F. MCCCC
» la gabella del vino dentro et di fora
se ne cava l'anno, trattene le spese circa F. D
* le banche de la ciptà, cioè quatro ban-
che sondo vendute l'anno fiorini cento F. C
> le beccane del conta de Camerino se
vendono l'anno come in questo fiorini F. CLX ..
» la gabella de la se vende l'anno F. C
» lo oflìcio de la staterà se vende l'anno F. CXX
» lo officio del sale spaccia 1' anno ra."
[migliara] 400 in iSO quale ha receuto
in Tolentino a bolognini 17 lo cento
et per vecture se paga bolognini 2 per
cento et in Camerino se vende 33 Y3
al cento che se ne guadagna fiorini 2
soldi 40 del migliaro, in tutto . . . F. M
» la gabella de la feccia se vende l'anno F. XXXXV
In segno di sudditanza offrivano il pallio nella chiesa di S. Venanzio il
giorno della festa (18 maggio) le terre di : Rocchetta, Monte S. Polo (oggi
Montecavallo) e Poggio Sorrifa. Offrivano nn cero: Gagliole, Dignano, Per-
canestro ed Elee, Valle S. Angelo, Rocca Maia, Sentino. Da una descri-
zione della festa di S. Venanzio nella, seconda metà del Cinquecento pub-
blicata da Camese (M. Santoni) in Appennino, Vili n. 16^ Camerino X5
piaggio 1883,
— 115 —
» lo ofl8cio del apprezo fa 1' anno circa
f. 140 che prevene allo levare de la libra
ad uno et ponere ad l'altro . . . . F. CXXXX
» per lo salario de li balii da diverse ca-
stella, pagano F. CLXV
» li malefitii sogliono fructare l'anno circa F. M
» lo officio de danni dati fructa 1' anno
circa F. ce
» li pasculi de le montagne se vende
l'anno F. DCC
Itera de molina 22 se affictano 1' anno some
1615, che a fiorini 4 la soma vaglia-
' " m
no, come appare in lista F. VICCCCLX
Item de le possessioni frutta l'anno cioè se-
cundo l'anno passato se ebe grano so-
me 1038 7^ che a fiorini 4 la soma
summa F. IIIICLIIII
Item fu ricolto in ditto anno orgio some 45
coppe III che a fiorini 2 la soma monta F. LXXXXI, s. XL
Item fu ricolto in ditto anno spelta some
1039 che a bolognini 50 la soma monta F. CCLVIII, s. XL
» fu ricolto in ditto anno fava some 4 che
a fiorini 4 la soma monta . . . . F. XVI
» de vino some circa 950 si pò ricogliere
1' anno in vigne XVIII haviva lo Si-
gnore deli quali se ne abatte per acon-
ciare diete vigne some 350, restano
some 600 vale fiorino uno la soma , F. DC
» per some 4500 in circa de fieno, se
stima faranno el piano de Serravalle,
el piano de monte Laco, el piano de
Pioraco, el piano de Beldelecto, li prati
del Parco, el prato de Canalecchio (1)
el prato de Ruitino (2), el quale non
(1) Canalecchio o Cananecehio casale, proprietà dei Varano, nel bacino del
Fiastrone a S. dell' Abbadia di Fiastra e a NE di Urbisaglia.
(2) liovetino teoimeuto con rocca, a Sud di Montalto in provincia di
Ascoli Piceno, proprietà di Giulio Cesare Varano,
— 116 —
se trova mai ad vendere tucto: se ne
pò cavare 1' anno netto F. CCC
» le raolina dell' olio cioè una casa ad
Valcimarra; la macena de Borgiano, la
ttiacena de la Pievefaveri, la macena de
Vistignano, tucte sondo macene del Si-
gnore, fructano quartaroni XXVIII de
olio 1' anno et per le molina de Croce
ne pò haver 1' anno quartaroni dui de
olio, in tucto quartaroni 30, vagliono
ad fiorini doi lo quartarone . . . . F. LX
» per pesone de diete case non obstante
ce sondo de le altre pagano come ap-
pare inventario in questo . . . . F. XX
» el laco de Pioraco se vende l'anno . F. L
Item lo carnevale, la Pasqua et Io Natale
sondo costumati che li contadini presen-
tano lo Signore fra tucti circa para 360
de pulii quali lo Signore li donava la
maior parte ad eoi ciptadini ....
Item parte de' nostri vellani pagano 1' anno
soma una di paglia 1' anno per foco
che ne posseva bavere circa some 1200
1' anno la quale se frugava in la corte
del Signore
IV.
CARME DI FABRIZIO VARANO
IN LODE DI FRANCESCO GONZAGA
DOPO LA BATTAGLIA DI FORNOVO
{6 luglio 1495)
Fabrititis Varanus ad Ill.mum Principem Mantuanttm (1)
Assertor quondam patriae post fata Camillus
Contudit audaci gallica gaesa manu
(1) Biblioteca A. Fahretti di Perugia Cod. C, 61, e. 125'
— 117 —
Expulit Italia Brennuin, gentemque superbam:
Ob rneritum facti fama perennis erit.
Hannibalem edoniuit Fabius cunctando: sed acer
Marcellus docuit cedere posse ducem.
Ista Syracusium superavit fama tiiumpliura,
Romulidum fastos fortia facta replent.
Sed tua qui annales capient? qui plurima fasti
Gesta? quis aeternae conditor historiae?
Marcellum superas referentem et signa Camillum
Et Fabium: istorum quod fuit unus habes.
Gallorum vinci docuisti posse tyrannum
Sol US: et liostiles pila ti mere manus.
Nam secus: Ausonias dura baccliaretur in urbes,
Parthenopes postquauì coeperat imperium.
Indoraitum subito domuisti Marte furorem:
Testi» sanguinea per vada Taurus aqua.
Quin et ab Italia per te rex gallicus ommi
Pellitur: o nostro tempore Martis bonor!
Te quoque barbaricas nunc insectante catervas,
Alpinas nollent transiliisse nives,
UtquH olira incensam extiuxerunt sanguine Romam
Sanguine delebunt sic Latii opprobrium.
In te omnes vertunt oculos: age, redde paterno
Fernandum solio: laurea certa manet.
Conspirant Superi: pervix Victoria tecum est:
Adventum trepidat barbara turma tuum.
Fulmina Martis babes tecum, terrorque metusque
Ensiferi armisonum concomitantur iter.
Mantua surge, novum produc veneranda Maronem
Qui canat ardenti raartia bella tuba.
Materiam tribuis superet quae temporis huius
Ingenia, Andinae vix adeunda lyrae.
Me tua, surame Ducum, audentem clementia reddet
Bella quibus poterò dicere carminibus,
Qui licet eloquio cedam raaioribus, ipsa
Materia priscis anteponendus ero (2).
(2) Per Isi battaglia di Foruovo e le compoaizioni poetiche cui diede
— 118 —
Nel medesimo codice miecellaneo si trovano altr^ 24 composizioni
poetiche di Fabrizio Varano delle quali, per quanto ne sappiamo, solo
tre sono note per le stampe. Diamo qui il primo verso di ciascuna:
1 Quid cessas, mea Musa? quid mor arisi . . . a e. 21^
2 Si potuit quondam chara prò coniuge vates . . e. 43'"
3 Claudus habet Venerem faher: est Vulcanus: hahebor e. 44^
4 Vtilcani duo sunt: Me Thuscus, Lemnius alter . . ibid.
5 Phrix ardet: dat vela; Helenam rapii, armai Ahrides ibid.
6 Conveniuni magnis si distica parva triumphis . . ibid.
7 Tres Laedam pereunt fratres: Lycus, Ornitus, Astur e. 55^
8 Alphoene, o nimium chare et amabilis e. 56'
9 Hxprimit ars totam parva sub imagine Cyprii . . e. 123^'
10 Ars clausit Venerem parva sub imagine totam . . Ibid.
11 Marmoreas premerei cubitis cum Leda fenestras . ibid.
12 Vade Bheatinos celerà proficiscere in agros ... e. 124'
13 Natura humano cedai superata labori e. 125''
14 Cum meo doctiloquo celebras epigrammata cantu
15 Quo Ubi, Petre, litem plectrof qua largus acerra
16 Quid varios qnereris casus f quid saeva minacis .
17 Quid Ubi cum tenera nimium crudelis amica .
18 Ve Ubi, ve extremam video perusina, ruinam
19 J, nunc perfacilis legi Poeta e. 18'
20 Me quoties vili tectum videbis amictu e. 59'
21 Dura viro semper fuit et contraria coniunx ... e. 108'
22 Funde prius gelidos a vertice, lupiter, imbres . . e. 114''
23 Cum tuo Phoebeo modulata epigrammata plectro . e. 121''
24 Qui Superum tanetos curam negai esse
e.
126'-
e.
126'
e.
128"-
e.
133-^
e.
15'
e. 121^
I carmi n.<^ 16 e 23, tratti da altro codice della stessa biblioteca
di Perugia (60, 306), furono pubblicati da Giancarlo Conestabilk,
Memorie di Alfano Alfani. p. 179 e 102: il n. 18 si trova in Vermi-
gligli G. B. Memorie di Iacopo Antiquari, Perugia, 1813, 342. Questa in-
vettiva contro un Giorgio Spreti, elevato immeritamente a una catte-
dra dello studio perugino, ricorda alcuni di coloro che ivi avevano
insegnato con plauso universale. Tra essi è invocato un Francesco, che
luogo vedi Luzio-Rekier, Francesco Gonzaga alla battaglia di Fornovo, secondo
\ documenti mantovani, in Aroh. storico italiano, Serie V, t. VI, 1890.
— 119 —
è Francesco Matiiranzio, il noto umanista e cronista perugino e non
lo stesso Varano, come credette A. Della Torre {Paolo Marsi da
Fescina, Rocca S. Casciano, 1900, p. 37), tratto in errore dal Vermiglioli
che nelle Memorie per servire alla vita di Francesco Maturanzio, Pe-
rugia, 1807, 169 equivocò nel nome del Varano, ribattezzandolo in
Francesco. Corresse poi 1' errore in Biografia degli scrittori perugini,
Perugia, 1829, II, 112-113. '
Il Maturanzio fu in assidui rapporti col vescovo di Camerino e
forse lo visitò nella sua diocesi. Nel carme indirizzato a Fabrizio (ci-
tato dal Vermiglioli nelle Memorie di Maturanzio (p. 109) e contenuto
nel codice perugino C. 61; comincia: Antistes populi decus camertis)
fa dolce rimprovero all'aulico di trascurare le muse per gli studi giuridici
e a proposito dei cospicui proventi del Varano ricorda i fertili campi e
la carta di Pioraco. I titoli dei due brevi carmi di Fabrizio da noi
qui sopra segnati coi numeri 9 e 10 « De imagiincula Veneris apud
Ducem urbinatem e De eadem Venere » ci fanno pensare alla Venere
che per mezzo di Cesare Borgia ottenne Isabella D'Este nel 1502. Cf.
Luzio-RenieR;, Mantova- Urbino 138-139, 179.
II Lancellotti {op. cit. 44, 45) diede in luce due epigrammi del nostro
Fabrizio in lode del Lazzarelli e in nota fece ricordo di una medaglia
in onore di Fabrizio Varano, da ascriversi al secolo XV, posseduta
dai Pieiagostini e fatta incidere nel Settecento da Giuseppe Antonucci
per adornare la storia del Lili. Evidentemente è la terza delle meda-
glie dei Varano pubblicate dal Litta (Famiglia Varano). Sebbene il
motto « Delectans calamos dulciter ore ciet » la figura di Euterpe e
il nome di questa musa in greco ben si addicano al nostro poeta,
pure non si i^uò credere che fosse coniata nel Quattrocento per lui,
ostando 1' assenza di simboli della dignità vescovile e le parole: « ex
Camerini due. ». Il titolo ducale nei Varano è posteriore alla morte
di Fabrizio. Verosimilmente il Fabrizio di questa medaglia è il figliolo
di Ercole che fu cavaliere di Rodi e morì nel 1553 (Litta, tav. III).
Vedi 1' iscrizione tombale di questo Fabrizio, dove, però, manca la
qualità di cavaliere di Gerusalemme, in Galletti, Inscriptiones Piceni
Bomae extantes, Roma 1761, 111.
UN' ORAZIONE INEDITA DEL CAED. ZABARELLA
PER LE NOZZE DI BELFIORE VARANO
CON GIACOMO DA CARRARA
Nel codice 5513 della Palatina, oggi Biblioteca di Corte
in Vienna, si conservano, inedite, due orazioni del Card. Fran
Cesco Zabarella (1), composte e recitate, secondo Angusto Kneer,
che, in una sua breve monogratìa sul celebre umanista, le ad-
ditò per il primo, (2) in occasione del matrimonio di Belfiore,
figlia di Rodolfo III Varano (3), con Giacomo, secondogenito di
Francesco Novello da Carrara. La speranza di integrare, con
nuovi dati di fatto , il racconto, che di quelle nozze si leg-
ge nella Cronaca Carrarese, (4) m' indusse a procurarmi copia
dei due discorsi, e sebbene ciò non abbia giovato affatto al
mio assunto, pure non mi sembra inutile pubblicarli, e aggiun-
gere così un documento nuovo all' operosità letteraria e poli-
(1) Tabulae codicum manuscriptorum praeter graccos et orientales in Biblio-
theca Palatina Vindobonensi aaservatorum. Edidit Aoademia Caesarea Vindobo-
nensis, Volumen IV, Vindoboiiae, 1870, p. 146.
(2) Kneer A. Kardinal Zabarella fFranciacus de Zabarellis, Cardinalis Flo-
rentinus 1360-1417). Ein Beitrag zur Geschichte des grosaen abendlàndiachen
Sohismaa, Erster Teil. Mlinster, 1891, p. 31 n. 3.
(3) Del nome di Belfiore (il Luta IV, Varano tav. 2*, la chiama Co-
stanza), della sua discendenza da Rodolfo III, (il Gatari, Cronaca Carrarese
in ms. Marc. It. FI, 37, e. 571 la dice figlia di Gentile e sorella di Ro-
dolfo) della sua identità con la sposa di Giacomo da Carrara, credo non si
potrà più discutere quando saranno edite, come spero, le lettere del Co-
piarlo Marciano della Cancelleria Carrarese (Mss. Lat. XIV 93), dove sono
largamente documentate le trattative preliminari al matrimonio.
(4) Gatari - Cronaca Carrarese in E. I. S. XVII, col 862 e M«. Marc.
cit. tratto dall' originale.
— 122 -
tica dello Z, e una testimonianza storica diretta, per quanto
vaga e insuftìcente, alla narrazione del Gatari. Ma sono vera-
mente due le orazioni e due le circostanze solenni — 1' arrivo
della sposa e la funzione religiosa — in cui furono pronuncia-
te? Lo Kneer, che non se ne occupa di proposito, non s'av-
vede, che la supposta seconda orazione (e. 210a - 210b del
codice) non è se non la riproduzione, in forma un po' meno
scorretta, della seconda parte della prima: (e. 107a 108b) Vide-
hunt omnes (da e. 108a) preceduta da un titolo fittizio « In
matrimonio et nupciis »; (1) e che il cronista fa tutt' uno del
solenne ingresso di Belfiore e delle feste pel matrimonio, e,
come non parla di discorsi nuziali, così non fa menzione di
alcun rito solenne (la desponsatio cum anulo era già avvenuta
nel dicembre 1402 a Camerino) che ne porgesse motivo (2).
D' altronde, anche accettato come sta il racconto del Gatari,
a cui, dove non esistano prove di fatto contrarie, non si può
ragionevolmente negar fede, è pur vero, che la seconda parte
del prin)o testo, 1' elogio cioè degli sposi e delle loro illustri
famiglie, riprodotto nella così detta seconda orazione, è com-
piuto in sé, sebbene possa sembrar troppo vago, troppo breve
ed unilaterale data la circostanza e 1' oratore, di cui si cono-
scono ben altrimenti notevoli saggi — ad es. l' orazione in
morte di Francesco il Vecchio da Carrara, che ha valore di
documento storico — ed è anche vero, che la prima parte —
una serie di considerazioni filosofiche generali sul matrimonio,
malamente ripresa in due periodi e bruscamente troncata —
si lega male con la seconda, anzi richiede, di necessità, uno
svolgimento e forse una conclusione a se.
Comunque sia di ciò, il testo, nella prima trascrizione, al
l' infuori di qualche incertezza di senso, dovuta ad errori di
^
(1) Le varianti di questa seconda copia, (e. 210a-210b del codice) che
spesso correggono il testo errato della prima, sono riferite in nota.
(2) Anche ammettendo con lo Kneer, che si tratti realmente di due di-
stinte orazioni, la prima dovrebbe, pel contenuto, riferirsi alla solennità delle
nozze, la seconda all'arrivo a Padova, e non viceversa, come par che egli
eroda (op. cit., loc. cit.).
— 123 —
copia, lascia senza risposta altri e ben piìi interessanti quesiti
d' indole storica.
Quando fu recitata l'orazione nuziale? Nel 1412 dice il
manoscritto, cioè, rettifica lo Kneer, nel 1402; ma è invece certo
che Belfiore Varano giunse a Padova dopo il 18 febbraio
1403 (1) e cioè, probabilmente, il 22 di quel mese, come si
legge nella redazione Marciana, più autorevole, della cronaca
del Gatari (2). Dove fu recitata! A Padova certo, e giova cre-
dere alla presenza degli ambasciatori Veneziani e Viscontei, di
cui parla il Gatari, se pure, in mancanza di un esplicito ac-
cenno, si può tener in conto di prova negativa il prudente
riserbo dell' oratore ufficiale, a cui P occasione solenne avrebbe
dovuto naturalmente suggerire parole di aperta lode per la
fermezza invitta di Francesco II, il coraggio il valore dei tìgli,
Francesco ILI e Giacomo (lo sposo), nella lunga lotta sostenu-
ta contro il nemico ereditario, di cui era vivissimo ancora il
terrore e il ricordo. Più facilmente si giustifica il silenzio sulla
pace, non chiesta e non voluta dal Signore di Padova, con la
duchessa di Milano (7 dicembre 1402); (3) di cui un cenno sa-
rebbe stato certo troppo fastidioso al Principe Carrarese, ma
non inutile a noi, tardi indagatori del passato, sopratutto per
ristabilire, con una nuova testimonianza, la cronologia dei due
(1) Il 4 febbraio 1403 Francesco II scriveva alla Repubblica di Venezia,
d' aver provveduto a che, il 18 di quel mese, Belfiore Varano giungesse ad
portum primarij Ravenne, dove egli, lo sposo ed una comitiva di nobili Pa-
dovani, si sarebbero recati ad incontrarla (A. d, S. V. Misti Senato, XLVI,
e. 63t,).
(2) Finché non sia compiuta la stampa della Cronaca Carrarese, nella
nuova edizione dei B. I. S., il testo dato dal Codice Marciano It. VI 37
si può considerare come uno dei più attendibili, perchè tratto dall'originale:
cfr. Medin a., La cronaca di Bartolomeo Gatari, secondo il codice 262 della
Nazionale di Parigi, Venezia, 1897, p. 16.
(3) Cfr. Romano G. La pace fra Milano e i Carraresi del 140S in Ar-
chivio Storico Lombardo a XVIII, 1891, pp. 841-857 e Pastorello E.
I preliminari della pace fra Milano e i Carraresi del 1402 in Nuovo Archi-
vio Veneto Nuova Serie Anno XI, T, XXII di prossima pubblicazione.
— 124 —
avvenimenti, che il cronista ha invertito (1). L' orazione dello
Zabarella, ridotta, così, per forza di circostanze, ad una dis-
sertazione filosofica sul matrimonio, su la potenza e la gran-
dezza delle due illustri famiglie alleate, su le facili speranze e
le ])romesse del futuro, non appare oggi soltanto manchevole
e fredda, ma quasi ironicamente crudele. A tre anni di distanza
la vantata abilità politica dei Carraresi doveva infatti mutarsi
in audacia fatale, la pace invocata in guerra sterminatrice:
1' auspicato legame doveva tragicamente spezzarsi. Prima che
Venezia stringesse d' assedio Padova, con le armi vittoriose,
Belfiore Varano, forse prossima a divenir madre, usciva dalla
città, rifugiandosi alla corte paterna (2) e, pochi mesi dopo,
Giacomo da Carrara, caduto prigioniero in Verona, periva
strozzato, col padre e col fratello, nelle carceri della Serenissima.
E. Pastorello
n
(1) Come è noto, secondo il Catari, gli ambasciatori Viscontei interve-
nuti alle nozze, (22 febbraio 1403) avrebbero aperte le trattative, che con-
dussero alla pace fra il Carrarese e la vedova di Gian Galeazzo, (7 dicem-
bre 1402) pace pubblicata, secondo la redazione del codice Marciano « lo di
de paschua de maQo » (1403). Lo Zabarella accenna si alla pace politica come
conseguenza diretta del matrimonio: per quam {oelehritatem nupciarum) quod
Inter humana. solum inviolabile pignus Maro ait pax acquiritur; ma 1' espres-
sione è troppo vaga, ed è, ad ogui modo, contraddetta da inoppugnabili
documenti.
(2) Neil' Archivio Notarile di Camerino si conserva un indica del libro
di entrate e spese di messer Rodolfo Varano, dell' anno 1405. Fra le uscite
vi è una rubrica, per alcuni forestieri e congiunti, così registrati: Bellafiore
et sol famigli et compagni Santoni M., Sigillo di Rodolfo Varano da Ca-
mesino in Bullettino di numismatica e sfragistica per la storia d' Italia. Came-
rino, 1884, V. II, p. 51. Devo la notizia, che conforta la testimonianza
del Gatari, alla cortesia del Conte Romani, bibliotecario della Valentiniana
Comunale di Camerino, (1. del 10 II 11) che beu volentieri ringrazio.
— 125 -
PRO MATRIMONIO CONTRAHENDO ETCETERA
F. ZABARELLA CARDINALIS FLORENTINUS 1412 ETCETERA
« Non est bonum liorainem esse solum, faciaraus ei adiutorinm si-
mile sibi » Oenesis nj° (1). De coniugio nerba facturus te suniinum ac
clementissiinum institutorem Deuni supplex prosnftragio postulo, qui,
ut ait Maro, « res liominum qne deura que eternus (sic) regia jnipe-
rijs et fulmine teres » (2) et hac spe fretus verba resumrao thematis:
« Non est bonum etcetera.
Eternus et omnipotens Deus, cum in mundi primordio conniugium
statueret, tria depromisit in eo ceteris celsiora: necessitatem, commo-
ditatem, conformitatem; potissima quidem necessitas, felicitatis liumnne
creatura, ea est, qua, quod ei bonum non est refugit, assequitur quod
est bonum, summam liinc nacta felicitatem, de qua preclare Philoso-
phus, Ethicorum primo: « vnde enuncciaverunt bonum quod omnia
appetunt » (3). Jgitur quia non est bonum hominem esse solum, con-
niugium Deus instituit, quo, per consuetudinem ulte non diuiduam, ven-
dicando felicitati alter alteri foret adiumento. Commoditas autem homini
nulla maior, in mortalitate liane, (sic) nisi conniugio recte conquirit
(sic); Jn hoc enim, per prolem, uti quandam ymaginem sui reuirescit;
de hoc eleganter Cycero: « Comune animantium omnium est coniun-
cionis appetitus, procreandi causam, (sic) et cura quedani eorum que
procreata sunt » (4) hac legalis sanctio, hac appellat naturale; vnde
procedit maris et femine coniunctio, quam nos matrimonium appella-
mus. At conformitatem, nullis in rebus ita natura desiderat quem
admodum in conniugio, hinc jllud: Si qua uoles apte nubere, nube pari.
« Jungamus uicissim connubia » Oenesis xxxiiij*-'^. (5) Celebraturi cou-
(1) Gknbsi, II 18 (Martini) Dixit quoque Dominua Deus: Non est bo»um
esse hominem solum: faciaraus ei adjutorium simile sibi.
(2) Eneide, I, 229-30 (Ribbeck) adloquitur Venus: 0 qui res hominumque
deumque |] aetei-nis regis imperiis et fulmine terres.
(3) Etica Nicomachea, I, 1, (Biehl) 8tà xaXwg àuecpTìvavco xàyaóóv, òò
Tidvx' scpCsTat,.
(4) De Officiis. I, IV, 11 (Mueller) Commune item animantium omnium est
coniunctionie adpetitus procreandi causa et cura quaedam eorum, quae procreata
sint ;
(5) Genesi XXXIV, 9, (Martini) Et jungamus vicissim connubia: filias ve-
stras tradite ìiobis, et filias nostra» acoipite.
-- 126 —
niugiura inclitura conniugiorum, et liomimim atque oniniuin auctoreni
Dcum in suffragium supplices aduoceimis, cum Merone perorantes « 0
pater, o bominum rerum que eterna maiestas * (1) cni magnifice voci
euperadiciaraus , cum Sacra Scriptura , deuotam orationem Hester
xiij Regine,' ut, prò cunctis, ego vocem humilem promani qnam et
ipsa depromsit, ad Dorainum inquiens: « Domine mi, qui rex noster
es solus, adiuua cuins preter te nullus auxiliator est alius ». (2) Tri-
bue sermonem conpositum in ore meo, ut, in conspectu tante subli-
mitatis, tamquara (sic) fulgentis ac numerosi cetus, ac astancium co-
rone, quod corde concepi non inepta uoce pronuncciem. Quod ut exe
quar, in auspiciis posita nerba reicero que fuere: « jungamus inuicem
connnbia », cum plurime possint occasiones afferri, quibus conniu-
ngium uterque (sic) profert solute uite connubium, cum maxime tribus
bonis conniugij subarrati(?) conplectentibus, consonum est; ut prouo-
centur tria sunt: proles, sacrum, fìdes; bec ordine nuinerentur De
condicionibus appositis in desponsacione e' si et sumitur ab Angustino
in libro « De bono conniugali » tamen sumptum xxxij. q. ij. solet
etcetera (3).
(a) « Videbunt oranes salutare Dei » Ysaie lij capitulo (4) Salutare
nostre urbe (sic) conniugium principes et patres optimi feliciter cele-
braturi, suramo Numini tam immensi tam in (b) fausti sui muneris et
dati gloriam et accepti graciam refferamus. Cum enim que agiraus
bona, horum omnium auctorem Deum et senciamus sapienter et uera-
citer asseramus, quo magis id cogitare, dicere, affirmare possumus ac
debemus de hac felici nupciarum celebritate, que non modo bona est,
(a) A questo punto si inizia la seconda trascrizione. In matrimonio et
nupcijs (b) ommette
(1) Eneide, X, 16-18 luppiter haec paucis: at non Venus aurea cantra
panca refert:
« 0 pater, o hominnm rerttmque aeterna poteatas.
(2) Ester, XIV, 3 (Martini) Et deprecahatur Dominum Deum Israel dicens:
Domine mi qui rcx noster es solus, adjuva me soUtariam, et cujus praeter te
nullus est auxiliator alius.
(3) S. Agostino Operum, Tomus VI, Autverpiae, 1701 De bono Conjugali
XXXII (col 247) Haec omnia bona sunt, propter quae nuptiae bonae sunt, pro-
les, fides, sacramentuni.
(4) Profezia D' Isaia, LII, 10. (Martini) Pararit Dominus brachium san-
ctum suum in oculis omnium getitium: et videbunt omnes flnes terrae salutare
Dei nostri.
— 127 —
sed infinitorura (a) quoque bonorum fona quideiu et cumulus, ut potè
qua uibium et populorum multorum clarissimi principes affinitate, qua
earundem (b) principuui domus jllustres bine Carrarienaium, Jlliuc de
Varano amicicia, qua ipsarum urbium singulì amore beniuolentia so-
ciantur fcj, per quam earundem urbium rebus pnblicis uires, copie,
presidia coraparantur, privatis (d) obtinet (sic) tranquillitas, et quod,
inter humaua, solum inuiolabile pignus Maro ait pax acquiritur (1),
nostre antera reipublice dinturnitatis spes bine oritur, et poene im-
mortalitatis, quia ex preclarissimo Carrai'iensi genere, per lioc felix
(e) connubi ura, pi'ogeniera speraraus vnde nostre urbi protectionem et
augmentum, diuini et bumani juris conseruacionem in nobis ac rebus
nostris omnibus, et ampliacionera nos confidimus babituros; ex hoc
facile licet intueri qua leticia, quo gaudio bine afficiamur cuni uidearaus
et certam nobis in presenti tribui, atque (f) futuris seculis cum nobis cum
posteri» nostris, in dubitacione, (sic) proniittere felicitatem Nec nero
in banc spera adducimur quadam inani occasione, facilitate uè, seu
(y) levibus coniecturis, sed certa fide et ventate, vebenientissimis que
presumpcionibus. Si enim, quod ait Flachus, *« fortes creantur forti-
bus (2) dubitamus ex prole buius inclite Carrariensis domus vrbem
banc prospicere (h) gubernatum iri, (i) cura magnifici et orane probi-
tati clarissime (sic) (jj sponsi nostri Jacobi de Carrarea (k) genitorera
inclitnra, nostrum principem, suos que alios illustres inspiciaraus pro-
genitores tanta equalitate, tara ampia justicia, tara certa securitate
rem publicam nostram, a temporibus quorum inicij rara est memoria,
gubernasse? Ac ('^j ipsius quidem nostri principis et eraintìntissimum {mj
genitoris eius tamen (nj et {o) ani et (oj proaui, reliquorum fp) maio-
rum (q) res, prò salute nostri populi gestas, quis est tanto eloquij
flnraine, tara perspicati et excelso ingenio, tara ampia dicendi copia
tanta facundia, qui, aut digna oratione celebrare, ut (r) eciara (sj in-
digna refferre posse sperauerif? Hec ita que, quia, non laudibus extol
lere, non enuncciare vocibus, prò rerum magnitudine sufficimus, saltem,
(a) oinmette fino a utpote (b) illornm (e) senciautur (d) privatis ocium tran-
quillitas (e) ommette (f) tribnat que (g) ommette (h) prospere (i) gnbernatain
juri (j) clarissimi ,(k) Carraria (l) At (m) emineutissinii (n) cum (o) ommette
(p) et aliquorum (q) aliorum (r) aut (s) eciam non
(1) Eneide, XI, 362-63 nulla salns bello: pacem te poscimus oniìies,
Turne, aimul pacia solum inviolabile pignus
, (2) Carmina, IV, IV, 29 Fortes creantur fortibus et bonis;
— 128 —
quod cnique licei, nobiscam taciti reputemus, Deum suppliciter oran-
tes, (a) ut buie illustri doniui, vnde nobis omnibus tot prodeunt bona,
feliciter asaistat, quo sit et prole numerosa, et viris fortibus ampia,
et posteritate diuturna, inuicto eciani nostro principe (b) domino
Francisco de Carrariensi, (e) et suo glorioso primogenito domino Fran-
cisco, militi premagniSco, ceterisque magnificis natie eius (d) longeui-
tatem tribuat, cum amplitudine felicitatis. Sed "et precipua quadam lon-
gitate (e) faueat buie (f) coniugio splendidissimo, ut sit sponsis
fortunatum, letum agnatis, aniicis gratum, et buie potissime urbi ((j)
regie salutifferumj ita bonis auspicijs consumabitur quod premisinius:
« Videbunt omnes salutare Dei » etc.
(a) exorautes (h) principi (e) Carraria (d) eiusdem (e) quandam largitate
(f) Glumette (g) urbe.
V^ fe^
DALL' ARCHIVIO GOVERNATIVO
DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO
IL CARTEGGIO ALLA REGGENZA: 1413 1465
Pubblicando — dopo qualche anno di attività diversa, — i
risultati di alcuni studii compiuti, per cortese concessione della
Reggenza allora in carica, nell'Archivio Governativo della Se
renissinia Repubblica di San Marino, mi sia permesso da que-
gli studii appunto rievocar le forme dell' antica cortesia, per
— con la frase sonora del Quattrocento — dedicare « spec-
tabilibus amicis carissimi», Capitaneis et Consiliariis Terrae
Pennarum Sancti Marini » queste pagine che fermano alcuna
eco della storia, della cronaca, e della vita de' loro avi, de'
loro conterranei, de' loro nemici del Rinascimento. Tra tutte
le serie del mirabile Archivio repubblicano piti rara, più pre-
ziosa, pili interessante parve al mio desiderio - e pare tut-
tora — quella delle lettere dirette alla Repubblica, da' pri-
m' anni in cui, cominciando il Quattrocento, si fa certa nel
carteggio Sanmarinese 1' indicazione cronologica, fin quando,
verso 1' alba del secolo decimosesto, anche lungo il Titano co-
mincia a salir 1' ombra delle tempeste di Romagna, che porte-
ranno fino in libera Repubblica il nome 1' audacia il dominio
del Borgia.
Qui non ve n' è che una parte: sufficiente però, io credo, a
destare in altri, più fortunato e meno emigrante di me, il de-
siderio di esplorare oltre ~ dietro la greve porta dell'Archivio
chiavata di ferro e difficile ad aprire, — le vecchie carte che
hanno in sé tanto spirito vitale e tanto interesse umano. Per
ciò m' induco a pubblicare questo saggio di studii, coi quali
molto mi piacque ridestare, pur nell' arida forma del riassunto,
9 — itti e Henorie della R. Dep. dì Storia Patria per le Marche. 1913.
— 130 —
tutto quel mondo di Feltreschi e di Malatesti, di arcivescovi e di
castellani, di dame e di condottieri d' arme; di uomini di toga,
di guerra, di corte e di ventura; di malviventi, di principi e
di umanisti; di monache e di vedove, di provvisionati e di
ebrei; di gente depredatrice e di gente depredata; die per la-
tino e per volgare, per mano i)ropria e per altrui, fra 1' Adria-
tico e 1' Appennino, fra la Marca e l' Emilia, dal Lamone
al Metauro, per diretta comunicazione come per devio tramite,
compie officio di legge o di cortesia, di necessità o d'amicizia,
di carità patria o di avvertimento ostile, inviando a mano
d' uomo o a dorso di mulo, le sue missive sul Titano. Ro-
ma qualche volta o Venezia portano fra le lettere così spicca-
tamente locali e caratteristiche delle loro località, 1' eco del
vasto mondo che si stende oltre gli usati limiti: e sono allora
elezioni di pontefici, alleanze, fatti d' arme, avvenimenti d' in-
teresse generale. O sono altrove, ancora, polemiche umanistiche
e pareri legali e questioni di famiglia e antagonismi di cam
panile; conflitti di competenza fra il Vescovo di Montefeltro e
1' autorità laica; litigi con quelli da Verucchio o dalla Valle o
da Kimini; amichevole corrispondenza con quei da Urbino o da
Castel Durante; — richieste e proteste e ringraziamenti e mi-
nacce.
Poiché eli' era sempre jìronta, la Repubblica tenace degli
odii e delle amicizie, a far dispetto a' nemici e cortesia agli
amici o a chi, pur senza essere amico, cortesemente ne la ri-
chiedesse. Cortese ella fu così, più volte, a varii, di grano,
di fanti, di maestri di pietra, di bestiame. E di arazzi al Co-
mune di Ri mini per il passaggio del cardinal Legato, di sten-
dardi al Podestà di Monte Cerignone per la festa di San
Marco, di maniscalchi al campo di Monte Maggio per ferrare i
cavalli d' Urbino, di ambasciatori all' assedio di San Leo })er
esortarne i difensori a non arrendersi; di alloggio a condottieri
d'arme come di ospitalità alle mogli e ai figli timidetti de'
limitrofi signori, quando la guerra e la peste minacciava.
Documenti di vita e di verità restano dunque i fogli di
questo carteggio repubblicano: grandi e piccoli, varii di aspetto,
— 131 —
di misura, di tempo, di i)roveiiienza, d' importanza, o corrosi
tanto da non recar piìi se non 1' ombra della scrittura antica,
o conservati così da mostrare ancor recenti i sigilli delle du-
chesse estensi, come se appena ieri li avesse rotti uno dei ca-
pitani destinatarii: i sigilli così belli e cosi varii, dall' aquila
giustinianea simile a quella che si è fermata nella pietra della
porta di San Francesco, al complicato stemma ducale degli ulti-
mi feltresclii; dall' anello episcopale del Monsignore feretrano
alla sigla del Malatesta, quale tìorisce ancora sullo smalto del
tempio ariminense; dalla medaglia dei conti di Verucchio alle
gemme classiche dei dottori di legge.
E così, varie e individuali le scritture, dalla nitidissima
calligrafìa di Sante d' Andrea da Serravalle noto pe' rogiti
riminesi, attraverso 1' eleganza degli Urbinati maestri di ogni
signoril gentilezza, e del magnifico signor Piccinino o dei
Malatesta, fino agli scarabocchi de' Carpegna, terribili uomini
davvero, se pur trattarono i nemici come trattano la penna
per latino e per volgare.
Intensamente e intimanjente può dunque rivivere anche
nell' arida forma del riassunto d'un carteggio, a chi ben lo con-
sideri, la vita repubblicana. Con studio ed amore molto « trassilo
io scrittore » dalla tranquilla solitudine del bello Archivio repub-
blicano; lieta se sia per restare — e per me che scrissi e per
chi leggerà o pure scorrerà solamente, e sopratutto per la Re-
pubblica cui fu nell'intenzione fin d'allora dedicato — testimone
di volontà cordialmente mossa ad onorare la Repubblica e la
Romagna nelle memorie del passato, bene augurando loro per
le fortune del futuro.
Amy a. Bernardy
1. — Andrea Paltroni Podestà di Monte Cerignone.
Monteceriguone, 5 agosto 141S.
Informa i San Marinesi della sua nomina a Podestà del Monte Feltro
V degli ordini ricevuti, di mettersi a loro disposizione « per tuitione
et conseruatione de La,uo8tra Liberta et pacificlio stato ».
— 132 —
2. — « Sorlionus de Stininis ».
Serravalle, 25 giugno 1415.
A proposito di un prato conteso fra Magalotto Castellano di San
Marino e « uno Sante del Pacino del medesimo loglio ».
3. — Antonio Petrucci Podestà del Monte Feltro.
Monte Cerignon«^ 16 settembre 1415.
Per chiedere una proroga nelle cause de' confini della Valle, con
poscritto del medesimo giorno sul medesimo argomento.
4. — Antonio Petrucci Podestà del Monte Feltro.
Monte Cerignone, 26 settembì'e 1416.
Dà un appuntamento per la delimitazione dei confini della Valle
rimettendo copia della lettera dei Capitani a lui medesimo in data 16
Settembre 1416 da San Marino.
5. — Guido Antonio Conte di Monte Feltro.
Urbino, 1 Gennaio 1417.
Chiede la restituzione di un certo terreno indebitamente tolto ad
uno della Valle.
6. — Guido Antonio.
Urbino, 22 settembre 1417.
Nominato arbitro per una condanna trasmette la sua sentenza.
7. — Guido Antonio.
Urbino, 20 mareo 1418.
Consiglia la reintegrazione del giuramento d' obbedienza ai Capita-
ni; discorre di altri affari interni di San Marino.
8. — Giovanni di Maestro Simone.
Urbino, 13 aprile 1418.
Avvisa di aver saputo che il Castello ha da esser tolto^ e sugge-
risce il modo di ripararvi: << amj editto de certo che senza fallo
« elcastello ve de essere tolto edeme ditto el modo elquale non posso
« scriuere amj parerla che se mudasse tucte le guarde dai palazzj
« questo non digo senza cascione et che de notte non se dormisse .... ».
9. — Guido Antonio (guasta).
Urbino, 4 maggio 1418.
Circa ad alcuni prigionieri a cui favore consiglia che si interponga
« lapellagione ».
— 133 —
10. — Guido Antonio.
Monte Cerignone, 15 ottobre 1418.
Della condanna di un suo suddito e della giornea tolta al Can-
celliere del Sig. Braccio.
11. — Guido Antonio.
Urbino, 26 ottobre 1418.
« Nobilea dilecti nostri, hauemo receoudo nostra lettera. Alaquale
« ve respondemo die al maistro dela scola scriuemo per la alligata
« lettera pregandolo et strengendolo de quello che ce scriuete. Una
<< cosa ve recordamo che anoi parerla. Acio che esso hauesse più ca-
« giòne de restare, che seria ben che de qualche prouigioncella lo proue-
« deste perche atrouendo elio sallario altroue, come pensano che atrouara
« cercando serra fatiga aposserlo retenere no habiando Ij qualche sal-
« lario ».
Passa poi a parlare della giornea del cancelliere del Sig. Braccio
che gli fu tolta, di Ghisello da Fàetano che ha questione contro Giu-
liano di M.'' Simone, e di Laurenzo dal Gesso lavoratore di Ser Fran-
cesco da San Marino che ha bando da Rimini.
12. — Gli uomini del Comune di Pietracuta.
Fietracuta, 2 gennaio 1419.
Richiedono il Comune di grano oftìciosamente^ firmandosi « Lj uo-
strj figloli et seruitorj honiinj et Coni uno de petragutola ».
13. — Guido Antonio (guasta).
Mantova, 3 gennaio 1419 (f).
Rende conto della sua visita al Pontefice.
14. — Giuliano di maestro Simone Sanmarinese.
Urbino, 3 febbraio 1419.
Avvisa la partenza di Guido Antonio da Firenze: consiglia una
visita di cortesia con doni.
15. — Giacomo Roselli Vicario del Podestà d'Urbino (in latino).
Urbino, 6 giugno 1419.
Riferisce di un esame di testimoni.
16. — Giov. da S. Marino medico.
Urbino, 16 ottobre 1419.
Notifica la presa di Assisi per parte di Guidantonio, della quale
sono giunti gli avvisi alla Contessa. Impreca contro un traditore Ave-
- 134 —
rardo che « se re'couerado in lo cassare, ben credo clie sarà pagado
« corno merita de isoj tradimenti ecusi piaccia adio che sia de luy
« edeglialtrj tradì torj ».
17. — Il Capitano di Monte Fiore (guasta)
27 febbraio 1420 (Ind. 23'')
« de mane hora cliausarum ».
18. — Guido Antonio.
Urbino, 28 marso 1420.
Chiede licenza di cavar grano con cortesi parole, dicendo del « sta-
<< to nostro el quale posside et douete reputare vostro ».
19. — Guido Antonio.
Urbino, 28 marso 1421.
A proposito di una lettera del Sig. Carlo inviatagli in copia.
20. — Guido Antonio.
Gubbio, 25 settembre 1421.
Riguardante una piace della terra di S. Marino coi suoi CastelUìiii:
è certo che il R."'" Padre Maestro Giovanni Vescovo di Fano farà il
possibile per il bene di San Marino.
21. — Lucrezia degli Ordelaffl.
Forlì, 13 marzo 1422.
Ha ricevuto la notizia del passaggio d' Angelo della Pergola e per
1' amicizia fra San Marino e i suoi antenati assicura i Sanmarinesi che
li avviserà d' « ogne cosa che io sentisse essere ai danni uostri o man-
« camenti doue poi uoglia o debba andare non uè ne posso
« fare chiarezza alcuna. Se altro sintiro subito uè ne aduisaro ».
22. — Guido Antonio.
Urbino, 20 luglio 1423.
Ha ricevuto gli ambasciatori Bettino ed Antonio di Marino con
condoglianze « per la morte del flglolo de Berardino ». Quanto alla
concessione di grani dal Monte Feltro la concederà volentieri a cia-
scun Sanmarinese fuori che a Ser Simone (1) per il quale vuol riser-
(1) Nella lettera si accenna anche che egli fu capitano, quindi risulta
essere Simone di Menghino Calcigui reggente con Antonio Lunardini pel
primo semestre del 142.3.
— 135 —
varai di vedere « li modi esso tera. E se ci accorgerao uogla atten-
« dare ala conseruatione de laliberta de quella Terra et ala unione
« de quella de bona i;ogla gliel liberaremo. Et non che litoUessemo
« niente del suo, ma daremolj del nostro ». Si rallegra delle notizie
ricevute circa la pace.
23. — Fra Giovanni Vescovo Feretrano.
Talamello, 22 febbraio 1424.
Rimanda un suo notaro ed ufficiale a cogliere le pigioni e fa varie
raccomandazioni.
24. — Lodovico da Kimini Capitano di Serra valle.
4 gennaio 1427 .
Propone un arbitrato circa le vie del suo Comune « sopraprese et
« ocliupate per alcliunj de Ivosstrj hominj et de inosstrj ».
25. — Giovanni da San Marino.
Urbino^ 12 aprile 1427.
Lunga lettera riguardante l' eredità di Giuliano suo fratello e i
crediti contro 1' altro fratello Francesco di Simone, etc.
26. — Guido Antonio.
Urbino, 28 maggio 1427 .
Significa il suo desiderio che si concludano le questioni fra i Lu-
nardini e i Bartolini.
27. — Marino Calcigni.
Bologna, 1 novembre 1427.
Raccomanda la Conservazione dello stato mediante la pace e la con-
cordia dei cittadini senza la quale « ogne regno inse diuiso se de-
« struge, commo dixe lapostolo Petro paulo. unde uè uoglo pregare
« che curiate che glescandalj non ce siano auolere mantenere quella
« nostra sancta liberta, la quale ninno texoro del mondo la può com-
« parare commo dixe Virgilio poeta .... »
28. — Guido da Macerata Capitano di Verucchio (in latino)
21 febbraio 1429.
A richiesta de' San Marinesi ha ricevuto giuramento da certi te-
stimoni.
--- 136 —
29. — Battista Canonico Riminese (in latino)
(Jorogliano, 27 marzo 1429.
A richiesta dei San Marinesi giudica due dubbi in materia religio-
sa « saluo tamen saniori Consilio ».
30. — Franceschino da Monte Tassi Podestà del Monte feltro.
Monte Cerignone, 14 maggio 1429.
Espone i lamenti di uno della Valle contro alcuni San Marinesi
clie tolgono pietra muraria da una Chiesa guasta <s Ghiesia guasta di
S. Gianni » posta nella corte della Valle di S. Anastasio.
31. — Guido Antonio.
Urbino, 25 luglio 1429.
Ha ricevuto gli ambasciatori: risponde mandando il Bollettino ri-
chiesto. Manderà messer Serafino a quelli della Valle: dimanderà in-
formazione al Podestà riguardo a quelli che « tolsero le petre dela
Chiesia ».
32. — Camilla Sforza del Drago.
Pesaro, penult. agosto 1429.
Per raccomandare Musetto ebreo.
33. — Innocenzo dal Cernie.
(testo in latino con poscritto staccato in volgare)
Urbino, 23 settembre 1429.
Rimette iin suo consiglio « de tutore decernendo pupillabus ».
P. S. « perche el sallario de xxx boi. era molto poco maestro
Giohannj me ha supplito fin in uno ducato ^.
« Idem Innocenti US ».
34. — Guido Antonio.
dalP Isola, 7 ottobre 1429.
Credenziale per Ser Giovanni « dal pigli » ufficiale del Podestà
del Monte Feltro.
85. — Guido Antonie.
Urbino, 27 aprile 1430.
Ha sentito delle prigionie di Bartolo di Giangio e Franceschino di
Bertuccino; il suo parere è che « quanto el caso e più d'iraportantia
« tanto ' più procediate maturamente Et se trouate non sieno
« colpeuoli absoluarlj ». — Termina con proteste di amicizia, etc.
— 137 —
36. — Guido Antonio.
Cagli, 27 febbraio 1431.
Li consiglia alla prudenza e occorrendo si offre ad aiutarli « quia
abundans cautela non nocet. ». La lettera (che è in volgare), confer-
ma la notizia data da Ser Antonio della morte del Papa.
37. — Guido Antonio.
Urbino, 21 maggio 1481.
Prega di soprassedere alla condanna di un Saniperlno finché egli
non verrà a San Marino.
38. — Guido Antonio.
Urbino, 28 givgno 1432.
Chiede trenta buoni fanti temendo il passaggio di Nicolò della Stella.
39. — Guido Antonio.
Urbino, 3 gennaio 1433.
Eingrazia dei venti fanti inviatigli, che ha spedito a Gubbio. Non
ha guerra né col papa né coi perugini né con altri, eccetto Nicolò
della Stella.
40. — Guido Antonio.
Urbino, 5 giugno 1434.
Essendosi ordinato in Riraini « che non se possano cambiare più
quatrinj » ha ordinato al Montefeltro che non si possano spen-
dere né togliere se non « septe quatrine brusiate al bolognino >> e
l)rega i San Marinesi di conformarsi alla detta disposizione.
41. — Guido Antonio.
Urbino, 16 settembre 1434.
Chiede grazia per Giovanni e Feltrano de Vivo da Monte Maggio
condannati a San Marino e de' quali parlò altra volta.
42. — Guido Antonio.
Gubbio, 6 giugno 1435.
« Nobiles amici et dilecti carissimi. Io so qui a Ugobio in su que-
« ste frontiere, et veggio apicato el fuoco atorno atorno. E parecchi
« miglara de caualli ame vicinj. Equantunque per la gratia de dio
« cum ciaschuno vi uà in pace, pur nientemen el tempo et le<,condic-
« tione del paise me pare recheggia stia meglio proueduto che per lo
« passato. E bisogna li mej subditj io adopere in questo facto de fa-
— 138 —
« briano doue al presente apetitione de quelli Signori de cliiauelli l»o
« mandato circa fantj viu. Et cuai de continuo dapo che la nouita
« fo e bisognato et bisogiiara Io li subnegna de fantj. E pertanto cum
« gran securta al modo usato Io vi prego strectamente me voliate
« seruire de vintj fanti de li vostrj bonj li qualj non bo men fidati
« anci più se fosse licito adirlo che li mej per uno mese tanto et non per
« più per mettarlj ala guarda de questi cassari et rocche de Ugobio.
« Et decio me farite suramo apiaxere. Et quanto più tosto me li man-
« darite tanto più caro me serra: alraen siano quj al mezo questo
« mese presente.
« Eugubij VI Junij 1485.
« Guidantonio de Montefeltro, de Urbino et de Durante Conte
« etc. - tergo Nobilibus amicis et dilectis nostris carissimis.
« Capitaneis et Consiliaribus Terre Sancti Marini ».
43. -- Nese, madre di Antonio Martorano da Kimini.
14 settembre 1436.
Per mano di Nicola del fu Maestro Angelo, cittadino Riminese
Publico Notaro, scrive ai San Marinesi a proposito di una cavalla se()no-
strata in San Marino.
44. — Il Sindaco e il Comune di Monte Copiolo.
Monte Copiolo, 2 maggio 1437.
Credenziale per un loro messaggero.
45. — Ugolino de' Bonfranceschi Vicario delle Gabelle e Rettore,
n maggio 1431.
e Giovanni di Ser Simone e Marco Luce Consoli dell' Arte della
Lana di Rimini fanno fede di un debito di Michele Fraucescnino da
San Marino con Gaspare di Ser Giovanni de' Mazzoli drappiere, come
risulta dai libri autentici.
46. — Marino Calcigni.
Verucchio, 24 agosto 1437.
Sopra alla differenza tra Maestro Nicolò d' Andrea da Castello e
suo zio Giovanni Gozi.
47. — Guido Antonio.
Urbino, 1 novembre 1437.
Invita i Sanmarinesi alle nozze del tìglio Federico, da celebrarsi
nell' ultima settimana di novembre.
— 139 —
48. — Bartolo di Arimìnino San Marinese (guasta)
3 marzo 1439.
Circa un suo figlio.
49. — Guido Antonio.
Urbino, 30 maggio 1439.
Per raccomandare Anastasio da Cantiano.
50. — Marino Calcigni.
Urbino, 10 gitigno 1439.
Di una (juestione della sua famiglia con altri, per una cisterna,
e di altre varie.
51. — Marino Calcigni.
Urbino, 6 luglio 1439.
Si lamenta di diffamazione. Comincia: « Egregij patres et dominj
« mei Rr.""' Ben cliio douesse sempre remanere patiente ale vilanie
« del più minimo homo di samarino per che me sonno tutti padri e
« fratelli magiori e con gran sigurta desparlano di me: molti magio-
« remente, debbo essere patiente alleuilauie che imei signuri capi-
« tanij me dicano in mia absentia, non per rispondere ne replicare al
« mal dire perciò che noi reputo aingiuria, ma bene per mostrare che '
« contra dime indebitamente se disparla ».
52. — « Johannes de Mazancollis de Interanne locumtenens » etc.
liimini, 29 agosto 1439.
A proposito del pagamento dello estratto degli estimi e colte del
Vicariato.
53. — Guido Antonio,
Urbino, 3 novembre 1439.
Raccomanda Ser Piero di Neri de Brandani, che ha sostituito il
defunto Anastasio da Cantiano, per consiglio di Messer Marino (Calcigni).
54. — Gaspare degli Ubaldini Podestà del Monte Peltro.
Monte Cerignone, 18 novembre 1419.
Per raccomandare un « Pachino di Antonio » per desiderio del
Conte Guido.
55. — Jacopo Piccinino.
S. Agata, 23 novembre 1439.
Chiede che sia pagata una sicurtà a Ruggero suo provvisionato.
— 140 —
56. — Bartolo di Francesco.
Biminl, 23 novembre 1439.
Si lamenta che il comune non mandi a pagare una còlta del Vica-
riato per la quale lo si trattiene in prigione.
57. — Giuliano dell' Ammannato.
Pietracnta, 26 novembre 1439.
Chiede M.*'" Paolo per conciargli il molino del caasaro; e inoltre
sale, canapa, etc.
58. — Marino Calcigni.
Urbino, 21 dicembre 1439.
Dà avvisi e notizie varie.
59. — Marino Calcigni (guasta)
1440.
Ha ricevuto la nuova lettera a proposito dei molinelli da quattro
ruote e li rimanderà pppena potrà.
60. — Antonio Sagramoro.
Rimini, 11 gennaio 1440.
Per 1' amore e benevolenza che ha ai San Marinesi si sente co-
stretto significare loro i modi disonesti coi quali alcuni dei loro im-
brogliano servitori e soldati del suo magnifico Signore. Segue lamen-
tandosi di furti di animali ed altri danni.
61. — Mengone da Ravenna Connestabile di Fanti.
Monte Maggio., 11 gennaio 1440.
Uno Stefano di Nicola gli ha fatto fuggire un compagno: egli se ne
lamenta avvertendo di far poca stima della persona, ma molta del-
l' onore suo «che per lo falire di costui poria ocorare molto pericolo ».
Chiede ai San Marinesi una punizione esemplare.
62. — Il Capitano e i Consiglieri di Verucchio.
Verucchio, 29 gennaio 1440.
Rispondono ad una lettera circa certe bestie tolte a San Marino e
menate a Verucchio.
63. — Marino Calcigni.
Urbino.! 31 gennaio 1440.
Ha fatto fare sei balestre grosse da molinello, che Jcoste ranno circa
20 florinij si raccolgano i denari, e si mandino a prendere.
^
— 141 —
64. — Lorenzo di (iriacomino.
Serravalle, 1 febbraio 1440
Per un suo credito.
65. — Gaspare degli Ubaldini Podestà del Monte Peltro.
Monte Cerignone, 9 febbraio 1440.
È disposto a spedire dei fanti.
66. — Andrea di Domenichino da Serra valle.
Serratane, 13 febbraio 1440.
Chiede la risposta a certe lettere portate da lui al suo Signore Si-
gismondo Pandolfo Malatesta.
67. — Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Cesena, 14 febbraio 1440.
Include una domanda di risarcimenti e si lamenta di « pegore
« tolte ad Molazano ed altri falli, questo non e bon modo ad far be-
« ne. Pertanto prouedidili altramente ve dechiararo che anche nuj
« senio da casa nostra. Et sauidj ho el modo de valermene ».
68. — Guido Antonio.
Urbino, 3 marea 1440.
A loro richiesta interviene presso Mengone, i cui fanti da Monte
Maggio hanno danneggiato alcuni San Marinesi.
69. — Guido Antonio.
Urbino, 9 marzo 1440.
Marino di Franco da Monte si è lamentato con lui della prigionia
per il fatto di Ri mini. Ne chiede la liberazione.
70. — Guido Antonio.
Urbino., 23 marzo 1440.
Ringrazia per 1' aiuto dato dai San Marinesi ai suoi nel vendicare
certe offese ed ingiurie.
71. — Guido Antonio.
Urbino, 4 aprile 1440.
Si rivolgano a Guido Paolo, nuovo Podestà del Monte Feltro, per
ciò che può occori'ere loro.
142 —
72. — Guido Antonio.
Urbino, 18 aprile 1440.
Ser Piero da Urbino tornando 1' avvisa come i San Marinesi ten-
gono alle porte per sospetto molti fanti, che non può esaere se non
con spesa e disagio: fra qualche giorno ne potranno licenziare la metà.
73. — (iruido Antonio.
Urbino, 23 aprile 1440.
Rassicura i San Marinesi circa i timori espressigli. Rammenta loro
che sono circa 47 anni che i Montefeltro non hanno più briga coi
Malatesta, e la presente rottura non è stata « per nostro deffecto »;
incoraggia i San Marinesi a non temere perchè « per la gratia de
dio hauemo tanto che de pane et de vino * e di altro potranno fare
le spese per tutti « non tanto uno anno ma doi, o trj, et quanto bi-
« sognasse. Et quanto non haueasemo se non uno pane el partiremmo
<< cum voj Et sp(MJimo che omne dj le cose andaranno de bene in
« meglio informa che vi piaceranno ». In un poscritto dichiara che
ove bisognassero fanti li pagherà a proprie spese.
74. — Guglielmo de' Maschi Avv. del Sacro Concistoro etc.
liimini, 2,3 aprile 1440
Si lamenta di una grande ingiustizia « che me facta per lo nostro
regimento » avendo imprestato ad un certo Bartolo di Agnolo Fabbro
una panciera per la fiera di San Marino « glelanprestai liberal-
« mente la quale me promise reportare subito et non laportando
« et hauendo io bisogno de la paniera molte volte lofacto pregare me
« la reporie et sempre ha negato renderla eperciò ne scripse aicapi-
« tanij pregandoli lo constrengesse li quali me reapose che confessa uà
« hauerla et che me la mandarla emai non la mandada epercio denouo
« scripse aicipitanij pregandoli che lo constrengesse aremandarmela,
« et che lo ponisse segondo noie rasone et ancho gle ne scripse el
« S. Mis. Sigismondo elqiiale fo podio audido et meno inteso et anco
« non segle resposto et io non ho la mia paniera et centra quello
« chatiuo non se procede; che non e senya grandissima vergogna de-
« quella comunitate, e mai non haveria credudo essere si male tractado
« li quanto io so considerando 1' amore ho sempre portado et porto a
« quello logo e credo essere molto più utile homo per quello co-
<< muno che bartole perche non receuette mai da mi seno bene et no
— 143 —
« noie, et da lui danno et uergogna. E perciò me lamento dolendome
« cum locore et cum lanima de tanta ingiustitia ami facta »
75. — Guido Antonio.
Casteldvrante, 25 aprile 1440.
Il Podestà del Monte Feltro lia ordine di mettersi a disposizione
dei San Marinesi con tutti i suoi uomini.
76. — Guido Antonio.
Cagli., 12 maggio 1440.
La moglie di Baldaccio di Angliiari ha ricorso a lui perchè le sieno
restituite da un Bortolo di Franco per mezzo di un suo famiglio va-
rie sue robe.
77. — Guido Paolo degli Acomanducci Podestà e Commissario
del Monte Feltro.
Monte Cerignone, 13 maggio 1440.
Consiglia la vigilanza e si mette a disposizione della Repubblica.
78. — Guido Antonio.
Urbino, 4 giugno 1440.
Raccomanda Marino di Cristofano da Monte.
79. — Guido Paolo degli Acomanducci.
Monte Cerignone, 6 giugno 1440.
Si sta trattando la pace fra il suo padrone e i Riminesi da cui si
è recato il Cancelliere di esso: si aspetta il ritorno coi Commissari
ma niente v' è di sicuro e la prudenza è consigliabile.
80. Guido Antonio,
Urbino, 6 giugno 1440.
Consiglia ai San Marinesi di aderire alle domande del Conte Fran-
cesco di Carpegna per il danno che potrebbe venire dalle sue rappre-
saglie ai San Marinesi che posseggono terre a Fiorentino.
81. — Guido Antonio.
Urbino, giugno 1440.
Ha ordinato a Guido Paolo di avvisarli che alcuni ladri di be-
stiame * se reducono Ij. »
— 144 —
82. — Giovanni da Montone Cancelliere di Niccolò Piccinino.
Pietramaura, 25 settembre 1440.
Martedì 20 sett. « quando fu quello catiuo tempo de grandine »
gli fu tolto un ragazzo da un Bartoluccio, mentre egli era di passag-
gio al Mercatale per recarsi da Niccolò Piccinino, Bartoluccio ha inol-
tre pubblicamente deriso S. Sig."'' e minacciato lui e « Musetto giu-
deio che uso cum mecho »,
88. — Oddantonìo.
Urbino, 6 dicembre 1440.
Credenziale per Ser Piero da Urbino.
84, — Oddantonìo.
Urbino, dicembre 1440.
Ser Piero tornando ha portato la loro risposta. Di altre cose ha
scritto a Guido Paolo e al Vescovo del Monte Feltro.
85, — Guido Paolo degli Acomanducci Podestà e Commissario
del Monte Feltro.
Monte Cerignone, 10 dicembre 1440.
Li avvisa di aver pronti i soccorsi per loro e non bastando ne
manderà altri. In caso grave Sua Signoria manderebbe Messer Fede-
rigo o anche verrebbe in persona « con quello possesso fare »: il po-
destà medesimo ha ordine adoprarsi per lo Stato di San Marino quanto
per lo Stato proprio di Sua Signoria.
86, — Guido Paolo degli Acomanducci.
Monte Cerignone, 12 dicembre 1440.
Ha eseguito i loro incarichi ed ha ordinato al Castellano di M.
Copiolo ed a quelli della Valle e di Monte Maggio che stinno pronti
« elle se linostrj segni se faranno uienaviseno prestissimamente ».
87. — Oddantonk).
Urbino, 20 dicembre 1440.
Li consiglia a guardarsi ed armarsi essendo egli desideroso dello
stato e libertà loro come del proprio; e aggiunge vari precetti di difesa,
in sei paragrafi.
^
^
~ 145 ~
88. — Cristoforo di Tomniaso dalle Salse iiiercatlante.
Bimini, 11 Gennaio 1441.
Di affini trattati per i San Marinasi e dei danari relativi.
89. — Guido Antonio.
Gubbio, 2<S gennaio 1441.
Si professa pronto di fare per loro « quanto faremmo per Oddan-
tonio nostro figlolo proprio ». Non è ancora tornato essendo i tempi
non buoni e le vie molto cattive.
90. — Niccolò de' Prefetti.
Monte (Jeriynone, 12 aprile 1441.
Circa Marino da Monte che è in prigione: chiede che si contentino
ne sia cavato dietro' buona sicurtà.
91. — Niccolò de' Prefetti (guastji!.
Monte Cerignone, 21 aprile 1441.
11 signore da Rimini ha fatto preparativi: facciano essi buona guardia.
92. — Marino Calcignì.
Sasso Corvara, 1 giugno 1441.
Manda a dire certe cose dimenticate per mezzo di un Venturino
latore della presente.
93. — Ugolino di Bertinoro Podestà di S^ Leo (guasta).
S. Leo, 2 giugno 1441.
Dà alcuni avvisi.
94. — Antonio de Sagramoro.
Yerrucchio, 20 giugno 1441
A proposito delle robe ritrovate, da restituire, e di vari! altri ar-
gomenti.
95. — Guido Antonio.
Urbino, 21 giugno 1441.
Manda Giliberto dell' Agnello uomo fìdatissimo, esperto in fatti
d' armi e pronto ad obbedirli; manda poi aiielie Messere Giovanni da
9 — itti ( Menorie delia R. Dep. dì Storia Patria ptr le Marche. 1912.
— 146 —
Corno suo ingegnere tidatissinio «. et molto intendente » elio curi le
fortificazioni Sammarinesi come farebbe « per lo più caro loco che
habiamo ».
9tì. — Antonio, Ufficiale di Custodia a Hiniini e Antonio Sa-
gramoro.
Iiimini, 24 giugno 1441.
Cliiedono alcuni delegati a ricevere il bestiame e le altre robe clic
si ritroveranno, purché siano tanto onesti da non accettare « roba al-
cuiui che se retroui aaluo si non e sua ». Rimandano cin(iue bovi e
due somieri con alcune masserizie.
97. — Marino Calcigni.
Urbino, 6 luglio 1441.
Il Conjmissario del Conte Francesco e il Cancelliere del Signore di
Kimini partendo hanno lasciato presso il Conte Guido le proposte di
restituzione e risaicimento agli uomini di S. Marino, da rettificarsi per
tutta Domenica che viene. Nel frattempo stiano in guardia. Consiglia
che facciano fare « doj libriciolj » nei <]uali siano ordinatamente scrit-
ti tutti i danni e la roba predata con le stime e tutti e due i libri
siano conformi l'uno all'altro « e non sia più scritto in uno clie Inlaltro »,
Si devono poi eleggere commissari clie rivedano i danni e bisognerà
ritenere uno ed inviare 1' altro dei detti libriccioli. Termina « io so
« tanto straccilo che appena ho scritto questa lettera. . . . El nostro
« Marino de Francesco de i calcingnj minimo doctore de legge et al
« presente podestà de durante etc. ».
98. — (jruido Antonio.
Urbino, 9 luglio 1441.
Dà particolari consigli tecnici sul modo di fortificare S. Marino « da-
quello canto del 1»orgo oue e lacasa demaestro Giohanne »; suggerisce
di continuare senza interruzione un muro a secco, già esistente?
99. — Federico.
Monte Maggio, 9 Ivglio 1441.
Chiede ferri e chiodi da cavalli, csssendoglisi sferrati la medesima
mattina 50 cavalli, (; chiede pure qualche libbra di cera.
- 147 —
100. — Sigismondo Paiidolfo Malateeta.
Savignano, 15 agosto 1441.
Mcneciiccio da Ciignano e Roscetto suoi iioinini d' arme portando
la presente richiederanno due cavalli e armi appartenenti a loro e loro
famigli: chiede soddisfazione per costoro^ in cambio delle gentilezze
usate da lui ai San Marinesi recentemente.
101. - Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Savignano, 16 agosto 1441.
Li prega che facciano restituire a Londedeo da Sarsina suo prov-
visionato un cavallo toltogli e un famiglio imprigionato; altrin)enti
sarà costretto a provvedere all'indennità del suddetto in modo che
riabbia il suo v< et non l^bia caxone de lamentarse J>.
102. - Guido. Antonio.
Urbino, 27 agosto 1441.
Per guardia e difesa dei San Marinesi manda loro Pier Bernardo
da Cannai « comestabile homo valente et dabene et nostro caro Ami-
co »: gli facciano fornire ciò che gli abbisogna.
103. — (xuido Antonio, (guasta)
Urbino, 31 agosto 1441.
Li sconsiglia dal fare una progettata protesta a Messer Sigismondo,
avendo egli pensato altre cose per i loro interessi, in modo che pia-
cerà loio.
104. — Federico.
Faenza, 7 settembre 1441.
Verrà con gente a soddisfare i San Marinesi.
105. — Federico.
Monte Ceriguone, 19 settembre 1441.
Consiglia a prov.vederc al bestiame secondo gli ordini del Conte
suo padre.
— 1-18 —
106. — Federico.
Monte Locca, 24 settembre 1441.
Lettera uniichevolej notizie intorno jid alcuni presi prigioni a S.
Croce.
107. Federico.
Monte Copialo, 28 ottobre 1441.
Otfre rappresaglie su Sigismondo se offenderà i San Marinesi.
108. — Federico.
Monte Tassi, 26 ottobre 1441.
OflFre di mandare fanti e cavalli.
109. — Griiido Antonio (guasta)
Urbino, 26 ottobre 1441.
Ha iìrmato col Signore Sigismondo una tregua di otto giorni con-
tinua a cominciare da sabato p. v. die sarà 28 del mese, al levare
del sole, e perciò li prega di avvisare che chiunque violerà la dcttii
tregua avrà la pena della forca. Durante la tregua i San Marinesi po-
tranno andare nei possessi che hanno in quel di Rimini a seminnre,
ma per quanto riguarda la terra devono fare buona guardia.
110. — Guido Antonio.
Urbino, 21 ottobre 1441.
Possono stare a seminare sicuramente sul pi'oprio terreno e nel
Montefeltrano, ma sino a nuovo avviso nessuno vada in quel di Kimini
ne in quel di Sigismondo.
ni. — Federico.
Monte Tassi, 27 ottobre 1441.
Prega i San Marinesi di esortare il ]>adrt' a non restituire S. Leo.
112. — Guido Antonio,
Urbino, 28 ottobrt 1441.
Li ha avvisati che jwtevano andare a seminare in quel di Riniinij
ma gli ambasciatori del Signore Ah^ssaiulro che tratta la tregua opinarono
che si sopiasscdesse finché non ne avessero scritto al Signore Alessan-
^
— 140 —
dio come fecero; o perciò Guido Antonio mandò nnov'e lettere avvisan-
doli elle non andassero in quel di Riniini sino a clie il messo non sia
arrivato e ora ne manda un altro ripetendo la raccomandazione.
Durante la tregua che è di otto giorni cominciando (questa mattina al
levar del sole a « ({uando e Sabato » possono fare i fatti loro. —
Avuta risposta riscriverà.
113. — Guido Antonio.
Urbino, 4 novembre 1441.
Per « contempla/ione » del magnifico e potente Messer Alessandro
Sforza hanno prolungata la tregua fino al Mercoledì ])ro8simo al levare
del sole, e perciò ne manda avviso.
114. — fruido Antonio.
Urbino, 9 novembre 1441.
Li avvisa che non offendano sino a nuovo avviso. Manderà per
maggiori schiarimenti il suo vicario Generale Messer Giovanni dal Leone,
115. — Guido Antonio, (guasta)
Urbino, 9 novembre 1441.
Circa l'azione degli ambasciatori e la tregua.
11(5, — Guido Antonio.
Urbino, 15 novembre 1441.
Non avendo i Riminesi fatto restituzione delle l'obe e prigioni presi
al tempo della tregua, ritira il suo consiglio di far liberare alcuni da
Faetano prigionieri, finché i Riminesi non restituiscano « loro et relaxceno
li nostrj. »
117. — Guido Antonio.
Urbino, 20 noxemhre 1441.
Avvisa d'aver fatto bandire la pace, e ne manda copia.
118 — Guido Antonio
Urbino, 20 novembre 1441.
Si rallegra che i Sanmarinesi siano contenti della pace fatta, che
hanno ratificata ed intendono ratificare ogni volta che occorresse. Li
— 150 —
c'onsiglia a iiiaiidave, oltre al Mavclietto suo inviato, duo aiiibasciatoii
bene informati a Mescer Sijiisinondo.
119. _ Unido Antonio, (guasta) . 1441.
Parla di corto fatto di guerra seguito di recente.
120. — tìuido Antonio.
dubbio, 6 febbraio 1442.
Avvisa le trattative del figlio col Sig. Sigismondo Malatosta.
121. — SigÌ8in<>ndo Pandolfo Malatenta.
Rimini, ir» febbraio 1442.
Si lamenta dei mali trattamenti usati a certi suoi uomini.
122. — Marino ('alcioni.
Urbino, 4 marzo 1442.
Dà il suo x)areie circa i beni lasciati dall' Arciprete della Pieve.
123. — (Tiiido Antonio.
Castel Durante, 22 aprile 1442.
Prega i San Marinesi di rendere ad Ugolino de' Randi certo suo
grano, poiché « la fame de bi neccessità elcaccia et fallo essere impor-
tuno. »
12J. — Malatesta Novello Malatesti (al don te Guido Antonio
d' Urbino e Castel Durante); (copia.)
Bologna, 27 aprile 1442.
Annunzia la conclusione del parentado di Violante con lui per moz-
zo di Federico « de la qual cosa io ne remango tanto consolato et
contento che non lo porla exprimero ».
125. — Guido Antonio.
Urbino, 3 maggio 1442.
Manda loro copia d'una lettera del Magnitìco Sig. Malatesta Novello
dei Malatesti circa le nozze tra lui e la figlia; lia ordinato per la
prossima domenica 6 Maggio « alegreza et falò » come fa il Signor
Malatesta.
— 151 -
126. — Guido Antonio.
Urbino^ 19 maggio 144É.
Non può concedei'e la tratta del grano della piazza d'Urbino « senza
nostro gran carco et biasimo da tncto questo populo ». Ha provveduto
in altro modo.
127. — Marino Cai cigni.
Urhiììo, 18 luglio 1442.
Prega che sia pagato il conte Ugolino, « che è ragione e dovere ».
Avvisa che al 1. Ottobre Giliberto d' Agnello verrà podestà in Monte-
feltro. Si dice che il Capitano sia venuto « in quello di Peroxa ».
128. — Federico.
Urbino, 4 agosto 1442.
Raccomanda Bartolo di Giovanni da San Marino ed il fi-atello accu-
sati di omicidio.
129. — Guido Antonio. ( guasta )
Urbino, 16 agosto 1442.
Dà notizia di una pace tra il Capitano ... e il Conte Francesco.
Accenna al Sig. Galeazzo ed al Re di Aragona.
130. -• Guido Antonio.
Urbino, 11 dicembre 1442.
A proposito di certi porci. Credenziale nel suo fattor Bartolomeo.
131. — Guido Antonio.
Urbino, 12 dicembre 1442.
Circa i giudei del Montefeltro.
132. — Marino Calcigni. ( guasta )
Urbino 1443.
Parla del Conte Ugolino Bandi e di una dispensa pontifìeia.
133. — Guido Antonio.
Urbino, 5 gennaio 144.'}.
Annunzia le progettate nozze con Margherita d'Este sorella di Leonello,
— 152 —
l34. — druido Antonio.
Urbino 6 yennaio 1443.
Cliiede la grazia di Giovanni del Vivo di Monte Maggio.
185. • (xuido Antonio.
Urbino, 8 febbraio 1443.
Risponde a proposito d'un fatto « molto molesto» di cni non ))firla.
Li consiglisi a riparare « ohe niaiiir scandalo non segna. »
136. — Giovanni da San Marino.
Urbino, 21 febbraio 1443.
« Magnifici domini domini mei singnlarissinii. pensando elnostro
« 111. S. Segniore Miser Oddantonio che voy veriste qini a dolernj de La
« morte de la bona memoria de Lo Illustre S. Suo padre haueua dicto
« Amiser Mai'ino et ame che ve Scrinimmo per bona caxione et respecto
« che voj non veniste et de li a poco Spatio receuimmo La lettera
« vostra, La quale mostrammo Ala S. Sua et per (piesta caxone el
« ne scrive questa alligata che per ninno modo venire per le caxoni
« che elio ne Scrine et anche forse ce qnalclie altra caxone che non
« ne la pò Scrinere Et pertanto ve pregho si per obedire I comandamenti
« de La Sua S. et si anche per fugire omne Sinestro et pericolo che
« per la vostra venuta posesse acadere che per ninno modo mandiate.
« Apresso vauiso che eldi inanze che morisse la bona memoria del
« dicto Signor ne La Sua camera impresentia de più de Cinfpianta
« persone parlando alfigliuolo de più etpiu cose et daxendolj la sua
« benedictione come se richiede in simile acto fra laltre cose che elio
<< li comando fo che sempre Li fusse recomandata La comunità di
« sauìmarino: et che per quella deuesse mecter (elstato) et la persona
« quanto fesse per la diffesa de La Piazza durbino et (luesto Li comando
« per quanto haueua cara La sua benedictione. A questo possete uedere
« et comprendare quanto era lo Amore Singulare che portana ala nostra
« terra quello bono Signor. Et cusi penso per quanto io possa com-
« prendare per fin rao che tara questo nostro IH. S. Suo figliuolo non
« altro per questa recomandome sempre auoy. — Urbinj die XXVII
<■( februarij 1443 recordoui per dio che actendiate abona guarda et che
— 15.3 —
« staxiate rediicti in castello et guardatine de non essere colti di fora
« da vostri nimici.
« Johannes de saiictoiiiarino doctor
« et come seruictor vester fìdelissiinus.
<< (fuori) Magnifìcis Domini» Capitaneis (ter) re Sancti Marinj
<< dominis (meis) Singnlarissimis etc. *.
137. — Marino Calcigni.
Urbino, 24 viarzo 144.'ì.
« Egregij patres anisoue come niartj o mercorj se parte el S. e va
« a Siena al papa sei ve bisongna In coniane o in particalarita cosa
« alcuna adnisatene la sua Signoria e per li facti di lapieue mandate
« el modo come fu dicto a maestro Antonio et aser Antonio et a ber-
« nabo racomandome a voi ex Urbino die 24 Martij 1443. — Marinus
« de calcingnis potestas Urbini etc. »
138. — Oddantonio.
Urbhw, 6 marzo 144,3.
Avvisa che andrà a visitare il Papa nella medesima settimana per
faccende di stato per il bene degli amici.
139. — I Consiglieri d'Urbino, (guasta)
Urbino, 2 aprile 1443.
Secondo la commissione lasciata loro dal Conte avvisano che si fa
grande adunata di gente a cavallo ed a piede.
140. — 1 Deputati al Consiglio. *
Urbino, 4 aprile 1443.
« A ciò siate partecipi de <|uanto occurre Vi auisamo come el e
<< scoperto a un tiactato apesaro apetitione diil S. meser Gismondo et
« iìn mo el S. Galeaz ne ha fatti impiccare septe a le flnestre del palazo. »
141. — Giovanni da San Marino.
Urbino, 27 aprile 1443.
Neil' occasione dell' andata del nostro « Illusti-e S. » a Siena ha
commesso a Ser Andrea suo amico di raccomandare al « Magnifico ca-
pitanio Nicolo piccino » col quale « quando fuj in lombardia piglinj grande
amicitia » la propiia persona e la comunità di San Marino. <' El Ma-
— 154 —
« gnifico Capitano glia risposto clic liij por nisim modo per fin die la
« uita gli dura noie abaiidoiiare ([iiella terra et è disposto difenderla
« da tuctj Le persone che uolesse offendere quella et sia chi vole et
<< nìandare a omne ora che l)isognio fosse parte et tncte de le sue gente
« da pe et da cauallo per la deffesa de quella et quando bisogniasse,
« venirce in persona. Et per che posiate più presto liauere aiuctorio
« se hisogniase per questa alligata. Scriue in piena forma al M." et
« potente S. S. Guidantonio S. de faenza che aonine vostra reqtiisi-
« ctioue sul)itament<i senza alcuna excieptione debba mandare parte et
« tncte dfe le sue gente da pe et da cauallo al secorso de la terra
« nostra et se bisognia che li vengha in persona cuni tncto el suo
« sforzo ». Raccomanda che questa lettela si mandi al Sig. di Faenza
per un messo « che havesse in se fede et sentimento » a parlare dei
bisogni della Comunità fil suddetto signore.
142. — Niccolò de' Prefetti.
Pietracuta, 3 yinyno 144S.
Li avvisa di fare buona guardia e si mette a loro dis^wsizione per
il passaggio avvisatogli di « cuuagli e fantj ».
143. — Guglielmo da Cagli ( latino. )
Siena, 7 (jiiujno 144iì.
Scriva! a proposito del Prete forestiero desiderato nella Pieve.
144. — Marino Calcìgni.
Urbino, 14 f/iiif/no 1443 (a ore ì di notte).
Annunzia la venuta di Giliberto d'Agnello. Ritengano quanto hanno
bisogno i 100 Balesti'ieri inviati; manda per sovvenirli 6 some di
grano. << El Capìtanio se unito con lo re e il facto de bolongna se repo-
uevato, e passa la cosa bene ».
145. — Oddantonio.
Urbino, 18 giugno 1443.
Chiede pel Conte Ugolino Bandi il saldo dei suoi crediti allegando
egli « soi bisogni et maxime laspesa li occurre del fare la casa et me-
nare la nora che de tutto dice vero ».
— 156 -
146. — Marino Calcigni. ■
Urbino, 26 lugìio 144:L
Rende vaiii conti n proposito della Pieve (te. racooniandandosi di
sollecitare il denaro « che senza dinarj non se fa conelle ».
147. — Marino Calcigni.
Jl-biuo, 28 luglio U4.'i.
Ieri lia scritto come la Bolla di Fra Sainperino è spacciata e costa
22 ducati in tutto. Domanda i derniri necessari.
148. - Ottaviano degli Uhaldini.
Urbino, 11 ottobre 1448.
Secondo lettera d' esecuzione delle colte straordinarie conceduta
dalla buona memoria del suo avo e confermata da suo zio, chiede
1' osservanza della medesima « et che solo siano granati alle c<dte or-
dinarie secondo el tenore de La. dieta lettera ».
149. — Oddan ionio.
Urbino, 14 novembre 144S.
Il Conte Ugolino Bandi si è lamentato con lui che non avendo po-
tuto ottenere ciò che gli deve la comunità « li ha bisognato impigna-
re »; ma non ha fatto rappresaglie per riguaido allo scrivente.
150. — Oddantonio.
Urbino, 1 dicembre 144S.
Avvisa di un progetto di Sigismondo « de scalare testa Terra et
hauerla per furto >>.
151. — Oddantonio.
Urbino, 5 f ebbi-aio 1444.
Ilingrazia di una loro lettera riuscitagli giadita.
152. — Il Conte Federico « de Montefeltro
de Sancto Agnolo et de Mercatello ».
Urbino, 8 mar so 1444.
Per un putto tolto per la famiglia di Antonello da Mantea suo uo-
mo d'arme; lo faià restituire.
- 156 —
153. — Il Consiglio del Sig. Sigismondo Pandolfo.
lì' imi ni, 25 marzo 1444.
Liunentano il contegno dei San Marinesi e dei Feltresclii a loro ri-
guardo e chiedono 1' invio di delegati per comporre la vertenza.
154. — Oddantonio.
80 giugno 1444.
Notizie locali varie.
155. — Marino Calcigni.
Monte Verignone, 8 ottobre 1444.
Breve avviso di pericolo eventnale.
156. — 3Iarino Calcigni.
Monte Cerignone, 16 ottobre 1444.
Dà istruzioni a proposito di fanti, balestrieri e gente d' arme pre-
gando che siano trattati bene.
157. — Marino Calcigni.
Monte Cerignone, 20 ottobre 1444.
Avvisa die il Conte invia a San Marino « arcita con certi .soi com-
ptagnj » per attendere alle dife.se e fortificazioni del Montefeltro.
158. — l Consiglieri d' Urbino.
Urbino, 19 novembre 1444.
Avvisano il passaggio di Francesco Piccinino con 3000 fanti.
159. — 3[arino Calcigni.
Monte Cerignone, 21 novembre 1444.
Avvisa del passaggio di fanti e cavalli, consiglia le opportune cau-
tele.
160. — I Deputati al Consfglio di Urbino.
Urbino, 22 novembre 1444.
Significan le buone disposizioni del Conte in risposta ad una lettera
dei Capitani.
— 157 ~
161. — Marino Caleigni.
Monte Cerigìioìie, 29 novembre 1444.
« Spectabiles viri ut. patres honorandi. ho Inteso quanto Imuete
« scripto aquellj de Monteiuaggio incolpandoci 'lano tolto uno porcho
« nel nostro terreno, niarauegliandoui de ciò. il perche ni respondo
« corno essendo questj soldatj quj per la utilità vostra corno de li altrj e
« bisogna portiate elpeso Insieme con noj et specialiter in rebus niininiis.
Certificandouj che per tucto fanno de Danipnj et non possono fare
« altro.
« Ex Monte Cerignone 29 Noueiubris 1444 —
« Marinus de Calcignis legiini doctor Potestas
« fé retran US ».
162. — Sigismondo Paiidolfo Malatesta.
Uimini, ultimo novembre 1444.
Chiede un indennizzo o restituzione di bestie rubate a due suoi sudditi.
168. — Marino Calcigni.
Monte Cerif/none^ 4 dicembre 1444.
Comunica notizie avute dal Consiglio di Urbino circa il colloquio
del Signore (Federico) col conte (Francesco Sforza?).
164. — Marino Calcigni.
Monte Cerignone, 2 dicembre 1444.
Sullo stesso argomento.
165. — Marino Calcigni.
Monte Cerif/none, 4 dicembre 1444.
Manda copia di uiiii lettera da si)edirsi al Sig. Sigismondo.
166. — Il Comune e gli uomini di Monte ('erignone.
Monte Cerignone, 6 marzo 1445.
Interessano i Capitani alla liberazione di un concittadino imprigio-
nato a Rimini.
167. — Domenico Negusanti Capitano di Yeruccliio.
Verucchio, is marmo 1445.
Di cos(; prese e resti tu it<-.
— 158 ~
168. — Ottaviano dej»:li Ubaldini.
MercaieUo, 26 apriìe 1440.
Avvisa dì avere feliceinento condotto a termine una transazione con
liartoloninieo Colleoni mediante 125 ducati d' oro per la liberazione di
certi prigionieri.
169. — Federico.
Chiede due uomini per la Kocca d' Urbino.
rrbino, l.'i lìKflio 1445.
170. — (rliiberto dall' Agnello e Deputati d' Urbino.
rrbino. 24 n«/osto 144ò.
Rimandando una guardia del cassero d' Urbino.
171. -- Marino Calcigni.
Monte Ccrif/nonc, 24 fietiembre Ì44ò.
Per tutta la sua podesteria lia bandito sotto pena di forca die non
si debba vendere grano ai forestieri né i forestieri possano comprarne:
però badino i San Marinesi di non incorrere nella pena: se occoi re grano
non solo di Monte Feltro ma d'Urbino si rivolgano a Sua Sigiioria che
non ha mai negato a chi domanda e massimamente ai San Marinesi.
Sasso, 9 novembre 1445.
172. — Malatesta Novello dei Malatesti.
Chiede due inviati coi quali conferire.
173. — Marino Calcigni.
Monte Cerignone, S dicembre 1445.
Comunica varie notizie: il Conte è a Urbino: le genti d'arme sono
a Castel Durante, S. Angelo e Montebello; i cavalli sono 3000: « pn;-
« gate a quellj nosti-j vicinj che non voglino Inuilirce et sopestarce
« tanto che noj non lo possiamo soportare. »
174. -
( frammento )
Fiorentino, 26 dicembre 1445.
Lo sciivente chiede che San Marino l'aiuti a ricuperare certi fanti
fuggiti.
n
— 159 —
175. — Malatesta Novello.
Jìimiiìi, S (jennaio 1446.
11 Consiglio (li Ilimiui l'ha avvisato die i soldati di Vernccliio han-
uo fatto danno in quei dei San Marinesi: egli ha dato severi ordini
« et non crediati che questo sia de voluntà del Signore- meo fratello e
« mia »; e quando succedessero simili casi prega di essere avvisato
« che per noi faro corno per quelli da Arimino o da Cesena. »
176. — Malatesta Novello dei Malatesti.
Monte Fiore, 27 febbraio 1446.
Ha risaputo dal Capitano di Fiorentino che per commissione di un
San Marinese alcuni della Valle e tre altri fanti hanno preso « in la
« vostra corte de San Marino * un certo Nanni da Fiorentino: ne chiede
la liberazione.
177. — Federico.
Vrbino.1 S aprile 1446.
A proposito di un furto d' argenti avvisa i San Marinesi d' aver
graziato i colpevoli * per vostro respecto. »
178. — Clarino Calcigni.
Monte Ceriynone, lo aprile 1446.
« . . . . Kespondo a vostra lettera che me rencresce asa de dampno
« de li uostrj et subito mandaro aprovederc .... liaueua hauuto adu-
« iso da la ualle come Nannj dafìorentino et altrj da fiorentino che
« erano cavalcati alaualle senerano venuti ateglio et pare che lauilla
« dcteglio sia albergo de chi male fa et Inspetialita la casa de Antonio
<,< de badiale .... molte volte cimai ulnare dura uno tempo et poj se
« perisce nel mal vivere, gli hominj de Samarino hanno bel tempo
« dio glelo conservi, et diagle giatia cIk; lo sa[)iiio conosciire. »
179. — Il Consiglio del Sig\ Malatesta.
Bimiiti, 'J'> luglio 1446.
Giovanni Schiavo e Gruido [)rovvisi()iiati di Messer Malatesta Novello
hanno penduto un paio di buoi che dubitano passati o \endnti a S.
Marino: pregano che sia fatto il possibile per la restituzione.
— 160 -
180. — Marino Calcigni.
Fietracuta, ,V aprile 1447.
Ha ricevuto dn varii notizia « clic in ante che passe quatro dj quelli
« da Saniarino seranno pagati de le alegrezze clie anno facto de lainovte
« del Signor miser Malatcsta. E cJie el Signor Miser Sigisniundo e ve-
« nnto asancto Arcangiole cani cauallj assaj de che snb'te a la liamita de
« (jnesta siati Insenie e prondete che li hoininj stian)o redtictj per modo
« che quello loco non possa essere dislacto .... »
181. — Federico.
l rìiiiw, 8 aprile 1441.
Promette di far risarcire certuni danneggiati da' suoi soldati di
Monte Maggio.
182. — Antoniii» Johannis de Urbino ufficiale nel Montefeltro.
(frammentaria).
Tannano, 28 aprile 1447.
« , . E per tanto uè aui.s() che uno amico quale sta in le ( . . )
« certificato che se cercato et cercasse de furare testa uostia terra et
« che più ( ) da pochj dj in (pia sonno venuti; et intra-
« te et ueduto et sentito che (....) pero che dice che pensano ha-
« Tiere le roche o perfurto o perforza considerato le poche giiarde li
« tenete et da puoj tolte «juelle dare la l)ataglia da doj cantj et .che
« questi talj sonno intrati et usiti et niaj non sonno statj sentiti
« de che comme liouio ama testa libertà ui prego et per dio de nono
« uiprego quanto più so et posso che per qualche dj voj mectiate più
« guarde ali palazzi e che le guarde et cerne venghiuo meglio anco
« auoj capitanij ui prego non voliate dormire tutto el sonno perche
« nonché a uoj ma ame ha facto tucto sbagntire odendo simile nouella
« et per dio anco ui prego non l'aviate aniente perche lamico me la
« dieta molto più strecta che non uè scrino. »
183. - Federico.
Urhiìio, 13 settembre 1447.
Prega i San Marinesi di sovvenire di grano quelli da Monte Copiolo
« accertandovj Che voj fate per voj medesimi. »
— 161 —
184. — Federico.
Gubbio, 23 settembre 1447.
Accusa ricevuta di lettera per mezzo di Antojiio « Vostro Terrero »
a cui ha affidato la risposta verbale.
185. — I Deputati al Consiglio d' Urbino.
Urbino, 22 dicembre 1447.
Li confortano ad aspettare secondo scrissero i San Marinesi in
una lettera precedente.
186. — I Consiglieri d' Urbino.
Urbino, 6 gennaio 1448.
Ritengono i fanti mandati da S. Marino a Urbino rimandandoli
« lunedj o martedj remossa orane cagione. »
187. — I Consiglieri d' Urbino.
Urbino, 12 gennaio 1448.
Rimandano i 4 fanti (di cui parlasi nella lettera del 6 Gennaio
1448) ringraziando e offrendosi.
188. — Francesco Foscari Doge di Venezia (hu pergamena e in
latino).
Venezia, dal palazzo dticale,18 febbraio 1448.
Un cittadino Veneto, Teodoro Marasco, ha riferito che si è recato
a S. Marino per conseguire certi suoi diritti contro un tal Nicola, mu-
lattiere da San Marino per certi fustagni vendutigli, del prezzo di 138
ducati, senza poter ottenere giustizia. Ne chiede la restituzione.
189. — Giovanni Sforza (guasta).
1449.
Prega di obbligare Maestro Simone scalpellino a fare il lavoro di
un ponte.
190. — Pier Giovanni Conte di Cesena (guasta).
1449.
A proposito di un Messer Andreine da San Marino il quale avendo
Il — itti e Henorie della R. Dep. di Storia Patria p«r le Marcile. 1912.
— 162 —
morto uno, per paura che lo martoriassero « uoleva dare quella terra
« al mio excelso Signore ».
191. — Fra Giovanni Enrico de' Tonsi Vescovo di Fano.
Fano, 10 gennaio 1449.
Delibererà e farà quanto sarà necessario, al ritorco da Roma di un
Messer Giovanni che vi è andato per interessi della Comunità.
192. — Il Consiglio dell' Eccellentissimo Signor da Rtmini.
Bimini, 9 febbraio 1449.
Raccomanda la causa di un mercante Benedetto Tingoli cittadino
di Rimini.
193. — Pietro di Tomaso da Urbino.
Urbino, 10 febbraio 1449.
Di suoi interessi.
194. — Federico.
Urbino, 27 marzo 1449.
Parla del medesimo argomento di che nella lettera 29 aprile 1449.
195. — Ser Filippo da Raggiano Capitano di Fiorentino.
Fiorentino, 10 aprile 1449.
Si lamenta che non siano riscosse ancora le colte: ha già speso del
proprio ed è obbligato ad altri « poviri homini, ho la mia famiglia
<f qua schalze et malvestita ». Aggiunge molti altri ragionamenti
« conclusiue ho bisogno reschodere el mio Salario ».
196. — Il Consiglio dell'Eccellentissimo Signore di Rimini.
Bimini, 21 aprile 1449.
Il Nobile Uomo Teodoro Marasco di Venezia cittadino di Riinini e
mercante ha riferito loro del suo Credito con « Nicolo mullathiero . . ,
per fustagnj ». Pregano che gli aia fatta ragione.
197. — Marino Calcigni,
Urbino, 22 aprile 1449.
Di vari affari e della sua prossima venuta costì. Raccomanda ai
San Mai'inesi la giustizia e il fortificare.
— 163 —
198. — Federico.
Urbino, 29 aprile 1449.
A ricliiestii dei San Marinesi lia raccomandato un affare al Conte
Lamberto e al Vice Podestà del Montefeltro.
199. — Scalogna dall' Isola conestabile di pedoni.
Urbino, 27 maggio 1449.
Ha sentito che i San Marinesi hanno differenza con quelli da Ri-
mini. Si proferisce a servirli « che per trecento fanti metrovo meglio
« in ordine che coinestabile faccia questa arte del soldo et bisognan-
« dono pin che trecento fanti predicti grazia de Dio ho tal credito che
« in pochj dj hauero gente un mondo.... me rendo certo f^rimo re-
« haiieduti altrj deloro errore ».
200. — Marino Calcigni.
Urbino, 27 maggio 1449.
Chiede notizie. Il Papa è a Siwleto. Il Sig. Federico è andato da
Sua Santità. Spera che non succeda, ma quando succedesse che « li
« nostri vicinj ce uoglino renchiudere in gabia » non bisogna aspettar
che ci tolgan « li nostrj grani et frutti, a recorere al superiore nostro ».
201. — « Marinus de Calcignis legum doctor,
et Ser Franciscus Nicolay de Terra Sancii Marinj ».
Spoleto, 1 giugno 1449.
« Magnifici Doininj nostrj. lierj che fo adj ultimo del passato mese
« ariuamo qua aspolite et subito facemo una lettera decredenza per
« parte dela nostra comunità directiua a miser Serafino da Urbino
<< et cum luj c^ aperimo de tutti I nostrj secreti, et de la caxione
« dela nostra venuta qua al sancto padre. In omne nostro fauore lo
« trouamo tanto bene disposto che non se poria dire più. Ma come
« douete essere informati senza mezanita de qualche grande Maestro
« non se pò cusi imuìediatamente hauevere la Inttada ala Sanctita de
« nostro S. de che ce Conforta che In li nostrj facti pigliamo li fa-
« uorj del Cardinale Morinensis el quale e ultramontano et per lo do-
« uere senza reguardo de persona del mondo fa per chi Ip rechede et
« e el più creduto cardinale che sia apresso al papà. Ma quj bisogna
« facti et parole. Noi uedemo questa nostra bolla et ujaxime delle
— 164 —
« còlte ce sera arestada et bisogaara piatirla In corte perche non se
« poria cauare cliel S. Sigismondo non aula audition. Per che niiser
« Jacorao da Cortona Vescouo de Rimino e deputato ala Signadura
« dele supplicatione onde secondo ce Informa chi Intende questo facto
« nante che se sbrighe la cosa de Corte de Papa cura le cortisie che
« se conueranno usare ali grandj Maistrj montara centouincinque ducati
« d'oro, che obtenendo questo In podio tempo migloramo Centenaia et
« miglara de ducati ala nostra comunità. Et perche el papa Canta oggi
« la messa e cusi el vespero doue interuengono tutti licardinalj per
« questo dj non possimo fare più, ma domane farimo una parte dele
« uostre ambasciade, racomandamoce sempre a voj.
Ex Spoleto die prima Junij 1449.
* Et se noi intendi te che queste facende vadino Inanze Comen-
« zade adare modo al denaro, che seria bona spesa lassare per' uno
« poche omne altra spesa et atendere a questo.
« Aduisate le nostre famigle che noj stamo bene.
« Marinus de Calcingnis legura doctor
« et Ser Franciscus Nicolay de terra Sancti Marinj ».
202. — Il Consìglio del Signor di Rimini.
Bimini,' 5 giugno 1449.
Chiede soddisfazione a un credito che per Bertoldo da Serravalle
ha cogli eredi di Simone di Simonino di S. Marino che abitò in Ri-
mini, ai quali è concesso licenza di venire nel terreno del Signore di
Rimini, se verranno a soddisfare il suddetto.
203. — Marino Calcigni.
Urbino, 9 giugno 1449.
Annunzia il ritorno di Ser Francesco, consiglia che facciano far co-
pia di tutti i loro privilegi, cerca di condurre da Faenza il Conte
Carlo da Campobasso con 400 cavalli e lo Scalogna, « et retorname In
« la antiga inimicitia dio et perdonj. ma dio sa se per dare paxe a
« quello logo se Io ho sempre confortato se faccia li facti nostrj cura
« lo papa, et e uero che quando non havissimo altro remedio per non
« perire come tristi per salute de ta nostra liberta voria che il venis-
« se non che scalongna et el conte cario ma tanti che facessero re-
« cresi altrj del suo errore, et chi uolemo advisarne Arimino si ne
— 165 —
« ad visi che per la liberta de la terra mia ce nietteria ciocche potesse
« fare et dire, dio volesse che noi fumo tutti ad una a questa inten-
« tione che non se farieno tante spie ma pure se voria una volta
« conoscere questi talj raportadorj .... »
204. — Lodovico da Cantiano « all'Egregio uomo e fratello Ono-
rando « Ser Francesco de Sancto Marino ».
Urbino, 18 giugno 1449.
Un bollettino del Sig. Sigismondo che egli acclude gli concede di
« far trare uno lecto de penna »; perciò chiede che gli Spettabili Ca-
pitani gli diano i danari che deve avere.
205. — Marino Calcigni.
Urbino, 21 giugno 1449.
« Questa matina sonno apesaro stati Irapichati duj citadini
« per tractado scoperto da quatro dj in qua et già de questo mese se-
« gle sonno scoperti duj tractadj, si che li strolaghi che hanno facto
« gli giuditij de questo anno dicono che questo anno se faranno tra-
« ctadj asa ma che pochi ne reusirauno et periranno molti traditori >.
In poscritto « de le bolle nonneso cosa alcuna perchè alandata apapa
« Eugenio senestette ale nostre parole et non operano le bolle. Forsi ba-
« sta quelle de Papa Martino se voj me mandate la copia .... »
206. — Il Consiglio del Signore di Rimini.
24 giugno 1449.
Accludono la supplica degli uomini e Comune di Serravalle racco-
mandandola.
207. — Il Capitano e gli uomini di Fiorentino.
2 luglio 1449.
Mandano due messi a proposito delle cólte « perchè li nostri cole-
« ctori sonno molto straciatj. »
208. — Il Consiglio del Signore di Rimini.
(guasta)
9 luglio 1449.
Raccomandano la supplica di un loro cittadino creditore di un San
Marinese.
— 166 —
209. - Federico.
Villa di Vico Pisano, 12 luglio 1449.
Scrive a proposito dei timori dei San Marinesi per Sigisnioudo (Ma-
latesta).
210. — Lodovico da Cantiano.
Insiste perchè si provveda al fatto suo.
Urbino, 12 luglio 1449.
211. — Giorgio Mainardi Capitano di Verrucchio.
(guasta)
Verrucchio, 22 luglio 1449.
Si desume che un certo Venturuccio ai è lamentato per essergli stato
segato un prato da quelli di Verrucchio, e lo sci'ivente si proferisce
pronto a fargli ragione.
^
212. — Ugolino Bandi.
Fietramaura, 3 agosto 1449.
Raccomanda vivamente Ambrogio dal Monte condannato in S. Ma-
rino in certa quantità di denari : richiede la grazia.
213. — 11 Consiglio del Malatesta.
Rimini, 8 agosto 1449.
Raccomandano la causa di certe donne da Serra valle contro due
S. Marinesi.
214. — Marino Calcigni.
Urbino, 12 agosto 1449.
Li avverte che abbian « lochio alapignatta » e parla dell' omicidio
commesso dal figliuolo di Vita di Marino per cui mancano i testimoni.
215. — Marino Calcigni.
Urbino, 23 agosto 1449.
Di vari affari, particolarmente dei fatti di Menghino di Giorgio e
dell'omicidio di Michelino.
- 167 —
216. — Marino Calcigni.
^guasta)
Urbino, 3 setUmhre 144d.
A proposito del tradimento di Maestro Andreino contro il quale
spera che si procederà « ciini quella maturità et acerbezza merita clii
« fa simile mercantie .... pense le Magnifìcentie vostre quello Importa
« a uolere torce la libertà hoiiore stado et robba, per dio Capitaaij mei
« Come liauite comenzado non mancade di procedere in questo facto
« animosamente .... et usate omne rigidezza et crudelita se de usare
« A traditori senza pietà .... et purgate questa faconda per modo non
« ce remanga el marcio .... ».
217. — Marino Calcigni.
(guasta)
Urbino, 8 settembre 1449.
Dà varie minute di lettere.
218. — Marino Calcigni.
(guasta)
Urbino, 8 settembre 1449.
Ringrazia per certi avvisi maìidatigli; invia profiFerte e saluti.
219. — Mesaer Gaspare de' Negijsanti da Fano,
officiale della Custodia di Rimini.
(frammento)
Bimini, n ottobre 1449.
In sussidio di giustizia pensa esaminare alcuni testi in una causa
tra la magnifica Madonna Antonia da Bitignano, e Matteo alias il
Martello.
220. — Marino Calcigni.
(in latino)
Urbino, 30 Ottobre 1449.
Un parere giuridico.
— 168 —
221. — Marino Calcigni.
Urbino, 27 marzo 1450.
Il Signore da Urbino cbiedei'à espressamente dei vantaggi per i
San Marinesi nei trattati col Sig. Sigismondo, se le cose volgeranno
alla pace; se come è più probabile si farà guerra « se aconciaranno
« queste cose cum larme in mano per modo che stara bene. » Ag-
giunge varie notizie.
222. — Marino Calcigni.
Urbino, 7 luglio 1450.
Un certo Bernabò e compagni hanno trovato un tesoro. Il Calcigni
opina con un suo « consiglio bollato tutto quello tesoro
« trovato essere del comune». Se altri aiutò a portar via il tesoro il co-
mune può procedere di fatto contro di lui e condannarlo alla restitu-
zione del tesoro procedendo colla tortura e con « onnie tormento come
« se fa contra de li ladrj. » Consiglia si facciano gli inventari di tutta
la roba di Bernabò; disapprova 1' azione dei S. Marinesi che non gli
misero subito le mani adosso. È costì il Sig. Alessandro fratello del-
l'Ili.mo Sig. Duca di Milano al quale il Calcigni ha raccomandato il
Comune perchè lo raccomandasse al Duca: la visita fu graditissima ad
Alessandro che rispose: « Miser Marino fina al presente a nostrj amici
« non possiamo el mio Signor duca et mj et nostri fradelli proferirlj
« saluo che qualche cavallj et fantj bora per gratia de dio possemo
•« proferire cavalli fantj et stato et reputatione le quale cose fina da
« bora aduisate testa comunità che ad omne loro fauore e aparichiate
« che non se lassara che fare per conseruaro quella liberta, et cusi li
« proferisco prima quello che hauimo et possimo a pesaro che forsi
« seria più presso a vostrj fauorj et poi quello hauimo et possimo In
« lombardia, non ve porla scrinerò quanto cordialmente parlaua et
« Inanimivaci non tememo de homo del mondo si che a vostra conso-
« latione venne uoglio hauere aduisatj. »
223. — • Jacopo arciprete di Corena.
Monte Maggio, 18 luglio 1450.
Comunica una lettera ricevuta « da ser Antonio. »
- 169 —
224. — Marino Calcigni.
Urbino, 8 agosto 1450.
Dà vari consigli sul modo di procedere col Sig. Sigismondo a pro-
posito delle colte del Vicario di Rimini.
225. — Alessandro Gambacorti.
Pietramatira, 15 settembre 1450.
Avvisa certi preparativi di Sigismondo e si mette a loro dispo-
sizione.
226. — Federico.
Castel Durante, 18 ottobre 1450.
Si rallegra amichevolmente coi capitani per la loro rielezione.
227. — Federico.
Urbino, 18 febbraio 1451.
Per chiedere la grazia di Marco fratello di Gaspare da Tausano.
228. — Pandolfo degli Atti Abate Situense
all'amico Ser Giovanni di Simone da S. Marino.
Sasso, 10 marzo 1451.
Commendatizia per Bono del Beccaccino.
229. — I sindaci e gli uomini di Monte Maggio.
4 aprile 1451.
Per mano di Muciolo di Antonio Notaro del detto Comune riferi-
scono intorno all'operato dei loro soldati.
230. — Marino Calcigni.
Urbino, 7 aprii* 1451.
Dà un parex-e sul fatto di Maxiiio, connesso col precedente ; si
dichiara contento del modo che usano nel pagarlo i San Marinesi.
231. — Il Capitano e Comune della Valle.
8 maggio 1451.
Quelli del Consiglio del loro eccelso Signore hanno scritto circa le
vertenze coi San Marinesi. Li invitano a mostrare le loro ragioni dalla
Valle.
— 1^0 —
232. — Il Capitano e gli uomini della Valle.
11 maggio 1451.
Sono rimasti contentissimi di nna lettera delle loro Magnificenze e
le pregano piaccia loro operare come scrivono ; propongono che dei
legati dell' una e dell' altra parte si rechino sopra luogo.
233. — Federico.
Urbino, 13 giugno 1451.
Per raccomandare D. Bartolo da San Marino.
234. — Marino Calcigni Podestà di Cagli.
Cagli, 18 giugno 1451.
Allega un' inquisizione formata per Messer Angelo dal Peglio. Av-
visa il passaggio di una grande quantità di gente che dicesi vogliono
fare « uno grande facto » e racconmnda molta cautela.
235. — Barbuccio di Carpegna. (frammento).
Monte, 4 luglio 1451.
Nessuno cavi biada senza bollettino.
236. — Federico.
Urbino, 10 luglio 1451.
Raccomandazione di Griacomaccio da Ripalta.
237 — Marino Calcigni.
Cagli, 29 luglio 1451.
Quanto all' offesa fatta alla figlia di Santone, il colpevole la deve
sposare o pagare 90 libbre; l'altro 10 libbre per essere stato complice
e se il primo non la sposa pagherà anche questo 90 libbre per la com-
plicità, ma secondo gli statuti non si può procedere se non per ac
cuse. Essendo il fatto tra San Marinesi « et assai victuperoso » non
vuole assumere 1' incarico d' accusatore.
238. — Marino Calcigni.
Cagli., 4 agosto 1451.
Torna a parlale del fatto di Maxino e dà pareri intorno ad un' e-
redità e ad una sicurtà. Quanto all'insulto fatto alla figlia di Santone
che probabilmente non si può provare, consiglia che qualcuno s'inter-
— 171 -
ponga affinchè « quellj garzouj fra tutti doj la dotassero » perchè
procedendo senza prove il Comune non ci guadagnerebbe niente « Et
« quella mamola non seria restorata in parte alcuna de la sua ver-
« gogna ».
239. — Federico, (guasta).
Urbino, 20 novembre 1451.
Assicura che farà quanto è dovere.
240. — Marino Calcigni.
Cagli, 6 dicembre 1451.
A proposito del malefizio del figliuolo di Vita chiede che dai loro
predecessori sebbene 1' abbiano pagato siano ancora accordati per lui
« a Musetto » 2 altri ducati d'oro.
241. — Marino Calcigni.
Cagli, 5 gennaio 1452.
Nei presenti avvenimenti « standoce cusi taciti perderinio omne
« reputatione de quella nostra liberta et serimo reputati la più uile
« comunità del mondo. Et maxime quando ce acadesse posserce valere
« de tante Ingiurie et deraonstrarlj che quello e facto a testa nostra
« comunità a qualche congruo tempo se vendica. Et se maj doniamo
« sperare hauere elmodo a farne demostratione alcuna, bora e elteinpo
« che vedite cum quanto fauore questo I. S. miser Fedrigo entra Ih
« questa guerra che già mossa el S. Sigismondo che ha lespalle de la
« maestà del Re de Ragona. et de lo Illustrissimo dominio de Vene-
« xia che ciascheduna de le diete possanze come ingiuriate dal S. Si-
« gismondo. Et come beniuole a questo Illu. S. conte de Urbino fa-
« ranno quanto bisognara per che se redugia el Sig. Sigismondo a
« stare a terminj soj . . . . el S. Sigismondo fina a questo dj de Ca-
« pitolj et promesse e stato mancadore a tutte le possanze de Italia,
« pensade come le obseruaria a noj contra liquali e stato et sta sem-
« pre cum larco teso de hauerce et desfarce .... Et da laltra parte
« vidite quanta fede et quanto amore e de questo I. S. Conte de Ur-
« bino a quella nostra comunità. In tanto che possite dire che deglo-
« minj et tereno suo ha in montefeltro esso na el titolo et voj la
<< utilità ».
Li riucoaggia vivamente ad allearsi coi Fel treschi.
— 172 —
242. — Federico.
Urbino, 12 gennaio 1452.
Credenziale per Nicolò Brancaleoni Commissario in Montefeltro.
243. — Marino Calcigni.
Urbino, 26 gennaio 1452.
Aspetta cbe lo mandino a chiamare come è stato avvisato da Ber-
nardo di Giacomo.
244. — Federico.
Urbino, 5 febbraio 1452.
Accusa ricevuta di una lettera.
245. — Federico.
Urbino, 13 aprile 1453.
Raccomanda vivamente Marco da 'Pausano.
246. — Il Commissario Antonio.
Tausano, 11 maggio 1452.
Domanda informazioni pronte su un fatto di Monte Maggio.
247. — Il Commissario Antonio.
Tausano, 11 maggio 1452.
Altro biglietto con notizie varie circa Sigismondo.
248. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Rimini, 25 maggio 1452.
Chiedono la liberazione dei due da Faetano presi il martedì 23
maggio andando a San Marino, da alcuni soldati che stavano a Monte
Maggio.
249. — Federico.
Urbino, 1 giugno 1452.
Accusa ricevuta di lettere della « Magnifica Madonna da forlj », e
scrive di un suo uomo d' arme.
250. — Federico.
Urbino, 7 giugno 1452.
Prega i San Mariuesi di trasmettere « le alligate lettere a quella
Madonna deforlì. »
— 173 -
251 . — Barbuccio da Carpegna.
(in pessimo stato)
Monte, 7 giugno 1452.
In materia di colte.
252. — Antonio Commissario, i Consoli e gli Uomini di Monte
Maggio.
Monte Maggio, 10 giugno 1435.
I consoli e gli uomini di Monte Maggio si scusano dei danni fatti
dai loro soldati ai San Marinasi : chiedono provvedimenti pel bestiame
avendo saputo che si è adunato gente intorno a Verrucchio.
253 — Federico.
Urbino, 11 giugno 1452.
Chiede vigorosamente che sia fatta giustizia ad un suo uomo
d' arme.
254. — Gli Uomini ed il Comune di Faetano.
FaetanOj 13 giugno 1452.
Pregano vivamente « per lamore dedio » che siano liberati Luca
« ed Antonio da Faetano che hanno mandato la loro taglia « de XX
« ducati una lancia buscia et una lancia da pe et do cortelle et 4 cen-
« tenara dichiodi ».
255. — Antonio Commissario del Monte Feltro.
Tausano, 23 giugno 1452.
Non può venire là perchè è impegnato col podestà di S. Leo; dà
notizia di un fatto d' arme.
256. — Antonio Commissario, i Consoli e gli Uomini di M. Maggio.
Tausano, 26 giugno 1452.
Sopra varie mosse del Sig. Sigismondo, del proprio Signore e di
Don Ferrante. Si concluderà il salvacondotto ed egli verrà costà.
Raccomanda in ultimo Giuliano da Volterra.
257. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 2 luglio 1452.
Accetta a nome degli uomini del Monte Feltro le offerte dei San
Mariuesi.
25>J.
— 174 —
Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Fano, 12 luglio 1452.
Per ginatiflcare certi suoi uouiini presi da alcuni San Mariuesi con-
tro ragione e giustizia.
259. — Mariao Calcigni.
Urbino, 16 luglio 1452.
« Magni6ci dominj mei questa nocte passata sonno stati veduti
« focili et signj li asamarino et aspectauamo messo che ce significa-
« sse quello che vole dire .... Appresso la in niontefeltro sonno i
« fantj de Antonello danarnj et perche Antonello e andato al re et
« loro lo aspectano, et sonno senza dinarj et stanno amontemaggio,
« me parerla gle douesteuj fare qualclie subsidio di victuaria acioche
« si mantenessero la che acadendo serieno bonj per voj et per lo S.
« che non essendo aidatj se nandarieno. *
260. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 22 luglio 1452.
Raccomandazioni varie per gli uomini di Monte Feltro ed uno da
Monte Maggio.
261. — Marino Calcigni*
(in parte è in cifra)
Urbino, 16 agosto 1452.
Dà notizia sugli accampamenti di Federico e del Re.
262. - Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 25 agosto 1452.
Saputo che si ha intenzione di piocedere contro Niccolò di Ser
Francesco uomo d' armi del Signore, per le rappresaglie fatte per ca-
valli e robe toltegli in corte di S. Marino, domanda che si deponga
1' idea.
263.
Marino Calcigni.
Urbino, 1 maggio 1453.
Di vari affari SanMarinesi.
- 175 —
264. — Marino Calcigni.
Urbino, 5 maggio 1458.
A proposito di uua vertenza sulla pigione di Fiorentino consiglia
di ricorrere al Sig. Sigismondo : quanto ad un' altra accusa ha con-
frontati gli statuti, i quali provvedono solo a punire quelli che sono
accusati e non gli altri che accusano.
265. — Marino Calcigni.
Urbino, 17 maggio 1453.
Di vari affari del Monte Feltro che riguardano anche i San Ma-
266. — Marino Calcigni.
Urbino, 7 giugno 1453.
A proposito di una vertenza coi frati. Consiglia che diano un cu-
ratore ad un patrimonio a petizione dei creditori.
267. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Bimini, 26 giugno 1453.
Gli eredi di Giovan Galeazzo hanno con gli eredi di Antonio di
Samaritano di San Marino un credito di circa 40 libbre. Pregano i
San Marinesi dì comporre la vertenza.
268. — Il Priore ed il Convento
di Monte Olivato.
(Frammento)
« Bimini, 5" Oalendas Augustaa » 1453.
Si giustificano di non aver inviato in tempo uua certa risposta.
269. — Federico.
Siena, 16 ottobre 1453.
Prega i San Marinesi di fornir grano ai sudditi.
270. — Giovanni di Tommaso della Salsa.
3 novembre 1453.
Avvisa della prigionia di Maestro Pasquino.
- 176 —
271. — Marino Calcigni.
Urbino, 4 novembre 1458.
Sentenzia che i libri degli estimi appartengono al Comune e cbe
pagate le faticlie e la scrittura dei Notari che li scrissero non e' è
ragione per cui non siano assegnati ai Capitani; ma se il notaro non
è pagato potrebbe trattenerseli per garanzia. Lo statuto parla solo di
istrumenti ma questi estimi non sono strumenti né rogiti. Quando alla
ricompensa dovutagli crede che essi faranno come i predecessori « che
« dio volesse che fra tutti me Lauessero pure riconosciuto in la cento-
<< sima parte. Io ho facto et sempre faro per locumune ».
272. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Rimini, li novembre 1453.
In favore di Angelo da Palestrina da S. -Leo perchè riabbia certi
denari .
273. — Marino Calcigni.
Urbino^ 18 dicembre 1453.
A proposito di certi affari e pigioni della Badia di San Gregorio,
e vertenze con Messer Vescovo di Cagli per le pigioni che egli allega,
della Badia della Valle di S. Anastasio.
274. — Barbnecio da Carpegna
condottiero d'armi.
(In pessimo stato)
Monte Cerignone, 28 gennaio 1454.
Manda il suo Cancelliere.
275. — Marino Calcigni.
Urbino, 4 febbraio 1454 (f)
Prega di favorire di grano il Castellano di Pietracnta.
276. — Ottaviano degli Ubaldini.
16 febbraio 1464.
Una Vica (o Ludovica) da Urbino gli dice d'avere ereditato una
casa ed un pezzo di terra in quella comunità, se non che le è stato
impedito il possesso della medesima allegando che non è consuetudine
che gli stranieri abitino in quelle terre. La raccomanda.
n
— 177 —
277. — Marino Calcigni.
Urbino, P Marzo 1454.
Dà iiu parere giuridico.
278. — Federico.
Urbino, 30 aprile 1454.
Domanda la grazia di Marco da Tausano.
279. - Marino' Calcigni.
Urbino, 8 giugno 1454.
Comunica il suo parerfe circa il trattamento da usarsi ad un giudeo
che ha mancato a certa sua promessa.
5 luglio 1454.
280. — Pietro Paolo di Cristofano.
Si scusa umilmente di un fallo commesso.
281. — Ottaviano degli Ubaldini.
18 luglio 1454.
Ha ricevuto il messaggio relativo alla tassa di biade delle terre di
Monte Feltro del suo Sig. Zio. Farebbe volentieri ogni altra cosa ma
questa non può per suoi ordini precisi.
282. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Eimini, 19 luglio 1454.
A Lodovico di Rimini caposquadra del loro padre è fuggito un ra-
gazzo e riparato a S. Marino. Pregano ciie sia riuìandato per evitare
(lualche inconveniente dallo sdegno degli uoinini d'arme.
283. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Eimini, 24 luglio 1454.
Tornano a pregare che sia rimandato il ragazzo di Pier Antonio
fuggito perchè ciò non serva di pretesto a qualche incidente irrepa-
rabile.
284. — La Contessa Caterina di Carpegna.
(guasta)
Carpegna, 3 agosto 1454.
Lamenta molta roba tolta ingiustamente, ed insulti fatti alle sue
genti e proprietà.
12 — Itti e Htnorie d«lik R. Dtp. di Storia Patria p«r le lllarekc. 1912.
— 178 —
285. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 5 agosto 1454.
Acclude e raccomanda una supplica di Niccolò di Sante da Monte-
maggio.
286. — Marino Calcigni.
Cesena, 29 settembre 1454.
Si compiace anche per la Comunità^ dell'onore e della cortesia ri-
cevuta dal Malatesta Novello.
287. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 22 novembre 1454.
Manda verbalmente la risposta ad una loro lettera.
288. — Malatesta Novello.
Cesena, 23 novembre 1454.
A proposito della presa di Maestro Bartolo, manda un suo cancel-
liere ad occuparsene e si proferisce.
289. — Marino Calcigni.
Cesena, 4 dicembre 1454.
A proposito del fatto di Maestro Bartolo acclude la minuta da man-
darsi a Sigismondo; questa minuta contiene una specie di verbale del
fatto, osservando la violazione di diritto delle genti e terminando col
chiedere la liberazione.
290. — Roberto e Malatesta dei Malatesti.
Eimini, giovedì 5 dicembre 1454.
I San Marinesi si sono lamentati della allegata cattura di un Mae-
stro Bartolo loro terrazzano. Essi si meravigliano grandenjente e non
possono capire « dachi ve siano messe queste cose intesta » visto che
non hanno mai veduto né conosciuto .maestro Bartolo, e che se fosse
venuto a loro sarebbe stato onorevolmente ricevuto. Protestano vi-
vacemente.
291. — Ser Lodovico de' Bonagnrelli
Capitano di Serravalle.
Serravalle, 5 dicembre 14 (54)
A proposito di certo grano.
— 179 —
292. — Il medesimo.
SerravaUe, 7 dicembre 1454.
A proposito di certi pascoli etc.
293. — Barbacelo da Carpegna.
Campo di Soriano, 18 dicembre 1464.
Non sa niente di Maestro Bartolo e dei fatti suoi e se ne meravi-
glia e li consiglia a non credere alle male lingue che vogliono mettere
male fra il suo Signore e lui.
294. — Marino Calcigni.
Cesena, 16 marzo 1466.
Di una causa di certi ebrei. Coglie 1' occasione per lamentarsi di
esser trattato « tanto aladomestiga che me faride sentire desaluadigo >>.
295. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 20 mareo 1466.
Manda Ser Comandino suo cancelliere con ambasciata a voce.
296. — Ottaviano degli Ubaldini.
Urbino, 22 marzo 1466.
Da Ser Comandino suo cancelliere ha fatto raccomandare quel giu-
deo prigioniero « chiamato Abraham dalaquila già et mo habitante de
« San Marino » il quale non è ancora liberato. Perciò rimanda un se-
condo messaggero visto che l'orrore di costui è « de piccole cose. »
297. — Marino Calcigni.
Cesena, 22 marzo 1465.
... « Io intendo chel uè stato adimandato Abrnam per homo morto . . .
« una mano lava 1' altra et tutte doe el viso »...
298. — Marino Calcigni.
Cesena, 7 aprile 1466.
Manda un Caponiastro perchè facciano murare e fortificare quanto
più è possibile. Aggiunge alcuni consigli tecnici.
— 180 ~
299. — Marino Calcigni. ^
Cesena, 3 maggio 1455.
Del fatto ^i Àbramo e di quello di Baitolo. Raccomanda i maestri
muratori che giungeranno. Il Conte Giacomo è alla Badia di Chiassi
di qua da Ravenna e Lunedì procederà « quale via se farà non lo
« so. » Consiglia di fortificarsi.
300. — Bartolo di Francesco da San Marino.
Urbino, 7 maggio 1455.
« Già e più de sej annj passati che bettino de giouanne me pre-.
« sto una paniera laquale per spatio de tenpo la Inpegnaj per certi
<< mej bisugnj a sanullo giudeo et pagaj poj sauullo Inpiu volte tanto
« che remase adauere cinquanta bollogninj I quali volse damj quando
« lui venne de lombardia per che dixeua non ritornaua più asamarino
« et io non auendo I dinarj pregaj saliamone me prestasse questi
« cinquanta bollogninj in sulla pan^ei-a et luj disse non naueua mal-
« litruvava de che sauullo gle de la dieta pau(;era et luj gle de questi
« dinarj sopradittij Et tenne la paniera apresso de sj poj per spatio
« dalcun tenpo Io gle rendj I soj dinarj et dissigle che luj desse la
« paniera abittino et lui promesse darglella et cossi disse al dicto
« bittjno che gle la dareria commo elio andana adarimino per che
« non laueua li assamarino. Mostra che luj non gle la giamaj dada
« segondo che me dici bittino. Inpertanto uè prego carissimamente
« constringiate el ditto saliamone che renda lapan^era al sopraditto
* bittino commo luj gle promesse. Non altro aparichiato senjpre ali
« uostri comandamentj. »
301. — Marino Calcigni.
Cesena, 14 maggio 1455.
Li avvisa che mandino un messo per importanti comunicazioni.
302. — Federico.
Urbino j 13 maggio 1455.
Chiede grazia per due da Monte Maggio.
- I8l -
303. — Malatesta Novello dei Malatesti.
Cesena, 10 giugno 1455.
Li avvisa del passaggio del Conte Giacomo e li conforta a ridursi
al sicuro colle persone, robe e bestiame.
*
305. — Il Conte Giacomo.
Cesena, 28 giugno 1455.
Quelli di Monte Voragine si sono lamentati clie Messer Giov^anni
« ritenga uno loro messale » il quale pare che sia in pegno : ora le
cose ecclesiastiche « et maxime Cullici e messalj » non possono essere
obbligate nò alienate dai preti. Consiglia a fare in modo che il messale
sia restituito da Messer Giovanni e che al medesimo siano restituiti
certi denari degli eredi di Doii Antonio di Monte Cerignone.
305. — Federico.
Fossomhrone, 12 luglio 1455.
Raccomanda i diritti dell' Arciprete di Corena a proposito di certo
grano.
306. — Fra Sebastiano dal Bosco.
(guasta)
17 luglio 1455.
Si duole di un caso miserabile avvenuto nel Convento.
307. — Federico.
Urbino, 10 luglio 1455.
Chiede grazia per un Pier Paolo da San Marino famiglio di Barto-
lomeo degli Ubaldini suo diletto uomo d'arme.
308. — Federico.
Urbino, 20 luglio 1455.
Raccomanda Ludovica da Urbino designata eiede di Ser Alessio da
Monte Grimano abitatore di San Marino,
- 182 -
309. — Marino Calcigni.
Bertinofo, 15 agosto 1455.
Li esorta a non perder la libertà : « a bocha ve sera dicto più
apieno ».
«
310. — Lorenzo de Terenzi di Pesaro
Podestà di Rimini.
Bitnini, 19 agosto 1455.
Prega clie siano esaminati i testimoni San Marinesi presenti a un
delitto commesso in quel di Rimini e che l' esame redatto in certa
forma gli sia spedito.
311. — Federico.
Urbino, 18 settembre 1455.
A proposito di un testamento di alcuni da Monte Maggio.
312. — Violante Malatesta
Contessa di Montefeltro.
Cesena, 25 settembre 1455.
Uno di Monte Grimano ha comprato una possessione da un Fran-
cesco di Antonio detto Samaritano nella Corte di Monte Grimano per
40 libbre. Ora siccome questa possessione è sua ed è scritta sull'estimo
del fu suo padre essa non intende che questa vendita abbia effetto e
domanda che si provveda acciocché al compratore sia restituita quella
parte di grano e di denaro che ha avuto in conto.
313. — Marino Calcigni.
(In pessimo stato)
Bertinoro, 25 settembre 1455.
Dà un parere giuridico.
314. — Marino Calcigni.
Bertinoro, 4 dicembre 1455.
Manda la forma di una pensione da pagarsi.
— 183 --
315. — Federico.
Urbino, 27 maggio 1456.
Ringraziamenti, notizie e profferte cortesi.
316. — Buonconte Conte del Monte feltro.
Urbino, 6 luglio 1456.
Risposta « sopra quanto me scrivete circa el fatto de quello pre-
dicatore « al quale furono tolte quelle bolle >>.
317. — Federico.
S. Angelo in Vado, 22 agosto 1456.
Per raccomandare un suo protetto, maestro di scuola a San Ma-
rino, che sia pagato e trattato bene.
318. — Egidio Vescovo di Rimini.
Scolca, 5 ottobre 1456.
Ha sentito i delegati San Marinesi e scritto in proposito al Capitano
di Serravalle.
819, — Marino Calcigni.
Sogliano, 25 ottobre 1456.
Bella e vigorosa lettera circa un presunto attentato di Sigismondo
Malatesta alla libertà San Marinese. Conforta i San Marinesi a difen-
derla animosamente.
320. — Federico.
Urbino, 17 novembre 1456,
Secondo la loro raccomandazione ha dato un ufficio di Montefeltro
a Maestro Bartolo.
321. — Federico.
Urbino, 17 giugno 1457.
Avvisa che ha fatto restituire liberamente un ronzino tolto da un
soldato a Lodovico di Giovanni da San Marino e così farà per ogni
San Marinttse.
— 184
322. Marino Calcigni.
Btveraano, 19 luglio 1457.
Lunga lettera sulle difterenze della corte con quelli della Valle,
pagamenti etc.
323. — Giobbe di Agnolo fiorentino e Marco
di Gaspare di Battaglia di Rimini.
Verucchio, 3 febbraio 1458.
Chiedono un salvo condotto per 10 o 12 persone clie possano an-
dare o venire siculi seuica alcun impedimento a vedere « La propria
ueritta » circa al fatto di un asino e di un cavallo tolti dai soldati
del Sig. Sigismondo a quelli del Sig. Federico, sui confini San Marinesi.
324. — Francesco da Otiano.
Monte Maggio, 8 febbraio 1458.
Circa il furto di un cavallo ed un asino. Kivuole la roba sua, ma
se per mal governameuto fosse molto peggiore, non intende di ripi-
gliarla.
325. — II Commissario Barbuccio da Carpegna.
Monte Cerignone, 17 febbraio 1458.
Quelli di Monte Maggio venuti a monte per stranie trovarono nella
corte del monte un bue che, volendolo essi pigliare, fuggì nella corte
di S. M. dove un Marino li aiutò a pigliarlo : desidera che sia resti-
tuito « al bono homo ».
326. — Federico da Macerata Capitano di Fiorentino.
Fiorentino, 3 marzo 1458.
Due donne da Fiorentino andando ai mulini di S. M. sono state
assaltate sul terreno San Marinese da circa 17 fanti che tolsero loro i
somieri con le due some di grano e le buttarono malamente in terra:
chiede provvedimenti e risposta.
— 185 —
327. — Martello condottiero.
Tausano, 6 marso 1458.
Al Podestà di S. Marino. — Vuole una risposta circa al suo ca-
vallo che gli doveva esser restituito.
328. — Federigo da Macerata Capitano di
Fiorentino, 6 marso 1458.
Circa ai somieri che si pretendono tolti in Pennarossa, il Castel-
lano di Fiorentino, che era sulla Torre, può far fede che furono tolti
in cima « al campo de imadrnnj che ce sonno doy castagni grossj ».
Se i Sanunarinesi vogliono informazioni più precise mandino qualcuno
a ricevere il giuramento del Castellano ed egli potrà mandare a mo-
strare il luogo per sapere se è San Marinese o di Pennarossa, poiché
(]uelli della Valle vogliono coprire il loro fallo sapendo bene che essi
hanno preso i famigli di Lorenzo sul terreno San Marinese.
329. — Bernabò de' Lunardini da San Marino.
Macerata, 7 marzo 1458.
Scrive a proposito di certe prede di bestiame fatte dalle genti del
Sig. Sigismondo in quel di S. Marino ; ne ha scritto al medesimo si-
gnore : si proferisce per quanto possa essere utile alla comunità.
330. — Gian Ludovico de' Sassi di Bertinoro,
Capitano di Verucchio.
Verucchio, 7 marso 1458.
Smentisce alcune accuse fatte a lui ed ìli Sig. Sigismondo.
331. — Niccolò Capitano di Serra valle.
(Nicolaus de teriiisio)
Serravalle, 7 marco 1458.
A proposito delle selve di Serravalle.
332. — Francesco da Oliano.
Montemaggio, 15 marso 1458.
Ha mandato a richiedere Leone da Rimini fuggito; pai'e che i
San Marinesi non lo rendessero: assai se ne mei-aviglia « per che da
— 186 —
« òompagnio a conestabe v<»y vedeuite in alcuno modo impacciare »
tanto pili che le sue informazioni potrebbero essere utili ai nemici.
333. — Francesco di Otiano.
J\Iontemàg(/io, 19 marzo 1458.
Ha intenzione di esigere il suo credito di 15 ducati da Leone da
Ri mi ni. Di vari altri affari non importanti.
334. — Federigo Capitano di Fiorentino.
Fiorentino, 20 marzo 1458.
^ A proposito di certo grano e somari tolti e di convenzioni per le
colte fatte con uomini di Fiorentino ecc.
335. — Francesco da Otiano.
Montemaggio, 21 marzo 1458.
Si meraviglia che si prendano tanto affanno per la roba dei nemici;
manda perchè siano trasmesse le robe del Castellano di Monte Tassi.
336. — Nicolò Brancaleoni.
Tausano, 25 marzo 1458.
Si scusa di non essere intervenuto con maggior vigore nel fatto di
un omicidio commesso in persona di un San Marinese perchè non po-
tevano mai saperne l'autore, ma si ripromette, ritrovandolo, di man-
darlo « legato ale nostre magnificientie a farli quanto ragione uora ».
337. — Jobbe da Fiorentino.
Serravalle, 7 aprile 1458.
A proposito di due somieri carichi di grano che andavano ai Mo-
lini San Marinesi per macinare, e di una soma di farina che fu tolta
dentro il molino.
838. — Niccolò da Serravalle.
Serravalle, 20 aprile 1458
A Giobbe da Fiorentino in S. Marino: dichiara che vuole avere
avvertenza e cura degli uomini di S. Marino quanto ha di quelli di
Serravalle e farà il possibile per contentarli.
— I8t —
339. — Francesco da Otiano.
Montemaggio, 29 aprile 1458.
Manderà il giorno seguente una scorta verso il Conte Giacomo e il
Conte di Urbino. Se vogliono mandare alcuno in compagnia lo mandino
la sera medesima o la mattina appresso.
340. — Il Consiglio di Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Kimini, 10 maggio 1468.
Di varie questioni di prede, possessioni etc.
341. — Francesco da Otiano.
Montemaggio, 1458.
Avvisa che i nemici sono in agguato nel loro terreno per danneggiar
quelli che vanno al mercato, nella loro terra.
342. — Nicolò Branca [leoni].
Tausano, 17 maggio 1458.
Prega di passare a Francesco da Otiano 3 o 4 stala di grano
mediante compenso.
343. — Il Consiglio del Sig. Sigismondo Pandolfo.
Eimini, 26 maggio 1458.
Prega i San Marinesi a far desistere certi loro terrazzani dal dan-
neggiare alcuni prati appartenenti ad uomini del loro Signore e posti
in quel di Fiorentino.
344. — Nicolò Brancaleoni.
Tausano, 26 maggio 1458.
A Francesco di S. Marino, a proposito di certo grano.
345. — Franco da Otiano e Nicolò
dal Plobico Podestà
Monte Maggio, 11 giugno 1458.
Riferiscono circa le varie transazioni a proposito della corte dei
San Marinesi.
— 188 —
346. — Francesco da Otiano.
Monte Maggio, 15 giugno 1458.
I suoi compagni non hanno commesso tradimento né cosa contro lo
stato, ma visto che non vogliono fidarsi di venire e che egli non lia
il modo di mandare, raccomanda che li tengano sotto buona guardia -per
amore del Conte Giacomo a cui dispiacerebbe grandemente se essi si
partissero.
347. — Gli Uomini e il Comune del Sasso.
Sasso, 28 giugno 1458.
Agli egregi uomini ser Andrea Ciccarelli e Girolimo di Monte Franco
da S. Marino. Pregano i nitMlesimi di procurare se; jicr (lualche modo
potessero avere salvo condotto da Messer Federico o dal Conte Giactuno
in modo da poter esser sicuri durante la mietitura.
348. — Ugolino Bandi Conte del Monte.
29 giugno 1458.
Protesta contro il sospetto insinuato dai San Marinesi di connivenza
in un furto di grano commesso da certi soldati; protesta contro 1' es-
sergli stata trattenuta una lettera quasi mesi quattro essendo in data 4
Marzo; si lamenta dei danni fattigli da certi San Marinesi nella Corte
di Pennarossa, principalmente per quelli di Volpino che hanno portato
via legnami di castagno, mettendo sempre male fra loro e lui « per
loro furti et captiverie. »
349. — Gì Uomini e il Comune della Valle S. Anastasio.
Valle, penultimo di giugno 1458.
E stata loro proposta da parte dei Sanmarinesi tregua e salvo con-
dotto fra quelli del Sasso e della Valle: rispondono accettando e rin-
graziando.
350. — Cristofano di Tommaso della Salsa.
10 luglio 1458.
Circa certe mercanzie ed una offerta da farsi al conte Ugolino dal
Monte.
^
- 189 —
351. — Alvise (la Pesaro Condottiere d' Armi.
Verucchio, 11 luglio 1458.
Un suo fainiglio è fuggito da lui portandosi un paio di calze e una
balestra che ha vendute ad uno da San Marino il quale si dice « essere
todesscho » e pare che sia sarto. Vorrebbe che gli fosse restituita.
352. — Francesco da Otiano.
Monte Maggio, 11 luglio 1458.
Non ha nuove notizie, li ringrazia del loro avviso e si proferisce.
353. — Burato de' Beri da Milano.
Eimini, n agosto 1458.
Circa un suo credito a San Marino. N(<niina più volte un Musetto
ebreo.
354. — Antonio di Bergamo Armigero,
e Federico da Macerata
Capitano di Fiorentino.
Fiorentino, penultimo agosto 1458.
Hanno fatto liberamente restituire certa roba a un Marino e sua
moglie elle sono sembrate biro « persone liberale che non vanno cun
cautele et cum boxie ». Quanto a un altro fatto « dele porchette de
feraghino » avrebbero fatto lo stesso se lui non avesse parlato << cum
doe lengue » e nemmeno volle giurare che erano tre. Prima di.S8e di
averle comprate a Montetassi per 30 bolognini, poi alla Valle per 34
e finalmente non volle affermarlo per giuramento. « Et più hauemo
« che dicto feraghino secondo ce stato dicto fo cum quellj dal a a torre
* porcj in piano in lo terreno del nostro S. ma per non acendare fuoco
« non hauemo voluto farne altra demostratione ».
355. — Consiglio dei Signori di Rimini.
(guasta)
Bimini, 30 agosto 1458.
Si lamentano di alcuni eccessi dei San Marinesi a proposito dei
grani etc.
— 190 —
356. — Matteo del Signor Belmonte da Kimini
Commissario.
Veruechio, 9 settembre 1458.
A proposito di un cavallo tolto a Giobbe da Fiorentino ostensibil-
mente sul terreno San Marinese, in effetto sul terreno della guerra; li
avvisa elio dal canto suo non sarà mai offesa, anzi aumentata la loro
libertà, essendo tale la ferma intenzione del suo Magnifico Signore.
Prega che non siano, più dei loro, favoriti quelli del Conte Giacomo.
357. — [Marino Calcigni]*
15 settembre 1458.
Riferisce intorno all'inquisizione generale in un processo per furto.
« Ceterum Saniarino e uno grande nxmte el quale se rechiude In una
« tana ala bocha lista lorso per guardar ognonio dorma fina che non
« e rouignado niuna facenda de quella comunità ha maj tempo. Chi
« perse el credito Li seria meglo La morte. Voj non fortificade voj
« dormide el fogo e atorno atorno, dandone tempo, et bon solazzo ».
358. — Federico.
Badia di 8. Antonio presso Urbino, 17 settembre 1458.
Ha ricevuta la loro ambasciata; si lamenta che gli ambasciatori
abbiano parlato solo dei fatti San Marinesi e non gli abbiano mandato a
dire qualche cosa dei fatti suoi. Se il Sig. Sigismondo passerà di qua
dalla Marecchia egli mm indugìerà a venire di là a far vedere e sentire
cose « che a luj piaxeranno poco. » E sicuro che al Sig. Sigismondo
non basterà l'animo di mettersi lì, né gli sarebbe bastato l'animo per
niente di mettersi nemmeno di là della Marecchia se non fossero stati
« li traditorj et li capti uj. »
359. — Vincenzo cancelliere.
Rimini, 21 settembre 1458.
Circa una patente fatta da lui, perchè non ebbe mercede.
360. — Federico.
(In cattivo stato)
Ex lìegiis castris, 7 ottobre 1458.
Chiede che gli sia mandato qualche messaggero intendente per
conferire.
— 191 -
361. — Marco Pio da Carpi e Antonio Foresti
condottieri d'arme.
Verucehio, 8 ottobre 1458.
Vogliono sapere le condizioni vigenti di vita e vicinato, e se i loro
soldati sono sicuri in quel di San Marino da quelli del Conte Giacomo
e di Messer Federigo.
362. — Marco Pio da Carpi e Antonio Foresti.
Verucehio, 12 ottobre 1458.
Riguardo a uno scontro fra i loro e i San Marinesi si scusano ed
hanno avvisato il Sig. Sigismondo.
363. — Antonio da Cantiano
Podestà del Montefeltro.
Fietracvta, 13 ottobre 1458.
Gli duole la niorte del Capitano Ser Andrea {1) come di un fratello
in quanto a lui e poi per rispetto della Repubblica e Libertà e prega
Dio che dia grazia di chiamare uno in suo luogo « che non faccia
peggio de lui. ».
(1) È Audrea di Cecco, reggente per il secondo seraestre, a cui fu sosti-
tuito Bartolo di Michele Pasini.
364. — Nicolò da Treviso, Cap. di Serravalle.
Serravalle, 29 ottobre 1458.
Risponde circa un. incidente a proposito di certe bestie.
365. — Sigismondo Pandolfo 3[alatesta.
Bimini, 29 ottobre 1458.
A proposito di uomini e bestie presi tornando dal Molino di Pie-
tracuta dai soldati di Verucehio dice che sono stati presi giustamente
essendo nel terreno della guerra; del resto ha sempre fatto ciò che ha
potuto per compiacerli.
366. — Marino Calcigni.
Cesena, 1 novembre 1458.
Ha avuto notizia dei danni sofferti dai San Marinesi per le genti
— 192 —
che sono state lì dintorno e li esorta che si sforzino a mantenere
quella libertà dritta. Domandando essi al Sig. Sigismondo la liberazione
dei loro, presi in quello di Pietracuta, hanno debito di cercarli, ed in-
sieme con loro « quello facilino steua li per che stando Ij e vostro
homo ».
367. — Il Commissario Nicolò Brancaleoni.
Tavsano, 4 novembre 1458.
Francesco da Otiano Conestabile del Conte Giacomo gli scrive d'aver
mandato là per vettovaglie e dice che gli vogliono mettere il grano al
prezzo che si vendeva in campo; della qual cosa lo scrivente molto si
meraviglia avvisandoli clie non è intenzione del suo Signore, anzi gli
disse la Signoria Sua che avrebbero dato detto grano per 4 libri allo
staio. Desidera avere una risposta in proposito.
368. — Francesco da Otiano.
Pietracuta, 11 novembre 1458.
Assai si meraviglia delle querele loro e dei loro uomini. Chiede
maggiori spiegazioni « senza chiosa et exceptione alcuna. *
369. — Francesco da Otiano.
Pietracuta, 13 novembre 1458.
Farà restituire la vacca di cui nella loro lettera. Ringrazia dell'av-
viso che mandi a prendeie 10 some di grano, ma li avverte che
l'intenzione del Conte Giiicomo e del Conte da Urbino è che sia ven-
duto grimo buono al prezzo e misura di Montefeltro. Avvisino se tale
è la loro disposizione. Aggiunge un poscritto a proposito di un abito
fatto da M.ro Giannino ad un suo famiglio.
370. — Francesco da Otiano.
Piétracìita, 12 novembre 1458.
A proposito della vacca rubata. Chiede inoltre una risposta circa
alle vettovaglie.
371. — Nicolò Brancaleoni.
Monte Maggio, 11 novembre 1458.
Ha sentito che lì muoiono certe persone di peste e glie ne rincresce
— 193 —
assai; lia inteso che alcuni vogliono ripararsi a Monte Maggio ed avverte
che oltre il giorno di domani Domenica non riceverà nessuno.
372. — Silvestro da Lucine
condottiere d'armi.
dal Sasso, 24 novembre 1458.
Si dichiara pronto agli ordini delle loro Signorie.
373. - Nicolò da Treviso.
Serravalle, 6 novembre 1458.
Protesta vivamente contro certi allegati incidenti, dicendo che egli
non ne sa nulla, ma che quando fosse informato che gli nomini di
Serravalle facessero simili cose provvederebbe « Insi fata forma che
Infino a Sammarino vene furia Audire. » •
374.. — Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Bhnini, 29 novembre 1458.
Chiede che siano 2)agati e consegnati i denari delle cólte.
375. — Battista de Venerandi e Giovanni de' Tornei.
Verucchio, ultimo novembre 1458.
Scrivono a lungo per evitare inconvenienti ed incidenti reciproci.
376. — Il Consiglio del Sig. Sigismondo Pandolfo.
Biinini, 4 dicembre 1458.
Promettono che fiiranno severa giustizia, mostrando molto dispiacere
di un incidente occorso.
377. — I Sindaci e il Comune di Monte Maggio.
Monte Maggio, 4 dicembre 1458.
Protestano contro vari incidenti che compromettono molto il buon
vicinato.
378. — Alessandro Gambacorti.
Valla Valle, 25 dicembre 1458.
Deplora un incidente occorso per certi balestrieri e consiglia di
ricorrere al Signore, non essendo sufficiente la sua autorità.
13 — itti « Memorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marcile. 1912.
— 194 —
379. — Gli Uomini ed il Comune di Pietracuta.
Fietracuta, 27 dicembre 1458.
Mandano messaggi a voce.
380. — Federigo, Capitano di Fiorentino.
Fiorentino, pemiltimo dicembre 1458.
Barbuccio da Carpegna gli lia scritto di avvisare i capitani di un
furto di somieri commesso contro certa donna del Monte da quelli della
Valle etc.
381. — 11 Consiglio del Signor Sigismondo.
Eimini, 1 (jennaio 1459.
Raccomandano una supplica.
382. — Giacomo Piccinino e Federigo.
Fossombrone, 12 febbraio 1459.
Circa gli obblighi assunti dai San Marinesi per la presente guerra.
883. — Federico.
Urbino, 13 gennaio 1459.
Alessandro Gambacorti suo squadriere porterà loro un messaggio a
voce.
384. — Alessandro Gambacorti.
Valle, 16 gennaio 1459.
Due da Monte Grimano sono venuti a dolersi con lui clie certi
San Marinesi hanno preso uno da monte Grimano sulla corte della
Valle. Prega che sia liberato, e che non vogliano per questo « mettere
« erore tra noi e lomini da moutcgrimano. »
385. — Silvestro da Lucino.
Sasso, 21 gennaio 1459.
Deplora certi mancamenti dei quali egli non ha colpa.
386. — Federico.
Urbino, 25 gennaio 1459.
Chiede grano per i suoi di Monte Fe.ltro.
— 195 —
387. — Federico.
Urbino, 25 gennaio 1459.
Credenziale per Staiiglielino di Giovanni.
388. — Federico.
Urbino, 26 gennaio 1459.
Circa provvigioni di grano e biada.
389. — Jacopo Piccinino.
Fossombrone, 26 gennaio 1459.
Prega clie sia consegnato tutto il grano promessogli (die è 40 stala
di iiìisura San Marinese) e tutto quello che hanno nella terra ed ap-
partiene a forestieri, a Giovanni Marengo suo condottiero.
390. Silvestro di Lucine.
Sasso, 27 gennaio 1459.
Alla loro lettera risponde che la mattina seguente avrà pronta la
scorta.
391. — Francesco da Otiano.
Pietracuta, 7 febbraio 1459.
Prega che gli siano vendute due staia di grano.
392. — Alessandro Gambacorti. »
Valle, 11 febbraio 1459.
Per ordine del suo Signore li prega ed avvisa che mettano in punto
quante bestie potranno, per le eventuali richieste di Salvestro. Do-
manda se potranno esser pronti per il Lunedì 12 febbraio.
393. — Gioranni Marengo.
Faetano, 19 febbraio 1459.
Chiede grano in prestito o contro pagamento.
394. — Roberto Orsini.
Torricella, 19 febbraio 1459.
Se è arrivato il suo grano, prega sia mandato a Monte Maggio.
- 196 —
395. — Silvestro da Lucine.
Sasso, 21 febbraio 1459.
Il cancelliere del conte Giaconio Piccinino gli scrive a proposito di
certo grano caricato su asini San Marinesi per condursi al Sasso. Non
fu condotto: il Conte scrive che sia adoprato: prega die glie lo facciano
avere.
396. — Marino Calcigni.
Cesena, 15 marzo 1459.
Ha esaminato i testimoni « in lifactì de Abraani »; dà il suo
parere legale in proposit»), e si lamenta di non esser retribuito con-
venientemente per i suoi servigi.
397. — Spagnolo capo squadra dei provisionati.
•dal Sasso, 17 marzo 1459.
Cliiede la liberazione di un fiiìnìglio ritenuto per una preda in cui
non Ila colpa. Se non Io lasciassero sarebbe costretto a pigliare un
San Marinese per rappresaglia.
398. — Ottaviano degli Ubaldini.
(guasta)
Fossombrone, 18 marzo 1459.
Li ha compiaciuti di una loro richiesta.
399. — Federico.
Urbino, 7 aprile 1459.
Manda avvisi in cifra.
400. — Federico.
Urbino, 18 aprile 1459.
Risposte a varie cose notificategli dai San Marinesi.
401. — Il Consiglio di Sigismondo.
lìimini, 22 aprile 1459.
Circa un risarcimento di danni ricevuti dai San Marinesi per mano
dei Riminesi.
- 197 —
402. - Marino Calcigni.
Urbino, 25 aprile 1459.
Raccomanda ser Anastasio da Cantiano per notaio.
403. — Malatesta Novello dei Malatesti.
8. Giorgio, 27 aprile 1459.
Ha ricevuto notizia della nuova alleanza che essi hanno fatto colla
Regia Maestà di Sicilia, li ringrazia della coiìiunicazione « et certamente
« ho preso tt piglio dispiacere dele iusolentie et danni hanete suportati
« et che Le conditione di tempi habbino maculata la vostra antica
« Libertà. » Circa il fatto del cavallo di Grand(dtìno ha chiesto infor-
mazione al Podestà del Monte Feltro. Si profterisce per qualunque
altra evenienza.
404. — Maestro Giacomo di Lorenzo.
Urbino, 29 aprile 1459.
Promette di venire a lavorare a San Marino purché gli diano un
po' di scorta e il tempo di finire in Urbino un suo lavoretto. Se nel
frattempo si fossero provveduti d'altri maestri desidera esserne avvisato.
405. — 11 Consiglio di Sigismondo.
Rimini, 2 maggio 1459.
Circa il contegno dei San Marinesi nelle jireseuti contingenze.
406. — Giov. « dej tomey » e Galvano « de cecilia »
condottieri d'armi.
Verucchio, 3 maggio 1459.
Chiedono quali siano le intenzioni dei San Marinesi a loro riguardo.
407. - Federico.
Urbino, 12 maggio 1459.
A proposito di minacciate rappresaglie. Di cerbottane e bombardelle
che riesce diffìcile ottenere dal Maestro. E tornato da Firenze <.< Oc-
< taviano mio cum la exclusione de la pace e dice chel Signor Gi-
« smondo se partiua molto de mala voglia. » Crede ciie abbia mal
ragione di essere mal contento « le ben venuto a de !e cose assaj ma
— 198 —
« non atante quante li bisognarla per avere la pace la Maestà del Re
« ho lettere che subito spacciara el Conte Jacomo. »
408. — Federico.
Urbino, 14 maggio 1459.
Pier Antonio Cancelliere presso la Maestà del Re lo ha avvisato
che l'accordo tra la Maestà Sua e il Principe di Taranto è ortinianiente
concluso e il Principe ha accolto con straordinaria cortesia il Duca di
Audria recatovisi « de licentia >> del Re. Inoltre il Conte Giacomo sta
concludendo per la sua spedizione e non sarebbe possibile un accordo
fra il Re e il principe stesso in migliori condizioni.
409. — 3Iarco dei Conti di Persico
condottiere d'armi.
Verucchio, 13 giugno 1459.
Ha mandato 12 suoi famigli a Monte Cerignone « per vedere di
« guadagnare alcuna cossa », i quali nel ritorno presso il Mercatale
furono assaliti dagli uomini di San Marino. Si lamenta anche del trat-
tamento Jisato ai messaggeri mandati per avere informazioni del fatto,
i quali dovettero tornarsene « in brache et in camissa. » Queste egli
spera che colle altre robe saranno restituite, visto che non potrebbe
sopportare, senza averne ragione, « talle mio vituperio. »
4i0. — Alessandro Gambacorti.
Valle, 13 giugno 1459.
Chiede la liberazione di uno da Montegrimano preso dai San Ma-
rinesi alla valle.
411. — Marino Calcigni.
(guasta).
(Urbino), 20 giugno 1459.
Ieri il Signore andò a Fossombrone. Tornando la sera ed essendo
tutti mossi incontro a lui, riconobbe lo scrivente « ape da la piazza...
« Et feceme una ricoglenza la più liumana se potesse dire... » Stette
con lui fino qmm alle 24 ore « che non se recordaua de la cena ». Dopo
la messa andarono lui e Marino a fare lo ambasciate, perchè il sud-
detto Marino ier sera era stanco e senza di lui lo scrivente non volle
fare cosa alcuna. Manderà notizie.
— 190 —
412. — Ugolino Bandi.
Pietramaura, 20 giugno 1459.
Circa una povera donna a cui dal giudeo Masetto furono dati due
fiorini falsi.
413. — Jacopo Piccinino.
Fossomhrone, 21 giugno 1459.
Manda un uomo d'arme perchè gli siano consegnate certe robe.
414. Antonio de' Toschi.
Monte Orimano, 22 giugno 1459.
Intorno ali' esecuzione di una sentenza da lui data contro Maestro
Sante ad istanza di Don Lionardo fratello di Gandcdfiuo, ed eseguita
sopra certo corame di ragione di un San Marinese che appare debitore
del detto Maestro Sante.
415. — Silvestro di Lucine.
Sasso, 9 luglio 1459.
Ieri i Capitani non vollero prestar fede ad un suo inviato, perchè
non aveva il sigillo consueto: ne manda un altro con la presente pre-
gando che per 1' avvenire sia fatta fede a lui e a simili inviati anche
se sono senza il sigillo, perchè un altro suo cancelliere recatosi dal
conte lo ha portato seco. Il sigillo della presente è un anello che egli
porta « et ha illuccio drento benché male si schorgha ».
416. — Costanzo Sforza Conte di Cotignola.
Pesaro, 14 agosto 1459.
I latori della presente, sudditi di suo padre, vengono a San Marino
per la restituzione di certe bestie.
417. — Jacopo Piccinino al suo armigero
Tommasino Marcliesi.
Dal campo contro Certaldo, 12 settembre 1459.
Circa certo bestiame comprato dai San Marinesi.
418. — Antonio da San Marino.
Montemaggio, 1 ottobre 1459.
Chiede un salvo condotto per xin maestro Giannino che viene a con-
— 200 -
inerire coi suoi debitori e lia intenzione di stabilirsi poi a San Marino
ed esercitarvi 1' arte sua.
419. — Marino Calcigni.
Urbino, 3 ottobre 1459.
Lunga lettera circa gli avvenimenti contemporanei.
420. — Marino Calcigni.
Urbino, 4 ottobre 1459.
Si rallegra coi suoi Reggenti augurandosi che Dio conceda loro di
trasmettere intatta la libertà ai successori. Dice di essere stato mandato
in Urbino da loro anche per sollecitare la faccenda della Comunità
coll'Ambasciatore del Papa. Ha notizia che sono presi Monte Cerignone
e Casteldelce. Quanto a Pietrarubbia crede che « domani spacciaranno
quello logo » e certo seguirà la pace con « grande fauore et honore
« de questo Illustre Signore, apresso Io Intendo che presto questo Si-
« gnore farà le sue nozze si che comanzade araxionare del dono luten-
^ dite farlj ».
421. - Marino Calcigni.
Urbino, 10 ottobre 1459.
Ha presentato lagnanze all' Ambasciatore del Papa circa la di-
dispersione del vino e delle vendemmie, sofferta per quelli del Sig.
Sigismondo , L'Am\)asciatore ne ha scritto al Consiglio di Rimini: « se
« nuj co Lassarne caualcare doventarimo asinj dasoma et omne dj ce
« faranno de similj et magiuij dampnj. El Signore quj e de bona vo-
« glia et dixe . . . . chel Papa ce farà satisfare tina a una soma de
<< vino. Io ho facto el numero grande dixendo che sono circa tre mila
« some di vino che nehanno tolto butado et guasto et sprecado pure
« hauero caro essere auisado da voj quanto pò essere. El fauore del
« papa uerso el Signore et noi non poria essere magiore.... Ancho e
« qui loambassiatore del Re che solicita el facto nostro ».
422. Marino Calcigni.
Urbino, 10 ottobre 1459.
Gli ambasciatori di Sigismondo hanno avuto un colloquio con gli
ambasciatori del Re, del Papa e del Conte di Urbino, e lo scrivente
si è recato da loro a fare doglianze del vino tjlto e dei danni. Man-
dino persona informata agli ambasciatori del Papa, del Duca e a Ri-
mini.
— 201 —
423. Antonio de' Toschi Podestà di Cesena.
Montegrimano , 12 ottobre 1459.
Circa un cavallo tolto.
424. — Gian Griacomo di Lucino.
Dal Sasso, 11 ottobre 1459.
Circa una cavalla che fu rubata, lia dato arbitrio e licenza ai San
yiiarinesi venuti ivi per la detta ragione, di andarsene col suo troni-
netta di casa in casa per la terra ; ma la cavalla non si è ritrovata,
né egli ha potuto per modo alcuno accertare che la detta bestia sia
arrivata al Sasso. Gli rincresce, tanto più che ha ordine dal padre di
considerare il territorio di San Marino quanto il pr(»prio. Quanto al
raghz/o 1' ha fatto cercare in casa di Lombardo uomo d'arme del ma-
gnifico suo padre ma non l'ha ti ovato. Se lo troverà lo farà restituire.
425. — Marino Calcigni.
Urbino^ 14 ottobre 1459.
Ieri li avvisò che mandassero un ambasciatore a Kimini a propo-
sito del vino. Le faccende San Marinesi vanno benissimo. Ha pregato
l'ambasciatore del Duca che raccomandi al suo Signore la libertà San
Marinese e ne ha avuto soddisfacenti promesse. « Et che più v^olte el
« Signor ducha haueua hauuto amente la nostra terra laudando il no-
« stro regimento et commeudandoce per soi bonj amici. »
426. — Marino Calcigni.
Urbino, 28 ottobre 1459.
« Spectabiles virj et dominj mei, beri El commissario del papa
« reasigno al S. li contrasingnj de li cassarj a la pergola. Montecia-
« l'agnone et Casteldelce et Senatello. Et sascorbara Et dellj licentia
« lutiasse in tenuta deli loghi asua volunta. Et cusi domane Entra et
« pigia la possessione delapergola per fare principio almeglio. Et mar-
« tedi se torà latenuda aglaltrj loghi tuttj In uno dj. Et de poi que-
« sto succederanno anco delecose che scranno utile et honorade non
« ineu che queste ».
427. — Federico.
Urbino, 18 novembre 1459.
Si indigna del danno e della l'isposta disonesta fatta da quelli del
— 202 —
Sig. Sigismondo. Ne ha parlato anche con Ottaviano e coll'Anibasciatore
del Re e inoltre ha scritto al Sig. Sigismondo stesso .... « Io ne ac-
« certo che prima supportarla che dela camera mia fossero tolte le più
« care cose che Io habbia che a voj supportassi che fosse tolto un agnello
« de la più trista villa che habbiate; » e perciò quantunque richiesto
di far bandire la pace e la libera pratica non lo ha voluto fare finora,
aspettando di vedere prima che partito si [)igli circa al fatto loio, che
è nna medesima cosa col fatto suo « senza alcuna differenza et cosi
« sera sempre ».
42X. — Marino Calcij2:ni.
(guasta)
Urbino, 15 dicembre 1459.
Di varii argomenti. Ccmsiglia a dare stanza a San Minino ad alcuni
fanti a cui potrebbero offrire buon juercato di vettovaglie, e che sa-
rebbero cagione di concordia con i vicini. Di ciò esso scrivente i)arlerà
col Signore, cogli ambasciatori del Papa e del Ri; e con Messer Ales-
sandro, al quale anzi ha raccomandata la comunità e dal qu:ile h stato
sempre ricevuto con soddisfacentissime assicurazioni.
429. — Paolo e Bartolommeo.
Urbino, 25 dicembre 1449.
Rendono conto delle accogli«'nze ricevute dal Signore di Uibino.
430. — Antonio da Cantiano.
Monte Maggio, ultimo dicembre 1459.
È stato con certi uomini d' arme a Tausano e Pietracuta per le due
.stala di grano che ebbe ordine di dar loro; ma non sa come distri-
buirlo essendovi più di trenta bocche da contentare. Prega che si jjrov-
veda a che essi abbiano 4 stala di grano per i loro denari.
431. — Marino Calcigni.
Urbino, 5 gennaio 1460.
Ladigo di Baldassarre lo avvisa che la differenza fra gli eredi del
detto Baldassarre da nna parte e Sante di Martino dall' altra è stata
compromessa in lui. Rimette ai Capitani 1' esame dei testimoni.
I
— 203 —
432. — Uiovanni e Francesco Malatesta.
Ilimini, 7 gennaio 1460.
Per (Idlcrsi di una scorreria e cìiiedere le adegnate restituzioni.
438. — Il Conte (iliaconio Piccinino.
S. Afjatu, Il gennaio 1460.
Si ijillegni di certi snccessi San Marinesi comunicatigli per un
corriere.
434. — Alessandro Granibacorti.
Dalla Valle, 12 gennaio 1460.
Chiede la restituzione e divisione di certe bestie predate.
435. — Malsitesta Novello de' Malatesti.
Cesena, 12 gennaio 1460.
Ha sentito quanto gli hanno scritto della scorreria fatta per rap
presaglia sul terreno del suo fratello. Gli rincresce che dalla parte sua
si dia loro ragione di venire a tali cose e preferirebbe « per estinguere
« elfuoco tollerar (lualche ingiuria più presto che per vendicarla accen-
« der maggior lìamma. Ma puoi che la cosa e seguita: Io dal canto
« mio ve adnietto la scusa et si vedete che in questa faccenda Io me
« possa operare in cosa alcuna a voi grata me offerisco farlo di buo-
« na voglia. »
436. — Sante fabbro da Monte Tassi.
Monte Grimano, 14 gennaio 1460.
A proposito di certa richiesta di un Gando!6no, che egli sarebbe
lietissimo di veder composta, ma a cui dovrebbe in caso contrario
prò v vedcM-e al tr i m enti .
437. — Gli uomini di Faetano e Monte Giardino.
Faetano, 15 gennaio 1460.
Chiedono se possono praticare, pascolare e lavorare liberamente e
con piena sicurezza nei terreni di loro proprietà posti in corte di
San Marino.
- 204 —
438. — Griacomo Piccinino.
Bertinoro, 16 gennaio 1460
Prega clie un Ruggero suo provvisionato e latore della presente sia
soddisfatto di certi ducati dovutigli.
439. — Malatesta Novello de" Malatesti.
Cesena, 25 gennaio 1460.
Manda il salva condotto implorato per lui da suo fratello e li con
forta a mandare uno dei loro per comporre la difterenza tra Gandol-
tìno e Maestro Sante da Montetassi, che 1' aspettavano da Domenica
in qua.
440. — Il Conte Giacomo Piccinino.
(guasta)
Cesena, .... febbraio 1460.
Li prega vivamente di fare in modo che un certo uomo d' armi
del Signor Carlo Baglioni ritorni a servire il detto Signore o almeno
gli restituisca il danaro suo.
441. — Violante Malatesta.
Cesena, 3 febbraio 1460.
« Amici carissimi. El vene da voi Zuanne et la donna sua apor-
« tatore de (la presente) unde preghiamo che egli ve sia Racoman-
datj. — Cesene, die iij februarij 14()0,
« Vit)lante d^ Malatesta
<< Comitissa montisferetri. >^
442. — Giacomo Piccinino.
Bertinoro, S febbraio 1460.
Nei giorni scorsi un Simone San Marinese si acconciò con Carlo
Baglioni suo condottiero e ne ebbe alcuni denari, ma non è mai venuto
a servirlo; anzi si acconciò in seguito col conte di Urbino. Desidera
che costui o venga a fai'e l'obbligo suo o restituisca i denari.
443. — Antonio da Cantiano.
Monte Maggio, 10 febbraio 1460.
Prega i San Marinesi d' intercedere per lui presso il suo padrone
Conte d' Urbino che gli minaccia una diminuzione di salario; e d' al-
tra cosa.
— 205 —
444. — Marino Calcigni.
Urbino, 12 febbraio 1460.
Circa la sposa del Conte, alla quale egli ha presentato il dono di
San Marino, riuscito graditissimo: « [Le no[zze sonno state belle ei
gallante, et riche. »
445. -- Gio. Malatesta e fratelli.
Rimini, 14 febbraio 1460. •
Hanno ricevuta essi la lettera indirizzata al Padre, arsente nella
Marca. Depl<»rano gì' incidenti successi contro la volontà loro e del
padre. Haniro già disposto mediante lettela a Veruccliio e a Serravalle
perchè non si rinnovino.
446. — Antonio da Cantiano.
(guasta)
Monte Maggio, 19 febbraio 1460.
Fra varie altre notizie ha sentito che il Signor Roberto ha dato
salvacondotto ai San Marinesi. Ne vorrebbe una copia per comunicarla
al Consiglio.
447. — Carlo Baglioni condottiero d' armi.
Villa Fatemi, 19 febbraio 1460.
Prega i Capitani che costringano il solito Simone a servire o a
restituire i suoi denari.
448. — Giacomo Piccinino.
Cesena, 27 febbraio 1460.
Li ringrazia che siano contenti di far restituire j denari al Baglioni.
449. — Carlo Baglioni.
Villa Paterni, 1 mar so 1460.
Circa il Simone di cui sopra.
450. — Nicolo da Treviso.
Serravalle, 2 marzo 1460.
Si scusa di non poter far molto circa a certe restituzioni di robe
perchè la sua autorità non arriva a tanto presso i soldati. Manda a
San Marino hi moglie con un tiglio che si è slogato un biaccio « a
farlo chonciurc » e li raccomanda.
— 206 -
- 451. — Federico.
Urbino, 11 marzo 1460.
Il Papa manda costà Piero da Somma con 150 fanti benissimo in
ordine. Li trattino bene e li adoperino al bisogno. Si conferisca con
Alessandro Gambacorti circa il suo alloggio.
452. — Griacomo Piccinino.
Bertinoro, 11 marzo 1460.
Insiste sul fatto dell' uomo d' arme del Signor Carlo Baglioni.
453. — Federico.
(guasta) 5. Gervasio, 14 marzo 1460.
A Maliitest.ì Novello, a vantaggio di (juelli da San Marino.
454. — Pietro da Somma Connej<tabile.
Monte Maggio, 18 marzo 1460.
A 3 ore di notte lia saputo di certo, per una lettera di Frate Marco
da 'Pausano, die il Conte Giacomo è venuto la notte lìiedcsima a S.
Arcangelo cou molta gente e guastatori. "Li avvisa che facciano buona
guardia.
455. — Antonio da San Marino.
(guasta) Monte Maggio, alla 3^ ora di notte
24 marzo 1460.
Comunica varie notizie e avvisa che facciano buona guardia.
456. — Antonio da Cantiano.
Monte Maggio, 7 aprile 1460.
Sul modo di contenersi riguardo a certe colte.
457. — Marino Calcigni.
(guasta) Pergola, 16 aprile 1460.
Di un' eredità.
458. — Marino Calcigni.
(guasta) Pergola, 16 aprile 1460.
La vertenza di Sante di Martino è stata rimessa in lui che ha col-
laudata la causa.
^
— 207 —
459. — Sigismondo Malatesta.
Rimini, 29 oprile 1460.
Invito alle nozze di Lucrezia Malatesta sua figlia, che si celebre-
ranno Giovedì 10 maggio.
460. — - Il Dottor Gaspare de' Canonici.
Cesena, P maggio 1460.
Trasmette gli interrogatori fatti nella causa di Maestro Sante fabbro.
461. — Marino Calcigni.
Pergola, 22 settembre 1460.
LungliìssÌMia lettera sopia varie cause private {t'in cui una circa
una capra), ingiurie ai Capitani, tratte di grano, colte, intitolazione
di un registro di colte, furti, prede, sicurtà ecc.
462. — Sigismondo Pandolfo Malatesta.
(guasta) Bimini, 5 ottobre 1460.
Intorno al fatto di un certo Cicarelio, del quale egli non sa niente,
uni lia scritto al Capitano del Sasso. Avvicinandosi 1' invelilo raninienta
clie gli si mandino i consueti denari delle colte.
463. — Marino Calcigni.
Pergola, 19 ottobre 1460.
Torna suU' argomento del libro delle colte di Rimini, da redigersi
secondo le sue istruzioni.
464. — Roberto Vescovo di Montefeltro.
lalamello, 23 ottobre 1460.
A proposito di due benefici ricliiestigli e concessi.
465. — Marino Calcigni.
(guasta) Pergola, 11 novembre 1460.
Di vari argomenti. Notevole 1' atierraazioue della dipendenza diretta
della Pieve dalla Comunità.
466. — Roberto di Montefeltro.
Talamello, 12 novembre 1460.
Rimette nel Conte e nella Contessa d' Urbino 1' elezione dell' offi-
ciante alla Pieve che è discussa.
— 208 —
467. — Simone Salvetti podestà del Montefeltro.
Monte cerignone, 14 dicembre 1460.
«... de qua non e altra novella se non che el S. nostro sta bene
« et ha facto acordare lacoiuo sauello cura tucte lesiioi terre et chac-
<< ciate via legente del Conte laconio El facto del Re non porrla
« passare nielglo et deqnesti di ha ricuperato da Capua a Benenento
« et da Benenento anapole onine cosa nultra lecose che ha recuperate
« in abruzzo che e quasi tutto quello che hauea acquistato el Conte
« laconio dalaquila infora, benché hniiiila non laquistasse el Conte
« Taconio. Elpapa ha formato el processo contra el S. Gisniondo che
« non podeua essere più terriViile, et legente delaghiesia hanno cha-
« ualchato oggi e (juatro di afano et hanno facto dani])no iuetiin
« abile dc[)reda et depregionj. El S. ducha manda adesso sej cento
« cav'.allj contra deluj.... »
468. — Roberto di Montefeltro.
Talameìlo, 16 dicembre 1460.
Per rispetto dei San Marinesi e della Contessa d' Urbino ha fatto
grate risposte a Don Benedetto latore della presente, che li informerà
dettagl i atam en te .
469. — Ottaviano Ubaldini.
Urbino, 16 dicembre 1460.
Annunzia la nascita di una « bellissima figlola. »
470. — Giovanni Malatesta e fratelli.
Bimini, n gennaio 1461.
Pregano che si faccia ragione ad un messer Pier Giovanni [ — ] e
per lui a un Ser Paolo da Montcscudo suo fattore.
471. — Il Vescovo di Montefeltro.
■ 30 gennaio 1461.
Di una scomunica.
472. — Marino Calcigni.
(frammento in pessimo stato)
Pietracuta, 6 febbraio 1461.
- 209 —
473. — Battista Sforza Contessa di Montefeltro.
Cagli, 26 febbraio 1461.
Chiede urgentemente che siano mandati al suo consiglio a Urbino
sei uomini di San Marino per cosa appartenente « a nostro Signore »
e per il bene e stato della libertà San Marinese. Gli infrascritti sono
<< Simone di Maestro Antonio, Ser Bartolomeo di Ser Antonio, Grhirardo
de Menguccio, Marino de Benetino, Biancho de Pauolino, Scarabigio ».
474. — Piero da Melzi.
Rimini, ultimo febbraio 1461.
Chiede clie mandino giù i denari che devono al Signore.
475. — Violante Malatesta Contessa di Montefeltro.
Cesena, 3 marzo 1461.
Acclude una supplica, e poiché il creditore del supplicante è ribelle
del suo Signore e di Lei, le parodie i sei ducati debbano spettare
loro; in un poscritto si richiaiua ad una antica consuetudine del Mon-
tefeltro che cliiunque muoia senza erede, i suoi beni cadano « a noi »;
sicché essendo morto un Sancte de Gallo, i suoi beni e denari toccano
« a noi ».
476. — Antonio di Ser Tomaso Zangari di Verucchio ufficiale
di Faetano.
Faetano, 19 mar so 1461.
Annunzia la deliberazione del suo Illustrissimo Signore circa ai
danni dati nella colta di Faetano, Fiorentino e Monte Giardino.
477. — Simone di Durante Podestà del Montefeltro.
Monte Cerignone, 2^ ora di notte,
22 aprile 1461.
Aloisi da Monte Fiore stette ieri in agguato a S. Maria di Val
Verde con 30 o 40 fanti, e non sa che strada abbia preso; avvisa i
San Marinesi di stare attenti.
li — Itti e Henorie d«ils R. Dep. di Storia Patria p«r le lareht. 1912.
— 210 —
478. — Marino Calcigni.
Urbino, 9 maggio 1461.
Se i San Marinesi non concederanno a un frate le quarte delle obla-
zioni che 8Ì faranno costì il frate si propone di portare via un' im-
magine che lia portato lì, e, bisognando, di ricorrere al Papa. Li prega
di considerare il decoro della comunità e della Chiesa.
479. — Simone podestà del Moiitefeltro.
(guasta)
Monte Ccriijnonc, 11 maggio 1461.
Circa le colte, la peste ecc. ecc.
480. — Antonio Zangari di Verucchio, capitano di Faetano.
Faetano, 11 giugno 1461.
Non ha avuto risposta alle sue precedenti circa le colte.
481. — I Deputati al Consiglio d'Urbino.
Urbino, 11 giugno 1461.
Raccomandano il credito di un tale.
482. — Simone podestà del Montefeltro.
(guasta)
Monte Cerignone, 11 giugno 1461.
Di vari argomenti: gli uomini di Monte Maggio, 1' estrazione delle
biade, le colte, ecc.
483. — Simone podestà del Montefeltro.
Monte Cerignone, 15 giugno 1461.
A proposito di un messaggio mandatogli dai San Marinesi per Cecco
della Valle.
484. — Simone podestà.
Monte Cerignone, 19 giugno 1461.
Di un individuo da Pietracuta ritenuto a S. Marino per debito, e
di ricorso presentatogli in proposito dagli uomini di Pietracuta.
%
- 211 -
485 — Marino Calcigni.
Urbino, 20 giugno 1461.
Il Consiglio del Signor Conte, il Podestà del Montefeltro e lo scri-
vente deplorano una sconvenienza di quelli di Monte Maggio ai San
Marinesi.
486. — Marino Calcigni.
28 giugno 1461.
Di una lite.
487. — Il Cardinale di Siena legato della Marca.
Tolentino, 10 luglio 1461.
Riceve avviso che Sigismondo Malatesta non permette che i San Ma-
rinesi possano raccogliere i frutti dei loro possessi in quel di Sigi-
smondo, ed altre disposizioni. Ha sollecitato la Santità di Nostro Signore
a mandare nuove genti nella Provincia per reprimere i tentativi di
Sigismondo; e un breve pontificio annunzia che agli 8 corrente farà
muovere le genti che sono a Palombara verso la Provincia cosicché
non potranno difendere, ma offendere.
488. — I Deputati al Consiglio d'Urbino.
(guasta)
Urbino, 26 luglio 1461.
Sul modo di comporre le differenze con quelli della Valle. Marino
Calcigni è stato avvisato delle notizie perchè le trasmetta ai San Mari-
nesi. « Questa matina de nono hauemo dal Signor come elseretroua a
« Roma per pigiare forma ale cose de qua perche li successi del Rea-
« me sonno felicissimj et bonj. Et el S. Re ha assediato elduca Gio-
« hanne in La rocha de Nocera de saracinj. Et tuctohora atende arecu-
« perare quel poco de resto Et per lo simile el Signor meser Alexandre
« ha recuperato abuzo de sota et de supra, et retrouase a francauilla,
« et mectese in ordene per andare acampo Adortona doue e li figloli
« et famigla del Conte [ lac ] omo, Et esso Conte lacorao se retroua
« in La montagna del Aquila cum poca [ gente ] et poca reputatione
« ne pò andare ne stare etc. >>.
— 212 —
489. — Marino Calcigni.
Urbino, 4 agosto 1461.
Raccomanda uno, e chiede gli sia mandata la copia di certe suppliche.
490. — Gio. Cristofaro.
Urbino, 4 settembre 1461.
Manda in loro servizio 170 libbre di rame.
491. — Ugolino Bandi.
Dal Monte . . . 1462.
Antonio da Cantiano gli disse dorersi presentare staseia per una
certa accusa fattagli; ma per ragioni d' uflicio egli domanda una
proroga.
492. — Giovanni e fratelli Malatesta.
Bimini, 16 febbraio 1462.
Raccomandano certi mercanti.
493. — Il Podestà Lorenzo.
S. Leo, 24 febbraio 1462.
Circa certe colte.
494. - Battista de' Scotoni podestà del Montefeltro.
Monte Cerignone, 25 aprile 1462.
Ringrazia di certi avvisi datigli, comunicando che il Cassero di Car-
pegna si tiene ancora, etc.
495 — I Deputati al Consiglio del Conte d'Urbino.
Urbino, 8 maggio 1462.
A proposito di certa tratta di bestiame resa necessaria dal procedere
del Malatesta, pregano di essere avvisati dei passaggi e mosse di truppe.
496. — I Deputati al Consiglio del Conte d' Urbino.
Urbino, 15 maggio 1462.
Marino Calcigni ha scritto che il Signor Sigismondo « e per far^
— 213 —
una grande facenda et che fa raolto grandi aparechij » e che si avvisino
i San Marinesi. — Così infatti eseguiscono.
497. — Sallustio e fratelli Malatesta.
(guasta)
Biminij, 24 maggio 1462.
Intorno ad un credito di un Maestro Matteo da Serravalle, al pre-
sente loro cittadino.
498. — Battista Sforza.
Urbino, 26 maggio 1462.
Ser Lodovico da Cantiano è tornato narrando delle accoglienze fat-
tegli dai San Marinesi per amore del Conte Federico. Propone il modo
di comporre a comune soddisfazione la condanna di Simone di Maestro
Antonio (Belluzzi).
499. — Roberto Vescovo di Montefeltro.
Urbino, 29 maggio 1462.
Si lamenta degli accordi clie passano fra un Ser Menetto ambascia-
tore San Marinese, e un Messer Veuturino suo Vicario.
500. - Federico.
Dal campo presso Anagni, ultimo maggio 1462.
Circa tre anni fa Leone schiavo, suo provvigionato, ha ucciso un
Andrea della Madaluccia da S. Marino. Ora Andriolo da Secchiano è
venuto a lamentarsi che gli è stato dato bando da San Marino in
conseguenza, mentre egli non si impacciò mai di qnell' omicidio se non
per spartire e fare tutto quel bene che gli fu possibile perchè non
seguisse. Lo scrivente crede clie Andriolo non sia colpevole in cosa
alcuna e prega i San Marinesi che per suo amore facciano cessare il
detto bando e permettere che il detto Andriolo possa liberamente pra-
ticare in San Marino a fare li fatti suoi « come feua prima. »
501. — Battista Sforza.
Urbino, 5 giugno 1462.
Raccomanda il credito di un Marco di Lorenzo latore della presente,
San Marinese.
— 214 —
502. — Il Dottor Venturino da Mantova.
(guasta)
Mantova, 14 giugno 1462.
Ringrazia di onori fattigli, e si proferisce.
503. — Ilario da Cagli, Ufficiale del Montefeltro.
Monte Cerignone, 19 giugno 1462.
Ha ricevuto dal Castellano di Monte Cupiolo una lettera con cui
avvisava il podestà come « uno de le terre de li inalatesti Amicissimo
al nostro I. S. » ha detto essere venuto da Rimini il giorno stesso
« ed essersi ritrovato nel consiglio In uno cantone et dice che audj
« quando se feua pensiero da venire acampo a San Marino et prima
« pigliare omne persona che andaua alafiera adarimino » ecc.
504. — Battista de Scotoni Podestà del Montefeltro.
Monte Cerignone, 27 giugno 1462.
Ha mandati dei contrassegni non sapendo di quelli di Urbino; ora
manda la copia di quelli clie gli sono stati mandati: di ogni muta-
mento vuole essere avvisato.
505. — Battista de Scotoni Podestà del Montefeltro.
Monte Maggio, 29 giugno 1462.
A Cesena s' è raccolta gente « et chi dice volgliono andare in lo-
« reame et chi dice volgliono danegiare a voj et nuj. ... et ho orde-
« nato queste singnj che quando giente passasse in questo terreno sie
« de di le nostre rocche facciano doj fochj ettirano doj Bonbarde. Io
« ve prego che continuamente teniate qualclie spia dalcanto deli . . .
« che non possete fare megliore spesa pregoue che ordiniate similj
« singnj dalcanto »
506. — Anonima.
Urbino, 29 luglio 1462.
Riguarda la sepoltura di una donna affogata.
507. — Roberto Vescovo di Montefeltro.
Urbino, 12 agosto 1462.
In risposta ad una lettera e comunicazione dei San Marinesi.
— 215 —
508. — Ugolino Bandi.
Fietramaura, 14 agosto 1462.
«in fretta*
« In questa bora cioè a xxii, baue lettere da Urbino dal nostro
« uescouo die el S. nostro ba ropto el Sig. gismondo el qual e scam-
« pato con circa iiij cento persone et dice esser preso siluestro con
« queUo dala mirandola fra glaldri, questo facto fo beri, et e la più
« grande et alta bona nouella die fosse niaj »
509. — Battista Sforza.
Urbino, 14 agosto 1462.
Acclude gli avvisi inviatile dal marito, della rotta data a Sigismondo.
51*0. — Federico.
(guasta)
Dal campo « contra surhelungium »
26 agosto 1462.
Copia: al consiglio di Urbino, etc: ba ricevuto un breve dal Papa
annunziante come essendo la M. del Re il 18 corrente a campo all' Or-
sara e il Conte Giacomo e il Duca Giovanni « per scouarli la sua San-
« tità li ba ropti et fracasati .... cbe e una releuata grande et bona
« nouella. Et pero uolemo cbe ordeniate cbe li ad Eugubio acagle ala
« pergula in Montefeltro et per tucto se ne faccia tre di continuj falò
« et alegreza de campane come merita »
511. — Beritolle (Bartolo) di Francesco di Pilio da S. Marino.
Urbino, 1° settembre 1462.
Li sconsiglia dalla guerra ricordando in quante povertà ed estremi
ba essa condotti molti San Marinesi cbe dovettero andare stentando
« aurbino apesaro augubio e in molti altri luogbi Inflna intoscana per
« nonse morirj defame »; fa considerare il danno cbe ne verrebbe
all' agricoltura, e la carestia. « Et ricordatene cbe già altempo cbe
« francesscbo picino era acampo alonzano venne uno altro comisario
« colbreue dasanto padre pur per simile faconda e i capitan ij e con-
« siglierj gle prese buon partito mediante laiutorio econseglo della
« bona memoria del Signore Conte guido cbe dio lagia perdonato. »
— 216 —
512. — Roberto Vescovo di Montefeltro.
Urbino, 5 ottobre 1462.
Circa i frati scomunicati di S. Francesco: circa altre differenze li
esorta « non vogliate preiudicare et turbare la nostra lurisditione et
« la liberta Ecclesiastica che della vostra non ce impacciamo. »
513. — Federico.
Dal campo contro Montefiore, 10 ottobre 1462.
Chiede per ragione ed amicizia che si faccia più stima di lui che
del Capitano che stava a Monte Giardino sotto il dominio di Sigi-
smondo, in una cosa occorsa a Monte Grimano.
514. — Federico.
« Ex victricibus (sic) Castris Sancii Marini d. ti.
contra Montem flore diein, {sic) XVIII octobris 1462 ».
Si lamenta che a certi suoi provvisionati siano tolte 15 bestie ca-
riche di farina ed una di sale. « Io ve auiso che noi senio signoij de
« la campagna et non intendemo che la robba deli Inimici de la S.ta
« de n. 8. sia secura ne in lo terreno de pesaro ne in lo vostro ne
« in ninno altro luoco. >>
515. — Il Cardinal Teanense Legato Apostolico.
Ex felicibus Castris, 18 ottobre 1462.
Si lamenta che i San Marinesi abbiano trattenuto vettovaglie e
farina predate dai provvisionati del Conte d' Urbino ai nemici, il
che non si può fare perchè la campagna è « dela S. de nostro S. »;
onde ne chiede la restituzione.
516. — Federico.
Dal campo contro Montefiore, 20 ottobre 1462.
Dà istruzioni sul modo della restituzione « per che inuero La caccia
« e de chi la caccia. Voi uè possete molto bene scusare, che in su la
« campagna voj non possete asecurare ninno, per che la campagna e
« nostra. Come più largamente ha dicto Monsignor et mi aquesto vo-
« stro .'naudato. ...»
— 217 —
517. — Federico.
Dal campo presso VersiUano, 25 ottobre 146É.
Chiede vettovaglie, tiatteneudosi lì fino a domani almeno.
518. — Federico.
Dal campo contro Verncchio, 27 ottobre 1462.
Prega viv^amente clie vogliano alloggiare comodamente Messer
Giovanni avvocato ed ambasciatore dell' illustrissimo Signor Duca di
Milano, e perciò manda Giuliano suo famiglio al quale assegneranno
la stanza.
519. — Federico.
Dal campo contro 8. Arcangelo, 3 novembre 1462.
Di alcuni prigioni da Monte Giardino, di Francesco da Mercatello
suo squadriero: parte di essi col consenso degli altri che rimasero in
prigione promisero in solido per tutti, che andavano a procurare per
la taglia loro e di quelli che rimanevano; di quelli che rimasero una
parte è fuggita in San Marino, i rimanenti « che sonno mo in la dieta
pregione > vengono a rimanere obbligati per tutti e domandano che
quelli che sono fuggiti e quelli che furono licenziati siano costretti a
pagar la loro parte di taglia. Domanda che i fuggiti a S. Marino siano
tenuti lì fino alla soddisfazione di Francesco di Mercatello.
520. — Federico.
Dal campo contro 8, 'Arcangelo^ 5 novembre 1462.
Chiede che gli sieno mandati subito due maestri di pietra coi loro
arnesi .
521. — Federico.
Dal campo contro 8. Arcangelo, 9 novembre 1462.
Raccomanda la causa di Gio. Battista Baglioni per un suo mulo
rubatogli dal mulattiere che lo vendette a certi uomini da Molazzano,
i quali poi pare lo abbiano venduto a « Muse hebreo quale habita li
a San Marino. »
— 2Ì8 —
522. — Federico.
Dal campo contro Verucchio, 11 novembre 1462.
Si meraviglia clie non sia reso un muletto a Gio. Battista Baglione.
Insiste clie gli sia fatta ragione.
523. — Federico.
Dal campo contro S. Arcangelo, 12 novembre 1462.
Si occuperà della faccenda die gli raccomandano con Monsignore.
524. — Federico.
Dal campo contro S. Arcangelo, 12 novembre 1462.
Ha urgentissimo bisogno di due maestri di pietra.
525. — Federico.
Dal campo contro 8. Arcangelo, 13 novembre 1462.
Credenziale in Bartolomeo San Marinese^ circa al fatto dei prigioni
di Monte Giardino.
526. — Federico.
Dal campo contro 8. Arcangelo, 14 novembre 1462.
Presenta Bartolomeo della Metola e Nicolò dalla Carda che vengono
a chiedere il sequestro e la restituzione di una cavalla rubata loro e
venduta costà.
527. — Federico.
Dal campo contro 8. Arcangelo, 23 novembre 1462.
Prega che facciano recapitare un'acclusa a' suoi squadrieri France-
sco Sassatello e Alessandro Gambacorti a Cerestiolo o dove si trovano.
528. — Federico.
Verncchio, 25 novembre 1462.
Si lamenta del venire che fanno quelli di Francesco da Otiano
ed altri nemici, costà; protesta vivacemente, manda un suo famiglio
circa V alloggiare i soldati.
— 219 -^
529. — Federico.
Verucchio, 25 novembre 1462.
Manda Giuliano gonfaloniere suo famiglio.
530. — Federico.
Verucchio, 21 novembre 1462.
La gente del Sig. Napoleone passando ha danneggiato i San Ma-
rinesi, e così pure Contuccio « che me e doluto persino al core »;
raccomanda i suoi soldati e si proferisce.
531. — Federico.
Pietracuta, 12 dicembre 1462.
Prega che si faccia portare la paglia ai soldati di stazione costà,
che sarà vantaggio reciproco e si eviteranno scandali.
532. Federico.
Pietracuta, 21 dicembre 1462.
Manda alcuni da Savignano e da Gatteo pregando che per 3 o 4
giorni sieno alloggiati e nutriti nel Box'go mediante compenso che Mon-
signore provvederà.
533. — Federico.
Verucchio, 13 dicembre 1462.
Raccomanda i suoi soldati che sono costà, che per suo rispetto
siano provveduti di un poco di strame « a ciò non se scortichino
quelli pochi cavalli che hanno. » Manda per sollecitare, Giuliano
gonfaloniere suo famiglio.
534. — Federico.
Verucchio, 14 dicembre 1462.
Prega che siano tolti gli uomini di Faetano e mandati al Reveren-
dissimo M. Legato sostituendo loro Durante e Biagiotto colla squadra
e cogli uomini d' arme che sono lì, che così bisogna fare « per lo
stado di Sancta giexia. »
— 22Q —
535. — Federico.
Verucchio, 14 dicembre 1462.
Prega che sia mostrata la presoute agli uomini che sono lì, da
Savignano e da Gatteo e che si uniscano con quelli di S. Arcangelo
e di Galilea e che tutti insieme con Alberto se ne vadano al Reve-
rendissimo Monsignore e, quando non potessero andare insieme vadano
separatamente, che la via è sicura.
536. — Federico.
Verucchio, 15 dicembre 1462.
Domanda che sia preso e consegnato ai suoi provvisionati un certo
Antonio Bellolo da S. Arcangelo, e facciano presto.
537. — Federico.
Verucchio, 15 dicembre 1462.
Per il bene del Comune, e per certe sue informazioni, levino 4 o 6
uomini da Faetano e mandino via quelli dell' Albarito o di Monte
Giardino se ve ne fossero, e questo per buona ragione.
538. - Federico.
Verucchio, 15 dicembre 1462.
Ha deliberato che i soldati alloggiati lì vadano ad alloggiare a
Faetano. Quindi essi tolgano gli uomini da Faetano e li facciano venire a
S. Marino, e s'intendano perciò con Durante e Biagiotto suoi squadrieri.
539. — Federico.
* Pietracuta, 16 dicembre 1462.
A proposito di certi uomini da Faetano, li consiglia a liberarli in
parte con cautela: concede licenza ad uno che possa « cavare » la moglie
e i figli da Savignano.
540. — Federico.
Verucchio, 20 dicembre 1462.
Manda costì per ostaggi Ser Piero da Talamello e Don Giovanni
Del Grasso pure da Talamello, e che sieno « lassegnati » due volte
al giorno, mattina e sera.
— 221 —
541. — Federico.
Veruechio, 20 dicembre 1462.
Scrive la sua deliberazione, die due ostaggi debbano andare a stare
a Monte Cerignone.
542. — Federico.
Pietracuta, 24 dicembre 1462.
Chiede un uomo per casa, per andare dove bisogna.
543. — Federico.
Pietracuta, 28 dicembre 1462.
Circa le colpe degli uomini della Valle.
544. — Federico.
Veruechio, 30 dicembre 1462.
Chiede in prestito 10 o 12 tarragoni e 500 verrettoni, da mandarsi
per il latore della presente.
545. — Federico.
Pietracuta, 4 gennaio 1463.
Egli ha bisogno di rimuovere quegli uomini d' arme che sono a
Monte Giardino per adoperarli altrove. Perciò consiglia che siano
sabito mandati 40 o 50 uomini con quelli a guastare il castello, cosicché
alla loro partenza « el sìa buctato per terra. »
546. — Federico.
Urbino, 10 gennaio 1463.
Gli dispiace assai un incidente avvenuto a Monte Giardino: offre i
suoi squadrieri Durante e Biagiotto per aiutarli a buttare a terra Monte
Giardino se occorrerà, pronti ad ogni proposito, « et per omnj modo
« fatelo mectere a terra che mi farete a piaxere. »
547. — Federico.
Pietracuta, 18 gennaio 1463.
Deplora lo strano caso intervenuto fra i rispettivi soldati, del quale
ha « hauuta gran melicania »; e manda un suo trombetta ed uno di
quelli che si ritrovarono al fatto,
222
548. — Federico,
Pietracuta, 23 gennaio 1468.
Venendo costì Monsignore di Ventiiniglia Commissario del Papa
prega cìie per rispetto del Papa e, di Ini che è prelato degno e per il
debito loro gli provvedano buona stanza « et recipiente per la persona
soa. » Egli verrà con un seguito di circa 20 cavalli.
549. — Federico.
Pietracuta^ 25 gennaio 1463.
Avverte che diffidino di uno da Monteacudo che frequenta certi
suoi fratelli che vanno e vengono da Riraiui, e di altri siffatti.
550. — Federico.
Pietracuta, 28 gennaio 1463.
Prega di preparare 50 fanti per farli muovere con Biagiotto e Fi-
lippo da Gubbio.
551. — Federico.
Pietracuta, 28 gennaio 1463.
Chiede fanti che sieno inviati a Faetano e Verrucchio.
552. — Federico.
Pietracuta, ultimo gennaio 1463.
Desidera essere avvisato immediatamente dell' a.irivo di Monsignore
di Ventimiglia.
553. — Federico.
Pietracuta, 4 febbraio 1463.
Il Capitano di Serravalle ha scritto che il castello ha bisogno di
legna.
554. — Federico.
Pietracuta, 14 febbraio 1463.
I soldati del Signor Alessandro hanno tolto del bestiame ai San
Marinesi; promette che saranno risarciti.
- 223
555. — Federico.
Pietracuta, 17 febbraio 1463.
Chiede clie il primo giorno di qnaresinin mandino due dei loro, infor-
mati delle ragioni della comunità circa i confini di Monte Maggio e
delle Valle e delle case di San Marino, al Grentile suo fattore.
556. — Federico.
Pietracuta, 11 marzo 1463.
Raccomanda Francescliino da Monte Griniano per certe differenze
die ìia con Marino di Giovaguolo di costì.
557. -- Federico.
Pietracuta, 12 marzo 1463.
Grentile suo fattore verrà domani a vedere e comporre la differenza
dei confini fra la Comunità di Monte Maggio e la Valle,
558. — Federico.
Pietracuta, 18 marzo 1462.
Venendo Giacomo da Cesena a cercar casa in San Marino li prega
di facilitarglielo.
559. — Federico.
Pietracuta, 23 marzo 1463.
Cecco di Giovanni a Monte Cerignone ha tolto una cavalla ad un
San Marinese, alla quale cavalla sopravvenne la febbre e morì. La morte
della bestia complica la causa; chiede che siano esaminati testimoni e
sia fatta ragione.
560. — Federico.
Pietracuta, 23 marzo 1463.
Avvisa che certi cavalli dei nemici devono cavalcare « in fra » San
Marino e Secchiano.
561. — Federico.
Pietracuta, 24 marzo 1463.
Stanghelino da Soanne, salva l'approvazione della comunità, vorrebbe
« torre a fare la becharia li »: lo raccomanda.
— 224 —
562. — Federico.
Pietracuta, 25 mano 1463.
Uno della Valle deve avere da nno di Fiorentino 33 fiorini per ra-
gione della dote dell' avola e della madre. Lo raccomanda.
563. — Federico.
Pietracuta, 28 marzo 1463.
Manda un messaggio a voce per Stangheliuo da Soaaae.
564. — Federico.
Pietracuta, 9 aprile 1463.
Chiede siano mandati a lui certi testimoni San Marinesi in una
causa elle egli ha per le mani « per cagione de doi cavalle. »
565. — Il Vescovo Feretrano.
Valle, 11 aprile 1463.
Si farà « quod iustum fuerit » di una vertenza.
566. — Federico.
Urbino, 21 aprile 1463.
Credenziale in Pier Antonio da Mercatello.
567. — Federico.
Pietracuta, 25 aprile 1463.
Manda un messaggio a voce da Giov. Battista suo cameriere.
568. — Federico.
Pietracuta, 26 aprile 1463.
Ringrazia della provvisione fatta per ricevere Messer Ridolfo da
Camerino.
569. — Federico.
Pietracuta, 26 aprile 1463.
Ha urgentissimo bisogno di 10 staia di grano per otto giorni.
•^ 225 —
570. — Federico.
Pietracuta^ 27 aprile 1463.
Li ringiazia del prestito delle sei staia di cui tre sono da conse-
gnarsi ad uno inviato da Francesco da Mercatello.
571 . — Federico.
« Ex felicibus castris sanctissimi d. n. apud sassum »
« Prima die inaii 1463. »
Chiede, per la prossima mattina presto, guastatori con zappe e pali
di ferro; acclude varie da recapitarsi.
572. — Federico.
Pietrarubbia, 2 maggio 1463.
Manda il suo mulattiere Sabatino per una delle tre staia di grano
che restavano dalle sopradette sei.
573. — Federico.
Pietracuta, 4 maggio 1463.
Manda a prendere l'ultimo staio di grano per uno di Montegello.
574. — Federico.
Pietracuta, 4 maggio 1463 nella 2* ora di notte.
Mandino subito 25 uomini a Faetano « et no auardate che sia de
nocte. »
575. — Federico.
Pietracuta, 8 maggio 1463.
Prega che si faccia render ragione a Francesco di Mercatello da
quelli di Monte Giardino e come Capo della Guerra comanda che capi-
tando ivi alcuno di quelli di Monte Giardino che siano obbligati, li
debbano ritenere per la detta soddisfazione.
576. — Federico.
Pietracuta, 8 maggio 1463.
Ha bisogno di due maestri di legname per quattro o sei giorni.
15 — itti e Menorie delia R. Dep. di Storia Patria per le larehe. 1912.
— 226 —
577, — Federico.
Pietracnta, 8 maggio 1468.
È stato sovvenuto di grano Giacomo di Cesena già Castellano di
Monticello.
578. — Federico.
Pielraiuta, 9 maggio 1468.
Se non lianno mandato i 25 tanti a Faitano e 15 a Monte Giardino
li mandino subito con vettovaglie per quattro giorni.
579 — Federico.
Verncchio, 18 maggio 1468.
Manda per un altro staio del grano die gii stanno imprestando.
580. — Federico.
Dal campo contro Macerata, 14 maggio 1468.
Donna Agata dalla Pietra e lacomuccio da Tannano hanno diffe-
renza « per uno bo » che lacomuccio ha comperato da Nicoluccio dalla
Pietra abitante di San Marino. « Per che dieta domna dice chel dicto
bo, li fo tolto già più tempo fa II perche domanda al dicto lacoujuccio
el bo. et el fleto da quel tempo in qua. » Li prega di esaminare o
mandare a lui il detto Nicoluccio.
581. — Federico.
Pi^tracuta, 21 maggio 1468.
Ser Antonio de Cantiano ha maritato una cognata a un figlio di
Franchino da Monte con patto di dargli la dote « de tempo in tempo »;
e Franchino non vuole osservare quosti patti. Raccomanda che si pi'ov-
veda.
582. — Federico.
Dal campo contro Castellano, 25 maggio 1463.
Ha bisogno di 10 paia di bnoi e 20 guastatori per la sera stessa e
la notte seguente,
— 227 —
583. — Federico.
Dal campo contro il Sasso, 27 maggio 1463.
Prega clie si cerchi e consegni al latore un carro lasciato lì da
Geutiluccio da S. Angelo che governa le munizioni delle bombarde.
584. — Federico.
Dal campo presso Sasso, 28 maggio 1463.
Perchè siano sequestrati certi bovi condotti e venduti lì, e si veri-
fichi da chi furono comprati.
585. — Federico.
Dal campo contro il Sasso, 29 maggio 1463.
Non essendogli stato mandato il prigioniero richiesto, « comò capi
tanio della guerra » li prega e comanda gli sia consegnato.
586. — Federico.
Dal campo contro il Sasso, 29 maggio 1463.
Chiede che gli si mandi un messaggero per conferire a voce.
587. — Federico.
Dal campo contro il Sasso, ultimo maggio 1463.
Dovendo sentenziare in una differenza (;hiede gli sia mandato un
certo Magio da Monte Giardino prigioniero di Francesco di Mercatello
che ha la causa cogli uomini di Monte Giardino.
588. — Federico.
Dai! campo contro Corticeto, 6 giugno 1463.
Si lamenta che non abbiano fatto nulla a riguardo a quei bovi
comprati da certi San Marinesi a Nicolò abitante della Masetta, clie si
dovevano restituii'e a quelli di Monteriolo. Prega che sia restituito
il denaro a chi comprò i buoi.
589. — Federico.
Dal campo presso il Sasso, 6 giugno 1463.
Perchè siano restituite all' uomo della Signoria Fiorentina 8 bestie^
sequestrategli.
— 228 —
590. — Federico.
Dal campo contro Fano, 16 ghigno 1463.
Piega come per altra sua clie sia restituito il bestiame a quelli da
Monte Oriolo.
591. — La comunità del Castello della Valle.
Dalla Valle, 22 giugno 1463.
Notificano che il loro Podestà ed il suo luogotenente hanno man-
dato il bando che non si possa cavare nessun frutto dalla costa della
Valle o dalle Torricelle sotto pena di 10 ducati d'oro e di perdere le
bestie.
592. — Federico.
Dal campo contro Fano, 2 luglio 1463.
Perchè sia riconsegnato certo bestiame ad uno di Monte Oriolo.
593. - Federico.
Dal campo contro Fano, 20 luglio 1463.
È vero che egli ha fatto pigliare Fra Giovanni. Promette che gli
si farà ragione.
594. — Federico.
Dal campo contro Fano, 28 luglio 1463.
Chiede altri 10 guastatori.
595. — Federico.
Dal campo contro Fano, 21 agosto 1463.
In favore di Giorgio schiavo a cui un Simone da San Marino mae-
stro di pietra ha menato via un cavallo.
596. — Federico.
Dal campo contro Fano, 28 agosto 1463.
Perchè sia rilasciato un certo Nicolò preso per debito. Protesta
vivacemente,
— 22d —
o97. — Federico.
Dal campo contro Fano, 29 agosto 1463.
Per far rilasciare uno.
598. — Federico (a un maestro Girolamo).
Dal campo contro Fano, 30 agosto 1463.
Raccomanda la causa di Nicolò di Sante di Monte Maggio.
599. — Federico.
Dal campo contro Fano^ 2 settembre 1463.
Chiede urgentemente venti guastatori coi loro arnesi, e chiede che
a chi è sprovvisto del « buletino de toniasso picino » si faccia pagar
la pena senza mercede.
600. — Federico.
Dal campo contro Fano, 1 settembre 1463.
Chiede « subito, subito » 20 guastatori con vanghe e zappe per
dieci giorni « et el primo che torna senza elbuletino de tomasso picino
fateli pagare Lapena. »
601. — Federico.
Dal campo contro Fano, 9 settembre 1463.
Scambio di 12 i^rigionieri, uno San Marinese e uno di Val di Tevere.
602. — Federico.
Dal campo presso Gradara, 21 ottobre 1463.
Perchè sia restituito certo bestiame tolto a quelli da Monte Maggio.
603. — Federico.
Dal campo presso Gradara, 22 ottobre 1463.
Perchè siano restituite certe possessioni ad un Marino già dal Sasso
presente latore « ed abitante di fano ». È ragionevole la restituzione
poiché è << homo de sancta Ecclesia come sete anche voi. »
604. — Marino del Vivo.
(guasta)
Firense, 23 ottobre 1463.
Su certe differenze private.
- 230 —
()05. — Elia da Monte Rotondo.
Serravalle, 17 novembre 1463.
Raccomanda il suo compagno e procuratore Benedetto.
606. — Federico.
Talamello, 14 novembre 1463.
Raccomanda che si faccia ragione a Giorgio schiavo, in certa sua
vertenza.
607. — Lorenzo Capitano di Serravalle.
(guasta)
Serravalle, 19 novembre 1463.
Notifica 1' elezione di Filippo Giovanni e di Benedetto .... a pro-
curatori dello strenuo Elia da Monte Rotondo.
608. — Federico.
Urbino, 7 dicembre 1463.
È stato ritenuto certo grano a « Madonna Catharina Contessa di
Carpegna » da certi suoi pretesi creditori. Si faccia restituire il grano
e Federico farà restituire il denaro.
609. — Federico.
Pietrarubbia, 11 dicembre 1463.
Ha avuto un colloquio con Monsig. Legato a proposito di Serravalle,
nel quale gli ha promesso « liberamente fami consignare La posessio-
ne. » Avvisa che mandino qualcuno al Rev.mo Padre Monsig. di Sessa.
610. — Federico.
Urbino, 15 dicembre 1463.
A proposito di una vertenza sopra certe riscossioni della contessa
di Carpegna.
611. — Federico.
Urbino, 26 dicembre 1463.
« Amici carissimi io credo che haueriti saputo et hauuto infor-
« matione: corno ancho io ho hauuta che passando uno famiglio de
— 23l —
« miser francesco de li senza dare inpediraento anesciuno per alcuni
« uostri lioniinj fo assaltato et lassiamo andai-e robbato ma fo ferito
« et si lo uolsero amazare. Il quanto sia stato honesto et ben facto
« a voj lo Lasso giudicare et però io dico che alhauuta de questa
« prouidiate de hauere quelli tali in le mane et mandati miglj altra-
« mente io ui promecto che io faro demostratione tale che lassiamo
« andare che noi acorgiate che mi sia rencresciuto sirail atto Ma faro
« che quando ninno de li mej passara delj sera veduto volunthiera et
« honorato: et pero io ui mando Giohanbenedicto presente apportatore
« et mio prouisionato.
« Urbiui XXVI Decembris 1463.
« Fodericns Comes Urbini Regius Capitaneus Sanctissimj
« domini nostri locumtenens generalis etc. »
612. — Federico.
Fietramita, 29 dicembre 1463.
Manda certi messaggi da Gentile suo fattore.
613. — Cecco e Pino degli Ordelafa.
(guasta) Forlì .... Dicembre 1468.
Mandano uno da Modena latore della presente.
614. — Federico.
(guasta) Urbino, 11 gennaio 1464.
Alla lettera d'ieri risponde che se essi vogliono che egli tolga Ser
Lorenzo da Serravalle lo farà di buona voglia, ma se lo leva Monsi-
gnore ce ne manderebbe un altro che sarebbe forse peggio. Farà tut-
tociò che può per aiutarli a mantenere Serravalle come ha fatto per
farla acquistare, e non seguirebbe il desiderio del Vescovo dì Sessa
perchè gli pare piìi conveniente mantenere e fortificare il Castello piut-
tosto che batterlo per terra.
615. — Marino Calcigni.
Castel Dtirante, 3 marzo 1464.
Notizie circa « elfacto deseraualle » e circa vertenze ecclesiastiche.
616. — Marino Calcigni.
Castel Durante, 5 marzo 1464.
Sollecitino in quanto a Serravalle : prendano buona guardia. E
passato il Duca di Melfi, etc.
- ^32 —
èl7. — Angelo Vescovo di Sessa.
Fano, 16 marzo 1464.
Chiede gli siano mandati due San Marinesi: ha chiesto due di
Serravalle per arbitrare fra loro.
618. — Giovanni Calcigni.
Serravalle, 17 mar so 1464.
Il messo di Mons. di Sessa ha una lettera per il Comune e gli
uomini di Serravalle, da consegnarsi all' arengo. Chiede istruzioni in
proposito.
619. — Il Comune e gli Uomini di Serravalle
al Vescovo di Sessa.
Serravalle, 19 marzo 1464.
Circa le loro vertenze coi San Marinesi.
620. — Il castellano Nanni da Pistoia.
Verucchio, 20 marzo 1464.
Ringrazia di nn riguardo usato per lui a certe donne.
621. — Jacopo di Francesco medico di Riraini.
Bimini .... aprile 1464.
Ringrazia per la licenza concessagli di condurre a pascolare certe
sue bestie.
622. — Sigismondo Pandolfo Malatesta.
(guasta)
Rimini . . . aprile 1464.
Essendo ora Serravalle sottoposta a San Marino, chiede si faccia
ragione a certi Serravallesi, ora cittadini di Rimini.
623. — Fra Filippo da Marzolino Priore
del Monastero dell' Annunziata.
Monte di Scolca, 26 aprile 1464.
Manderà secondo è richiesto.
— 233 —
624. — Giovanni Calcigni.
Serravalle, 11 maggio 1464.
Un messo <li Monsignor di Sessa gli ha detto « clie la sua Santità
« non passa de qua fìnchel Signore Sigismondo non passa Fano et
« Senegaglìa et che per questa caxione la Sua Signoria e molto occu-
« pata de la .... »
625. — Callisto da Urbino.
(guasta)
Urbino, 1464.
Si lamenta del modo di trattare di un « Maestro Simone vostro. »
626. — Il Comune e gli Uomini di Veruccliio.
(guasta) Verucchio, 15 maggio 1464.
Su certe differenze di colte e di terreno.
627. ~ Federico.
Urbino, 26 maggio 1464.
Perchè sia fatta lagione ad un suo uomo da Monte Cerignone as
ealito e gettato in terra e battuto disonestamente e privato di una
borsa e di un cavallo da uno di San Marino.
628. — Carlo Malatesta di Sogliano.
Sogliano, 29 maggio 1464.
Avendo bisogno di un uomo fidato, chiede un San Mariuese.
629. — Matteo fabbro da Serravalle.
Eimini, 2 giugno 1464.
Fu officiale a Serravalle e quando si partì gli restava ad avere parte
del salario: prega gli sia fatto avere.
630. — Francesco da Mercatello condottiero.
Mondaino, 22 giugno 1464.
Di certi ducati che vuol donare « a quellj valeutj stradàrolj. »
— 234 —
631. — Egidio Vescovo di Riraini.
Biminì, 22 giugno 1464.
Comunica i! conferimento della chiesa di Serravalle ad un degno
sacerdote.
6;{2. — Lodovico Calcigni Rettore di S. Agata.
Torricello, 22 agosto 1464.
Sono stati presi due famigli di Giacomo da Brescia, Connestabile
<< del S. » che menavano certi buoi tolti alla Perticala per una rap-
presaglia. Li raccomanda.
633. — Giovanni Urceoli Conte e dottore di leggi.
Bocca di Forlimpopoli, 31 agosto 1464.
Ricordandogli i suoi magnifici Signori la cordiale amicizia esi-
stente ab antico tra la 'Comunità e questa città di Forlì, lo incaricano
di chiedere a San Marino cento fanti.
634. — Federico.
Castel Durante, 7 settembre 1464.
I frati di S. Francesco devono aver denari da certi giudei di San
Marino. Chiede che sia fatta loro ragione.
635. — Giovanni Calcigni.
Serravalle, 28 settembre 1464.
Raccomanda uno che si presenta.
636. — Federico.
Urbino, 2 novembre 1464.
« Illustri et potenti domino fratri carissimo domino malateste de
Malatestis. » Chiede passo per alcuni San Marinesi che devono fornire
di grano alcuni suoi luoghi di Monte Feltro.
637. — Federico.
Urbino, 1 dicembre 1464.
Prega che sia restituito « el suo bo » ad un certo Aloisio di Marino
suo uomo da Monte Grimano.
— 235 —
638. — Antonio da Cantiano.
Rende conto di faccende varie.
Roma, 18 dicembre 1464.
639. — Federico.
Urbino, 21 dicembre 1464.
Un famiglio di messer Francesco passando da Faetano fn derubato
ferito e quasi ammazzato: se ne lamenta, e promette di fare « per
« modo che un'altra volta li mei scranno lionorati et acarezati. »
^3» fe^
TJÌ^ GONFALONE SCONOSCIUTO
DI GIROLAMO DI GIOVANNI DA CAMERINO
La cliiesa parrocchiale di S. Martino di Tédico sorge sopra
un'altura (677 m. s. ni.) che occupa una situazione centrale ri-
spetto ai vari villaggi (principali : Morécine, Colli, Bolognesi)
onde risulta la frazione del comune di Piastra (circondario di
Camerino) che suoIh denominarsi dì S. Martino. La designazio-
ne di Tédico, restata nei documenti relativi alla chiesa, non
trova in essi spiegazione, perchè ci mancano quelli dell'alto
M. Evo, i quali è presumibile facessero menzione del luogo a
vente il nome di Tédico. Poiché fu costume antico e costante
che le chiese del contado si designassero dal villaggio ai cui
bisogni spirituali servivano, pare congettura ragionevole che
Tédico, nell'evo romano e nei primi tempi cristiani, fosse il no-
me di qualche centro abitato, poi scomparso. Di che è indizio
il nome di Morécme, o Morégine, (da murus) — uno degli at-
tuali villaggi, a circa mezzo Km. dalla chiesa — che significa
macerie, o rovine, come segue nella località dove sorgeva l'antica
Tuficum, sulla destra dell'alto Esino, presso Albacina, e in altri
luoghi (1). A valle di Morécine sono ancora macerie di case di-
roccate e una tradizione del luogo, che chiama Pian d'assalto
alcuni campi non lontani da Morécine, afferma qui essersi com-
battuta una battaglia e di questa essere effetto le rovine che
si veggono ancora (2). Contenga o no qualcosa di vero questa
(1) BoRMANN, Corpus Insd-iptiouuvi latinaruvi, XI, 836. Presso Belnioute
Piceuo chiamasi pure morrécini il luogo dove trovansi gli avanzi di una ne-
cropoli romana. Anche il nome di Macerata si fa derivare dal latino maceria.
(2) Anche presso Caldarola la tradizione colloca un Pian d'assalto in re-
lazione alle scaramucce tra Belforte e Caldarola.
— 238 —
tradizione trasmessa di generazione in generazione — alla quale
conferisce verosimiglianza lo spirito bellicoso degli antichi Umbri
durato vivissimo nell'Età di mezzo — teniamo per certo 'cbe
il vocabolo Morécine (dicesi anche morecinaro per rovine di e-
difici) indichi 1' esistenza di un aggregato di case, che è pro-
babile si chiamasse Tédicum.
La chiesa di S. Martino, col maggiore altare rivolto verso
Oriente, fabbricata con ottima pietra calcarea, ha sulla facciata
una tettoia che sovrasta al duplice ingresso formato da porte
ad arco pieno. La parte centrale è manifestamente la più antica,
alla quale fu aggiunta l'attuale navata sinistra, sorretta, nella
parete esterna volta verso Nord, da rozze lesene di fattura
relativamente recente. Coeva alla chiesa e ora in parte chiusa è
la navata destra dove si vedono le rovine della piccola, antica
canonica. Kifacimenti e restauri appaiono evidenti qua e là,
ma è pure visibile, nelle parti meglio conservate, massime nel
muro della facciata e nelle porte, una veneranda antichità non
facile a determinarsi a causa della mancanza di elementi carat-
teristici costruttivi 0 ornamentali. Incliniamo a credere che la
costrnzoine originaria possa risalire al Dngento o ai primi del
Trecento. E al medesinio tempo i)ensiamo appartengano le chiese
delle parrocchie limitrofe: la pieve di 8. Marco di Colpollina,
detta nei ])ni antichi documenti di S. Marco di Montazzano, e la
Canonica, entrambe più o meno trasformate nell'interno, ma non
prive di qualche segno dell'antica struttura. La prima conserva
la bellissima triplice abside — esempio raro e forse unico tra i
nostri monti — e la cripta a cinque navi ampia e semplice
della quale auguriamo di veder presto riaperta l'antica comuni-
cazione colla chiesa. La seconda, la Canonica di Piastra, rivolta,
come le altre due chiese qui sopra mentovate, verso Oriente,
attesta i! proprio stile con due lunette trilobate, con due pic-
cole finestre oblunghe e ad arco pieno situate sull' abside ret-
tangolare ~ sull' introdosso di una di esse è scolpito da un
bito 1' angiolo annunziatore, dall' altro il giglio — e con una
bifora da cui è caduta la colonnina, sopra la porta.
Non ci par dubbio che a fare osservabili questi edifici per
— 239 —
bontà di disegno e saldezza di struttura concorresse, oltre l'ar-
dore della fede e la prosjìerità economica di questa plaga
appenninica nel Medio Evo, per la floridezza della pastorizia e
dell' arte della lana, anche la prossimità dell'ottimo materiale da
costruzione dei monti della catena del S. Vicino e dei Sibillini.
Nella chiesa di S. Martino di Tédico si conserva, con-
chiusa da semi)lice, breve e rozza cornice di legno, una tela
rettangolare (m. 2 per 1,37) che esprime dipinta a temi)era
la Madonna della Misericordia. (1) Essa richiama la nostra atten-
zione non tanto per la rarità delle tele a temi)era quanto per la
bellezza dei volti e per il nome dell' autore. Disgraziatamente
il di])into nella caduta del colore, nella parziale ridipintura
del manto della Vergine e nelle lacerazioni mostra troppo
deplorevoli tracce del temjjo e dell'incuria degli uomini. Tutta-
via i volti sono immuni da ritocchi e ben conservati e in essi
il i)itt()re lasciò l'impronta dell'arte sua.
La Vergine, dal viso di un puro ovale, accoglie i devoti
genuflessi, uomini a destra e donne a sinistra. Ai lati due
santi, con un ginocchio a terra, guardano supplici la Madonna
in atto di offrirle e raccomandarle gli oranti. Sono S. Venanzio,
jirotettore di Camerino, e S. JNIartino: il primo ha sulla spalla
destra la bandiera (bianca e rossa) e con ambe le mani sostiene
non la solita città, bensì una chiesa di stile romanico con
alto campanile e con quattro torri agli angoli sormontate da
cuspidi, certo il tempio di S. Venanzio in Camerino, quale era
alla metà del Quattrocento (2): il secondo, in abito da soldato, ha
lo sperone e tiene la sinistra sull'elsa della spada. Alcuni nastri
orizzontali sembrano fermagli e decorazioni della tunica rossa.
(1) Dobbiamo la prima notizia dell'esistenza di quest'opera d'arte al sig.
Icilio Badiali e al nostro amico conte R. Romani, ispettore onorario per la
conservazione dei monumenti. All'uno e all'altro rendiamo vive azioni di
grazie.
(2) Vedi Santoni M. S. Venanzio m. camerte, iconologia e bibliografia,
2. ediz. Camerino, 1909. La rara sostituzione della chiesa alla città ha luogo
nella figura riprodotta a p. 20. Il bianco e il rosso della bandiera di S.
Venanzio furono i colori di Camerino, Liu C. Ei»t, di Camerino, II, 181.
— 240 -
Nella parte inferiore della tela e nel mezzo di essa, in lettere
minuscole, parte rotonde, parte gotiche, leggesi questa scritta:
Hoc opus fecerunt fieri homines diete p[aroehie] et tempore
dompni Anthonii Coltrinnis (ì) rectoris diete ecclesie sub anno
Domini M\C]CGCLXI1I et tempore domini nostri pape Pii 2 de
mense decembris die sextadecima.
Ieronimu8 IoannÌ8 pinsit
Siamo, dunque, dinanzi ad un'opera dell'artefice che, stando
agli studi di Bernardo Berenson (1) e di Adolfo Venturi, (2)
può tenersi il maggiore dei pittori camerinesi del Quattrocento.
Fino ad oggi una sola opera firmat.a si conosceva di lui: la
tavola di Monte &. Martino (provincia e circondario di Mace-
rata) avente la data 1473. Certo, anche se fosse mancata la
firma dell' autore, un attento esame avrebbe rivelate alcune
affinità della tela del 1463 colla tavola dipinta diecianni dopo.
11 taglio dei volti dei due santi della tela ricorda quello dei
santi Cipriano e Tommaso della tavola. Ma in quella non regna
la stessa gaiezza di colori che si ammira nell'altra: né le due
Madonne presentano gli stessi caratteri, la Madonna della mi-
sericordia avendo volto lungo ed ovale che assai differisce dal
corto e quasi infantile della tavola di Monte S. Martino. Più
])alcsi analogie si scorgono tra il gonfalone, che modestamente
segnaliamo agli studiosi, e V Annunciazione della pinacoteca di
Camerino dai critici odierni concordemente attribuita a Girola-
mo. Benché essa per potenza d'espressione e finitezza d' arte
sovrasti di gran lunga all'opera votiva di S. Martino di Tédico,
pure qui il disegno, le ombreggiature dei volti e la forma del
naso richiamano alcune figure dell' Annunciazione e special-
mente gli angeli della Pietà espressa nella lunetta.
11 particolare di questa tela che non i)uò non far sovvenire
(1) Girolamo di Giovanni da Camerino in Rassegna d' arte, VII, 129-135,
Milano 1907.
(2) Storia dell'arte italiana, VII, P. I, 520-24, Milano, 1911. Cf. anche:
Feliciangeli B. Sulle opere di Girolamo di Giovanni da Camerino, Note,
Camerino, Tonnarelli, 1908.
Q/ROMMO DI GIOVANNI. Gonfalone di 3. Martino di Tédico.
n
— 241 —
la iuaniera di Girolamo di Giovanni ci ])are sia quella specie
di portico baldacchino sotto cui l'artista ha voluto collocare la
Madonna. Fiancheggiano la figura alcuni pilastri digradanti in
prospettiva: ma l'aureola e il cajw della Vergine oltre])assaiio
l' altezza del capo-celo: il che non ha spiegazione nemmeno
uelta considerazione che il quadro deve esser veduto dal basso.
1 particolari ornamentali di carattere architettonico piac-
quero al nostro maestro, come può accertare chi esamini 1' An-
nunciazione della pinacoteca di Camerino, il trono della tavola
di Monte S. Martino — benché qui il contorno architettonico
della pittura sia formato dalla cornice gotica — e quelli delle
tavole di Bolognola (oggi in Koma) e del museo Poldi-Pezzoli
a Milano. Il Berenson, e più esplicitamente il Venturi, spiega-
rono il fatto cogl'influssi della scuola padovana, a cui Girolamo
s'era educato, e delle decorazioni del Donatello. Quando tor
nasse da Padova, dove, nel 1450, comi)are nella matricola dei
pittori, s'ignora.
La tela ài S. Martino conferma 1' attribuzione a Girolamo,
formulata dal Berenson, dei santi, già proprietà del sig. Don-
deswel di Londra e ora riuniti alla tavola del museo Poldi-Pezzoli.
•11 Berenson notò la somiglianza dei ricami a fiori onde è adorna
la veste di S. Caterina con quelli della tavola firmata di Monte
S. Martino: ma la Madonna della Misericordia, oltre questo
particolare decorativo, ripete il volto della predetta santa.
La tela di S. Martino di Tédico, in cui, fuori che nei volti,
non brillano piìi i colori di un tempo — resta qua e là soltanto
il rosso delle tuniche, mentre il verde e l'azzurro o sono caduti
o si sono trasformati in una tinta nerastra — offre pregi non
tenui nella sicurezza di disegno e nella grazia e soavità di
espressione. La qualità del soggetto e i mezzi dei committenti
non consentivano che il maestro desse qui la prova di sé che
ammiriamo in altre sue opere. Ma la tranquilla maestà delli
Vergine e il composto fervore dei devoti sono, agli occhi nostri,
segni, non dubbi di sincero e poderoso temperamento artistico.
Né dubitiamo di asserire che questo gonfalone di Girolamo é
notevolmente superiore, per rappresentazione artistica, all'altro
16 — 4Ui « H«Biorie dells R. Dep. dì Storia Patria p«r le Marche. 1913.
— 242 -
attribuito al Boccati, proveniente da Foligno ora conservato
nella raccolta del signor D. F. Platt di Englevvood (New lersey,
S. U. A.) e pubblicato e illustrato dal Mason Perkins (Rassegna
d'arte, XII, 170-71, Milano, 1912).
Nell'anno stesso in cui Girolamo dii)ingeva la tela di S.
Martino, Giovanni Boccati eseguiva per la eliiesa di Castel S.
Maria (comune di Castelraimondo) la grande tavola dell'incoro-
nazione della Vergine oggi ridotta in lacrimevole stato. Di un
altro pittore camerinese, Giovanni d' Antonio, che è incerto se
sia una stessa ])ersona col Giovannangelo d'Antonio pittore e
suonatore di liuto stato ai servigi di Giovanni di Cosimo dei
Medici fino al 1451, resta memoria in un documento del 1400 (I).
Bastano questi nomi a far credere all'esistenza di una vera scuola
pittorica camerinese'? Si noti die ciascuno dei tre artefici maturò
la propria educazione artistica fuori della patria: il Boccati
nell'Umbria, Girolamo di Giovanni nel Veneto e Giovanni An-
gelo d'Antonio in Toscana.
E fuori di Camerino più che in jlatria operarono Olivuccio
di Ceccarello, Cola di Pietro (2j e Arcangelo di Cola vissuti
tra il secolo XIV e il XV.
OPERE DI GIROLAMO DI GIOVANNI
SECONDO IL BERENSON (3) E IL VENTURI (4)
Camerino.
Pinacoteca - n. 2 - Affresco — Madonna col Bambino tra S. Antonio
abate e S. Antonio di Padova 1449.
n. 3 - Affresco — Madonna col Bambino, angeli e santi, Proveniente
dalla eli lesa di S. Agostino.
n
(1) Fklician(ìem B. op. cit. p. 33.
(2) Di maestro Cola di Pietro da Camerino fu scoperto un affresco,
portante la firma e la data 1401, nella chiesa di S. Maria di Vallo in Val-
nerina da Giuseppe Sordini. Auguriamo che l'illustre critico ne dia in luce
la promessa illustrazione.
(3) The Central lialian Painters of the Renaissance, London, New lork,
1909, 183-184.
(4) Storia dell'arte italiana VII, P. I. 523.
— 243 — .
n. 8 ■ Tavola — Annunciasioiie e Pietà dal convento francescano
di Sperimento.
n. 86 - Frammento di affresco — Madonna col Bambino dalla
chiesa di S. Francesco.
n. 89 - Frammento di affresco — Angelo, e. s.
Cattedrale-Sacrestia - (Jrocefi^sione , 8. Michele e 8. Giovanni Bat-
tista (1).
Gualdo Tadino - Duomo - Croceflssione e quattro santi.
Macerata - Pinacoteca - Crocefissione. Proveniente da Monte San
Martino.
Milano - Mnseo Poldi-Pezzoli - Madonna e angeli.
Monte S. Martino - (Circondario di Macerata) Chiesa di S. Maiia
del Pozzo - Polittico, Madonna e Santi con firma e data 1413.
Nevers - 25 - J/ Battista.
Roma, presso Mr. Wnrts - Madonna, santi e angeli. Proveniente
dalla chiesa di S. Michele di Bolognola (circondario di Camerino).
S. Pellegrino (presso Gubbio) - Chiesa di S. Pellegrino - Polittico,
Madonna e santi, 1465.
Sarnano (circond. di Macerata) - Chiesa del Rosario. Gonfalone con
VAnnnnciazione e la Crocefissione.
Tours - 185 - Il Battista.
S. Martino di Piastra (circondario di Camerino) - Tempra su tela -
Madonna della Misericordia con firma e data 1463.
Alle opere contenute in questo elenco è, forse, da aggiungere
una serie di quattro afitresclii votivi esistenti nella chiesetta
dell'eremo montano della Madonna di Carpineto a circa 2 Km.
da Pievetorina (circondario di Camerino). A destra e sinistra
del riguardante è raffigurato il Padre eterno che sostiene il Cro
cefisso: le due pitture centrali esprimono l'una la Vergine col
Bambino, V altra S. Sebastiano. Tutta la serie occupa orizzon-
talmente uno spazio di circa 4 metri vsopra un' altezza di m. 1,30.
Il Bambino somiglia assai a quello del grande affresco della
pinacoteca di Camerino (n. 3) proveniente da S. Agostino. L'at-
titudine di lui e della Vergine riproduce in modo perfetto
quella della tavola di Monte S. Martino. Nel Crocefisso, dove
(1) Venturi, op. e loc. cit.
— 244 —
la luodellatura del Cristo è assai iiejjletta, ricbianiaiio la maniera
di Girolamo la piega delle braccia e la collocazione della targa,
avente le lettere I. N. R. I., infìssa con un perno sul braccio
lungo della croce: particolare caratteristico del nostro maestro.
Il Padre Eterno, duro e accigliato, non ba ])iena corrisi)ondenza
con quello dell'Annunciazione di Camerino, ma ricorda il S. Ago-
stino del citato affresco n. 3 di quella pinacoteca. Da ultimo
il trono della Vergine ba una certa riccbezza di disegno che
pare convenire allo stile di Girolamo. Ma il volto della Madonna,
incorniciato non dall'aureola, bensì da una concbiglia, ben poco
ricorda il maestro cameiinese. Così pure differisce dai santi di
Girolamo il S. Sebastiano, mal disegnato in qualche particolare,
ma non privo di certa eleganza di modellatura. Ciascuno dei
quattro affreschi votivi portava in basso il nome del committente,
del quale ora si discernono qua e là solo alcune lettere, ma in tutti
si legge chiaramente in cifre arabiche la data 1489.
Pensiamo che tali pitture, che in alcune parti si rivelano
non indegne dei tempi felici dell' arte, si debbano o a Girolamo
o ad un suo scolaro ed imitatore (1). Se egli ne fu l'autore,
conviene credere che cogli anni si affievolisse notevolmente la
sua capacità artistica o che egli ponesse poco d'ingegno e di
diligenza in quest'opera la quale appare, nel complesso, di gran
lunga inferiore al grande affresco di S. Agostino di Camerino.
La data 1489, se realmente siamo in presenza di un'opera
%
(1) Sulla parete opposta a quella che ha i quattro affreschi da noi
attribuiti a Girolamo o, meglio, a un suo scolaro, si vedono altre pitture
votive di pennelli diversi e tutti mediocrissimi. In alto, e a sinistra del
riguardante, è la Madonna col Bambino con la data 1514: vengono poi uu'a-
Itra Madonna con accanto S. Sebastiano e un S. Antonio da Padova con
sopra la data MDXXXVII. In un angolo della parete opposta all'altare è
raffigurato rozzamente da mano del Cinquecento avanzato il miracolo di
cui parla la scritta sottoposta: « Io luco Antonio de Marino da lu Piano de
la noce stando al molino ad macenare \ me pusce ad sedere su lantremoggia
et sedendo me venne una certa debolezza | et cada (sic) co la testa su la ma-
cena et tucta la testa me rumpe in modo che remasi | tramortito recomandam^
ad questa nostra dopna et subito fo liberato. »
— 24& —
di CTÌrolamo, conferisce verisimiglianza all'ipotesi che i commit-
tenti dell' Annunciazione effigiati nella bellissima tavola prove-
niente dal convento francescano di Sperimento siano Giulio Ce-
sare Varano e la figliola di lui, Camilla (Beata Battista). Que-
sta, che sarebbe la figura femminile in abito monacale, entrò
nel convento di S. Chiara di Camerino nel 1484. Naturalmente,
se la tavola di Sperimento fosse del 1484 o posteriore, le
deficienze degli affreschi di Carpineto, eseguiti nel 1489, dovreb-
bero s()iegarsi più colla fretta che colla decadenza artistica del
pittore per effetto dell'età. Ma l'attribuzioue a Girolamo degli
affreschi di Carpineto non può accogliersi che con grandi riserve.
B. Feliciangeli
t^ t^
LA FI K R A DI SENIGALLIA
(Contributo alla storia economica del bacino Adriatico)
PARTE I.
(le origini - LA DOMINAZIONE ROVERESOA — IL SECOLO XVIl)
Capitolo i.
Le origini
La leggenda - La festa della Maddalena e le prime mani/estazioni della fiera -
Le prime traccie della franchigia - Circostame favorevoli allo sviluppo della
fiera.
Le oiigini della fiera di Senigallia si perdono nella tradi-
zionale notte dei tempi.
Quando j)er la prima volta la città — e fu, per ragioni di
difesa, sulla fine del sec. XVII - senti il bisogno di produr-
ne la... fede di nascita, che non possedeva, per trarsi d' im-
paccio si confezionò, puramente e semplicemente, una... patente
di nobiltà falsa. Contro la rivale Ancona, che vantava una
sua fiera di maggio sin dall'anno di grazia 1473, essa volle
mostrare, non solo che la propria era già in vita nove anni
innanzi, nel 1464 — e fin qui la verità storica non subiva...
oltraggio —, ma che in quel 1464, quando quella della rivale
non era nata, la sua era già grande, tanto da durare colla
sua brava franchigia per « octo dì nante et octo dì de jioi la
festa de santa maria magdalena » — e in questa seconda af-
fermazione era la bugia (1):
(1) R. Marcucci Suir origine d, fiera di Senigallia, in Arcìi. Sior. Hai.,
disp. 3 del 1906.
— 248 —
Men (li mezzo secolo i)iù tardi la data del 1464 dovè pa
rere troppo recente e nella prima delle tante memorie legali,
cui la movinientata e contrastata esistenza della fiera atessa
lungo quel XVIII secolo die la stura, l'origine è spinta consi-
derevolmente più lontano e per la prima volta allacciata e spiegata
coli' affluenza di popolo alla festa della Maddalena, protettrice
di Senigallia. E' spinta cioè indeterminatamente a « innanzi
al secolo XIV » e connessa, in via tutt/ affatto ipotetica, col-
la « traslazione », da Marsiglia a Senigallia, di reliquie della
santa, ])er opera della figliola del signore di Marsiglia, « ve
nuta a marito al conte di Sinigaglia » (4). La spiegazione,
sempre in via ipotetica, con un « vuoisi », pochi anni dopo
figurava nella storia cittadina messa insieme dal i)adre Sie-
na (2), ed aveva pertanto, a cosi dire, la prima sanzione storica
ufficiale.
Le numerose altre memorie dello stesso secolo XVIII, in-
vece, o sorvolano sull'oscuro argomento delle origini, o, attenen-
dosi positivamente agli scarsi dati offerti dall'archivio cittadino,
l' attribuiscono erroneamente a un atto dei « grandi uomini
« della casa Della Rovere, i quali avendo aggiunta Sinigaglia
« al loro dominio v'introdussero quella fiera cotanto rinomata »,
a fine <li smaltirvi « l'abbondanza di prodotti (?) di quel famoso
« territorio, che per mancanza di smercio e di popolazione
« marcivano (f) senz'alcun utile dei loro sudditi » (3).
È sui primi del XIX che neanche l'origine attribuita inde-
terminatamente al sec. XIII e la spiegazione congetturale non
(1) G. P. Monti Memoria sulla fiera, ms. ined. d. Antico Archivio Coinnv.
di Senig. in Libro di Mera, v. 7., N. 1, e. 1 o seg. Poiché la quasi totalità
dei documenti, che ci han servito al lavoro, appartengono all' Ant. Areh.
Com. di Senig., questi saran citati senz' altra indicazione che della collez.
di cui fan parte; dei pochi altri sarà espressamente indicata la provenienza.
(2) L. SiBNA Storia d. città di Sinigaglia, Sinig. 1746, p. 107.
(3) Alla S. Consulta per la città di Sinig., Memoriale, p. 2, opusc. a
stampa, Roma 1784, in Libro di Fiera v. 3, N. 34 e Brevissima Belaz. d.
Città e Fiera di Sinig., d'un MaGGIOLI, del 1786, ms. in Notìzie Divcì-se,
T. 27, e. 55,
— 249 —
soddisfano più. Gli elementi leggendari contenuti in quella
spiegazione sono liberati da ogni impaccio di « credesi » e
« vuoisi », sviluppati, precisati nel tempo e nell' azione e sol-
levati definitivamente agli onori della storia. E da quel tempo
le origini della fiera di Senigallia, con maggiore o minor lusso
di i)articolari, dai non molti scrittori, che ebbero a occuparsene,
sono invariabilmente raccontate e spiegate nel modo che segue:
— Mell'anno 1200 — proprio un anno secolare ! — Sergio
conte di Senigallia — conte di Senigallia in quell' anno 1200
era invece un Gottiboldo (1) — trasse in moglie la figlia del
signore di Maisigiia, la quale tra i doni nuziali ebbe dal i)adre
« una coscia e un braccio » <li S. Maria Maddalena « insieme
con le reliquie di S. Lazzaro suo fratella », un vero... museo
anatomico ! Perchè siffatte preziose reliquie avessero degno
ricetto e non fossero sottratte alla pubblica venerazione, la
novella sposa fece costruire nella sua nuova residenza una
chiesa intitolata alla Maddalena. E ])er la consacrazione della
chiesa fece bandire « anco in luoghi lontani » una gran festa,
alla quale accorsero in folla devoti, curiosi, gaudenti e mercanti.
L'affluenza alla festa incoraggiò — la leggenda non precisa se
la principessa-contessa o la città — a volerne la replica l'anno
seguente e i successivi: così in breve volgere di tempo, risultò
istituita la fiera (2). —
Abbia m creduto opportuno di esporre la graduale formazione
della leggenda intorno all'origine della fiera, perchè, oltre a fornirci
la misura delle cognizioni, che intorno al fatto si son sempre
(1) G. Cecconi Carte Diplomatiche Osimave, p. 114, voi. IV d. CoUez.
di documenti storici d. città e terre Marchigiane; Sikna Storia di Sinig.
Appendice I.
(2) G. Monti Notizie istoriohe suU'orig. delle fiere d. Stato Eccles., p. 67,
Roma, 1828, dal quale han preso l'aire tutti i non molti scrittori e artico-
listi della fiera: cfr. per tutti V. Palmesi Nel VII centenario d. fiera di
Senig., Aucona 1900 (pagg. 31) con uotizie bibliografiche in fondo.
— 250 —
avute da quando si è cercato rendersene conto, essa contiene un
fondo, sia pur modestissimo, di verità storica; questo: clie la
fiera della Maddalena è realmente derivata, germinata per prò-
cesvso spontaneo dalla festa onioiiima del 152 di luglio.
La festa della Maddalena, protettrice della città, sino almeno
dal tempo non [)reci8iibi]e cui risalgono gli Statuti cittadini,
era celebrata con solennità, che ha solo riscontro in quella del
Corpusdomini. Quindici giorni innanzi alla festa il podestà doveva
comandare « infrascriptis personis et artificibus, capitaneis seu
sindicis castrorum diete civitatis » di provvedersi di un cero
per ogni arte, « valoris et ponderis ut moris est, seu per
consilium vel Regulatores ordinatum et limitatum fuerit »; e
il giorno della festa, « de mane, hora consueta oblationis »,
« se personaliter presentare cum dictis cereis, comitiva et signis
sue artis... et cum uno homine de quolibet fumante seu domo,...
ante Palatium comunis -, i)er muovere di lì processionalmente
alla chiesa della santa. E le infrascritte persone, artieri e ca-
stelli, erano: « Consiliari Cives et litterati; Mercatores; Aroma-
tari!; Aurifìces et Fabri; Sutores; Calzolarii; Barberii; Fornarii;
(Jarpentarii ; Muratores ; Foniazarii ; Triculi et Kevendiriciili ;
Ortulani; Hospites et Tabernarii; Piscatores et Marinarli; Bu
bulci ; Sclavones; Castrum Scapezaiii; Castrum Riparum ; Ca
strum Koncitellorum ; Castrum Montisradi » (1).
E non paga di questa pompa, la comunità^ sempre s{)ian-
tata, « i)er onorar la festa » anche i)iù degnamente, si conce-
deva — in tempi a dir vero orlimi lontani dalle prime mani
fesLazioni della fiera — si concedeva... lussi inauditi : si)ese in
musica e spese in armigeri. 11 1506 montarono nientemeno
che... a quasi 50 fiorini, pari a 25 scudi, le s])ese i)er sola
musica, ripartite come qui sotto:
tiorini 16 a 16 Trombetti, clie sono venuti ad onorare la festa
di Santa Maria Madalena; e più:
fiorini ì e bolognini 8 a 2 Tamburi e 2 Ribecliini venuti da Iesi;
(l; Statuti 11)8., Lib. V, rubr. 129; delle cdiz. di Pesaro 1537 e 1584,
col titolo Staiutorum et Reformationum Magn. Civ. SenogaUiae. Lib. V, rubr. 113.
— 251 —
fiorini 20 a 2 Tainbmi per 1' aiinata venuti dalla Serra de Conti;
tiorini 12 a Bartolomeo dallo Staffolo sonator d'Arpa » (1).
Ora, che 1' affluenza di devoti a festa così... spettacolosa
invogliasse prima o poi qualche mercante ad accorrervi colla
sua mercanzia per esitarvela, è cosa talmente naturale, che per
Fapi^unto non altra è Forigine di tante altre famose fiere. E
tale precisamente è anche l'origine della fiera della. Maddalena,
come, in ajjpoggio all'ovvia verità contenuta nella leggenda del
conte Sergio e della sposa marsigliese, ci rivela il \mi antico
documento, <die a tutt'oggi ci è stato possibile rintracciare
sull'argomento.
C è offerto in una pagina del « Libro de honne intra-
ta de la ceta de Senegalia... » per gli anni 1 40809 (2),
e ne rileviamo come il 22 di luglio 1408, « festa de sta
maria madalena », fu per la dogana locale giorno di introiti
addirittura eccezionali. Di contro a un numero d' incassi, sotto
il titolo di « datio di ])a8so » o transito, che pel solo mese
d' aprile è in media su[)eriore a... uno per giorno, mentre nel
maggio è di uno per... ogni cinque giorni e nel giugno di uno
per ogni due giorni e mezzo, quel 22 di luglio 1408 « Ciriacho
de ser Bartolo depositario — oggi, prosaicamente, « cassiere »
del nostro magnifico et Ecenso sengniore niesser Pandolfo de
Malatesti in Senegallia », ha occasione e modo di registrare
nientemeno che nove incassi.
1) Tteni a dì 22 delhiglio — riproduciamo la veramente auten-
tica e finora più vetusta patente di nobiltà della fiera anche nella sgram-
matica grafia di messer Ciriaco di sei' Bartolo — a dì 22 delluglio, alla
festa de sta maria madalena, da dattole gindeio dall'ano per passo de
alcuno guppone, bolognini 1, vale ll(ibbre) 0, s(oldi) 1, d(enari) 9.
2) Item al dicto dì da Vennan^^o da camerino per passo de uno
podio de meryaria, boi. 2, vale . . . . 11. 0, s. 3, d. 6.
3) Item al dicto dì dalleme^o (?) dattano per passo de alcuno
poco de scliarpe, boi. l, vale . . . . 11. 0, s. 1, d. 9.
(1) Repertorio dei Bollettari, e. 67.t.
(2) Ant. Arch. Coni, di Fano, Codici Malaientiaiii, N. 71, e. 28b.
— 252 —
4) Itein al dicto dì da domeneclio de Vico dafano per passo de
alcuno paio descliarpe, boi. uno, vale . . il. 0, s. 1, d. 9.
5) Itetn al dicto dì da Mastio Matlieio da fauo per passo de doie
pece de giiarnelio, liol. uno, vale ... 11. 0, s. 1, d. 9.
6) Iteni al dicto dì da bramo de <j;n]liiiiio da fano per passo de
alenilo paio de scharpe, boi. uno, vab; . 11. 0, s. 1, d. 9.
7) Iteiii al dicto dì da Mastro Hnitolc datiino per alcuno paio de
scharpe, boi. uno, vale . . . . 11. 0, s. 3, d. 9.
8) Item al dicto dì da Ituona ^ioiita f^iudeio i)er passo de alcuno
guppone clialce, boi. . . . 11. 0, s. 'ó, d. 8.
9) Iteni al dicto dì dalleru<,\'o daltano per passo de alcuno paia
descliarpe, boi. 1, vale . . . . . 11. 0, s. 1, d. 9.
Disgraziatamente il libro d' entrata 1408-09 è il solo tra i
parecchi rimastici, che per quella prima metà del XV contenga
registrazioni così particolareggiate, e non ci porge clie nn' altra
sola e povera indicazione intorno alla presenza di merci alla
festa della Maddalena pel snccessivo 1400. Sotto la data 22 lu-
glio 1409, lo stesso Ciriaco di ser Bartolo non ha a registrare
che il magro incasso di soldi .') e denari 6 ])er « tenevelle »
— succhielli — che un « Ricco de Bruna<;90 de montalboddo...
conparo.... » — cornino - e naturalmente estrasse da Seni-
gallia (1).
La festa della Maddalena pertanto, da questi primi anni del
sec. XV al ]m\ tardi, consente e favorisce un sia pur rudimen-
tale mercato, uno scambio sia pur modestissimo tra povere merci
recate dal di fuori o fabbricate in città e il non copioso denaro
dei devoti. Queste prime modestissime operazioni di scambio —
è del pari facilmente rilevabile — non avvengono in regin)e di
favore e di privilegio. Mercanti e compratori, che portan fuori
della città, « estraggono » la mercanzia invenduta o acquistata,
pagano il bravo dazio, sia di transito sia di tratta, come in uno
qualunque degli altri 364 giorni dell' anno.
Non dunque ancora la fiera si è sviluppata, differenziata
dalla festa, della quale altro non è che... un aspetto o, per così
dire, un' appendice. E verisimilmente si mantiene tale per tutto
(1) Ibidem, e. 44.
- 253 —
il resto di quella prima mela e sino al 1456, nel quale anno,
sempre alla stessa i)artita « Passo e tratta il reg^istro Entrata
e uscita del depositario, al 22 luglio, indica V esazione di soldi
uno e denari quattro per <' otto ])anner » — panieri — , che
un Iacopo d' Ancona trae da Senigallia (1).
Di lì a due anni invece troviamo improvvisamente ed espli
citamente nominata la fiera e — che più importa -- la fiera
indubbiamente munita di franchigia. Alla solita partita « In-
trata de passo e tratta » del solito libro di tutte le entrate e
spese per gli anni 1458-59, durante il mese di luglio 1458 il
depositario per Sigismondo Malatesta, « lo nobil uomo Girolamo
Nasello » registra :
« E adì XXII decto (luglio).... da Guidino de Valsasena,
« magnan, per composirion facta con lui o fiera, o non fiera
« L. - s. mi, d.
« E adì decto (28 luglio)... da poito barcharollo per fiaschi de
« vetro che lui haveva in la barcha de quelli erano rimasti a
« la fiera, et fo composto con mi... L. ■ s. i, d. • » (2)
Le ferramenta del magnano di Valsassina, come si vede, ])a-
gano il dazio di transito non per altra ragione, se non jìerchè
tra magnano e depositario è intervenuta composizione o conven-
zione, che ha da valere in ogni temim, fuori di fiera e in fiera.
La formula : « o fiera o non fiera » - è chiaro — è titolo
giustificativo dell' esazione fatta in quella giornata 22 luglio, e
che altrimenti non avrebbe senso. E il barcarolo a sua volta paga
la tratta ])ei suoi fiaschi rimastigli invenduti dalla fiera, sol per-
chè li estrae dalla città a fiera chiusa, a franchigia spirata.
Il fatto che in quest' anno la fiera è munita di franchigia
non potrebbe essere i)iù chiaramente significato. La cosa ha im-
portanza di prim' ordine per V avvenire dell' istituzione.
La quale ha omai cessato <li essere un' api)endice della festa
religiosa, se n' è staccata, ha assunto o va asssumendo tìsonomia
sua propria, importanza e dignità di fatto economico a sé stante.
(1) Ivi, Cod. Malatest., N. 108, e. Ut.
(2) Ivi, Cod. Malateat., N. 109, e. 5.
- 254
Qiiaiirto, ora, e i)or o])eia di clii è intervenuta la concessione
della franchigia !
II ravvicinamento delle due ultime date e la circostanza se-
gnalata al riguardo del dazio pagato per le ferran)enta da Gu-
glielmo di V^alsassiua concorrono -- ma non slam disposti a
giurarci su, date le non poche... sorprese, che in questo argo-
mento ci hanno ripetutatoente riservato le varie e non brevi ri-
cerche! — concorrono a indicare il 1457, o forse anche lo stesso
1458, come la più i)robabi1e data e, ammessa questa, il munifico,
gaudente, raffinato Sigismondo Malatesta, quale autore della con-
cessione.
Chiaro è infatti che^ se nel 1450 non troviamo ancora indi-
zio di franchigia, ne troviamo invece la prova nel 1458, la con-
cessione dev' essere venuta o nel 1457, pel quale anno i registri
soliti non ci segnalano nulla, o nello stesso 1458. Evidente del
pari risulta che, se in questo 1458 è ancora in vigore una con-
venzione tia il depositario e un mercante — un i)robabile habi-
tué «Iella ])iazza di Senigallia, — detta convenzione sia stata
stipulata anteriormente alla concessione della franchigia stessa,
l)rinìa che si sapesse o si sospettasse I' intervento di questo
fatto nuovo, il (piale ])ertanto, relativamente a quell' anno, iion
doveva datai*' da lungo tempo.
Ad avvalorali^ codesta ipotesi concorre anche, secondo noi,
<MÒ che il più antico cronista di Senigallia, 1' anonimo di quella
che, in vista della sua piovcnienza, chiameremo cronaca Pas-
seri, narra al ))roposito dell' opera svolta da Sigismondo Malate-
sta in prò del suo tntt' altro che invidiabile X)Ossesso, Senigal-
lia. Ci narra 1' anonimo scrittore, come Sigismondo, signore di
Kimini, Fano e del Vicariato di Mondavio, considerata la devso-
lazione e miseria di Senigallia, ridotta a trentasei case e a una
jiovera rocchetta,* in mezzo a una gran selva lunga quattro
« miglia ])er ogni verso » e covo di malviventi, « vedendo il sito
« del i)aese perfetto e buono e sopra un fiume chiamato la Ne-
« vola dove già era stato porto ;... che era quasi in mezzo de
n
« Fano ed Ancona,... deliberò ancora per Ja fama sua far redi-
« tìcare questa città, e di farla habitare, e fu questo dell'anno
« 1450, il dì della Pentecoste.
« Mandò 1' Ill.nio Signore M. Sigismondo li bandi e difamò la
« voce per tutto Italia a chi volesse venir ad liabitar in Senigallia
« elle le donaria tanto terreno, quanto che loro vorebbero et che li
« donaiia un para de bovi [)er famiglia.... Ancora dette libertà
^< a quelli che venissero..., che loro con il Podestà facessino
« conseglio e che lor potessero liberamente donar, a chi vanisse
« ad habitar, terreno quanto che loro' adimandavano. Ancora dette
« libertà a quella città che li debiti, che havessero quelli che
« venivano.... non potessero essere astretti, né convenuti per
« niun temi)o niai. Ancora le diede la libertà, che per la robba
« che se i)ortasse in questa città, mai per n.iun tempo se li
« potesse domandar daccio o gabella alcuna. Et incominciorono
« molti cittadini a venir ad habitar e artesani -^ (1).
Il racconto si presenta gravemente viziato di inesattezze e
confusioni. A parte il fatto che il così detto porto di Senigallia
fu sempre, ed era anche sotto i Malatesta, la foce della Nevola,
cioè Misa, non fu questa di Sigismondo una ricostruzione della
città, ma un restauro delle smantellate mura e della fortezza
e — forse con alcune case di i)rivati — . la costruzione di qualche
edificio, certo di « magazzini », per conto del signore: lavori
che effettivaoiente si svolsero dal 1456 al 1459 almeno (2).
Inoltre, ammesso ])ure — e nulla vieta <ìi crederlo — il j)ro-
posito in Sigismondo di ripopolale, cioè attirare nuovi abitatori
nella città, semideserta e desolata dalla nuil-aria, e in conse-
guenza la promessa di speciali concessioni e privilegi, tra questi
non potevano essere né le prerogative municipali, di cui già
Senigallia era in possesso, né diritti inerenti all'uso della pro-
(1) Bibliot. Vaticana, Cod. Vai. - Urhiii. 992, e. 19 e seg. Ne esiete copia,
di mano del XVIII sec, nell'Arch. di Senig., Memorie diverse, v. VI. N. 38,
da cui leviamo la citazione.
(2) Ani, Arch. Cam. di Fano, Cod. Malated. N. 108, e. 100 e seg.
- 256 —
])rietà, che a Senigallia erano garantiti e disciplinati da brave
rubriche dei suoi Statuti (1).
Men che meno infine poteva figurarvi 1' esenzione i)erpetua
da dazi e gabelle « per la robba che se portasse in... città »,
per questa pura e semplice ragione, che già ben prima del
governo di Sigismondo, già sotto i i)redeces8ori della sua stessa
famiglia — e si sarà rilevato dai cenni che precedono — Se-
nigallia godeva d'un ordinamento daziario singolare, conseguenza
evidente delle sue arretrate, depresse, misere condizioni econo-
miche: la ])iù larga libertà in materia d^importazioni. Senigallia,
in altre [)arole, non conosceva barriere daziarie se non... per
im])edire o ostacolare l'uscita di merci e prodotti, che vi si con-
fezionassero e vi nascessero o vi fossero introdotti dal di fuori.
Pure, non ostante tali inesattezze, il racconto deve conte-
nere, a nostro avviso, qualche cosa di vero. In genere — a
giudicare da quelle parti della cronaca che possono essere con-
trollate su fonti dirette — il cronista si mostra bene informato
ed esatto. Su quest' affare delle concessioni invece, egli, sia
])erchè tratto in inganno dalla fonte o dalla tradizione cui at
tinge — se tutta la compilazione è opera di un solo, costui,
vivo nel 1574, non i)oteva narrare di scienza j^ropria — sia
perchè, forastiero a Senigallia — come ne ha tutta 1' aria —
ne ignora le vicende e le speciali condizioni economiche, ha
completamente travisato. E il fatto travisato, noi arniam credere
sia per l'appunto la concessione della franchigia per le opera-
zioni commerciali, che già si svolgevano in occasione della festa
della Maddalena; il riconoscimento, in altre parole, del fatto
economico in vsè e per sé, indipendentemente ormai dalla festa
religiosa.
Due frasi specialmente del passo surriferito richiamano da
vicino, anche nella loro dizione, la formula della franchigia,
quale di qui a i)oco vedremo: « li debiti, che avessero quelli
che venivano... non potessero essere astretti, né convenuti ])er
(1) Statuti, in generale il Lib. II, in Hjteciale le rubr. 53 e tì7 d. nis.
(67 e 71 delle ediz. 1537 e 1584).
— 257 —
Tiinn tempo luai »; « per la robba che «e portasse in questa
città, mai ))er riinn temi)o se li potesse domandar daccio o
gabella ». Son questi insomma i due principi fondamentali della
franchigia di fiera: 1' immunità personale e 1' immunità reale.
Documenti diretti e narrazione del cronista, come a noi pare,
concordano in questi due punti: 1° nell' attribuire al periodo
delle restaurate fortificazioni di Senigallia la prima origine della
franchigia, di cui il cronista non avrebbe inteso il carattere e
il fine; 2° nel designare, questa esplicitamente, quelli implicita
mente, Sigismondo quale autore dell'importante concessione.
E poiché siamo nel campo delle induzioni, chi sa che oc-
casione e movente dell'importante atto non sia stato il desiderio
in Sigismondo di celebrare proprio in quel 1458 ciò che noi
oggi chiameremmo inaugurazione dei lavori compiuti nella città ?
Comunque sia, il fatto di cui non è lecito dubitare è che,
dal 1458 in i)oi, la fiera si è definitivamente emancipata dalla
festa della Maddalena, ha assunto personalità propria, è munita,
come tutti i grandi e i)iccoli mercati del passato, di franchigia.
Non c'è bisogno di aggiungere che a questo tempo è ben mo-
desta e limitata, nel ten)po, al solo giorno 22 di luglio.
Quanto precede basta a far giustizia di quella, pivi che abile,
fortunata falsificazione, compiuta, secondo tutte le apparenze,
sulla fine del XVII, forse nel 1694, che è la convenzione van
nucciana del 1464 (1). Senza rijietere qui le ragioni intrinseche
ed estrinseche, altrove addotte per dimostrarne la falsità (2),
aggiungeremo che il capitolo, da noi incriminato con tutto il
resto del documento, contiene in se stesso la palese dimostra-
(1) Ci inducono ii stabilire in questa line del sec. XVII la data dell'av-
venuta falsificazione e a ritenere il 1694 come l'anno più probabile lo due
seguenti circostanze altamente significative : 1. È nella contesa del 1694
con Aneona — che si vedrà a suo luogo — che per la prima volta si ac-
cenna nei documenti sulla fiera alla convenzione vannucciaua del 1464, che
però non si produce in atti : Fiera d' Anc, v. 1", e. 75, 89, 145-6. 2° Seni-
gallia accusa Ancona, con sicumera impertnrbata, di falsare la verità delle
cose e mostra non dar fede al breve di Siato IV, istituente nel 1473 la fiera
di maggio in Ancona : ivi, e. 109.
(2) R. Marcucci, Sull'or, d. fiera di S., in Arch. Star. Ital., disp. 3^ del 1906.
17 — atti e Henorie della R. Dep. di Storia Patria p«r le Marche. 1912.
— 258 —
zione della sua falsità, là dove accenna alla esenzione dai soli
(lazi d'importazione, senza che all'autore del falso passasse per
la mente o fosse lontanamente noto che la richiesta e la con-
cessione erano un non senso, dato l'ordinamento daziario aperto
a tutte le importazioni, che Senigallia ebbe sempre, dai ])rimi
almeno del XV sino a quasi la metà di quello stesso XV] 1,
sulla fine del quale si consumava il non abile, ma fortunato falso.
Lungo il resto del XV secolo poche altre testimonianze ci
restano intorno alla celebrazione della fiera della Maddalena;
nessuna, intorno alla sua entità, che dovè essere ben poca cosa.
Il citato anonimo della cronaca Passeri incidentahnente la ri
corda alla data 1472, a proposito di un complotto, tramato tra
alcuni fuorusciti e Giacomo Piccolomini signore di Montemar-
ciano, e diretto a sottrarre la città alla recentemente ristabilita
dominazione della chiesa: « Dubitorno (gli Anziani) della fiera,
« che è al dì 22 di luglio, il dì di S. Maria Maddalena, et
« fecero buone guardie ».
Il biografo di Giovanni della Rovere infine, fra Grazia di
Francia, parlandoci dell' opera del nuovo signore a vantaggio
della città, gli attribuisce, oltre la nuova istituzione della fiera
di S. Francesco d'ottobre, il riordinamento di quella della Mad-
dalena. « Questo preclarissimo principe con licenza della sede
« apostolica haveva cominciato una bellissima fiera, la quale si
« faceva nel mese d' ottobre, quando li mercanti tornavano da
« Recanate et a quella era dato buono principio et durò pa-
« recchi anni; ma per la variation de' temj)] et per la mutation
« dello stato, al presente è lasciata. Un' altra fiera ordinò che
« si fa il dì di S. Maria Madalena, questa ancora si mantiene,
« ma non già così ampia come si soleva fare » (1).
Ben modesta, come vedesi, è la somma delle notizie, che
sull' argomento delle origini e' è stato possibile mettere insieme ;
non inadeguata tuttava all' effettiva entità della istituzione.
Ma se modesta è la fiera allor che muove i suoi primi passi,
(1) Bibliot, Vatie, cod. Vai. - Urbin., N. 1023, e. 315, segg.
— 259 —
essa i)resenta in sé, e soj)ratiitto trova nel luogo o ambiente,
ove Bi)ontaueamcnte è sorta, condizioni di vita tali, clie lenta-
mente ma sicuramente la solleveranno a importanza e dignità
di maggior mercato, che si tenga nello stato pontificio e in Ita
lia, a partire dalla fine del XVII secolo sino alla grande rivo-
luzione portata nella produzione e negli scambi dall' applicazione
del vapore.
Posizione geografica, condizioni economiche e storiche, accor-
tezza e ])rudenza di uomini e infine circostanze che, traendo le
loro origini dall' intimo dell' animo umano, sfuggono alla nostra
indagine e alle nostra valutazione : questi sono i fattori princi-
pali della sua fortuna.
Situata completamente in piano, sulla spiaggia del mare,
che ne lambiva quasi le mura a levante, e sulla destra, proprio
alla bocca, del Misa, che le serviva ab antico da porto, costi-
tuendone insieme la naturale difesa lungo il lato settentrionale,
Senigallia, per la grande, libera, economica via del mare, era
in comunicazione diretta con tutti i i)aesi bagnati dall' Adria-
tico e con quelli del lontano Levante. E quando le nuove for-
tificazioni com.piute da Guidubaldo II (1546 e seg.) ebbero in-
cluso entro la cinta murata anche la riva sinistra, il piccolo
])orto canale, già munito di argini in palafitta da Giovanni della
Rovere e sempre poi accuratamente tenuto, si trovò esso pure a
sua volta racchiuso entro il caseggiato, per modo che le mer-
canzie affluenti dal mare, appena a])prodate, si trovavano, per
così dire, senz' altra spesa, collocate in posto, sul terreno stesso
della fiera, sia sul suolo, sia in numerosi magazzini, fondachi e
botteghe.
Per terra, all' incontro, era collegata coi centri più civili
e produttori dalle grandi vie dell'antichità: colia valle del Po e,
per essa, coi paesi dell' Euroi)a centrale dalle vie Flaminia ed
Emilia ; coli' Italia centrale dalla stessa Flaminia ; coli' Italia
meridionale dalla litoranea adriatica, la forse denominata via
Traiana.
La regione circostante - le piccole valli del Misa, Cesano
ed Esino da prima, poi il ducato di Urbino, di cui Senigallia
— 260 —
fece parte dal 1508 al 1631 — era povera d'industrie, scarsa
di commerci, bisogna pertanto d' un mercato vicino, cui recare
il superfluo della sua produzione e rifornirsi dei prodotti neces-
sari come alla vita di ogni giorno, così anche a qualche sia
pur modesto bisogno dello spirito, ma sopratutto all' esercizio
delle sue poche indispensabili industrie. Le dette piccole valli
infatti e la regione litoranea del ducato d' Urbino non fornivano
generalmente che prodotti agricoli ; la zona montana del ducato
stesso — meno che in pochi centri industriali, sorgenti in pros-
simità di corsi d' acqua — esercitavano di i)referenza la pasto-
rizia o, per impulso e sull' esempio dei suoi signori e della no-
biltà, dava un forte contributo alla milizia mercenaria.
Nò questo stato di fatto ebbe gran che a mutarsi, quando
Senigallia col ducato tornò sotto la chiesa. Lo stato pontificio,
fatte per esso pure le debite eccezioni, non si trovò mai in con-
dizioni molto migliori. Il ritorno pertanto di Senigallia alla di-
pendenza dalle somme chiavi, ebbe ])er la sua fiera, già uscita
d' infanzia, questa benefica conseguenza : ne allargò ciò che oggi
diremmo 1' hinterland. La zona, che alla fiera tributava i suoi
prodotti e in fiera si riforniva, risultò estesa a tutte le provi n
eie adriatiche dal Po al Tronto e alla piti lontana Umbria du-
rante quello stesso sec. XVII ; a tutto il restante dominio i>on
titìcio nel XVIIl e XIX.
Già considerevolmente innanzi al tempo che la fiera i)resen-
tasse le sue prime modestissime manifestazioni, le dette condi-
zioni geografiche ed economiche avevan fatto di Senigallia, per
un prodotto agricolo della regione circostante, un centro di atti-
vità commerciale tutt' altro che insignificante. Sino almeno da-
gli anni che il cardinale Albornoz conduceva la sua campagna
di risottomissione della Romagna e della Marca alla sovranità
dei lontani pontefici, il porto-canale di Senigallia risulta lo scalo
dei grani prodotti dalla regione retrostante e destinati al rifor-
nimento di terre e milizie pontificie (1).
(1) Arch, Albornoz, voi. VII, N. 147, presso il collegio spagnolo di Mo-
logua ; cortese comunicazione del chiaro collega prof. Filippini,
- 261 —
. Per qualche anno del sec. XV, poi, sotto i Malatesta, è pos-
sibile seguire giorno per giorno questo movimento, che coi diritti
di tratta o estrazione costituiva uno dei maggiori cespiti d'en-
trata pel signore.
Nel solo mese d'aprile del 1454, ad esempio — mese però,
va tenuto ])resente, normalmente di piìi intenso movimento, e
anno, forse, di eccezionale raccolto — son 41 oi^erazioni di
carico su 34 imbarcazioni, per una quantità complessiva di
oltre 1700 some (1). E sino al marzo successivo — che pare
l'ultimo della « campagna » granaria -~ son 125 operazioni e
circa 4650 some imbarcate (2), che per le tratte rendono
al signore libbre 1984 e soldi uno. È in maggior parte grano
raccolto dai vicini territori di Montalboddo (oggi Ostra), Cori-
naldo, Genga; vi tiene un buon posto anche quello del « tereno
di senegaia » che — conforme, forse, al i)rincipio informatore
dell'ordinamento daziario cittadino — paga per la tratta circa
il doppio del grano forastiero (3) e figura esportato nei mesi
da agosto in poi. E tutto questo grano prende la via del mare:
per Venezia la maggior parte; poi per Chioggia, Bergamo, Co-
macchio, Codigoro, Pesaro, Fano, Fermo; ne imbarcano anche
un paron da Ragusa e altro da Traù (4).
Sotto i Della Rovere la tratta del grano, minuziosamente
regolata e disciplinata, continua a dar lucri ingenti. Oltre la
valle del Misa sono anche quelle del Cesano e, almeno in parte,
dell' Esino, che convogliano il loro raccolto al jnccolo porto
iniseno (5). Venezia è sempre la maggior cliente e, dietro lei,
(1) Cod. Malatest. N. 107, (lell'Arch. di Fano, e. 2-13.
(2) Se la soma noi XY era la stessa tiitt'ora in uso nelle nostre campa-
gne (8 coppe = kg. 292, 228), la quantità di grano esportato in quell'anno
da Senigallia salì a circa 13.600 quintali.
(3) Ibidem, e. 8: il grano di Senigallia paga per tratta 12 bolognini la
soma, mentre quello di Montalboddo paga 7 e tutto l'altro 5 bologn..
(4) Ibidem, e. 2 e 9t.
(.5) Arch. di Stato di Firenze, Carte d'Urbino, I, G, 255, e. 219 e I, G, 253,
e. 522-35.
- 262 -
le sue città suddite di terraferma e di Dalmazia (1). Nel 1575
l'ambasciator veneziano M. Zane indica a circa 20.000 scudi il
reddito delle tratte dei grani dal porto di Senigallia, un terzo
cioè delle entrate generali del ducato (2).
Ora, è vero che il mese di luglio in questo movimento rap-
presenta un mese di ristagno, non però di sospensione assoluta.
E poiché nei giorni intorno al 22 sulle rive dello stesso porto
si tiene la fiera con sempre maggiore affluenza, come non ne
avrebbero profittato i paroni, inviati a caricare il prezioso ce-
reale, per recarvi prodotti delle loro terre ? Non è forse senza
relazione con questo commercio granario il fatto che tra i primi
mercanti esteri, di cui ci sia documentato l'intervento alla fiera,
siano preci saii/i ente veneziani, veneti con legnami e dalmatini
con salumi.
Anche la stagione dell'anno in che la fiera cadeva — s])e
cialmente quando la sua più lunga durata permise 1' affluenza
da punti lontani — era particolarmente opportuna come al
richiamo delle merci, così alla possibilità degli acquisti. Il
maggior contingente di merci, quelle di cui aveva bisogno la
regione, vi era infatti recato per mare: quale stagione quindi
più propizia alla navigazione di questo mese di luglio ? Ma
nello stesso tempo questo mese è anche il periodo, che segue
al maggior raccolto agrario dell'anno, il grano; il peiiodo cioè
che nella regione agricola il denaro, normalmente scarso, coire
invece relativamente abbondante e rende possibili i necessari
rifornimenti.
Ma la circostanza che, a nostro avviso, più decisamente
determinò la rigogliosa vitalità della fiera, fu la decadenza
commerciale di due < piazze » vicine. Ben prima di Senigallia,
alla duplice funzione di smaltimento e rifornimento per la re-
gione marchigiana e le adiacenti, avevano provveduto Ancona
e Recanati. Ancona, coll'approdo vasto e sicuro del suo porto.
(1) Sanuto Diari, voi. XII, p. 487 ; Ugolini Storia d. conti e duchi
d'Urbino, Firenze 1859, voi. II, p. 374.
(2) Alberi Relazioni d. amhasc. veneti, S. II, voi. II. p. 320.
— 263 —
il primo per importanza dopo quello di Venezia, della quale
essa stata emula, e con accorti trattati commerciali, aveva
attratto a sé, per l'importazione e l'esportazione, i prodotti più
caratteristici della costa dalmata, del Levante, di Firenze e
della Lombardia, in modo che nel XV e XVI secolo prosperò
mirabilmente ed ebbe aspetto e comjn funzione di vera e pro-
pria fiera perpetua (1). Analogamente Recanati, col suo piccolo
porto da prima, indi colle sue famose fiere franche, era riuscita
a dar vita a un attivo movimento commerciale, cui partecipa-
vano, importando o esportando, mercanti della Marca, dell'Um-
bria, dell'Abruzzo e, notevoli tra tutti, fiorentini e veneziani (2).
L'una e l'altra sui primi del '600 adempivano ancora de-
gnamente e con loro grande vantaggio a questa funzione (3).
Se non che, per cause che aspettano ancora di essere messe in
luce, ma che possono additarsi: 1° nella fondazione del porto
di Livorno, che gli sottrasse tutto il largo contributo toscano
e fiorentino; 2" nelle guerre di Venezia contro i Turchi, che
doveron paralizzare le relazioni col Levante; 3° in aggravi ed
abusi introdotti nel regime doganule di favore, il commercio
d' Ancona e, conseguentemente, la i)rospentà cittadina ebbero
un grave colpo e nel resto del secolo la decadenza si fece
precipitosa e irreparabile. (Jause non dissimili e, di piìi, la
rivalità di città vicine — Osimo — e forse anche la troppo
lunga durata della franchigia — dal settembre a tutto gennaio !
— doveron far decadere le già prospere fiere di Recanati.
Nel frattempo la fiera di Senigallia era uscita dall' oscurità
della sua infanzia e non fa meraviglia che abbia rapidamente
assunto nell' Adriatico il posto e la funzione, che andavano
sfuggendo alle vicine città.
(1) Heyd Histoire du commerce du Levant au moyen-àge, voli. 2, Leip-
zig 1885-86, passim; R. Deputaz, di storia patria per le Marche Sta-
tuti Anconetani ecc. voi. I, Ancona 1896 p, 233 e segg.; E. Spadolini II
commercio, le arti e la Loggia d. Mercanti in Ancona, P. Civitanova 1904, I
p. 40 e segg.
(2) Zdekauer Lo dogana del Porto di Recanati nel 1396, in Le Marche,
un. IV, fase. 2".
(3) Celli Di Silvestro Gozzolini da Osimo ecc., Toriuo 1882. p. 181.
Capitolo II
La dominazione roveresca
La franchigia reale e personale - Il capitano della fiera - Progressi della fiera
durante la dominazione roveresca - Le fiere del 1580 e del 1597.
A proposito, dunque, dell'opera svolta da Giovanni della
Rovere signore di Senigallia dal 1474 al 1501, fra Grazia di
Francia, guardiamo del convento delle Grazie, ci ha api)reso
che egli « haveva cominciato » la fiera di S. Francesco d' ot-
tobre, celebrata per parecchi anni, poi smessa; e che « un'altra
fiera ordinò, che si fa il dì di S. Maria Madalena ', la quale
nel tempo che il cronista scrive, e cioè nel 1522, « ancora si
mantiene, ma non già così ampia come si soleva fare '.
A parte la maggiore << amjdezza », cioè affluenza, concorso,
del passato in confronto del 1522 - maggiore affluenza, che
con tutta probabilità era effetto, anche nel candido fraticello,
del solito eterno... ingrandimento ottico retrospettivo — e spie
gato o, meglio, rettificato quell'« ordinò » nel senso che regolò,
definì 1' ordinamento; la doppia notizia risponde effettivamente
a verità. La fiera di S. Francesco risulta celebrata almeno dal
1493 al 1507 (1). Non solo, ma qualche anno più taidi è ancora
considerata di ben maggiore importanza di quella della Mad-
dalena. Tornando infatti, anche una volta, nel 1519, sotto la
dipendenza immediata della chiesa in seguito alla morte di
Lorenzo de' Medici, effimero duca d' Urbino, la città, in nn
capitolo della lunga convenzione all'uopo stii)ulata, ne chiedeva
ed otteneva la conferma da Leon X, mentre quella della Mad-
(1) Indico dei Bollettari, voce « fiera ».
— 265 —
dalena non era oggetto di alcuna richiesta, non aveva neanclie
1' onore di un modesto cenno nel ponderoso documento.
i\Ia evidentemente, attendendo la fiera di S. Francesco il
suo alimento dalle rimanenze della tìera di Recanati, consistendo
quindi di merci che vi accedevano per terra, non trovava con-
dizioni favorevoli alla sua vitalità. E tre anni dopo la sanzione
pontifìcia, nel 1522, era « lasciata », smessa. Al contrario
quella della Maddalena, che frattanto si era continuato a cele-
brare, alimentata forse sin da allora, almeno in parte, da merci
provenienti dal mare, restava, attirava su di se tutte le cure
della città e, pur mantenendosi ancora per qualche tempo nn
modesto mercato, per le favorevoli circostanze accennate, rag-
giimgeva entro il secolo importanza ed entità di mercato in-
terregionale. La sua lenta, ma incessante evoluzione non è
assolutamente possibile seguirla di su le carte lacunose e frani-
mentaiie dell'antico archivio senigalliese. Celebrata con sicurezza
nel 1506, 151 H e 1515 (1), non anteriore al 15.'i5 è il piìi
antico documento di detto archivio, che ce ne parli esplicita
mente. È la regolamentare « licenza » di celebrarla, quindi
anche di bandirla, che ogni anno doveva richiedersi all'autorità
governativa e l'autorità governativa si riservava di concedere
o negare secondo le circostanze. Detta licenza ci mostra la
fiera, oltre che definitivamente acquisita alla città, munita di
prerogative ormai tradizionali.
In data 17 luglio, appena cinque giorni innanzi alla gior-
nata del 22, Francesco Maria I, da Casteldurante conferma ai
Kegolatori di Senigallia il consenso già dato per via gerarchica:
« Mag.ci delect.mi uri. Per un'altra nostra diretta al Cap.no
« Bediiìo vi habiamo resoluto esser contenti che se facci se-
« condo il solito la fiera de s.ta m.a niadalena. Però non oc-
(1) Durante la dominaziontó roveresca, dopo i detti anni, ne troviamo do-
cumentata la celebrazione nei seguenti altri : 1535-36, 1540-50, 1552-65,
1567-72, 1575-90, 1594-1606, 1608, 1610-19, 1621-23. Ma il non trovarne
traccia negli anni che... mancano alla serie, non sempre vuol dire che non
fosse tenuta; solo che non ce u' è pervenuta notizia.
— 266 —
« corre' alla vostra de XV risimiidiatno altro se non confer
« miamo il medesimo » (1).
Colla frase « secondo il solito » si allnde senz' ombra di
dubbio alla ormai vecchia franchigia e alla non remota magi-
stratura del capitano di fiera.
La pili antica e autentica formula della franchigia — rima-
sta del resto immutata, nella lettera, traverso i secoli — è quella
conservataci nel cap. XXI della convenzione 1519 con Leon X,
che, dicemmo, si riferisce invero alla fiera di S. Francesco, ma
che fuor d' ogni dubbio è la stessa già in precedenza accordata
alla fiera della Maddalena, cui dopo il 1522 è tornata ed esclu-
sivamente restata. Non sarà male riprodurla nella sua iutegrità:
« Item quod, secundum consuetudinem diete civitatis, a die san-
« cti Francisci per totum mensem octobrem quotannis in civi-
« tate senogalliensi i)0ssint celebrari nundine salve et secure,
« ad quas omne genus mercium portari et exinde extrahi possit,
« sine aliqua solutione alicuius gabelle, et quilibet homo venire
« et stare libere et secure a debito et quocumque maleficio
« possit, exceptis homicidis et sanctissimi domini nostri et san
« cte romane ecclesie aut ipsius communitatis rebellibua. — Pla-
« cet sanctissimo domino nostro ut servetur quod hactenus fuit
« servatum - (2).
Ogni merce, come si vede^ è ammessa in fiera, vi è contrat
tata e ne esce esente da qualsivoglia «lazio (.'i). Ogni persona
(1) Lettere dei duchi, v. IV, e. 16.
(2) Privilegi e chirografi, doc. N. 26.
(3) A un certo momento il governo duciiltó iV Urbino, in genere non svi-
sceratamente tenero della fiera, con un formalismo davvero esagerato, pensa che
la franchigia importi anche esenzione da tasse di posteggio. Il 28 luglio 1536
la duchessa d'Urbino scrive al podestà di Senigallia : « Poiché s'è fatta longa
« discussione e ragionamento per intendere il modo, che per il passato si è
« tenuto circa il far pagare il loco de le botteghe alli mercanti quali ven-
« gouo alla fiera in quella città, et finalmente sopra ciò havendone fatto con-
« sideratione, ne ressolviamo che altrimenti non pagano, et si è commesso
« al nostro Maestro di casa che commetta al fattore non manchi di resti-
« taire il danaro, che per questo ha pigliato da detti Mercanti » : Letf. d.
duchi, voi. IV, e. 17.
— 267 —
analogamento, vi lia libero accesso e libera pratica, abbia ancbe
conti da regolare colla giustizia, pur che non sia omicida — piìi
tardi si limiterà la... immunità d' asilo, sostituendosi la dizione:
condannato a pena capitale — né ribelle di santa madre chiesa
o della comunità.
Già osservammo a suo luogo che il liberismo tipico dell'or-
dinamento daziario di Senigallia in materia di importazioni, ren-
deva superflua la esenzione da dazi d' entrata che... non e' era-
no (1). Non raen per questo però doveva la franchigia reale
vantaggiare la fiera della Maddalena, in quanto, esentando dai
non indifferenti dazi di tratta o uscita, allettava più special-
mente agli acquisti i forastierij la promoveva pertanto senz'altro
a mercato di rifornimento regionale per eccellenza.
Tanto vero che, ben presto preoccupati i duchi d' Urbino
della considerevole esportazione delle grasce, che avveniva in
occasione della fiera, da prima, nel 1555 vietano agli osti s[)e-
culatori 1' acquisto di « roba da vivere » sul campo della
fiera stessa, « poiché s' abusano in mandarle fuori de la città e
stato » (2); poi, nel 1578, escludono addirittura dal beneficio
della franchigia bestiame e grasce acquistati da forastieri (3).
(1) Di questo curioso o, piuttosto, tipico ordinamento daziario di Seni-
gallia durante il XV, il XVI e i primi decenni del XVII secolo, che merite-
rebbe di essere illustrato in rapporto alle condizioni di cui era evidente con-
seguenza, dobbiamo qui limitarci a indicarne non più che .... le tracce :
Codd. Malatest., dell' Arch. di Fano, N. 71, e. 28-38 ; N. 107, e. 20-43;
N. 109, e. 4-7 ; e dell'Arch. di Senig.: Bolla di Leone X, 1519, in Privilegi
e Chirografi, doc. N. 26; Statuti mss., e. 169t-171t (ediz. 1537, L. IV,
p. 3t-5 ; del 1584, p. 203-05); Dea-eti Voi. AA., e. 84t-90 ; Consigli \. 5^, e.
13. — Solo snlla fine del XVI, nel 1578 pare, è per la prima volta colpita
la vendita in città, non l'introduzione, di lane, cacio, carni salate forastiere:
Decreti, Voi. AA, e. 89.
(2) « Volemo inoltre... che nissuno oste possi comprare roba da vivere
« contro la forma di statuti (cioè sul porto) . . . ., astreugeudo a la pena
« coloro che contraveniranno, poiché s'abusano in mandarle fuori della città
« e stato » : il duca d'Urbino al luogotenente di Senig., 10 luglio 1555,
in Leti. d. duchi, v. IV, e. 98.
(3) « Fu letta — seduta consigliare 21 luglio 1580 — una lettera di mes-
268
La città, che giustamente riconosce nel i)iivilegio 1' essenza
dell' istituzione e forse la non lontana fortuna propria, non esita
a mettersi contro il serenissimo duca, ostentando da prima la
più... olimpica noncuranza pel divieto dell' esi)ortazione franca,
poi dichiarando arditamente che i)referisce piuttosto di non più
celebrare la fiera, che vederla menomata nella sua libertà (1),
E pare che in questa prima contesa di cui abbiamo notizia,
chi ne esca male sia precisamente sua eccellenza il duca sere
nissimo, il quale però, non molti anni più tardi, poteva a sua
volta concedersi quel gran piacere degli dei che è la... anche
piccola vendetta.
La durata della franchigia, (2) che nel periodo delie origini
era certamente del solo giorno 22 di luglio, sotto la don)ina-
« sor G. B. Monti diretta al signor Baviera, dove li scrive che si mandi la
« fede che in questi due anni che fn fatto il decreto da S. E. che non si
« cavino bestiami e grassierie del stato [ durante la fiera che ] se fa nel dì
« della madalena ... di essa si sono cavati liberamente ogni sorte di be-
« stiami et altre grascie »: Consigli, voi. 8°, e. 189t.
(1) Nella seduta consigliare di tre giorni dopo si legge la lettera dei
nuovo inviato al duca suU' affiire della fiera « e dopo molti dissensi fu riso-
« luto che si scriva a messer Camillo (Andriani) che parli con S. E. e veda
« di fare che si deroghi al decreto fatto sopra il cavare bestiami nel tempo
« della fiera, e non si potendo, pi'egare S. E. che si contenti dare bona 11-
« cenza che la fiera non si facci non essendo libera, come è stata sempre e
« se pare nou potesse ottenere né 1' una né 1' altro, .... lassi il negotiu
« cusì suspeso »: Consigli, v. 8° e. 190t. E il divieto di esportazione del
bestiame era stato, con lettera 13 luglio 1.580, temperato col principio della
reciprocità di trattamento in confronto delle fiere circonvicine di Ancona,
Iesi e Fano : Decreti, voi. A, e. 327 t. Nel 1.584, sempre in materia di libertà
della fiera, s'accendeva nuova aspra contesa tra la stessa comunità e gli ap-
paltatori del dazio, che pretendevano colpire il vino che si vendeva « in
ditta fiera, cioè sul porto » : Leti. d. duchi, voi. I, e. 50-53 e Consigli, voi.
10", e. 8. La contesa dovè finire colla peggio dei dazieri.
(2) Mentre nei documenti dalla fine del XVII in poi 1' espressione « pe-
riodo di franchigia », o « franchigia » è usata come sinonimo di « fiera »,
i documenti dell' età roA^eresca quasi intenzionalmente distinguono il giorno
vero e proprio della « fiera » 22 di luglio, dagli altri della « franchigia »,
nei quali pure si poteva liberamente « andare, venire, comprare, vendere ».
— 269 —
zinne roveresca va lentamente cstendenilosi: a tre; poi a einqne;
infine, nel 154<S o nel 1549, a otto giorni: i tre precedenti e
i quattro successivi alla festa della Maddalena. E a otto giorni
— non ostante le opposizioni dei dazieri danneggiati, da una
parte, e le vive sollecitazieni del Consiglio perchè fosse prò
Inngata, dall'altra — restò fissata per tutto il resto del secolo
e, meno concessioni s{)e(;iali, per quasi tutto il successivo. (1)
Durante questi giorni, « per le cose occorrenti per la fiera
e nella fiera , funzionava una magistratura straordinaria, di
fronte alili quale tutte le magistrature e le autorità ordinarie,
l'autorità dello stesso rappresentante ducale, virtualmente ces-
savano. Era il capitano della fiera, estratto ogni anno a sorte
dal consiglio nel seno della n'obiltà cittadina. Appare esso la
prima volta nel 1515 (2). Verisimilmente — non abbiamo notizie
intorno ai suoi poteri sin verso l'ultimo quarto del XVI secolo
— da principio non aveva altra attribuzione che il comando
della guardia incaricata di mantener l'ordine pubblico. A poco
a i)Oco — né i documenti, che ci conservano il nome di parecchi
capitani (3) e le discussioni intorno al loro onorario, san dirci
(1) « Essendo che più giorni babbi inteso * — vosi nel consiglio del 19
luglio 1553 Camillo Audreauo, il primo dei dne « arengatori » della gior-
nata — « che sopra la franchitia de la fiera de li tre giorni pih del solito
« Bartolomeo baldasino dice non voler acousentire éi non tanto quanto vole
« il statuto, et pare che non sia troppo insta.... saria bone aciò che la Comn-
« nità non perda le sue rasone si provedesse et si facesse osservar quello
« eh' è solito de quatro overo cinque anni sono. Unde Bartholoniens consi-
« derans hanc prepostam venire in damnnm snum, quia habebat gabellani
« passus, non volnit aconsentire et stetit in se. Doniinns Gaspar Arsillns
« ascendit in loco solito et exposuit che la Comunità non debba sminuire le
« sue rasone, anzi acrescerle etc. ». Consigli, voi 4", e. 74t. — Che il
periodo della franchigia fosse ulteriormente prolungato, fu chiesto nel 1569;
Consigli, voi. 6°, e. 118 e nel 1585: ivi, voi. 10*^', e. 8-9.
(2) Repert. d. Conngli, voce « capitano di fiera ».
(3) Non sono molti e possiamo senza rimorso consacrarli all' immortalità :
G. Doni. Rever(e) 1550, Ant. de' Pazzi 1552 e 1553, Gius. Baviera 1555,
Ant. Arsilli 15«0, Giac. Beliardi 1563, G. B. Cavalli 1565, Silvestro Porca-
rio 1568, Frane. Gabrielle 1570, P. Ger. Gherardi 1575, Cam. Andriani 1581,
— 270 —
come e in che circostanze — questa modesta funzione di sor-
veglianza andò ampliandosi tanto, che il capitano della fiera
finì col cumulare le attribuzioni di i)rov veditore e soi)rintendente
della fiera (1), ministro di polizia (2) e giudice unico per tutte
le competizioni che sorgessero in fiera, tutti i reati e tutte le
cause minori, che colla fiera avessero relazione (3). Una magi
Doniizio Turra 1582, Lud. Vichi 1583, Giov. Leopardo Amati 1584, Aug. Bn-
ticchio 1585 e Bakl. da Ponte, ultimo eletto uel 1590, ma non entrato in
carica, perchè affetto da renella ducale.
(1) « Fu etiani concluso.... che a messer Selvestro Forcarlo, qual è stato
« capitano della lìera di la Madaleua il presente anno, se li debba dare in
« tutta la spesa de' fanti, pasti, et generalmente d'ogni altra spesa per lui
« fatta per conto della fiera sodetta scudi venticinque correnti ». Consigli,
voi. 6°, e. 96 ; adun. 16 agosto 1568.
(2) Così nel 1584 il cap. G. L. Amati in un lungo editto — il solo che
ci resti dell'attività legislatrice di questa magistratura — proibisce il porto
dello armi da fuoco, sotto pena di 25 scudi e tre tratti di corda in pubblico,
e dà norme da seguirsi dai forastieri « che giustamente vengono a Senigal-
lia armati » — depongano cioè le armi alle porte in mano di appositi depu-
tati — e dagli albergatori e padroni di casa, nel caso che quelli « vorran
passare la notte in città» — avute cioè in consegna dette anni, non le ren-
dano « se non quando i forastieri diranno di volere effettivamente partirsi
e previa licenza del capitano »: Memorie diverse, voi. 13°, e. 20. Ha la data
« XXII iulii 1584 ».
(3) « Supplica ancora (la comunità) è un capitolo del 1578, che col
riconoscimento superiore del potere giudiziario sanziona e suggella la com-
plessa giurisdizione di questo magistrato — che (il duca d' Urbino) se con-
« tenti concedergli secondo lor antichi ordini che il capitano della fiera che
« per tempo sarà possi esercitare la sua soUita iurisditione di tre giorni in
« anti il giorno istesso della fiera, e quattro doppoi, che sonno giorni otto;
« che ciaschedun altro offitiale di detta città nelle cose occorrenti per detta
« fiera et in detta fiera non possiiio esercitare lor iurisditioni, ma per detto
« tempo come di sopre se intenda in tutto e per tutto sospesa. — Fiat ut
« hactenus, exeptis atrocioribus..,. F. M. D. »; Lettere dei duchi, voi. II, e. 137.
Cfr. anche Consif/U, voi. 11", e. 3, e Mem. div., voi. 5°, e. 141.
Una magistratura con poteri simili, ma divisi fra tre collegi — dei tre
consoli con autorità giudiziaria, dei ventiquattro che potremmo chiamare « il
consiglio » della fiera e dei tre « allocatori » o soprintendenti ai noli —
troviamo nella fiera di Ancona: Ordini della fiera d'Ancona 1493-1303, pubblio.
— 271 —
stratura dunque straordinaria e amplissima, che, provvedendo,
vigilando, rendendo })rontH giustizia, doveva riuscire i)reziosH
al governo della fiera, ina che sottraeva di fatto la città, du-
rante il periodo della franchigia, alla sovranità dei legittimi
signori.
La sua provvisione non era vistosa: venticinque scudi, coi
quali però doveva provvedere all'arruolamento e al mantenimento
dei fanti della guardia, e il provento o di due botteghe o dei
banchi da affittare ai mercanti e qualcìie regalia offerta dai
mercanti stessi (1).
Dal 1570 era coadiuvato da un alfiere, scelto da prima a
suo gradimento, ])0i eletto pur esso dal consiglio tra i giovani
nobili 0 dotato di una provvisione, che, di dieci scudi in prin-
cipio, salì poi a dodici e infine a quindici (2).
Ma se gli emolumenti legali non erano larghi, discretamente
redditizi dovevano riuscire i fitti delle due botteghe o dei banchi
e le regalie, con molta probabilità, a un certo tempo, non più
spontaneamente offerte, ma [)relevate come un diritto dovutogli.
La carica stessa inoltre, così elevata, pareva fatta ai)posta per
solleticare l'amor proprio e l'ambizione dei signori nobili. Forse
ci furono competizioni e contrasti; certo non è mancato chi,
sia i)er inettitudine, sia per mal frenata cupidigia (3), provocò
(la E. Spadolini in Le Marche, an. VI (1906), fase. 1. È scinpliceiiiente
superfluo osservare che magistrature straordiuarie analoghe, collegiali o no,
hanno il governo ed amministrano giustizia, specialmente la civile, in tutte
le grandi e piccole fiere del passato: Huvklix Sur le droit dea marchés et
des foires, Paris 1897 cap. XV.
(1) Consigli, voi. 4", e. 5, seduta 17 luglio 15,50; voi. 6",\;. 96; voi. 9",
e. 36', e repertorio dei Bollettari, voce « fiera ».
(2) Consigli, voi. 8", e. 4' e 189; voi. 9% e. 33', 97' e 156.
(3) A tentativi di lucro ci fa i)en8are non solo quanto succedercà nel sec.
XVII per opera di uno dei successori del capitano, ma anche la curiosa
motivazione di un ahbuono latto nel 1580 a un mercante debitore della
comunità, evidentemente pel luogo occupato. « Item a Giovan Domenico
>< Mazza fatto buoni grossi cinque per debito deli' anno passato per tante
« strenghette (senigalliese, per piccole cìnghie, cininrc: i\\\\ forse nostri) de
« seta che tolse il signor Capitano da un suo compagno ». Forse anche
, 272
« (lesoidini »; fuori di dubbio è iiitiiie die la spesa anche a
qiitilche padre coscritto pareva v< tropi)a », non jtroporzionata
insomma ai vantaggi che la carica assicurava (1). Il fatto si è
che, « per fuggire ogni pericolo di desordiui altra volta seguiti »
e liberare la città « dal peso di così grossa spesa », a con-
fessione del duca - i)er riavere anche sotto il suo diretto
dominio Senigallia durante la franchigia, è lecito aggiungere
- nel 1590 Francesco Maria II soppresse senz' altro la nui
gistratura.
Fu un piccolo colpo di mano, <;he ha tutta V aria d' essere
stato |)rei)arato alla sordina e conì))iuto con sorniona astu/Ja.
Sin dall'anno prima aveva sua eccellenza voluto essere informata
« di tutte le concessioni fatte et authorità date j)er la fiera », (2)
a fine di provvedere ai lamentati inconvenienti. Ma i i)rov-
vedimenti si facevano aspettare a lungo e il 15 giugno 1590 il
consiglio procedette alla solita elezione del capitano di fiera in
])ersona di un Baldassarre da Ponte, il quale — vedi combi-
nazione! - si disse malato di renella e rinunciò alla carica (3).
Ecco allora il duca meravigliarsi dell' avvenuta elezione
« mentre si trattava da noi di dar qualche conveniente resolu-
tione » e ordinare che, accoltesi le presentate dimissioni, non
si ])roceda ad altra elezione: quando sarà tempo, i)iovvederà lui.
Scorre il restante del giugno, scade il magistrato del bimestre
senza lasciar « memoriale » al riguardo e intanto si sparge la
voce che vsia stata abolita la carica del capitano. 11 nuovo ma-
gistrato convo(^a il consiglio per deliberare quid agendum ».
La seduta, 3 luglio 1500, si presenta subito vivace. Il gonfa-
« Madonna » la capitanessa vien fatto di sospettare che gradisse donativi
non spontanei: « Iteni fatti buoni a Silvio va8(s)aro da Pesaro per tanti
« vasi che dette l'anno passato a Madonna, grossi dodici », la qnal signora
invero non si riesce altrimenti a capire chi potesse essere, se la comunità
si sentiva in dovere di saldarne il conticino, Appendice, n". 1.
(1) Consigli, voi. 10", e. 8-9, e IG' - 17.
(2) Consigli, voi.. Il", e. 3.
(3) Leti, d duchi, voi. II, e. 19.
- 273 -
loniere e i rcgoìcitori scjiduti «li carica sono chiamati a render
conto della loro oi)era e questa è sconfessata. Prevale il partito
che vuole si chieda al duca licenza di far la fiera e, ottenendosi,
sia capitano il già eletto e dimissionario Da Ponte. Ma quando
si viene al voto, « date le palle, il Luogotenente, levandosi in
« piede, si levò dal suo luogo e, dicendo che voleva se peu-
« sasse un poco meglio jìrima che se venisse ad altra ressolu-
« tione, se partì de consiglio, senza aspettare o volere che si
« facesse deliberatione alcuna ». (1) Riunitosi di nuovo di lì a
due giorni, il consiglio delibera l'invio di due ambasciatori al
duca. Gli ambasciatori vanno, tornano e riferiscono: che cosa,
non ci è detto; ma non è difficile desumerlo dalla seguente
lettera, che il 18 luglio il duca inviava al suo luogotenente,
dalla quale, oltre la soppressione del capitanato, appare anche
l'intenzione di sopprimere, almeno i)er quell'anno, la fiera stessa:
« Luogotenente, vedemmo quanto scrivete della fiera, che seb-
« bene s'è pubblicato per bando che non si debba fare per le
« ragioni che sapete » (2)
Così i)er colpa di uomini e, forse anche più, per ragioni
politiche, la città perdeva la magistratura piti caratteristica
della fiera. E da allora la molteplice giurisdizione del soppresso
capitano jìassò, jier la parte giudiziaria, al luogotenente e per
la parte militare, al governatore delle armi o castellam».
Il pioposito però di proibire o soppriniere la fiera restò de-
luso. Di fronte alla volontà del serenissimo duca era sorta ormai
al riguardo della fiera una potenza, colla quale egli non poteva
non fare i conti: il bisogno economico che ormai e la città e il
ducato e molti centri degli stati confinanti o lontani sentivano
dell'annuo convegno commerciale sulle sponde dol Misa. «... per
« le ragioni che sapete — continua la citata lettera — pur vi
« concorrono persone con robbe; sì che per satisfatione di que-
« sta città tolerate che si facci, ma senza altra publicatione
(1) Consigli, voi. 11", e. 46-48 e Leti. d. duchi, voi. II. e. 20.
(2) Decreti, voi. A A. e. 131.
18 — itti e MeBorie della R. Dep. dì Storia Patria p«r le Marche. 1912.
- 274 —
« per bando. E, perdio passi quietamente, voi e il capitano
« Paolo fate le provisioni che converranno.... ».
È questo l'ultimo documento che ci attesti il sentimento e
l'opera dei duchi d'Urbino in relazione alla tìera di Senigallia.
Lungi dal mitigare, esso aggrava in noi l' impressione di
disinteresse, quasi di diffidenza e fin di durezza, che ci han
destato quasi tutti i loro altri atti riguardanti la fiorente isti-
tuzione. IS^on ne compresero essi né lo spirito uè 1' im^wrtanza
economica, sia limitatamente alla città, che per essi pare non
avesse altro valore se non militare, sia rispetto alla regione,
che pur costituiva gran parte del loro ducato. Ben diversi, anzi
antagonisticamente diversi si rivelarono coloro che possono con
siderarsi lor diretti successori, i legati pontifici, la cui opera
sollecita, animata dalla più schietta simpatia, si)esso intelligente,
energica sempre, avrà parte non secondaria alla fortuna della
fiera nella sua fase di decisiva ascensione.
*
* *
Luogo della fiera era il così detto « Porto ». S' inten«1eva
con tal nome nei secoli XVI e XVII non solo il rione, cui poi
è esclusivamente restata detta denominazione, ma anche quel
che j)otremmo piìi propriamente chiamare il Lungomisa di destra.
Era questo una vasta s])ianata, che prima delle nuove fortifi-
cazioni di Guidubaldo II del 1546 (1) restava fuori della cinta
murata, tra la riva destra del ])orto canale e il piede delle
mura e, in seguito alle dette fortificazioni abbraccianti il rione
Porto, venne a trovarsi inclusa entro la città. Da porta al Prato
— che doveva sorgere immediatamente sotto l'imbocco dell'at-
tuale via Umberto — a porta Nuova o della Marina — che,
in corrispondenza colla or non è molto demolita i)orta Clemen
tina, sorgeva un po' piti internamente che la barriera princij^e
Amedeo, ora abbattuta anch'essa — s'estendeva in lunghezza
1
(1) Celli, Le fortificazioni militari di Urbino, Pesaro e Senigallia, Ca-
stelplauio, 1896.
— 275 -
nn quattrocento metri circa, e in larghezza, dove più dove
meno, un venticinque metri; un ])o' più lai-ga insomma che non
fosse sino a qualche anno addietro, considerevolmente i)iù larga
di quel che va risultando in seguito ai lavori in corso di si
stemazione del Misa: la scarpata della primitiva cinta lasciata
in {»iedi s'alzava difatti un po' più internamente che non la
linea dei portici eretti nel 700 (1). Rispondente su per giù
all'apertura di via Cattare era il ponte del Porto; alquanto
sotto P imbocco dell' attuale corso, più verso il mare, s' apriva
nelle vecchie mura, la porta Vecchia, uiunita alla destra di chi
ne usciva di un torrione, detto di porta Vecchia o di S. Fran-
cesco: isolati in mezzo alla spianata erano, tra il ponte e la
porta Vecchia, una loggia, detta similmente del Porto, e tra
l)orta Vecchia e porta Marina, una fonte, un abbeveratoio e un
lavatoio, raggrui)pati in un sol corpo (2).
Su quest'area, che i)er gran parte del sec. XVI era sola,
ad esclusione della città, riservata alla fiera e della fiera restò
j)oi sempre il cuore pulsante, per cura e a spese della comunità
venivano erette baracche di legno, ])omposamente decorate col
nome di botteghe, e banchi, che si affittavano ai mercanti (3).
Come può rilevarsi da quanto ])recede, il fatto che caratte-
rizza la fiera sin da questa sua prima fase è il forse lento, ma
(Ij Un ultimo lembo di questa vecchia cinta è certo il lireve tratto di
scarpata rimasto incorporato nella prima del grnppo di case, che, immedia-
tamente presso 1' isola di fabbricato già dei conti Giierardi, ora « albergo
Roma », prospetta il Foro Annonario.
{2) Misnre e indicazioni rileviamo da una Pianta d. Città e Porto, esistente
in Archivio e rilevati! il 1734, pochi anni innanzi alla costruzione dei portici
sul Lnngomisa. Altre piante topografiche sappiamo esistere alla Oliveriana di
Pesaro. Alcune infine, e tra queste una dello stesso torno di tempo, ornano
il volume Tondini, Memorie della vita di Franceschino Marchetti, Faenza
1795, ma della cui esattezza non c'è da essere sicuri.
(3) La comunità si era riservata la privativa nella costruzione delle bot-
teghe (Consigli, voi. 5", e, 12.5, adunanza 4 luglio 1563) e un diritto, che
direnano di prelazione, nell' affìtto : « i mercanti della città non possano affit-
tare le loro botteghe, sinché la comunità non abbia affittato le sue »: Con-
sigli, voi. 9», e. 154t, seduta 10 luglio 1583.
— 276 --
incessante salire. Agli inizi e per qualclie decennio del secolo
XVI essa non doveva essere che un modesto mercato: sono
appena 34 fiorini, pari a 17 scudi, che la comunità ritrae dagli
affitti delle sue botteghe nel 1513 (1). Per lunghi anni in se-
guito non abbiamo più indizio di sorta sul!' entità della fiera.
Ma, come abbiam visto, nel 1548 o 1549 la durata della tran
chigia da cinque è portata a otto giorni: segno che l'affluenza
delle merci è tale che le operazioni non possono piti esser con
tenute nel breve limite di ten)po assegnatole. E d'altra parte,
relativamente al 1559, c'è pervenuta notizia in una lettera di
un Ventura Aquilino (2), senza dubbio luogotenente ducale a
Senigallia, che alla fiera s'era « condotto un mondo di gente »
e si prevedeva perciò « gran fatica » a farla « levare », come
all'ultimo momento il duca avevaj imj^osto. È bensì vero che
tre anni dopo, nel 1562, erano apena 25 scudi e soldi nove
che la comunità ritraeva ancora dalle sue botteghe (3). Salivano
invece a scudi 46 nel 1568, a 56 nel 1569, ridiscendevano a 23
nel 1571 (4), per salire ancora a scudi 28 e grossi 20 nel 1580 (5).
Ma questo dei ])roventi comunali non è che un indice as
solutamente relativo: non ci dà infatti la menoma idea di quel
che fosse la quantità di merci, che trovava posto o sul suolo
o in botteghe e magazzini privati. Tanto è vero che nel 1569
si sente il bisogno di chiedere un ulteriore prolungamento della
franchigia, i^el 1590 infine, sin da qualche giorno prima che
entri la franchigia - la lettera del duca che revoca la proi-
bizione della fiera è datata 18 luglio e la franchigia entrava il
giorno seguente — l'affluenza è già tanta che il duca deve
fingere, a edificazione dei fedelissimi sudditi, di non averla i)roi
(1) Repertorio di Bollettari, voce « fiera » ; e forse entravano nella somma
anche i fitti della fiera di S. Francesco, giacché nel 1549 qnelli della sola
Maddalena davano ancora fior. 19, pari a se. 9 '/^^ Miscellanea, v. C, n. 22, e. 2.
(2) Arch. di Stato di Firenze, Carte d' Urbino, I, G. 256, e. 572.
(3) Repertorio d. Memorie diverse, voce « fiera ».
(4) Repertorio di Libri di computisteria, e. 32t; Miscellanea v. C. n. 22,
e. 3 e n. 25, e. 9.
(5) Appendice, n. 1.
— 277 —
bita. A quevsto tempo, non v'ha dubbio, la fiera ha definitiva-
mente assunta la sua specifica funzione di fornitrice delle regioni
finitime; eppure le cifre dei fìtti comunali nel 1597 non sale
che a 105 scudi e 4 grossi (1).
Scendere da queste notizie, generiche più che generali, ai
particolari del movimento delle merci durante la dominazione
roveresca, è semplicemente impossibile. Non ci sovvengono al
proposito che le due povere liste di botteghe comunali affittate
nel 1580 e nel 1597, che diamo in appendice e che natural-
mente non ci ])Ossono fornir luce se non su una parte molto
ridotta del contributo di merci: sul resto, la gran massa d^ìlle
merci e prodotti, siamo poco meno che all'oscuro.
Or dunque, se da queste magre indicazioni è lecito arguire
almeno l'estensione territoriale della zona interessata alla fiera,
intorno al 1580 la fiera è ancora poco più che regionale (2).
Tra i 19 mercanti, che nel 1580 presero jwsto su aree e bot
teghe comunali, di soli undici ci è indicata la provenienza.
Erano: tre da Urbino, uno da Santa Sofia (Montefeltro, ora
prov. di Firenze), tre da Ancona, uno da Città di Castello, uno
da Fano, uno da Pesaro e « li vitrari da Faenza » : tutti luoghi
o del ducato (Urbino, Santa Sofìa, Pesaro), o più^o ineno i)ros-
simi, anzi confinanti col ducato.
Le informazioni intorno alle merci recate da costoro si fanno
desiderare anche di più. I tre da Urbino son tutti cappellai:
uno modestamente occupa una semplice « banca » per 24 grossi;
il secondo, una bottega per uno scudo, e il terzo, « il luogo
della pietra fuora della porta » i>er due scudi.
Due di Ancona sono designati, 1' uno come « stagnaro »,
fabbricante cioèfdi utensili di latta, l'altro « panisellaro » (3),
ossia mercante di stoffe: occupano, |)er 24 grossi l'uno, il primo
(1)"^ Appendice, n. 2.
(2) Appendice, n. 1.
(3) Più comunemente « panegellaro », «la panigelli. Un articolo sui fune-
rali del 1551 suona: « lutendemo anche il medesimo per le donne sollite
andare coi panigelli da coretto (lutto) »: Leti, dei duchi, voi. II, e. 171.
— 278 —
ia facciata interna del torrione, il vsecondo nn pilastro interno
dalla porta.
Della stessa importanza risultano « li vitrari da Faenza »
— evidentemente maiolicari — i quali « per il luogo delle
maioliche pagamo » in tutto 24 grossi; mentre il loro collega,
« Silvio vassaro da Pesaro » pagò uno scudo.
Mercajiti piìi facoltosi sembrano i due mereiai (1), dei quali
uno da Fano, e che pagano scudi uno e grossi 20 ciascuno. Il
fìtto più alto è pagato in quattio scudi «la un (ìiovan Dome
nico Mazza, forse con seterie o più probabilmente mercerie, da
« li calderai » e da altro con merci non speciticate. Di costoro
è taciuta la provenienza.
Sin dal 1597 invece, anche da queste sole merci clie sono
state collocate su aree e in botteghe comunali, è possibile in
travedere il carattere interregionale, che la fiera va, anzi è
andata assumendo (2). Ben 73 furono i niercanti affittuari delle
botteghe comunali, provenienti: due da Venezia, uno da Salò,
uno da Ferrara, uno da Ravenna, uno da Faenza, uno da Ur-
bino, quattro da Pesaro, due da* Fano, due da Fossombrone,
uno da Montebaroc(no, tre da Peigola, due da Orciano, quattro
da Mondolfo^ uno da Ripe, otto da Ancona. Dei restanti 32 al
solito non c'è detto donde fossero. Anche in quest' anno — a
parte i 32 di provenienza non indicata — l'elemento regionale
è naturalmente in prevalenza. Ma accanto al ducato d' Urbino
e allo stato pontificio sono già rappresentati i domini di Venezia,
il ducato di Ferrara, e, dello stato pontificio, un centro relati-
vamente lontano e importante, Ravenna.
Le merci, che con tutta sicurezza si possono desumere dalle
designazioni che accompagnano non i)Ochi nomi di mercanti,
sono: stoffe, calzature, cai)peni, mercerie, lavori in legno, lavori
in ferro, maioliche, terraglie comuni, stacci, crivelli, stuoie, pale,
archibugi, profumi. Con quasi altrettanta sicurezza si possono
(1) Articoli costituenti « merciarie » erano : « streiighe, guanti, cortelli,
pelle <li camozze et altre robbe simili ». Cfr. Appendice n. 3.
(2) Appendice n. 2.
^ 279 —
itconosceie filati di canapa o di cotone nella merce di un « Bar-
tolomeo filaro », e cristalleria da tavola in quella di un « Me-
nino dai becbieri -, che paga un fitto non indifferente, scudi
due e grossi sei (1). Chiarissima poi è di per sé la denomina-
zione « il giucatore »: un qualche tenitore di banco, che, a
giuditare dal fitto tra i pochi alti, ben tre scudi, doveva fare
affari d'oro (2). Solo di alcune di dette merci è indicata la
provenienza.
Le stoffe sono portate da due « panegellari , dei quali uno
paga il fitto più alto di tutti i 72 suoi colléghi, sei scudi, e
V altro due. Con molta probabilità vanno aggiunti ad essi i tre
mercanti di Pergola, i cui famosi — famosi almeno nella re-
gione — mezzolani troveremo allo metà del secolo successivo,
se pur non avevano essi cuoi conci, altri prodotti della varia
industria pergolese, frequentante in seguito la fiera.
Le calzature sono pur esse portate da due mercanti, di cui
uno espressamente designato di Ancona. Ma poiché 1' arte del
calzolaio era in questa città largamente esercitata (3) e calzo-
lai esclusivamente di Ancona ritroveremo in seguito, non pare
arrischiato supporre che anconitano fosse anche 1' altro e che vi
abbiano portato la stessa merce altri tre, similmente di Ancona,
tanto i)iìi che si trovano nello stesso riparto e pagano il mede
Simo fitto, 20 grossi.
I cappelli quest' anno sono venuti da Ravenna e pagano uno
(1) Per nulla chiara invece è la designazione contenuta nella parola ab-
breviata ber.ni, apposta a « doi mastri.... d'Ancona ». Ove non si tratti di
mastri bergamini, conciatori e preparatori cioè di carta-pecora — e in Ancona
sino dal 1378 era esercitata 1' arte della concia (Spadolini, Il commercio, le
arti e la Loggia de' Mercanti, Portocivitauova, 1901, pag. 50) non eapreni-
mo davvero come altrimenti sciogliere 1' abbreviazione.
(2) Che il gioco fosse in fiera praticato e tollerato, ce lo fa sapere, sia
pnr tardi, nel 1675, una deliberazione del consiglio di « supplicare il legato
che in fiera non si possa giocare in altro luogo a carte che nel palazzo co-
munale, con applicare il provento per mobigliare la camera della Residen-
za » : Consigli, voi. 44", e. 204.
(3) Spadolini, Il commercio, le arti ecc., pag. 64 e segg.
— 280 —
sondo e 20 «rossi ; dei tre mereiai uno è d' Aneoiia e un altro
d' Urbino : pagano uno sondo.
Lavori in legno, certo casse o arche e altri mobili di abete
e di noce, come troveremo nel secolo sncoessivo, sono portati
da tre <• caselari », cioè oassettari, ossia faleg'nami e da un
« marangone », lo stesso che falegname. ])i nessuno e' è detta
la provenienza ; ma non si va lontano dal vero, supponendoli
di Fano o di Pesaro, che nel XVII vedremo inviare quasi
esclusivamente il prodotto. Tenuto conto di questo, può forse
assegnarsi allo stesso gruppo un quinto, « mastro Serafino da
Pesaro » : tutti pagano uno scudo.
I lavori in ferro sono recati da due « magnani », 1' uno di
Pesaro, e paga uno scudo, 1' altro di Orciano, e paga 20 grossi.
Altro prodotto largamente rapiiresentato in tiera nel secolo
successivo, tanto da costituirne uno dei prodotti caratteristici,
sono le niaioliche. Specificatamente non risulta che un « Cesaro
vasaro » — vasaro è la designazione comune dei fabbricanti di
maioliche nel XVI e nel XVII secolo — : paga tre scudi, un
fitto dei pili alti. Neanche di esso conosciamo la provenienza ;
ma senza dubbio viene da uno dei due y)rincipali centri di que-
sta splendida industria del ducato : Pesaro e Casteldurante o
Uibania. Anche ad esso si potrebbero aggiungere un - Dome-
nico da Faenza », « Rafael da Pesaro » e « Alessio da Pe-
saro ».
Poveri vasi destinati alle fumose cucine e alle umili tavole
dei poveri diavoli erano senza dubbio i cocci di « mastro Pauolo
pignataro », che paga per suo fìtto non più che 20 grossi. Agli
stessi esclusivamente o prevalentemente destinati sono le pale,
i crivelli, gii stacci, le stuoie, gli archibugi.
Prodotti, che pei fìtti pagati o per la provenienza destano
impressione di pregio, sono: i profumi, scudi due; le lame di
« Battista si)adaro », scudi quattro ; la merce innominata di uno
dei due veneziani, forse le droghe, scudi quattro del pari.
Va segnalata infine la presenza di sette, indicati come ebrei,
ai quali debbono con certezza aggiungersi altri tre, clie il nome
n
— 281 —
rivela loro contiligionari : nn (iraziadio, un Salomone ferrarese,
un Beniamino.
Tutto ciò dunque aveva ]>reso posto, alle fiere del 1580 e
del 1597, in botteghe e aree comunali. Ma, come si è detto,
questo non costituiva die una parte, e non la maggiore, del con-
tributo di merci, le quali, confinate sino a qualche anno dopo
la metà del secolo (1) — forse per ragioni militari - alla spia
nata del porto, avevano già subito do[)o sni)erato la vecchia
cinta e invaso e occupato le vie e le jjiazze interne della città.
Di che entità fosse questo maggior contributo, nessun documento
ce lo dice relativamente a questo secolo né al successivo ; ma
di (;he costituito, i>ossiamo almeno immaginarlo.
La serie dei capitoli, che regolava i già ricordati dazi di
transito e d' esi)ortazione e che furono rimaneggiati nel 1578,
nominano nelle loro minuziose disposizioni, oltre le grascie e il
bestiame d' ogni qualità e generazione : la vallonea, la foglia di
mortella, lo scotano; aranci e limoni; agli e cipolle; tavole e
legnami ; ferro ; anguille marinate ; lino, canai)a e lana (2).
E un lungo e minuto regolamento sanitario emanato dal duca
di Urbino 1' anno innanzii, il 20 giugno 1577, espressamente pel
porto di Senigallia (3), prescrivendo gli « ordini et modi da te-
nersi et osservarsi.... circa le persone robbe et merci che ver
ranno e acapitaranno in quel i)orto », ci fa sa[)ere che relazioni
commerciali con Senigallia avevano o potevano avere già : Fer-
rara e il Feirarese, di cui per l'appunto abbiam visto un rap-
l)resentante alla fiera del 1597 ; Chioggia, donde i)otevano ve-
nire le ferrarecce ; il Friuli, 1' Istria, la Dalmazia, Ragusa e
luoghi « soggetti al turco ».
Specificando poi le norme da seguirsi per la disinfczione e
(1) Il 6 luglio 1545 la duchessa d' Urbino concede che si faccia la fiera
« fuori della città » e di nuovo il 5 luglio 1552 permette la solita fiera,
« ma fuor della terra »: Leti, dei duchi, voi. IV, e. 64 e 86.
(2) Sfatntoruni et Refoì-maUonum Seiivg., Ms. e. 169t-171 ; ediz. 1537,
L. VI, p 3t 5 ; Decreti AA., e. 84t-90.
(3) Appendice n. 3.
— 282 —
ammission(3 dei prodotti, detto regolamento ricorda : « ferrarec-
cie d' ogni sorta.... rami, piombo, stagno, ottoni lavorati e non
lavorati » ; legnami grossi e sottili ; salumi in botticelli e in
balle; i)annine e lane; lini, cotoni e telerie; sete grezze, filate
e in drappi ; « merciarie, come strenghe (cinghie), guanti, cortelli,
])elli di camozze »; cere vergini e lavorate; «pòveri, garofani,
canelle, gengeri, noce moscate e altre spetiarie »; zuccheri; miele;
olio; « pegole, rascie (1), vetrioli, solfori, alumi »; « tossiclii,
cioè silimati (2), arsenico, risogallo, argentovivo »; « piombo bru-
siato (3), colori da pitori » ; « <!uori asinini, cuori salati et
libretti bagnati, boldroni (4) et altre pelle die abbiano lana,
cordovani (5) et altri corami conci, zambellotti (G), m(»ccliaiari (7)
di Fiandra come di Levante » ; castrati vivi e cavalli.
Che tutto ciò si trovasse già durante la franchigia raccolto,
disposto in « teatri di vaghissima prospettiva », ammuccliiato o
accatastato sul suolo lungo la riva del Misa in masse o « par-
tite » imjionenti, noi non atteiineremo ; ma che molti, se non
tutti, vi fossero rappresentati e varii, specialmente i prodotti
che ritroveremo costituire gli articoli caratteristici della fiera
nel secolo successivo — legnami, salumi, tele, lane, canape,
cuoi — vi figurassero in quantità ragguardevole, è, se non certo,
molto, estremamente probabile.
La fiera così, ormai assicurata tra le istituzioni cittadine più
produttive, ormai esercitante una funzione economica che inte-
ressa — per lo smaltimento del superfluo e il rifornimento del
necessario — il ducato d' Urbino, varie regioni limitrofe e forse
anche qualche paese più lontano, s'avvia risolutamente verso la
grandezza e 1' importanza, che la [)osizione della città, le esi-
genze della regione e le cure degli uoniini le van preparando.
(1) Raschiatura delle botti per trarne il cremor di tartaro.
(2) Forse « sublimati » .
(3) Lo stesso che miuio.
(4) Velli di pecora.
(5) Pelli di capre o castroni, originariamente conciate a Cordova.
(6) Forse lo stesso che « cambellotto, cammellotto », tessuto già di pelo
di cammello, poi di pelo di capra.
(7) Sorta di tela con pelo.
Capitolo III
Il fiecolo A VII
La dominazione ecchsiaslica e la fiera ; franchigia personale - Limitazioni alla
franchigia reale - Le regalie dei castellani - La rivalità commerciale d' An-
cona - 1/ azione dei legati, dnrante il sec. XV IL
Il ritorno di Senigallia, in seguito alia morte di Francesco
Maria II (28 aprile 1031), « sotto il pristino dominio di S.
Chiesa » o, anche più leggiadramente, « sotto l' incomparabile
vigilanza e bontà di Sua Beatitudine », dovè essere atteso e
salutato dalla città con speranze addirittura chimeriche. Nel
previsto evento, s' era essa affrettata sin dal 1630 a formulare
e presentare al pontefice i suoi voti : tornare a essere centro e
capo di una circoscrizione alla diretta di|)endenza da S. iS., di
una legazione o provincia autonoma, quale aveva ottenuto di
essere nel 1519 da Leone X e meglio e più notoriamente era
stata dui'ante le brevi signorie di Antonio Piccolomini (1463-
04) e di Giovanni della Rovere (1474 1501) (1). Meno poche con-
cessi()ni di carattere tinanziario ed econoniico^ Senigallia non ot-
tenne altro, e da comunità del ducato d' Urbino, passò di nuovo
sotto la chiesa, nell' identica modesta condizione di comunità
«lil»endente dalla legazione d' Urbino.
Il fatto, comunque, doveva avere i)er 1' avvenire della fiera,
e quindi della città, un' importanza decisiva. Abbiamo già ac-
cennato che a questo tempo i due centri commerciali delle vi-
cinanze, Ancona e Kecanati, erano entrati, particolarmente il
primo, in un periodo di grave decadenza: il che già costituiva
(1) Lett. d'udienza, yol. 1", e. 139 e sej?. La pratica, non breve uè priva
d' interesse, per regolare i rapporti colla rinnovata dominazione pontificia, iu
Ambasc. uvvoc. e procur., voi. 1", e. 28-48,
— 284 —
per sé una condizione favorevole all' ulteriore incremento delia
fiera. Ora, il venir Senigallia a trovarsi parte di uno stato ter-
ritoriale assai pili esteso del vecchio ducuto e del vecchio du
cato in (condizioni economiche non gran che migliori, allargando
— sia i>ure non immediatamente e non per tutti i prodotti —
le barriere doganali ai confini molto piìi vasti della nnova unità
politica, la sollevava senz' altro alla posizione privilegiata di
emporio di primo ordine i)ei' lo smaltimento e il rifornimento
delle provinole prontifìcie dal Po al Tronto e dall' Adriatico
al dorsale dell' A[)pennino,
S' aggiunga che — quale che sia il giudizio che i)0ssa farsi
intorno all'opera di governo civile dello stato ecclesiastico do
pò il XVI secolo — V azione governativa dei legati, quasi au-
tonomi da Roma, fu, almeno nella provincia d' Urbino e per
quanto riguarda le condizioni di vita materiali, non diremo illu-
minata, ma certo assai migliore «Iella fanui, che persegue an
che là dove non dovrebbe la teocrazia di Roma (1); si tenga
presente che nei riguardi «Iella fiera e delle cose e interessi
che le si riferivano, i legati diedero incessante ])rova di una
larghezza, j)rudenza, sollecitudine, che fanno spiccato contrasto
colla durezza militaresca dei duchi : e non farà meraviglia che
colla dominazione ecclesiastica la fiera entri decisamente nella
fase della sua trionfale ascesa. Durante la quale, naturalmente,
come va modificando alcnne delle caratteristiche che le abbia
luo visto nel secolo precedente, così ne va per contro assu
mendo di nuove.
(1) « E come lui (il papa) erano ignari del governo i prelati che venivano
mandati a reggere 1' una o 1' altra provincia pontifìcia, alla quale erano quasi
aennpre estranei per origine, per interessi, per statuti » : così sommariamente,
uno storico moderno che pur gode meritata autorità di dotto e conscenzioso,
Callegari, Preponderanze straniere. Milano, Vallardi, p. 231. La verità è —
e ne avremo la riprova nel seguito del nostro studio — che la storia dello
stato pontificio nei secoli ultimi non èi ancora studiata a dovere e per cou-
aegnenza non ancora nota come dovrebbe. E gli archivi di tutte, anche le
più modeste, città ex-pontitìcie contengono tesori, che aspet/tano d' essere messi
in luce !
— 285 —
La durata della franchigia rewta, i>€r qnasi tutto il secolo
XVII, di otto giorni, conje era: generalmente — che non i)are
fosse di regola — i tre precedenti e i quattro successivi al
22 luglio.
In queir efflorescenza di speranze, che 1' avevano indotta a
sognare di poter essere di nuovo capitale d' una sia ])ur niinu-
s<;ola signoria, Senigallia tra le parecchie altre cose aveva ben
chiesto a sua beatitudine Urbano Vili, il prodigo Barberini :
1." « di poter fare la solita fiera... alla quale per otto giorni
A nauti detta festa et otto doi)po possi venire de ogni luogo
« per mare e per terra mercantie salve e sicure e quelle re-
« condurre senza pagamento alcuno di datio o gabella, sì come
« anco per tutto il detto si)atio di tempo possa qualsivoglia
« persona venire e stare sicuro, tanto j^er cagione di debiti
« quanto per malefìtii, purché non sia condanata in pena ca-
« pitale »; 2." di poter anche « secondo il costume antico...
« extrahere un cittadino per <',apitano di detta fiera, con fa-
« colta di curare et decidere tutte le cause civili, criminali e
« miste, che occorressero dentro il tempo di essa fiera » (1).
Ma la beatitudine di Urbano Vili non aveva creduto di
acconsentire alla dujilice richiesta e s' era limitata, con bolla
17 settembre 1638, a confermare puramente e semplicemente la
fiera, così come era, nella sua durata normale di otto giorni :
« insuper solitas nuudiuas, quae octo diebus durent... contìr-
« mamus et approbamus » (2). Solo in via di favore, « ])er
compiacere alla città », che aveva rinnovata 1' istanza i)er di-
ciassette giorni, il vice- legato Mattei concesse, i)rima che fosse
])ubblicata la bolla, che per quel solo anno m'oli la fiera du-
rasse dalla metà alla fine di luglio (3).
Parimenti per ragioni estranee a esigenze commerciali, s'in-
dusse nel 104!) Inno(;enzo X a portarla a tredici giorni i)er
tutto il dcHiennio l()40-.")8, anticipandone 1' apertuta al 14 lu-
(1) Lett. d'udienza, v. 1", e. 139 e seg.
(2) Decreti, v. li, e. 83t.
{'S) ivi, e. 83.
— 286 —
glio: «... demniii solitas nundiiuis, que per octo ante festum
« li. M. Magdaìenae et post ipsmii festniii iter alios quatuor
« (lies (lureiit, . . . contìinaMins et api)robainiis » (1). Col 1()59
pertanto la franchigia tornava alla sua duiata solita di otto
giorni. A tanti restò tìssa, meno un' eccezione pel 1074 (2),
sin verso la line del secolo. Negli ultimi di questo finalmen-
te — e non possiamo jirecisare da che momento — la trovia-
nu) jiortata di nuovo e indefinitamente a giorni tredici (3).
Ma, se per la maggior parte del secolo resta limitata a
otto giorni - e non dovè essere un male, in quanto, costrin
gendo le o])erazioni «commerciali entro il breve giro, le intensi
fica va e liberava insieme i mercanti da maggiori sj)ese per noli
e mantenimento — la franchigia nel corso del XVII va gra
vemente e presto modificando la sua imrtata fiscale. Conserva
invece intatta la vsua latitudine per ciò che riguarda le persone
e le merci in quanto proprietà delle persone. An/.i, sotto questo
aspetto, è meglio chiarita e definita, e dalle autorità locali, del
l)ari che dall' autorità superiore, è fatta osservare con un im-
pegno, uno scrupolo e uno zelo, di cui, sfuggendoci la recon
dita ragione, non riusciamo a frenare un senso di meraviglia (4).
(1) Privilegi e chirogr., div. N. 19.
(2) A comp(M]8o della niaiicata fiera del 1673 quest' anno fu prolungata la
fraiicliigia di dieci giorni: Letf. d'udienza, v. 18, e. 33.34. Come nel 1553
e 1554, anche in qnest' occasione s' oppone al prolungamento il doganiere.
Interviene il legato e ottiene che « si aggiusti il doganiere » con 100 scudi da
pagargli sulla cassa del porto : Lett. d'udienza, v. 18, e. 33, 67, 114 ; Conngli,
V. 44, e. 112t e 123.
(3) Nel 1694 risulta già di 13 giorni come nella prima metà del secolo
successivo : Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 3t.
(4) Al riguardo della franchigia o immunità personale, V Huviìlin, Sur
le droif des marohés et des foires, Paris 1897, p. 451, osserva semplicemente
che « la sua utilità nel medio evo è indiscutibile ». Nulla di piìi vero. Du-
rante l' età comunale in particolar modo, banditi da una città, sede di mer-
cato, possono essere e il più spesso sono, oltre a delinquenti comuni, citta-
dini di città nemiche o solo antagoniste. E in questo stato di cose la santità
del diritto d' asilo la franchigia personale delle fiere non è che questo
— è perfettamente spiegabile. Ma nel 600, così in Francia, cui più special-
— 287 —
Valga ad esempio il fatto occorso nella fiera del 1641.
Un ebreo levantino, abitante in Ancona, tal liaffaele Na
niias, creditore per 1500 scudi d'un suo correligionario vene
ziano, Giacomo Bacani, nel timore di « restarne scoperto, pro-
« curò di asìcurarsi di alcune robe e merci che esso — il
« Bacani — aveva alla fiera di Senigallia, dove aveva per
« detto temi)o botega ». E, ricorso al luogotenente — erede,
come sappiamo, dell' autorità giudiziaria del soppresso capitano
di fiera — ne ottenne un ordine di sequestro, un non aperia-
tur, che fu affìsso alla porta di bottega del suo debitore i)ro-
prio la sera del 22 di luglio.
Ma ser Giacomo, che doveva saperla lunga in fatto di fran-
chigia, gi«^ che si trovava sul jmsto per 1' ai)punto il vice le
gato^ ricorse senz'altro a sua eminenza. E sua eminenza « non
« a[)rovando in alcun modo quanto era stato dal detto locote-
« nente fatto, non solo il tutto rivocò et anulò, con ordinare
« al medemo cancelliere del locotenente che levasse subito il
« detto non aperiatur et che non si molestasse esso debitore
« in alcun modo, stante i privilegi della sudetta fiera; ma an-
« co es[)ressamente ordinò al medemo in juiblica fiera che fa-
« cesse sapere al locotenente che dovesse al sudetto oratore
« — al Namias creditore — restituire i capisoldi indebitamente
« estortoli et rentegrarlo della sudetta spesa ».
O il magnifico cancelliere, si vede, non fece 1' ambasciata o
l'eccellentissimo luogotenente fece orecchio... da mercanto.
Il fatto è che il Xamias, resi)iiito dal luogotente, sull' esemjjio
di ser lacobe suo debitore, ricorre anche lui al vice legato, non
per i 1500 scudi — di cui non sappiamo se fu « ricoperto —
ma per la rifazione delle illegali spese : « scudi venticinque di
l)aoli per capisoldi et doi altri scudi simili per mercede a mede
mi ofitiali resi contro ogni dovere e giusto ». E il vice legato,
mente 1' Huveliu si riferisce, come, e segnatamente, in Italia, stato ecclesia-
stico compreso, 1' età delle lotte comunali è da tempo tramontata ; lo zelo,
che il rappresentante della sovranità spiega a conservare e tutelare questa,
per noi, sopravvivenza, appare pertanto intempestivo ed eccessivo.
— 288 -
(li nuovo, con ])remura punto intiepidita, il 6 agosto ordina la
restituzione al Nauiias della « moneta i)resa per li capisoldi
ingiustamente » (1).
Xon solo : ma, da quell' anno in poi, frequenti ordinanze e
istruzioni legatizie rinfrescano ogni tanto al luogotenente la
memoria del i)rivilegio inviolabile della franchigia personale.
Così il 31 luglio 1662 gli si fa sapere che, « secondo i privi-
legi della fiera, è nullo il sospetto di fuga »; sia quindi rila-
sciato tal Matrica, che sotto quell' iniputazione era stato tiatfo
in arresto (2). E ])iù esplicitamente il 1) giugno 1663 : in fiera
il luogotenente non conceda salvacondotto né per civile né per
criminale, né rilasci mandati di sospetti di fuga: ordinanza ri
petutauìante rinnovata negli anni successivi (3),
Ben altra, come s' é accennato, é la sorte della franchigia
reale o da imj)0sta. Oravanii legali e usurpazioni arbitrarie ne
trasformano e ne limitano la portata.
Nel periodo che abbiamo studiato, il regime daziario « a-
perto » — a|)erto alle sole importazioni — aveva avuto i)er
conseguenza che il benefìcio della franchigia da imposta fosse
sentito solo dalle merci in uscita, e il privilegio — meno i
piccoli ostacoli opposti a quando a quanto dai duchi d'Urbino —
non aveva subito gravi restrizioni. Nel periodo in cui siamo entrati
invece, il regime daziario di Senigallia, evidentemente sotto l'azio
ne di mutate condizioni economiche, si chiude: si chiude cioè an-
che alle importazioni. La portata della franchigia perciò risulta
estesa cosi alle merci in Uvscita come a quelle in entrata.
Se non che, a un certo tempo, per tutte le merci che ven-
gono per la via del mare, il beneficio della franchigia da totale
(1) Leti, d' itdiema, v. 3", e. 74.
(2) Letf. d'udienza, v. 10», e. 50.
(.3) Lett. d'udienza, v, 11, e. 125; v. 13, e. 192; v. 14, e. 68; v. 15,
e. 133 e 141...., V. 21, e. 133.
— 289 —
si riduce a parziale. Coiiteinponcainente i castellani cominciano
a prelevare, |)rinia da alcune pociie, i)oi da una sempre più
numerosa categoria di merci in entrata, percentuali in natura
o in denaro, « regalie », per conto loro e nel loro esclusivo
interesse. Per modo che il privilegio ilella franchigia, intaccato
da una parte dai dazi^ da un' altra dalle regalie, si trova ri-
dotto verso la fine del 000 a qnalclie cosa come un brandello,
a nn beneficio assolutamente parziale, che tuttavia pel gio(;o
dei compensi non pregiudica lo sviluppo della fiera, ne accen-
tua anzi, a quanto ci pare, il carattere « internazionale ».
Ma seguiamo, al solito, la trasformazione sui documenti
che ci son pervenuti. Nei capitoli presentati il ItìSO a Urbano
Vili aveva avuto j)remura Senigallia di chiedere « che il com
mercio sia semi>re libero — esente cioè da dazi d' entrata —
sì come è stato al temjm del1i già ss. Duchi d' Urbino »; e
1' « iiKJomparabile vigilanza e bontà di 8, B.ne » aveva su que-
sto punto accontentato la « fedelissima città ». Sino al mag-
gio 1638 infatti nulla troviamo di mutato nel regime daziario
senigailiese; anzi in quest'anno sono richiamate in vigore
certe disposizioni emanate in materia dal governo ducale sin
dal 1578 (1). Due anni più tardi però, nel H»40, improvvisa-
mente e' iuìbattiamo in un « dazio grande camerale », il dazio
dei colli, che colpisce le merci in entrata (2),
È del 1643 il ])rimo documento che ci fa (conoscere il nuo-
vo ordinamento. Con decreto da Urbino 12 settembre 1643 il
collegato card. Gabrielli dispone: 1." - che ogni persona, mer-
cante o particolare, la quale conduca, faccia condurre o riceva
in Senigallia e suo distretto, sì i>er terra che per mare, merci
e prodotti di qualsiasi genere, Je dia secondo il solito in nota
al doganiere; 2." - e qui non è più il solito • paghi conforme
1' allegata tariffa (« pagamento di dogana »); 3.° é nuintenuto
il dazio d' uscita o « sjìaccio » i)er tutte quelle merci che si
si)ediranno o saranno estratte fuori della città e suo territorio.
(1) Decreti; v. B. e. 93t.
(2) Lett. d' udienza, v. 3" e. (il.
19 — itti e HeBiorie della R. Dep. dì Storia Patria per le Harche. 19rZ.
— 290 —
111 armonia col regime ormai superato — non è fuor di i^ropo-
sito osservare — il dazio d' entrata risulta per la gran mag-
gioranza delle merci inferiore della metà a quello d' uscita (1).
Proprio nello stesso anno la comunità, costretta alla grossa
contribuzione di 381 scudi mensili « pel mantenimento della
soldatesca che si schrisse nei presenti rumori d' armi » — la
nepotistica guerra di Parma, 1042-44 — s' induce anche lei a
dare un calcio alla già più volte invocata e piatita libertà di
commercio. Chiede, ottiene d' istituire ed esige cinque dazi,
quattro dei quali, già in vigore a periodi saltuarii prima di
ora, colpiscono il consumo interno : sale, carne, pesce e vino
o mosto forastiero; uno, del tutto nuovo, detto anch'esso « dei
colli » e, pel più copioso gettito, « il maggiore », colpisce,
nella misuia di un grosso ])er ogni collo o balla di 250 libbre,
tutte le merci che passano o entrano in città e suo distretto,
sì per terra che per mare (2).
Tanto il dazio dei colli governativo o di dogana, quanto il
dazio dei colli comunale rispettano la franchigia di fiera : la
quale pertanto non solo conserva intatta finora la sua portata,
ma anzi la estende anche alle merci in entrata e di conse
guenza contribuisce al maggior incremento della fiera stessa.
Se non che, abolitosi nel 1648 per le cessate necessità il
dazio comunale dei colli (3), questo con tre altri minori viene
(1) Decreti, v. e. 118t. Ecco la breve soraiuaria tariifa :
DAZIO
d' entra
Cuoi non conci, per balla di 10 pezzi,
vallonea, il niigliaro .....
foglia » .....
ferro » .....
scotauo » .....
stracci » .....
ogni altra merce, per balla.
(2) Decreti, B, e. 112. Ne erano però esenti, per concessione del Consi-
glio 26 agosto 1643, la vallonea, i cuoi e la lana, destinati alla vicina indu-
stre Pergola : Strumenti, v. 6", e. 62t.
(3) Decreti, B, e. 165
d'
entrata
d'
' uscita
V2
grosso
V2
grosso
2
grossi
2
grossi
2
»
2
»
2
»
4
»
2
»
2
»
2
»
2
»
'!i
grosso
1
grosso
— 291 -
di nuovo ristabilito — per breve di Innocenzo X, 14 dicembre
1G50 — a cominciare, sembra, dal 1652 e in questa sua se-
conda edizione non consente più eccezioni di tempo. Nella
stessa misura di uu glosso o mezzo paolo « per collo di ogni
sorta di robba die si condurrà in... porto », esso colpisce
tutte le merci, che giungano a Senigallia i)er la via del mare
e si esige « in qualsivoglia tempo, etiam di fiere o altre fran-
cliitie » (1).
Il i)rovvedimento che d^ un coliio dava di frego al biseco-
lare privilegio, in cui difesa 1' autorità cittadina aveva tanto
strepitato contro le limitazioni imposte dai duchi d' Urbino,
era invero giustificato da un interesse superiore. Si trattava
<U migliorare il porto, rafforzate le punte dei due moli con
sponde di pietra, quindi allungare lo specchio utilizzabile del
canale, per metterlo in grado di provvedere alle esigenze del-
l' aumentato traffico. La comunità, priva affatto di rendite j>a
trimoniali e disjionendo di un bilancio assolutamente inela-
stico, dovè contrarre un primo — e non davvero ultimo —
debito di diecimila scudi in moneta romana, e ad estinguerlo
non aveva altro mezzo che riversarlo e ripartirlo su coloro, che
dei nuovi lavori avrebbero risentito il vantaggio diretto, sui
mercanti che approdassero in porto (2).
Di due altre limitazioni legali infine — e crediamo, non
siamo sicuri, di averle rintracciate tutte — abbiamo notizia pel
(1) Libri di fiera, v. T>, e. 43-46.
(2) Ecco la relativa tariffa (Capitoli diversi, e, 78j :
Merci di qualsiasi genere in colli, per collo grossi 1.
Merci che vengono alla rinfusa :
regolandosi a peso, per uiigliaro bai 6 -/.^
» a numero . . , lo/o
Olii, per niigliaro ipeso e misura d. Marca)... bai. 3.
Doveva esso cadere appena raggiunto il gettito dei 10.000 scudi mutuati.
Viceversa, di proroga in proroga, per nuovi debiti contratti allo stesso tìne
e montanti alla fine del secolo a scudi romani 20434, non fu mai più tolto,
nel 1719 fu anzi inasprito, portato al doppio ; finché, vedremo, sar.ò. abolito
da Pio VI nel suo grande riordinamento doganale del 1786.
— 292 —
resto del secolo. Si tratta di gabelle si)eciali, ])oste dal governo
su determinate merci; tuttavia non fatte davvero pel maggior
incremento della Aera, in quanto si cnmulano col dazio comu-
nale dei colli.
I^el 1664 troviamo concessa in ai)palto (1) una gabella, for
se quell' anno stesso istituita, la quale colpisce di un baiocco
per libbra il sapone di qualità superiore e di un quattrino, pari-
menti per libbra, il sapone da spurgo, che si fabbrichi o s'Intro-
duca nello stato o anche passi da provincia a i)rovincia. ì^eanche
essa consente eccezioni di sorta: « Nessuno possa pretendere
« esentione per il sapone di qualsivoglia qualità, che si vende
« o compra nelle fiere, delle quali nessuna, ancorché abbia
« privilegi amplissimi, debba essere esente » (2). Ma, come 6x3-
cessivamente gravosa, nel 1673 « la S. dì N. S., a sollevare i
« popoli, ha soppressa la gabella del sapone » (3),
Restò invece, anzi si trasformò per breve tempo in vero e
proprio monopolio, un'altra gabella, di un quattrino per libbra,
posta nel 1687 sul ferro e anch' essa escludente ogni e qual-
siasi privilegio di franchigia (4).
(1) lu appalti di dazi o gabelle governative e comunali, ci imbattiamo
8Ì può dire a ogni pie sospinto. Ma dove non è, come qui, esplicito accenno
all'esclusione di qualsiasi franchigia, è intuitivo che l'appalto non infirma
in nulla la libertà della fiera, che appunto perciò è « franca » e cresce d'im-
portanza in ragione diretta del moltiplicarsi di questi impedimenti al com-
mercio normale.
(2) Lett. d'udienza, v. 91, e. 25. 11 bando d' appalto è così rigoroso che
dal pagamento del dazio, oltre che le fiere, non è esente nessuna persona
e nessun luogo « etiam che fosse il Sacro Apostolico Palazzo ».
(3) Lett. d'udienza, v. 17, e. 82.
(4) Lett. d' udienza, v. 29, e. 80. Ben altrimenti dannose alla fiera sa-
rebbero riuscite le varie proibizioni, che a quando a quando il governo,
nella concezione mercantilista del tempo, mette sn questo o quel prodotto
estero per proteggere le industrie similari proprie. Così nn editto 21 febb.
1667, confermato l'agosto dello stesso anno e il genn. 1669, proibisce asso-
lutamente l'introduzione dei tessuti di lana forastiera : Bandi, e. 96. Ma poi-
ché nel giugno 1668, « con l'occasione della prossima fiera » il Consiglio
delibera di « supplicare il legato per la licenza della introduzione delle
— 293 —
Così dalla nietA del XVII la franchigia reale o da imposta
non importa e non signitìca più che esenzione dal solo dazio
governativo o di dogana : esenzione di cui godono tutte le mer-
ci — meno pel 1664 73 il sapone e dal 1687 in poi il ferro —
sì in entrata che in uscita, e per mare e per terra. Sulle merci
in entrata per mare grav^a, come nel resto dell' anno, il dazio
comunale dei colli.
Un così fatto regime doganale, lungi dal pregiudicare le
transazioni commerciali, doveva accentuare il carattere, già
dalla fiera assunto, di mercato di scambio tra prodotti dello
stato e prodotti esteri. A parte il gioco della concorrenza in
fatti, le maggiori spese per l'introduzione dall' estero risulta-
vano compensate dal minor prezzo d'acquisto e dall' esenzione
totale in uscita dei prodotti dello stato. E i proventi del dazio
dei colli continuamente montanti e un complesso di altre cir-
costanze di eui meglio vedremo, ci dà precisamente la riprova
che la fortuna della fiera non fu menomamente scossa da queste
limitazioni ^^ legali ».
Le quali intanto anche un' altra conseguenza recarono : qua
8Ì tutto il carico della fiera restò addossato al governo, e l'utile
ormai imponente assicurato quasi per intero alla comunità.
Ciò che provocò le più gravi rimostranze dei mercanti e il
più vivo fervore di lotta nella comunità, fu la serie delle li-
pamiine forastiere et altre robbe proibite », Consigli, v. 42, e. 74, c'è da
star aicuri che pannine di lana forastiere alla fiera furono ammesse e quel-
l'anno e i seguenti.
Altro ostacolo ben grave doveva essere il divieto di estrazione di monete,
ori e argenti dallo stato (29 luglio 1674), Bandi, e. 60. Anche al riguardo
di questo si può esser certi che non fu osservato. Il legato card. Tanari
nel 1710 comunica che, avendo « rappresentato in Koma il pregiuditio »
che deriverebbe alla fiera dal divieto d'estrazione delle monete, il papa s'è
rimesso al suo arbitrio, ed egli « lascerà correre il solito », Decreti v. D,
e. 70.
— 294 —
hìitazioni « arbitrarie » dei castellani. Soppresso nel 1590 l'uf-
ficio (li capitano della fiera, il duca d' Urbino, vedemmo, divise
le sue attribuzioni tra il luogotenente, cui affidò la competenza
giudiziaria, e il governatore delle armi - che era già anche
capitano del i»orto e sotto la nuova dominazione pontificia sarà
anche castellano (1) — cui toccò la « polizia » della fiera. Na-
turalmente colla carica questi ereditò anche l'annesso e connes-
so emolumento : il fitto di due botteghe a |)orta Vecchia e le
« regalie » che solevano « offrire » ~ i)er modo di dire — i
uìercanti. Se non che, come governatore delle armi e cai)itano
del ])orto aveva già egli diritt<» ad altre regalie ; come castel-
lano si considerava usufruttuario delle aree — che presto 1' in
cremento della fiera met':erà in valoi:e — adiacenti alla fortezza
e alle mura lungo il canale. Si trovava quindi a disjjosizione
dell'alta carica tutto il « necessario e sufficiente » a... rega-
larsi il compenso d'un lavoro straordinario, che la fiera rendeva
necessario.
Già nel 1615 Frane. Maria II aveva dovuto lamentare e
reprimere « l'ingordigia delle persone in cotesto nosto porto
di Sinigllia » (2). Fu però nel 1036, che, per usurpazione d'aree
e violazione della franchigia di fiera — sempre in comi»enso di
quel grande, straordinario lavoro dell' affaticato castellano —
scoppiò il conflitto o causa delle regalie, protrattosi per tutto
un secolo. In quell'anno il governatore in carica, invece delle
« solite » cinque botteghe — e il sop[)resso capitano non ne aveva
goduto che due -- « con danno del publico e del privato »
ne costruì in « magior numero » e, violando la franchigia, colpì
di tasse di posteggio le merci sbarcate e collocate sulla riva
del porto, tra la fonte e j)orta Marina. I commercianti prote-
(1) L'ufficio di capitano del porto, se non istituito certo riordinato da
Giov. della Rovere nel 1489, si trova unito con quello di governatore delle
armi o comandante della piazza sulla fine del XVI, le tre cariche si cumu-
lano in una stessa persona dal 1646 in poi : Statuti ms, e. 117b ; Decreti, v.
B. e. 13-14 ; Regalie, v. 3«, e. 144 e 146.
(2) Decreti, v. B, e. 36.
— 295 -
stano; la comunità li KOvStiene (1); ina con qnal risultato... ce
lo (lice il corso successivo della contesa.
Nel 1652 è il legato card. Vidinan che deve intervenire :
« Luogotenente, Avrete a voi il castellano di codesta fortezza
« e insinuategli che è mio sentimento non si facciano estorsioni
« a' mercanti e negozianti che vengono alla fiera della Mada-
« lena, come è seguito gli anni adietro. A poco a poco i ca-
« stellani si sono usurpata una certa loro autorità con ingor-
<• digia d' havere emolumenti nell'affittare i posti che sono den-
<■' tro la città e intorno alla fortezza [non solo], ma anche gli
« altri che sono fuori, nel lito del mare. Avendo occasione di
« sentire ciò del ])resente castellano, lo raj)presenterei a Roma
« con sua poca sodisfatione . . . Urbino, 0 luglio 1652 » (2). La
minaccia della denuncia a Koma spaventa tanto il nobile castel-
lano — un Domenico Rosati, per la storia -- che, risoluto a
far risi)ettare lo stato di fatto, accampa di più la pretesa che
non si scarichino merci senza l'intervento suo o d'un suo rap-
presentante : « cosa che dà grandissimo disturbo et a' mercanti
et al Publico » (3).
Nel 1661, nuovi e ])iù numerosi aggravi e nuove piti alte
proteste. Questa volta le avvalora e le sostiene un alto utlìcia-
le di Venezia, Zaccaria Mocenigo, governatore generale del
Golfo (4), e il governo di Roma deve finalmente metterci le
mani. E ce le mette . . . da par suo. « La differenza che verte
« tra questa comunità e il sig. castellano — scrive l'agente di
(1) Regalie, v. 1», e. 43-44.
(2) Decreti, v. B, e. 200t.
(3) Regalie v. 1°, e. 17,
(4) Regalie, v. 1", e. 48 e 155-56, Il Mocenigo s'era recato in tiera e
già il suo approdo aveva creato un incidente, avendo il personale del porto,
contro una speciale disposizione dei duchi d' Urbino, preteso di assoggettare
a visita la galea capitana. Il che naturalmente provocò un rabbuffo e una
vivace deplorazione del card, legato per « l'angherie che ricevono le barche
venete in fargli pagare un ducato per ciascuna,,.. » : rabbuffo e deplora-
zione, che avevano sbagliato indirizzo, in quanto il castellano e suoi subal-
terni, non il Magistrato erano i responsabili.
— 296 —
« Senigallia in Roniii, 12 higlio 1662 — mi dice Mons. lU.mo
« Bonaciirti essere già stata terminata che s'osservi il solito f> (1).
Cioè chi ha preso, tenga. In base alla qual sapientissima'
decisione, il luogotenente, chiamato arbitro tra le i)arti, il 15
luglio 1663 assegna al castellano due aree rettangolari, di ver
genti da porta Vecchia, ca|)aci di 20 in 25 botteghe (2).
Incoraggifjto da questi sidendidi i)recedenti, nel 1666 il ca-
stellano Francesso Fiunìaggioli, nobile perugino, per compen-
sarsi anche lui, poveretto, dell' enormemente cresciuto lavoro,
si... espande su altre aree, ne alza i titti e, per far qualche
cosa di nuovo lui ])ure, imiwne un diritto « di stallia o como-
dità delle acque » alle barche, che all'uopo ])agano già al co-
mune mezzo paolo di dazio dell' alboraggio (3). Nello stesso
tempo preleva, come d'uso, « qualche ragaglia » da bicchieri,
maioliche, spezie, salumi, stuoie.
Nuovi alti clamori dei mercanti; nuove e più fiere proteste
della comunità. La contesa s'invelenisce anche })er un pizzico
di risentimento personale: l' eccellentissimo signor castellano,
salutato nella pubblica via dall'illustrissimo Magistrato, non s'è
degnato di rispondere al saluto ! È di nuovo recata a Roma e
questa volta agitata e discussa... con serietà e ])rofondità da
una serqua di dignitari, monsignori e cardinali influenti (4), i
quali capiscono che davvero la stallìa viola la franchigia e non
si deve pretendere la « benché minima recognitione ». « Ma
(1) Regalie, v. 1", e. 176.
(2) « Al castellano e sua carica competono e devono solamente compe-
'< tere le due boteghe, che le furono assegnate alla porta Vecchia, a mano
« manca nell' uscire..., di piedi 14; che secondo il limite e drittura di esse
« boteghe... deve godere il sito sino alla ripa del fiume per linea retta; e
« dall'altra parte... deve solamente estendersi il sito e pertinenza delle
« boteghe dalla muraglia del torrione vecchio .. sino alla fabrica e luogo
« detto il lavatoio esclusive » : aree che da calcoli, confermati da un'indi-
cazione riferentesi al 17.30, eran capaci di « sopra venti botteghe in circa »:
Regalie, v. 1<>, e. 18 e v. 3°, e. 221t.
(3) Regalie, v. 1», e. 47.
(4) Regalie, v. 1«, e. 1, 3, 9, 98-100, 117-25, 171-74.
— 297 —
ris])etto all' augiimeiito <le' posti — elevamento dei fìtti —
non mi inire dovere iti. porre limitatione alcuna », dicbiara uno
di quei pezzi grossi, e precisamente il superiore del nobile Fin
niaggioli, il principe Cliigi commissario generale delle armi (1).
Attaccatosi il Finniaggioli alle aree, alla vigilia della fiera
del 1667 è ripreso con rinnovata lena il lavorio dei rappresen-
tanti e protettori delle parti. Molto verisimilniente si ha una
seconda edizione del sapientissimo oracolo del l(i62. Il fatto è
che anche una volta il luogotenente^ chiamato arbitro, ricono-
sce e sanziona l'ulteriore... esiniusione, attribuendo al castel-
lano una terza area, capace di 10 in 12 botteghe (2).
Né questo lodo del 1667, né quello del 1663 fanno i)aiola,
come di un'altra area, cOvSÌ delle regalie, che il castellano già
da temi)o esige dalle mer(;i iji fiera nella sua duplice qualità
di capitano del jiorto e, diremo, prefetto della fiera. É una
preziosa dimenticanza, di cui 1' intraprendenza di altri nobili,
successi nella carica, sa trarre in seguito meraviglioso partito.
Da quattro o cinque si)ecie di merci, su cui nel 1667 il Fiu-
maggioli i»releva regalia, silenziosamente il numero delle s[)ecie
colinte dalla nuova taglia ogni tanto aumenta di una qualche
unità. Sulla fine del secolo non son meno di dieci : alcune del
le quali largamente comprensive, come <' legnami e comestibili
d' ogni sorta »; altre, di valore intrinseco elevato, come spezie
e maioliche; tutte in larga misura rap])resentate alla fiera. E
la categoria tende ad aumentare in ragione diretta dell' incre-
(1) Regalie, t. 1°, e. 6. La testa quadra dell'eccellentissimo commissa-
rio generale delle armi, nn qualche nipote senza dubbio di S.S. Alessandro
VII, ragionava da loico, •* caminava con distintione » : « o il castellano ha
« affittato il sito di sua giurisditione, e non ha commesso mancamento al-
« cuuo ; o vero... oltre il prezzo del sito, si è fatto pagare la stallia e
« altro, et ha commesso mancamento ». Ma uou gli e' entrava quel che so-
stenevano i rappresentanti di Senigallia, che gli alti fìtti volevan dire svia-
mento della fiera, perchè, « essendo il luogo del porto ristretto », i mer-
canti, che si fossero una volta trovati stretti tra il bere e l'affogare, un'al-
tra volta si sarebbero guardati dall' incapparci : ivi, e. 119.
(2) Regalie, v. l», e. 9-12, 108, 108, 148 e segg.
— 298 —
mento della fiera stessa, sino a coin prendere la maggior parte
delle merci che vengoii per mare e sono qnindi già soggette
al da?;io dei colli.
Colui che, completando il perseverante lavorìo di erosione
intorno ai resti della franchigia, porta a compimento il sistema
d' esazione delle regalie, è l'illustrissimo signor Malatesta Ab-
bate Olivieri patrizio di Pesaro e cugino del card. Albani, il
potente e benemerito jìrotettore di Senigallia, dal novembre
1700 papa col nome di Clemente XI. Già in carica nel 1692,
l'Olivieri deve aver seguita anche lui la... ])olitica di pene-
trazione pacifica, e soi)ratutto silenziosa, a danno così di aree
comunali, come di merci anc(>ra immuni. Trattandosi di un cu-
gino dell' enìinenza protettrice, la città chiude un occhio ; i
mercanti, se protestano, non trovano eco. Anzi, le prolisse
scritture legali, cui la contesa in seguito dà la stura, accen-
nando con tutta discrezione all' opera sua, vorrebbero darci
ad intendere che 1' abuso delle regalie, strepitosamente deplo-
rato e denunciato in altii, sia dovuto non a lui, ma alla « li-
« centiam famulorum vel militum inter nundinas expiscantium
« munuscula nunc uno nunc alio titulo » (l).
Il fatto è però che questa « expiscatio » abusiva si fa in
breve così larga e pericolosa, suscita tali e tanti clamori, che
non ostante i riguardi dovuti al benemerito protettore — la
cui opera del resto a questo temi)0, vedremo, è... passata!
— la città nel 1699 è costretta a ricorrere a Roma. Da Ro-
ma — c'è bisogno di dirlo? — viene il solito sapientissimo e
coraggiosissimo responso, e il 13 luglio 1700 le parti conven-
gono, dinanzi a notaio, in un amichevole compromesso: il castel-
lano rinuncia a ogni e qualunque tassa di posteggio nel Lun-
gomisa, nel porto e [)er appoggio alle mura; la comunità gli
riconosce tutte o quasi tutte le aree ultimamente occupate; sul
punto delle regalie, il più spinoso, deciderà da arbitro il legato (2).
(1) Regalie, v. 3», e. 260.
(2) Regalie, v. 3», e. 14-19. Le aree quest'anno riconosciute al castellano
sono, oltre quelle assegnategli nel 166.3 e 1667 : 1" l'area interna di porta
- 299 -
Ma quando già Senigallia sollecita la decisione legatizia,
ecco uscire eletto dui conclave, il 23 novembre 1700, il card.
Albani col nome di dementa XI. <' ...(^ivitas tunc opportu-
« num duxit desistere ab ulteriori instantia ajtud Legatum ».
L'Olivieri così può continuare indisturbato a fare « expiscari >^
dai suoi « famuli vel milites » gl'innocui « njunuscula ». E
])0ichè resta ancora per altri sette anni almeno in carica, lia
modo e agio di regolariz/.are le esazioni, quotizzarle a uno pei'
cento fuori di fiera e mezzo per cento in tempo di fiera, e fini-
sce col dare, pel lungo uso, carattere di consuetudine, quindi
veste di legalità, alle regalie.
Il nuo\'o . . . sistema tributario così è completo: ai succes-
sori nella carica, il conservarlo, ])erfezionarl«), mantenerlo al-
l'altezza del movimento commerciale, che è la fiera. E il conte
di Monteveccliio di fatti, non ostante la i)iù energica opposi-
zione di Senigallia, nel 1725 estende le regalie a 53 voci, ora
invero minutamente specificate. E nel 1730 un Battista Boc-
caccio, con gesto napoleonico, le allarga ancora ad altre 45,
ciò che fa un totale di 98 voci, quando su per giìi negli stessi
anni a non oltre le 141 salivano le voci elencate nella tariffa
del dazio dei colli (1).
*
*
Un pericolo ])iù grave dei dazi e delle regalie sorge poco
dopo la metà del XVII e sovrasta minaccioso sulla fiera sino
a tutto il successivo : la rivalità di Ancona (2).
Vecchia, 2° un'area di 21 piedi, quindi lo spazio di 3 botteghe, tra il la-
vatoio e porta Marina; 3° l'area di piedi 11 e '/g anteriore al casino della
sanità ; 4" l'area steudentesi lungo il Misa da porta al Prato sino alla punta
del baluardo della Posta.
(1) Le relative tabelle in Regalie, v. 3°, e. 260 e segg. e Porto e suoi
dazi, e. 18.
(2) Nel 1656 ha ottenuto di istituire una fiera la città di Fermo; <r ma
essendo Fermo lontana, credo un zappare in acqua cercare d' impedirla »
osservava ragionevolmente 1' agente seuigalliese in Roma ; Amhasc. Avvoc,
— 300 —
Non ostante il conseguito privilegio del porto-franco (nel
1593), Ancona, lo diceninio già, col sec. XV^II è decisamente
entrata nella fase discendente della sna prosperità e potenza
commerciale. Mentre in passato « li negotianti erano di gran
« lunga in maggior numero... i)er affluenza delle mercantie e
« copia de' vascelli, che in quantità cajutavano in questo por-
< to . . . , di presente (1694)... è quasi mancato e decaduto il
" commercio vivo mercantile, a segno che non vi sono che
« cinque case, che in effetto mercantano e negotiano ». E du-
rante il secolo la corrisposta d'appalto delle dogane, da scudi
13.500 nel trentennio 1604 33, scende a 9100 nel novennio
1662 70, a 6000 nel 1694 (1).
Dopo che con uno dei soliti palliativi — un breve i)ontificio
cioè (26 ott. 1604) di concessione d' una fiera dai 15 nov. al
15 genn. (2) — Ancona Iia inutilmente tentato di ravvivare il
e Procuratori, v. 1", e, 70. Nel 1658 tentava e nel 1660 otteneva Riniini di
istituirne altra, la quale, dopo il primo momento di apprensione non ecci-
terà più oltre l'opposizione di Senigallia: ed era anch'essa fiera franca, ma
solo dai dazi comunali, fiera di S. Antonio di Padova, 25 maggio-] giugno:
Consigli, v. 36, e. 89; v. 39, e. 103t-04 e 107t-08 ; Ambasc, Avv. e /Voc,
V. 1°, e. 102; Capitoli diversi, e. 35 e segg. E oltre quelle ancora famose,
ma decadute, di Recanati, troviam fiere a Fano, Osimo, S. Severino, Mate-
lica, Caldarola, Moutalboddo : ZoNGHi Repertorio d. ant. aroh. coni, di Favo,
Fano 1888, p. 265, ; Mas. Capponi, N. 189, e. 347, nella Bibliot. Naz. Ceutr.
di Firenze. Non di queste però Senigallia si mostra preoccupata.
(1) N. 1, A. e B. e N. 3 del Sommario del Memoriale del fatto respon-
sivo, Ancona contro Senigallia, in Roma, stamp. d. R. C. A. 1694, allegato
alla posiz. Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 94-99, d. arch. aenigall. e ivi, e. 51.
(2) Le si era allora opposta Recanati : Mas. Capponi N. 189, e. 374. A.
proposito dell'efficacia di un « intervento dall'alto », ben coglieva nel se-
gno colla prima parte della sua considerazione e seguendo i trattatisti con-
temporanei, l'avvocato delle ragioni d' Ancona, Antonio Baruti, nella causa
del 1694 contro Senigallia, al quale dobbiamo appunto la formulazione delle
cause da noi indicate sulla decadenza del commercio d' Ancona. « Per ri-
« durre alla pratica questo commercio — scrive il Baruti, in una sua ora-
zione, pure a stampa, conservataci nella stessa Fiera d'Ancona, v. 1°, e. 105-
08 — io non ritrovo appresso gli autori sopra citati che due strade:...
« l'introduttioni di corrispondenze procurate dal Principe a' sndditi o con
— 301 —
traffico nel suo porto, nel 1657 sollecita e ottiene da Alessan-
dro VII altro breve, col quale le è richiamata in vita una
veccliia fiera franca da celebrarsi dal 4 al 21 maggio (1). An-
cona ha gli accessi di terra difficili — quasi un secolo e mezzo
dopo. Pio VI farà aprire la via lungo la marina ad occidente —
e le vie interne tutt' altro che comode a « condotte », trasporti
di merci. Ma presenta su Senigallia 1' inestimabile superio-
rità del porto accessibile a ogni grosso vascello (2) ; ha, sia
pure in numero ridotto, case di commercio ; ha tutta una tra
dizione commerciale. Se a questi inestimabili vantaggi aggiun-
ge anche l'altro della fiera franca (3), di maggio, in stagione
cioè favorevole alla navigazione, e proprio alla vigilia della
fiera della Maddalena, la fiera della Maddalena sarà in breve
spiantata e colla fiera sarà di nuovo « esterminata » la « j)o-
vera e malcondotta città di Senigaglia ».
Non è quindi meraviglia che Senigallia si commuova e sol-
lecitamente, tenacemente, astiosamente la combatta. Primo ef-
« leghe fatte co' potentati stranieri (trattati di coniinercio')... come faano
« specialmente li re di Francia, di Portogallo e la... repubblica d'Olanda...;
« ma questo modo è quasi impraticabile dalla s. sede, perchè manca di na-
« vigli e di sudditi atti alla navigatione,... perchè non può far leghe né
« bavere corrispondenze con principi diversi dalla sua religione né ha forze
« sufficienti a potersi aprire la strada per mezzo delle conquiste in quei
« paesi di dove sogliono asportarsi quelle merci che rendono più dovizioso
« il commercio (colonizzazione). L' altra strada... ai è d' allettare li stra-
« nieri per mezzo di privilegi ed esentioni o in tutto l'anno o in qualche
« tempo di esso, a confluire ne' suoi porti... ».
(1) Le era stata concessa da Sisto IV con breve 14 febbr. 1473 ; ])oi
smessa, stante « 1' ammirabile accrescimento del commercio »... normale,
s' intende. È la fiera di maggio o di S. Ciriaco, di cui lo Spadolini ha pub-
blicato gli Ordini in Le Marche, fase, 1. del 1906.
(2) Che fosse anche sicuro, difeso come era dal solo nmlo di levante,
i senigalliesi, non senza fondamento, negavano.
(3) La franchigia era estesa (juasi quanto quella di Senigallia: esenzione
totale dai dazi camerali o governativi, parziale da quelli comunali A diffe-
renza dalla nostra j)erò non vi godevan franchigia le merci di provenienza
« fuor del golfo », cioè di fuori Adriatico : Spadolini, Il comm., le arti
ecc., p. 25,
— 302 —
fetto della sua o])i)Osizione, cui dà mano anche Iesi (1), è che
nel breve 30 aprile 1H58^ confermativo del i)recedente, pur av-
vicinandone la celebrazione a quella della Maddalena col fls
sarla ai 25 maggio-2 giugno, Alessandro VII inserisce la clau-
sola restrittiva « ne, si nundinae huinsmodi . . . celebrentur,
« concursus personarum ad nundinas in aliis,,. Marchiae An-
« conitanae civitatibus celebrar! solitas, impediatur » (2).
La qua! clausola, va da se, apre la via a qualsiasi legale op-
posizione. Con Senigallia vi si gettano solleciti gli appaltatori
delle dogane d' Ancona, che dall' esenzione conseguente alla
franchigia riceverebbero danno considerevole e non contemplato
nel contratto d' ap]>alto ed e«*si arrestano di punto in bianco
la conseguita « grazia *. Subito, all' indomani della conferma
|)ontificia, un editto di mons. tesoriere sospejjde la celebrazione
della fiera... salvo a tollerarla per quel solo anno, e purché
sia senza pregiudizio dei doganieri, a fine di « non |)regiudi-
care i mercanti forse già avviati » e anche « i)er la riputazio
ne d' Ancona » (3).
La lotta così è appena ingaggiata. Nella primavera succes
si va, 16r)0, Ancona naturalmente insiste per la celebrazione
della fiera anche in queir anno. Non men naturalmente Seni-
gallia si oppone. Il governo, i)ressato dalla schiera dei perso
naggi, che ciascuna delle parti è riuscita a trarsi a rimorchio,
non sa che pesci pigliarsi e . . . scrive al legato d' Urbino e al
governatore d' Ancona « che procurino aggiustare fra lor si-
gnori (i senigalliesi) e i signori Anconetani tal negotio » (4).
L' aggiustamento non è preso sul serio, si capisce, da nessuna
delle due. E intanto Ancona riceve il secondo colpo di mazza
nell'aggiudicazione in appalto delle proprie dogane, non ostante
i suoi ricorsi (5).
(1) Consigli, v. 38, e. HI e 69.
(2) Fiera d' Ancona, v. 2°, e. 5-6, Ictt. Elisi, da Roma 4 maggio 16.Ó8.
(3) Fiera d' Anc, v. 1», e. 101, lett. d. tesoriere 1" maggio 1658, v. 2",
5 e 7.
(4) Fiera d' Anc, v. 2", e. 8, lett. Elisi 30 apr. 1659.
(ó) « Non essendo seguito fino bora 1' appalto delle Dogane... di Au-
- 303 —
La controversia è di iiuov^o richiamata a Roma. Senigallia
si arma di attestati di città e mercanti in suo favore e con
questi, con memoriali, con raccomandazioni, coli' invio di appo-
sito deputato, « persona bene informata ed erudita », torna
all' assalto e chiede e vuole, non i)iù la posticipazione della
fiera d' Ancona ad agosto — come ha avuto 1' infelice idea di
chiedere il suo sconfessato agente - ma addirittura la revoca
del breve 1658 o al i)iù al più la concessione della fiera ad
Ancona nei mesi di ottobre e novembre, disposta però a . . .
transigere per la seconda metà di settembre. Il risultato di
questo accanito battagliare non ci è esi)licitamente dichiara-
to (1). È ])erò un fatto che, dopo la prima e unica celebrazione
del 1659, Ancona non ottiene più di far la fiera di maggio si-
no al 1694. (Ji è viceversa lasciato riconlo di vari altri tenta-
tivi da essa fatti e <li altrettanti ricorsi presentati o sol pro-
gettati dalla rivale e, i)eggio, di una serie di piccoli dispetti
recii)roci, sfoghi di malanimo, che perpetuarono la più cordiale
antipatia tra le vicine rivali, « suddite fedelissime della santa
sede » (2j.
Si giunge così al 1694. Con breve del 1693 Innocenzo XII,
« ])er sollevare in qualche i)arte le miserie dell' oratorice, s' è
« coua per occasione <li ricorsi da detta città, che desiderava introdurre...
« certa fiera franca - ah 1' arte dell' indiano, ohe in fatto di governo crede-
« vamo specialità del tntto... odierna ! - con pregiuditio grande delle ren-
« dite di esse dogane » , il tesorier generale conceda detto appalto ai frat. Be-
nedetti per 9 anni, a cominciar dal 1662 e per la corrisposta di se. 9100,
non ostante privilegi e coTicessioni che la città goda : chirog. di Aless. VII,
31 die. 1659, copia in Fiera d' Anc, v. 1°, e. 51.
(1) Consigli, v. 39», e. 44, 50, 52, 62-67, 69, 71-75, 87, 90-92, 97-100 ;
Fiera d' Ancona, v. 2°, e. 16, 20, 23, 24, 26, 28, 29.
(2) Consigli, v. 42" e. 16t, 21, 81, 82, 84, 128, 1.36t, 157, 182; v. 46«,
e. I96t, 198-200 ; Fiera d' Ancona, v. 2", e. 30-33 e 35 ; Congr. di Sanità,
voi. B, e. 23 : « Si aggiunge che li sig. Anconitani in tempo della nostra
« tìera hanno sempre fatto niialche motivo... e (jucsto non per zelo della
« sanità, ma ])er interesse jìroprio, havendo molti di loro parte nei dazi e
« dogane e non vorrebbero che si trovasse altra scala che il loro porto ».
Congreg. 8 ag. 1667.
- 304 —
« dejjnato . . . di rinnovare » ad Ancona la fiera di maggio (20
maggio - 3 giugno), « nia con espressa dicliiaratione che non
« s' intenda concessa franchigia alcuna dai pesi dovuti alla R.
« Camera e suo doganiere » (1). Con franchigia cosi limitata,
non può la rinnovata fiera d' Ancona (;ompetere con quelhi di
Senigallia. Ma è il non compensabile vantaggio del porto, che
continua a essere 1' incubo di Senigallia (2). E appena ha essa
notizia nella primavera 1694 della nuova concessione, riprende
la lotta con accanimento rabbioso.
Riuscirebbe interessante seguire nei particolari lo svolgi-
mento della nuova fase, che meglio della prima ha aspetto e
consistenza di dibattimento, sede la congregazione camerale o di
finanza: dobbiam limitarci, i)er amor di brevità, a poche notizie.
Il leitmotiv delle memorie i)rodotte è, per ciascuna delle
due rivali, la i)ropria miseria e l'invidiabile prosperità dell'av-
versaria (3) ; variazioni indispensabili : sarcasmi, dileggi, insi-
(1) Fiera d' Ancona, v. 2", e. 49.
(2) « Quando si permettesse ad Ancona la fiera subito terminata quella
« di Senigallia o poco tempo dopo, s' originerebbe alla medesima... qnel-
« l'istesso pregiuditio, che havrebbe incontrato all'ora che gli si fosse conce-
« duto... in maggio... perchè... essendo il porto d' Ancona assai grande, i
« mercanti che sogliono condurre le loro merci con piccole barche a Senigal-
« liii, per risparmio noleggiarebbero una sola nave o vascello grande ». Na-
« tnralmente precedono e seguono numerosi altri perchè: Fiera d'Ancona,
V. 1», e. 75.
Identico concetto in altre due memorie, ivi, e. 109-13, 145-6.
(3) Così un curioso e interessante documento, messo insieme, ma non
comi»leto e non prodotto in causa da Senigallia - forse perch(^ ritenuto me-
schinamente pettegolo - ci permette di gettare uno sguardo, sia pur fuggevole,
sulla vita della povera gente d' Ancona alla fine dei XVII, quella i)overa
vita quotidiana, che gli storici aulici han sempre considerato così poco de-
gna della loro penna... liviana. « La snposta miseria della città d'Ancona, per
« la qual miseria s' implora la fiera... » h un' invenzione degli avversari,
afferma e vuol dimostrare con dati e cifre alla mano 1' estensore del curioso
scritto. Come collettività « non è aggravata più delle altre città dello stato
vecchio... In quanto alli particolari... » la nobiltà ha a sua disposizione
una lunga serie di cariche e uffici lautamente retribuiti; infine: « La ple-
« be si provede con le seusiirie e sono moltissimi, con i d.azi che pretendono
— 305 —
nuazioni e male parole, nell'uso sapiente delle quali, a onor del
vero, non è Senigallia che resta al di sotto. Per lei 1' intento
degli Anconitani è * la distruzione » da lungo tempo meditata
e con ogui mezzo perseguita della fiera della Maddalena (1),
quindi la sua propra rovina.
Non deve concedersi la fiera in maggio ad Ancona — sostiene
la difesa di Senigallia — :
1° Perchè in quel mese cominciano già a venire merci in
Senigallia, per la fiera di luglio, che resterebbe « minorata » ;
il minor contingente di merci, i)er la limitata concorrenza, rial-
« sopra il vino, pesce, risposta de Botegari, et alle porte della città per l'in-
« gresso della robba. Si provede eoa le portelle che sono in faccia del porto
« e sono molte, che servono per sbarcare la robba in diversi luoghi... Y' è
« la scuola dei Bombardieri, vi sono molti baloardi o piazze e queste si di-
« spensano a chi si porta bene nell' esame et ogni piazza frutta almeno sei
« scudi al mese, oltre li ministri del porto e le due fortezze, che hanno
« molti soldati, onde la Plebe può vivere comodamente », mentre Senigallia
non ha nulla di tutto questo, solo la fiera : Fiera d' Ancona^ v. 1", e. 150-54.
(1) « ... li signori Anconitani enioli antichi della fiera di Senigallia...
« non havendo mai in tempo alcuno con qualsisia... inventata voce ora di
« contaggio ora di corsari potuto divertire il corso di numeroso popolo...
e merci » : Fiera d' Ancona, v. 1", e. 1. Le voci purtroppo non erano
invenzioni degli emoli anconitani. Costoro piuttosto mettevano una certa pre-
mura, che non poteva garbare a Senigallia, nel diffonderle, quel certo... zelo,
che V antagonismo degli interessi favoriva cosi efficacemente. Avremo occa-
sione di occuparcene con certa larghezza, trattando della fiera nel sec. XVIII.
Intanto durante il XVII ben sei volte la fiera dovè essere proibita per mi-
sura sanitaria: nel 1630, 1656, 1657, 1673, 1682 e 1691; e più altre volte
doverono essere interdette dal commercio con Senigallia le regioni a oriente
dell' Adriatico, che erano tra le piìi attive clienti della fiera stessa : Congre-
gaz. di Sanità, v. A, e. 43, 73-76, 112t ; v. B, e. 16t e 43t ; Repertorio dei
Negotia sanitatis, voci « fiera », — « Dalmazia », — « contagio ». Né men
fondate erano disgraziatamente le voci di corsari, o dulciguotti o turchi, i
quali, per non uscir dal sec. XVII e limitarci soltanto a due delle numerose
tracci© conservateci di essi dall' arch. senigalliese, sulla fine del giugno del
1659 predarono due barche dal porto di Fermo e ai primi di settembre del
1660 due altre proprio « a vista » di Senigallia stessa: Lett. d'udienza, v. 7,
e. 207 e V. 8, e. 182 e seg.
20 — itti ( Hemorie d«ll8 R. Dtp. di Storia Patria p«f le larclM. 1912.
— 306 —
zerebbe i prezzi ; il rialzo dei prezzi allontanerebbe i compra-
tori.
2° Percliè questo annichilimento della fiera di Senigallia arre-
sterebbe il movimento del suo porto, quindi il gettito del dazio
dei colli, sull' unico fondamento del quale la città ha contratto
gli ingenti debiti che sappiamo, ormai ascendenti a scudi rom.
20.434 e garantiti <■' sopra li effetti » dei cittadini.
3° Perchè colla fiera, col porto, colla cittadinanza di Seni-
gallia, ne risentirebbe « danno notabilissimo » la reverenda ca-
mera, ossia il tesoro dello stato, che dalle merci entrate o estrat-
te in occasione della fiera, prima e dopo della franchigia, ritrae
« a migliaia » di scudi.
4° Perchè inoltre ne sarebbero danneggiate la legazione d'Ur-
bino, V Umbria, la Romagna, la Lombardia e la Toscana, che
alla fiera di Senigallia tributano il loro superfluo e si riforni-
scono del necessario.
5° Perchè il recente breve ottenuto dagli Anconitani all' in-
saputa delle città vicine e interessate, è « surrettizio », estorto
cioè con inesistenti ragioni e deve perciò essere revocato.
« Nel resto — conclude una memoria — non era luogo ad
una lite contenziosa, sapendosi... da tutti che questo (del con-
cedere e ottener fiere) non è ius, né vi è ragione per alcuno,
« ma tutto diijende dalla mera gratia e volontà del principe » (1).
A sua volta contesta, e fa del suo meglio per dimostrare, An-
cona che la concessale fiera di maggio non reca nessun danno
a quella di Senigallia:
1° Perchè questa è « del tutto franca » e consiste in sete,
(1) Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 89. Sul diritto di concedere mercati e fiere,
vedi HuvELiN, Le droit dee marchéa ecc., p. 186-88, dove può riscontrarsi
anche il lontano precedente di un asserito diritto di Ancona, di i)oter proi-
bire 1' apertura di porti fino a 60 miglia : Fiera d' Ancona, v. 2°, e. 52. Per
ciò che riguarda i punti dibattuti in questa interessante causa, naturalmente
noi riassumiamo e spigoliamo qua e là dalle numerose memorie e documenti
riuniti senz' ordine nei due volumi Fiera d' Ancona. Per le ragioni di Seni-
gallia, particolarmente : voi. 2o e. 1-2 e voi. 1", e. 1-4, 109-13 ; per le ra-
gioni d' Ancona : voi. 2», e. 42-59 e voi. 1", e. 78-80, 94-99, 105-08
— 307 —
lane, lini, telerie, salumi, legnami, maiolicbe, agli e cipolle, ani-
mali di ogni sorta, tutte merci e prociotti die non possono re
carsi alla fiera di maggio in Ancona per non esser pronti, «al-
l' ordine ». Le sete infatti — dicono gli avvocati d' Ancona, e
la parte avversa non dura fatica a confutare questa e le seguenti
argomentazioni — « non si cavano che nel mese di giugno » ;
le lane si tagliano nel mese di maggio; le telerie — in cui com-
prendono forse anche i lini — ^< si comperano alla fiera del
corpus domini da Bulzano » ; i salumi, « oltre il non goder
francliigia... in detta fiera d' Ancona », non sono ancora stagio-
nati per quel tempo, « facendosene la pesca nell' oscuri d'aprile
e maggio » ; i legnami si tagliano parimenti « alle lune d'aprile
e maggio » ; le maioliche « si fabricano in primavera nelli Ca-
stelli di Regno >? ; agli e cipolle si raccolgono per S. Giovanni ;
« animali d' ogni sorta... vengono dalla fiera di Foggia del
4 maggio •>.
2° Perchè tra la fiera d' Ancona e quella di Senigallia cor-
rono 40 giorni, più che sufficienti ai viaggi delle imbarcazioni
pel ricarico.
Oltre che per le dette ragioni, poi, deve essere mantenuta la
fiera di maggio concessa ad Ancona:
a) Perchè il breve 1693 è indipendente da quello del 1658.
b) Perchè la fiera d' Ancona vantaggerà anzi la fiera di Se-
■nigallia per le merci che in Ancona si saran « conservate » per
quella : in conseguenza di che, nessun danno alle province
dello stato.
e) Perchè la camera apostolica maggior utile ritrarrà dal
« ravviare il commercio in Ancona *, piuttosto che « finirlo
d' annichilare per dare maggior utile agi' avversari ».
d) Perchè Ancona, « tanto superiore e più popolosa di Se-
nigallia », e tanto i)iù di questa gravata, ha non meno o forse
ha più diritto di Senigallia alla doverosa benevolenza della santa
sede.
« Onde (concorrendovi 1' utile del principe, il benefitio dello
« stato e l'ingrandimento delle città e sudditi, che sonogPog-
« getti primarii del governo non sa vedersi per qual cagione
— 308 —
« debba... la povera città d' Ancona..., per pura emulazione... di
« Sinigaglia, esser priva » di ciò di cui gode ogni altra « città,
« terra o castello per piccolo che sia ».
Intorno a questi punti fondamentali la battaglia... a memo-
riali di fatto e memoriali di diritto, repliche e controrepliche,
si svolge intensa dai primi di maggio al novembre 1694. Va
da se che, fuori della sede uf6ciale della contesa, agenti, amici,
protettori delle due parti e delle alleate delle due parti, secon-
dano i combattenti e lottano d' influenza con chi e per quanto
possono. Finalmente... illuminata, .la congregazione camerale il
26 novembre opina che ad Ancona non si può negare la fiera;
ma che le parti... * s' accordino circa il tempo ! (1) ».
Con questo sicut erat si va ancora innanzi per dell' altro
tempo. Manco a dirlo, le nuove pratiche d' accordo — se an-
che son tentate, e non ci risulta — finiscono come il prover-
biale buco nell' acqua. Nel gennaio 1695 la cosa torna ancora
all' emerita congregazione camerale. Da una parte e dall' altra
si fa 1' estrema possa. Per Senigallia aiutano lesi^ Fermo, As-
sisi, e, potenti e instancabili, il card. Albani ])rotettore e il
card. Astalli legato; per Ancona, il card. Casanatta. Finche, in
data 23 marzo 1695, esce in forma di breve il supremo oracolo
papale : Ancona celebri la sua fiera dal 1° al 15 ottobre di ogni
anno ! (2)
*
* *
Se ora, tra tali e tanti contrasti, la fiera di Senigallia si
mantiene non solo, ma si Consolida e sale a sempre maggiore
importanza, forza è bene che rispondesse e largamente provve-
(1) Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 133. *
(2) Fiera d'Ancona, v. 1", e. 21. Procuratore di Senigallia in questa
causa fu il concittadino nob. Alberico Arsilli, le cui lettere, contenute quasi
tutte nel 1^ voi., ivi, sono di un brio e di una tale garbata vivacità che,
a nostro parere, oltre che per la materia, meriterebbero di essere fatte co-
noscere.
— 309 —
desse a bisogni realmente sentiti. Ma, come è facile pensare e
s' è già accennato, alla sua fortuna non fu estranea neanche
1' opera di uomini. Dei quali, per 1' azione che si trovò a svol-
gere, merita cenno il legato della provincia.
Il legato pontificio nel governo dell' ex ducato di Urbino ci
si presenta quale erede diretto degli estinti duchi. Il ducato
stesso, del resto, è tornato ])rovincia o legazione ecclesiastica,
conservando nel complesso i rapporti, che avevano regolato la
sua dipendenza o vassallaggio dalla santa sede. Riservata quindi
la sovranità al pontefice — sovranità che si concretava nell'eser-
cizio del diritto di guerra e di imporre tributi — 1' autorità e
competenza del legato, specialmente durante il secolo XVII, non
hanno limiti (1).
Ora, nei riguardi della fiera, i legati d' Urbino fanno della
loro autorità un uso che non potrebbe desiderarsi migliore. Essa
s' è venuta a trovare sotto la loro giurisdizione, non in virtìi
della loro larga competenza ; ma per effetto della famosa sop-
pressione del capitano di fiera, le cui attribuzioni civili, si ri-
corderà, erano passate al luogotenente, rappresentante nella città
dell' autorità governativa, quindi in definitiva al governo, dei
duchi prima, del legato dopo il 1631. E poiché, anche, il legato
in quest' opera sua si dà premura di seguire i suggerimenti
dei i)iù direttamente interessati alla fortuna dell' istituzione e
conoscitori dei suoi bisogni, i cittadini, può dirsi infine che colla
dominazione ecclesiastica il governo della fiera sia tornato alla
(l) Sin verso al 1680 egli ha anche competenza — come rileviamo eoa
tutta sicurezza dai nostri documenti — nella gelosa materia sanitaria, come
se anche sotto il riguardo della pubblica salute la legazione non avesse
comunanza di interessi col resto dello stato. Per la prima volta appunto
nel 1680 troviamo che « N. S. vuole che tutti gli affari di peste si regolino
dalla sacra consulta »: lett. d. card. leg. Barberini al luogot. di Senig.,
Roma 5 giugno 1680, Lettere d'udienza, v. 25, e. 78. Tanta autorità andrà
invece restringeiKlosi nel XVIII, durante il quale vedremo il legato, ogni
volta si ricorra a lui per materie che non sono di ordinaria amministrazione
muoversi impacciato, circospetto, e riferirsi, si può dire, invariabilmente
a Koma.
— 310 —
città, con questo vantaggio di più : che 1' autorità pernianente
e illimitata del legato si presenta agli occhi di cittadini e fora-
stieri ben altrimenti superiore a quella dell'antico capitano.
Eestando il luogotenente « giudice privatamente ad ogui al-
tro » — per tutte le cause attinenti alla fiera, come si sa —
dalle sue sentenze, pur senza pregiudizio e ritardo nella esecu-
zione, si ammette il giudizio in appello al legato (1). Al legato
spetta concedere la « licenza * di far la fiera (2) ; a lui dar
disposizioni di polizia ; a lui provvedere in materia di sanità.
E il legato sempre, quasi senza eccezione, si mostra animato
dalla pili schietta e operosa simpatia per la fiera, conscio del-
l' importanza che ha per la città e per la provincia, e alla sua
difesa e al suo incremento spiega la più attiva sollecitudine,
anche quando gli interessi di essa possano sembrare in conflitto
coli' interesse più generale dello stato.
Si tratti di impedire abusi, rimuovere pericoli^ combattere
concorrenti, strappar qualche concessione a Roma, il legato lo
troviamo invariabilmente pronto a intervenire, secondare, talora
anche promuovere e indirizzare 1' opera della città, spendere le
sue aderenze e la sua influenza presso i colleghi della corte ro-
mana. In presenza a tanto zelo — di cui gli alcuni donativi,
che troviamo ricordati qua e là (3), possono spiegare l'origine,
ma non la vivacità — verrebbe fatto di dire che lo movesse un
interesse più tangibile del semplice lustro, che ne veniva alla
sua provincia.
(1) Memorie diverse, r. 5", N. 141.
(2) Licenze di fiera, conservateci in Lettere d' udienza ne abbiamo per
gli anni 1683-35, 1639, 1642, 1641-46, 1650-51, 1654-55, 1658-66, 1676-79,
1683-86, 1692-93. Dal reportorio dei Bollettari e dalla Miscellanea v. C, N. 22,
poi rileviamo che la fiera fu celebrata anche iu anni dei quali non e' è per-
venuta licenza, e cioè: 1637-38, 1652-53, 1667-75, 1680-81, 1688-90, 1694-1700.
(3) « Son stato dal E.mo Sig. Cardinale Legato fCostagnti) mio Si-
« gnore e gì' ho apresentato li 12 piatti d'argiento in nome publico. S. E.
« gl'ha graditi straordinariamente e me ha detto che di tal amorevolezza
« ne terrà memoria perpetua »: G. Capocaccia ai Regol, di Senig., Roma 10
die. 1647, in Amlasc, Avvoc. e Procur. v. 1", e. 54. Analoghi presenti tro-
veremo nel successivo secolo.
— 311 —
Beli' attività legislativa del legato in relazione alla fiera,
numerosissimi sono i documenti pervenutici, dalle già ricordate
licenze agli ukase contro i violatori della franchigia. Noi natu-
ralmente non e' illudiamo sulP efficacia repressiva di questi ul-
timi, alcuni dei quali irresistibilmente ci richiamano i termini e
le minacce delle « gride >^ di manzoniana memoria ; ma ciò non
attesta meno della buona volontà e della sollecitudine del legato.
Così, abbiamo già visto, nel 1652 il legato card. Vidman,
sotto minaccia di rappresentarlo a Koma », inibisce al castel-
lano di « compiere estorsioni ai mercanti e negotianti che ven-
gono in fiera ». Così pure nel 1663 il legato card. Bichi ordina
che i litiganti non siano gravati, oltre quanto è stabilito per
legge, nel pagamento dei cai)isoldi e nel salario dei procuratori
e che i grascieri non alterino il prezzo dei vini e dei comesti-
bili (1). Analogamente il legato card. Altieri nel 1674, confer-
mando le disposizioni precedenti, vuole non si alterino in danno
dei mercanti i noli delle case e delle botteghe (2) ; mentre nel
1689 il Pallavicini richiama il castellano all' osservanza del com-
promesso 1667 (3) e, sotto pena di cinque anni di galera, ordina
e comanda ai birri del bargello che « non ardiscano maltrattare...
« mercanti né con fatti né con parole, per obbligarli a dar
« mancia o [darla] maggiore di quella che vogliono dare... E
« molto meno ardiscano o presumano d' andar cercando dette
« mance in più corpi o squadriglie, moltiplicando in tal forma
<' gli aggravi, quando avrebbero da andare in un sol corpo e
« li soli deputati del bargello » (4).
Piti interessante finahnente pel fenomeno che ci denuncia,
è il seguente editto del vice-legato Mazza pel legato card. Ru-
bini :
« Luogotenente, sentendo noi con dispiacere che nel presente
« tempo di fiera si commettino in questa città continui mono-
(1) Leti, d'udienza, v. 11, e. 125.
(2) Lett. d'udienza, v. :J8, e. 121.
(3) Regalie, v. 3°, e. 235t.
(4) Lett. d'udienza, v. 31, e. 47.
— 3l2 —
« polii col comprarsi dagP habitanti in essa capi di mercantie
« intieramente per rivendersi poi a prezzo rigoroso, a proprio
« capriccio, in pregiuditio di quelli si portano qua per fare le
« provisioni^ né volendo noi tollerare un simile abuso, voi ])er
« publico bando, in nome nostro, proibirete li sudetti monopolii,
« sotto pena della perdita di tutto il capo di robba, cbe si
^< comprerà per rivendere nella medesima fiera, d' applicarsene
« il ritratto conforme da noi e nostri successori vera ordinato
« ed anco d' altre pene corporali da estendersi sino alla galera
« a nostro arbitrio et attenderete all' osservanza col darne av-
« viso. Senogallia 16 luglio 1692 » (1).
Ciò che balza evidente da tutti questi decreti è la preoc-
cupazione di mantenere alla franchigia reale tutta la sua effi-
cienza possibile e compatibile cogli aggravi legali, a fine di non
disgustare i mercanti ne deludere i compratori. Dietro il legato
qui non è difficile intravedere 1' autorità locale, che denuncia
abusi e invoca rimedii.
Ma anche contro il momentaneo interesse della comunità, il
legato sa difendere l' interesse permanente, che è la vitalità
della fiera. Coli' accortezza del gran commerciante moderno, clic
sa di trovare nelle maniere cortesi un coefficiente al buon sue
cesso della sua azienda, il legato card. Spada nel 1688 disap-
prova che i noli delle botteghe comunali si possano esigere
manu regia (2).
Più numerose sono naturalmente le disposizioni di polizia
spicciola, molte rinnovate a intervalli di pochi anni. Non pos-
sono essere introdotte in città armi da fuoco (3) ; non possono
gli ebrei andar senza segno (4) ; proibito per le vie della fiera
il transito dei veicoli (5). A proposito del qual divieto, poiché
nella fiera del 1672 il march. Baviera ha « avuto 1' ardire di
(1) Leti, d'udienza, v. 34, e. 133.
(2) Leti, d'udienza, v. 29, e. 188.
(3) Leti, d'udienza, v. 9°, e. 145-6,203; v. 10, e. 47 ecc.
(4) Leti, d'udienza, v. 10, e. 125.
(5) Leu. d'udienza, v. 17, e. 160; t. 92, e. 153.
— 313 —
« contravvenire al divieto di tragitto delle carrozze in tempo
« di fiera », senza riguardo ai magnanimi lombi il legato Cerri,
il 25 luglio, fulmina 1' ordine di intentargli processo, carcerarne
il cocchiere e dargli — al cocchiere, s' intende ! — tre tratti
di corda in pubblico. Ma poi — segno del tempo e del regime
« paterno » ! -- l'ordine fiero, « per degni rispetti », il primo
agosto vien revocato, il processo e le molestie al sullodato mar-
chese sospesi e i tre tratti di corda — se pur non è troppo
tardi ! — al povero diavolo di cocchiere risparmiati (1).
Più notevoli invece le decisioni pronunciate in merito a con-
troversie : notevoli, non per lampi di sapienza giuridica, ma per
un fondo di buon senso, per certa sapienza salomonica, che non
manca di pregio e da cui la moderna giustizia curialesca ci ha quasi
affatto disabituati, A edificazione nostra riferiamone qualcuna.
« I deputati alla sanità e il cancelliere — suona una delle prime
in cui ci imbattiamo : 7 agosto 1639, legato il cardinal Barbe-
rini — depositino tutto ciò che han fatto indebitamente pagare
ai mercanti nella prossima passata fiera pei posti del legname
fuori della porta Marina » (2). E il 18 luglio 1656 il legato
card. Homodei sentenzia : « Non è ragionevole che le mercan-
zie venute in tempo di francliigia sotto la buona fede che do-
vesse farsi la fiera — che quel!' anno è stata proibita per ra-
gioni sanitarie — paghino dazio o gabelle » (3). E infine il
20 agosto 1673, che del pari per misura igienica la fiera non
è stata concessa, il legato Altieri : « Gaspare Picchietti e com-
pagni, che han dato legnami e opera nel far le botteghe, siano
<
pagati per una metà dalla comunità e per 1' altra dai ministri
comunitativi, avendo questi mancato nel chiedere un mese avanti
la licenza solita di poter fare la fiera ». (4)
(1) Leu. d'udienza, v. 17, e. 166 e 174.
(2) Lett. d'udienza, v. 2° e. 224.
(3) Lett. d'udienza, v. 6« e. 227.
(4) Lett. d'udienza, v. 17, e. 186.
Capitolo IV
Il secolo XVII
Movimento delle merci iti generale durante il secolo XVII — Rassegna alfa-
betica delle merci.
Anche per questo primo periodo della dominazione ecclesia-
stica, il fatto che coljnsce pure alla sem])lice lettura dei docu-
menti, è l'incessante progresso compiuto dalla fiera. L'abbiamo
lasciata al cadere della signoria roveresca, o piìi precisamente
alla fine del XVI — giacche del primo trentennio del XVII
secolo non ne sappiamo quasi nulla che interessava il du-
cato d' Urbino, lo stato pontificio, il ducato di Ferrara e la
terraferma di Venezia, Con molta y)robabilità sin da allora re
lazioni d'affari avevano con essa le regioni ad oriente dell' Adria-
rico (1). Ma è soltanto agli inizi della dominazione ecclesiastica,
che possiamo avvertire e documentare il suo carattere — non
ancora la sua entità - di mercato internazionale vero e proprio.
Nel l(J36 — la prima volta che ci è dato sorprenderla, per
così dire, in atto, sia pure entro un campo visuale limitatissimo
— ci dà l'impressione di un movimento di uomini e merci real-
mente notevole. Vi tributa già un suo prodotto, che sarà anno-
verato di lì a non molto tra le voci di primaria imi)ortanza,
l'opposta riva dell' Adriatico. Vi fa le sue prime prove l'ingor-
digia del castellano, che ha aumentato « con danno del Publico
e del privato » il numero delle sue botteghe e che, seguito dal
(1) Il regolameuto sanitario del 1577 prevede il caso di provenienze da
tutto il litorale orientale dell' Adriatico ; la Dalmazia è bandita dalla Sanità
di Senigallia nel 1520 e 1560 ; marinai dalmati vengono a caricar grani a
Senigallia sin dalla metà del sec. XV.
— 315 —
cancelliere, da un codazzo di facchini e da un sensale, s'aggira
tra la folla e i mucchi di merci, « su per questa fiera, e da
« questa parte ch'è sopra la fonte, sino al rastello della Marina,
« addoraandando denari a ciascuna barca o vascello, che ave
« vano i)ortato robba... e... posto in terra » (1).
L' affluenza va senza dubbio aumentando negli anni succes-
sivi. Ne è j)rova il fatto che, regolandosi nel 1645 V ufficio
della mediazione, accanto ai tre sensali cittadini incaricati di
agevolare i contratti tra l'anno, si ammettono all'esercizio della
senseria durante la franchigia sensali forastieri in numero in-
determinato (2). Lo confermano la circostanza che, nel 1652,
un altro castellano tenta, come abbiamo visto, di allargare la
sfera delle sue . . . appropriazioni e — indice sopra tutti elo-
quente — la prima grave limitazione che la comunità stessa,
già così gelosa della franchigia, s'induce a fare del bisecolare
privilegio.
Proprio nel 1652 infatti si comincia ad esigere in fiera il
ripristinato dazio dei colli dalle merci venute per via di mare.
Relativamente modesto il gettito nel primo anno, cioè nella
prima fiera, — i dati conservatici riguardano esclusivamente il
luglio, per gli anni dal 1652 al 1659 — sale iaimediataraente
a quasi il doppio nelle due fiere successive e lo sorpassa nel
terzo anno, tendendo, dopo la doppia sospensione della fiera
del 1656 57, a fissarsi in questa ultima misura (3). Ecco, a
maggior chiarimento, le cifre :
anno 1652 .... scudi in mon. d' Urb. 351:7 —
1653 .... 613:94—
1654 .... 646:9 : 2
1655 .... 715:92—
1656, fiera proibita 139:95 —
1657, fiera proibita 134:27 —
1658 .... 467:9 :3
1659 . . . . ■ 622:97—
(1) Regalie, v. 1», e. 42-43.
(2) Capitoli diversi, e. 27-29.
(3) Fiera d' Ancóna, r. 1° e. 47,
— 316 —
In esse è compreso anche il gettito del dazio dell'alboraggio:
mezzo i)aolo per imbarcazione. Ma, se consideriamo che il rap-
porto tra dazio dell' alboraggio (un grosso o mezzo i)aolo per
imbarcazione) e dazio dei colli (un grosso o mezzo paolo per
collo del peso di 250 libbre) è minimo; se teniamo presente
che le merci soggette al dazio dei colli sono quelle sole che
vengono per mare — e queste forse non costituiscono ancora
quantitativamente la ]>arte maggiore di tutto il contingente
mercantile (1) — non è arrischiato dedurre che già da questi
anni il movimento generale delle merci sia rispettabile. Come
altrimenti avrebbe potuto la comunità contare sui redditi del
dazio dei colli, il cui gettito piti copioso era dato appunto dalla
fieia, per l'estinzione dell'ingente prestito contratto pei lavori
portuari ?
Né il moto si arresta. Quando, per la prima volta, nel 1658
si manifesta la rivalità commerciale di Ancona, Senigallia i)uò
affermare che alla sua fiera ormai « da varie parti del mondo
« concorrono merci, e particolarmente da' paesi dell' Imperio,
« delF Abruzzo, del Veneto, della Dalmatia, RagUvsi, e di tanti
« altri anco più lontani luoghi di Levante » (2). È dunque or-
mai un emporio vero e proprio di tutto il bacino adriatico.
E, se possiamo e dobbiamo credere alla dichiarazione non
disinteressata di due senigalliesi, 1' attività commerciale sulle
rive del Misa s' inizia dentro giugno, senza aspettare neanche
la franchigia : « cominciano a comparire nel porto legnami, sa-
« lumi, maioliche, ferrareccie et altro, così dallo stato eccle-
« siastico come da paesi lontani e stranieri, dentro giugno,
« non curando di aspettare la franchigia . . . , sottoponendosi i
« conduttori delle medesime al ])agamento di dazi camerali
(1) Nel 1694 il doganiere di Senigallia denuncia come venuti in meno in
confronto della fiera precedente, a causa della celebrata fiera d' Ancona, 493
colli per la via del mare e « molte centinaia per la via di terra » : Fiera
d' Ancona, v. 1", e. 10.
(2) Fiera d' Ancona, v. 2°, e. 12-13. Lo stesso affermano anche mercanti
di Pesaro, ivi, v. 1°, e. 49.
— 317 —
« e dogane, per poter più comodamente cominciare a negotiare.
« Anzi, poste in terra le prime, ben spesso si rimandano bar-
« che a far altre levate di robbe » (1).
Ammessa pure una qualche esagerazione in tale testimo-
nianza, quel che però è certo, per attestazioni di fonte non
sospetta, è che a questo momento la fiera adempie effettiva-
mente alla sua duplice funzione di smaltimento e di riforni-
mento, consente uno scambio dei più larghi, sul quale produt
tori e consumatori, fabbricanti e acquirenti fanno assegno e a
norma del quale regolano i loro interessi. È tutto il bacino
dell' Adriatico che vi tributa; è in generale tutto lo stesso ba-
cino, ma in particolare le provincie adriatiche dello stato pon-
tificio e persino la Lombardia, che vi si riforniscono. Le merci
recatevi da mercanti forastieri — così in una loro dichiarazio-
ne collettiva i mercanti di Pesaro — si distribuiscono « per le
« Provincie della Marca, Urbino, Eomagna e Lombardia; mer-
« cantie nostrane invece da barche straniere e mercanti stra-
« nieri si trasportano altrove (2) ». La vita domestica, ricca o
povera che sia, 1' artigianato, le piccole industrie e il piccolo
commercio vi cercano e vi trovano il necessario alimento; ogni
anche modesta attività produttrice della regione vi trova facile,
vantaggioso e sicuro esito alla sua produzione. La sua cele-
brazione infine è talmente entrata nelle consuetudini delle po-
polazioni interessate, che al cadere di essa si suole fissare la
scadenza dei pagamenti (3).
Nel resto del secolo, la zona che tributa alla fiera non si
estende oltre, ma s'intensifica il movimento, si accentua la
duplice funzione dello smaltimento e del rifornimento pei ccn-
(1) Fiera d' Ancona, v. 1", e. 48.
(2) Fiera d'Ancona, v. l*', e. 49. Analogamente la comuuità di Cagli al
card. Chigi suo protettore, 17 genu. 1660: «.... i mcrcauti e particolari di
« questa patria si provedono (alla fiera della Maddalena) di tutto ciò che gli
« occorre per il bisogno dell' anno ». E al card, legato, stessa data : «... que-
« sti mercanti e cittadini ne ricevono non ordinario benefitio, col vendere,
« comprare e prò vedersi ivi per tutto 1' anno » : ivi, e. 23 e 26.
(3) Fiera d' Ancona, y. 1°, e. 49.
— 318 —
tri vicini (1), si fa più fitta e piìi vasta la rete degli interessi che
ne irradiano, e di cui abbiamo visco il primo esempio nell'istitu-
zione del dazio dei colli. È di nuovo questo dazio, che, in man-
canza di notizie specifiche, ci permette di seguire, sia pure da
lontano, il movimento. Disgraziatamente dei non i)ochi libri,
che si riferivano alla sua gestione, non ce ne resta che uno,
il quale pel momento non ci serve. Essendosene però dal 1667
appaltata 1' esazione, insieme con quella dell' alboraggio e della
pietra cotta — un povero mezzo paolo, quest' ultimo pure, per
ogni migliaio di mattoni da estrarsi dalla città e territorio —
ci sono state conservate le cifre delle corrisposte annue d' ap-
palto. Le quali pertanto, così come sono, per una jiarte ci di-
cono dì più, per un' altra assai meno di quel che possa essere
effettivamente stato il gettito del dazio dei colli. Ma, quando
sappiamo che — a confessione di un appaltatore nel 1694 —
durante il solo mese della fiera esso dava un provento pari a
circa due terzi della corrisposta totale annua dovuta alla comu-
nità (2), dette cifre acquistano un valore indiziario grandissimo.
Appaltati dunque i detti dazi, la prima volta nel 1667 per
scudi 1501 di moneta d' Urbino, 1' anno seguente la corrispo-
sta sale subito a 1610 e nel 1670, a 1625 scudi. Oscilla da un
minimo 1650 a un massimo 2025, con tendenza a fissarsi so-
pra i l-'^OO, nel decennio 1671 80; da un minimo di scudi 1808
(1) Funzione, la cui anche moinentauea interruzione iafluiva sul valore
dalle cose. « .... Quando si è impedita codesta fiera - cosi la comunità di Iesi
« a quella di Senigallia, 1 giugno 1694 - per sospetto di contaggio, habbiamo
« provato estrema penuria di legnami da edificio, di droghe et d' altri capi
« lombardi e venetiani con estrema alteratione de' prezzi, e sono rimaste
« inesitate le nostre calzette di lana, formaggi, carni salate et altro, con cui
« si mantiene questa città e così anco tutta la Marca solita provedersi van-
« tagiosamente jìer tutto l'anno » : Fiera d' Ancona, v. 1», e. 17.
(2) Fiera cV Ancona, v. 1", e. 10.
— 319 —
a un massimo di 2210 nel decennio 1681 90; da scudi 2210 a
2337 nelF ultimo decennio del secolo (1).
Ma pili che queste cifre, le quali si riferiscono sempre alle
sole merci recate per mare, ci rivela che cosa fosse la Aera
sulla fine del XVII 1' accanimento, con cui Senigallia, abbiam
visto, conìbatte la seconda lotta commerciale con Ancona nel
1694-95. Nell'eventuale ripresa d'un traffico attivo in quel
porto Senigallia vede minacciata, non che la sua prosperità, la
sua stessa esistenza di centro civile.
« Povera e malcondotta », « miserissima », priva o, piìi
propriamente, scarsa di « arte o negotiatione da introdurre lucri
« ])er sostantamento de' poveri habitanti assai numerosi » (2),
tutta la cittadinanza ha nella fiera la maggior fonte di guada-
gno. Locazione di case, botteghe e magazzini; prestazioni di
opera in qualità di facchini^ sensali, commessi; jnccolo com-
mercio di seconda mano, talora incetta vera e propria, come
quella colpita con pene corporali « da estendersi sino alla
(1) Ecco le cifre, tratte da Congregaz. d. Porto, v. B, e. 24t-25, 71, 81,
92t; V. C, e. 5t e Incauti, v. 1«, e. 5, 13, 23 ecc. :
an. 1667.... scudi (nioii. d'Urb.) 1501 an. 1680.... scadi (nion. d'Urb.) 1760: 15
1668...
1669...
1670 ..
1671...
1672...
1673...
1674...
1675...
1676...
1677...
1678...
1679...
1610
1681....
»
1600
1682....
»
1625
1683....
r>
1650
1684....
»
1750
1685-87
»
1857
1688....
»
2003
1689-91
»
1794
1692-94
»
1841
1695-97
»
2025
1698-700
»
1821
1701-03
»
1851
?
1808
1861: 15
2000
?
2209
2210annni
2320 »
2331 »
2337 »
2507 »
(2) Poveri, sì, gli abitanti ; assai numerosi, veramente no. Uno stato
d' anime del 1684 dà per la città 4145 ab. (Memorie diverse, v. IX. e. 109).
Un Inventario de' pegni e robbe del s. Monte di Pietà del 1662, all' incontro,
dà come esistenti in quell' anno, tra depositi recenti e di vecchia data, N.
2486 pegni, per un ammontare di se. 3701: 71 in mou. d' Urb.
— 320 —
galera a nostro arbitrio >^ : sono questi i principali mezzi di
vita (li gran parte dei senigalliesi da questo tempo in poi.
S' immagini quindi lo sconcerto, il turbamento i)rofondo,
che nell' economia generale cittadina può recare 1' arresto o la
diminuzione di un tale movimento. Così, essendo stata proibita
la fiera per sospetto di contagio nel 1673, su iniziativa del
sollecito legato, deve intervenire l' opera del governo a miti-
garne la dolorosa ripercussione. E il governo concede la dila-
zione di un anno, così al pagamento dei debiti contratti dalla
povera gente, come al pagamento dei mandati della camera apo
stolica, e prolunga di dieci giorni la fiera dell'anno successivo (1).
A quanto salga 1' ammontare degli utili, che la fiera pro-
cura alla città, né ci si dice nò possiamo indovinarlo. ISTel quar-
to decennio del secolo successivo (1736) saran calcolati a venti
o trenta niila scudi romani « tra noli, j^rascie e dazi » (2). In-
sieme coi privati infatti -- e lo sappiamo già — è anche il
« Publico » che nella fiera ha il maggior cespite delle sue en-
trate. I proventi già visti del dazio dei colli applicato al porto
sulla fine del secolo superano di oltre il doppio quello che per
la comunità è il reddito maggiore, la colletta di terra o tassa
fondiaria. Né trascurabili, anche se modesti, sono nel modesto
bilancio annuo i fitti delle botteghe, che nello stesso torno di
tempo salgono a circa trecento scudi in moneta d' Urbino, sen-
za tener conto, che non è possibile, del maggior gettito dei
vari dazi di consumo determinato dall'affluenza di forastieri (3).
(1) Lett. d'udienza, v. 18", e. 6 e 33-34. li, sul!' esempio del governo, i
due monti frumeutari, il comunale e quello Barberini, prorogano essi pure
d'un anno la riscossione de' propri crediti ; Fiera d' Ancona, v. 1<^, e. 2.
(2) Libro di Fiera, v. 6", Meni, legale del Monti, e. 16.
(3) Di pochi anni conosciamo il reddito delle botteghe comunali :
an. 1652 se. (mou. Urb.) 15
1658.... »
1659.... »
1662.... »
1664.... »
1665-... »
1666... »
(Dai vari bilanci in Decreti v. B, e. 237t, 242t, 247t, ecc. e Fiera d'An-
1 15
1668...
... 60:
55
15
1669...
... 66
18 : 50
1693...
. 322
30
1694...
. 262
30
1695...
. 277:
7 : 3.
40
1697...
. 246 :
93: 3.
50
— 321 —
È dunque una vern rete d'interessi cbe s' è creata intorno
alla fiera. S' è creata e ne irradia, poiché, in misura natural-
mente senza confronto più limitata, ma non i)er questo trascu-
rabile, alla fiera risultano ormai interessate e le città vicine e
l'erario stesso dello stato, la camera apostolica. « A migliara »
di scudi sono indicati i proventi annui della dogana camerale
di Senigallia i)er merci die entrano in porto i)rima che cominci
la fianchigia o rimangono in città o ne sono estratte a franchi-
gia spirata (1). E Iesi esperimenta un maggior utile nella sua
gabella del passo per le merci « prò vedute [in fiera] per i bisogni
di tutta la Montagna e di tutta la Marca superiore e di qual-
che parte dell' Umbria » (2). Assisi vede avvantaggiata la sua
fiera del J'erdono per le merci riniaste invedute a Senigallia (3).
« La maggior parte di Ancona », della stessa Ancona che ne
insidia la vitalità, « vive quasi tutto l'anno » — con evidente
ma non infondata esagerazione si afterma nella contesa del
1694 — « per i lucri esatti in fiera di Senigaglia, cioè mer-
« canti cristiani, ebrei, artisti di tutte le sorti e poveri, che non
« havendo mestiere s' industriano con fare il sensale » (4).
Ultimo particolare infine, che riprova l'ormai più che con-
siderevole entità di questo movimento commerciale, è che ac-
canto alla vera e proi)ria fiera franca di tredici giorni, se n' è
venuta formando un'altra minore, non franca, una specie d'ap-
pendice, ad uso e consumo, pare, della sola città e suo territorio.
È la piccola vendita in legime doganale ordinario delle i)artite
non esitate nei giorni di franchigia, lo smercio delle rimanenze
Gona. V. 2°, e. 55). Ijcggére all' incontro lo spese i)er la lor CQstrnzione : nor-
malmente 8 in 10 scudi. Solo negli anni 1678-81 sono sensibilmente i»iii ele-
vate : rispettivamente, scudi 26, 41, 17, 17: Bollettari, voce « fiera ».
(1) Fiera cV Ancona, v. 1", e. 2. ^
(2) Fiera d'Ancona, v. 1°, e. 17.
(3) Fiera d' Ancona, v. 1", e. 148.
(4) Fiera d' Ancona, v. 1'*, e. 3. E dal registro Sensali rileviamo elfett,i-
vamente, però nella 2^ metà del XVIII, che di 174 sensali alla fiera del
1754, ben 52 sono anconitani ; e dei 139 del 1774, 44 sou parimenti d' An-
cona : di fronte, rispettivamente, a 35 e 29 di Senigallia.
21 — Itti e Henorie delia R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912.
— 322 —
« bazzarrate », specialiin^nte di laue, clie si prolunga per pa-
reccbi giorni nell'agosto (1).
*
* *
Disgiaziatamente — abbiaiìi già avvertito a suo luogo —
del mirabile incremento avuto dalla fiera nel corso del sec. XVII,
i documenti dell'archivio senigalliese, pur conservandocene viva
l'impressione, non ci forniscono dati sufficienti.
I prodotti più importanti sin dalla metà del secolo risultano:
legnami, salumi, maioliche, ferrarecce. Alla fine del secolo stesso
non solo principali, ma caratteristici, costitutivi addirittura della
fiera, sono indicati dalla difesa di Ancona : legnami, salumi,
maioliche, lane, lini, telerie e sete; prodotti, cioè, sia d'uso in-
dustriale, sia d'uso domestico, che la regione e lo stato gene-
ralmente non producevano. Accanto ad essi però ne troviamo
non pochi né in piccola quantità forniti dalla regione e dallo
stato, che sono evidentemente esportati.
Intorno agli uni e agli altri raccogliamo qui sotto tutte le
notizie, necessariamente lacunose e saltuarie, che, in seguito
alla dispersione di libri e registri relativi, l'archivio senigalliese
ci conserva tutt'ora (2). E' una breve, incomi)letà rassegna.
(1) E' uu' altra ragione della irreducibile opposizione di Senigallia alla
fiera d' Ancona : concedendosi ad Ancona la fiera in agosto, non resterebbe
più nessuno in questo mese a Senigallia, ove « ora restano con ba/zarri i
« mercanti, specialmente di lane, che non baniio potuto vendere, le loro
« merci durante la fiera » : Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 75 e 156.
(2) Fonti principali della nostra rassegna delle merci sono varie prote-
ste di mercanti contro le gravezze dei castellani, conservateci in Regalie, e
strumenti d' affitto delle botteghe comunali, contenuti in Strumenti. Tutti i
dati tratti da questi documenti li diamo fedelmente, in forma però di tabelle,
in appendice, N. 4, e 7, alle quali ci rimettiamo, quando non diamo altra
indicazione. Seguono per importanza una Nota di {)osti del castellano e un'al-
tra di barche dalmate, che integralmente diamo pure in append. N. 5 e 6.
Vengono iofiue cenui e notizie varie sparse qua e là, specie in Lett. d'ndienga
— 323 —
da cui naturalmente — è siipeiflno osservare — l'entità della
fiera non risnlta nò può risultare affatto. Pur non ne diminui-
sce, ci pare, l'interesse e diciam pure l'importanza, quando si
consideri cbe, non dati di « risulta », son questi che seguono,
bensì « indici », « assaggi » vorrem dire, di quel che effettiva-
mente fu durante il XVII secolo il movimento commerciale de-
terminato dalla fiera.
1. Acque di Nocera. — Non ce n' è attcstata la presenza in fiera,
se n<m da una disposizione legatizia del 1672. Su reclamo del Magi-
strato di Nocera contro le frodi « che si suppone coniettersi in cotesta
fiera nella vendita » al minato di esse, il legato ordina che « non pos-
si no vendersi... se non a fiasco hoUato, come si mandano di colà nelle
casse e comettendone il registro a' lihri soliti » (l).
2. A(jli e cipolle. — La difesa d' Ancona e quella di Senigallia nel-
la causa del 1694 se le palleggiano con un disprezzo immeritato
da queste povere liliacee piccanti, che la umana poesia d' un figlio
di Roma non aveva trovati) indegne di menzione. « Circa la mer-
« canzia d' agli e cepolle — protesta sarcastica la difesa di Senigal-
« lia . — ...sì come si raccolgono quasi tutte nel territorio d'Ancona,
« così possono gli uomini di quel contado ivi smaltirle con maggiore
« utile loro eh' in fiera di Senigaglia, ove... non si vende, ma si getta
« a vilissimo prezzo... » E quella d'Ancona di rimando: « E circa la
« mercanzia d' agli e cipolle, benché si ponga in disprezzo da signori
« avversari, nulladimeno è grandissimo 1' utile che ne ritraggono, con-
« finendo in (juella fiera dal territorio d' Ancona per le frandiigie che
e Congregazioni di Sanità, e di (pieste, couie di eventnali altre, indiehiaiiio
in nota la posizione.
Non e' ò bisogno di agginn:.jcro che questo materiale docnnicutario ci la-
scia assolntauiente allo scuro snlla gran massa di merci, le quali non soggiac-
quero alle carezze fiscali dei castellani uè trovaron posto in botteghe comu-
nali. Assai nien gravi son le lacune, diremo, ut^l tenq)o : in quanto che, se
è inqiossibile precisare 1' anno che un dato prodotto comincia a frequentare
la fiera, sorpresolo una volta, è quasi sicuro — meno possibili casi — che
da (piella volta in poi abbia continuato sempre a frequentarla.
(1) Letf. d' Udienza, v. 16, e. 124 e 131.
~ 324 —
« godono, essendo gravate in detta città d' Ancona d' un grosso da-
« tio... » (1)
E nessun altro accenno relativamente al XVII. Nel successivo tro-
viamo che sono esportate per maro (2), probabilmente in oriente, dove
le membrane esterne delle cipolle sono utilizzate per tingere la seta.
3. Bestiami. —■ Parimenti di « animali d' ogni sorta » nessuna in-
dicazione lungo il secolo, fuori che nella memoria d' Ancona del 1694,
elle con gli agli e le cipolle li annovera tra i prodotti costitutivi della fiera
e asserisce, senza che la parte avversaria ribatta, che « vengono dalla
fiera di Foggia del 4 maggio ». {3) Come nel secolo successivo, il mer-
cato dei bestiami doveva tenersi in determinati giorni entro il periodo
di franchigia. Né vi dovevan mancare i famosi cavalli schiavi, notis-
simi lungo tutto il nostro litorale adriatico, già ricordali nel regola-
mento sanitario del 1577 e nel sec. XVIII compresi tra >.< capi non su-
scettibili di peste » (4) ed effettivamente recati alla fiera dalla Dal-
mazia.
4. Calzature. — Ne troviamo soltanto nella seconda metà del XVII;
vengono da Ancona, come già nel secolo precedente e come nel suc-
cessivo ; han posto in botteghe erette in piazza. Dal 1672 al 1675
abbiamo contemporaneamente tre calzolai anconitani, uno dei quali,
G. B. Scipio, occupa due botteghe e paga il fitto più alto che troviam
registrato per botteghe comunali, due scudi per l'una e «juattro per
r altra.
5. Calzette di lana, — Appaiono industria caratteristica e princi-
pale di Iesi, che infatti nel 1694 lamenta, come abbiam visto : « quan-
« do si è impedita cotesta fiera..., sono l'iniaste inesitate le nostre
« calzette di lana, formaggi, carni salate et altro, con cui si mantiene
« questa città ». Cinque calzettai troviamo alle fiere del 1663-64; Bei,
a quelle del 1665-66 ; sette e otto rispettivamente a quelle del 1667
e 1668. Nel 1669-71 invece scendono a quattro; nel 1672 a due, nel
1673 risalgono a quattro e nel 1674 a cinque^ per calare ancora a
quattro nel 1675, a due nel 1676, a uno nel 1677-78.
(lì Fiera d' Ancona, v. 1", e. 1-4 e 94-99.
(2) Consigli, v. 62, e. 164,
(3) Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 49-52.
f4) Libro di Fiera, v. 1», e. 112.
- 325 —
Ma — e valga l'osservazione per tutti gli altri mercanti cl)e preii-
devan posto nelle botteghe coiiinnali (1) — la diminuzione rivelataci
dagli strumenti d' aftitto non sempre risponde a realtà. L' uno dei due,
che nel 1672 inizia l'affitto triennale della sua bottega, occupa il po-
sto « N. 10 tra i calzettari >> ; a un altro dei quattro, che nel 1673
inizia lo stesso affitto, è assegnato il posto •« N. 8 » parimenti « tra
i calzettari ». Gli è che, già scarsi nel 1674 i contratti d' affitto sti-
pulati tra comunità e mercanti di ogni categoria, dopo il 1675 non
ne troviamo più traccia.
La quantità delle singole partite di calzetti non doveva essere pic-
cola, se (jualche mercante occupava anche due botteglie. Dopo il 1678
non risultan più, dai nostri documenti, « calzetti di Iesi » né d'altro
centro : ne ritroveremo però nel secolo successivo. Quanto all'industria
lesina, sappiamo che sullo scorcio del XVII era profondamente deca-
duto e nel 1710 « quasi distrutta » (2). E già da allora concorrenti
di Tesi per le calzette di lana, nella nostra fiera, vedremo Amandola,
S. Severino, Fabriano.
6. Canapa e lini — Mentre i lini, ad esclusione della canapa, sono
annoverati nel 1694 tra le merci caratteristiche della fiera, i dati a
noi noti ci mostrano come invece la canapa fosse, almeno nella se-
conda metà del secolo, uno dei prodotti veramente primeggianti per
quantità e come solo in pochi casi andassero insieme con essa i lini.
La canapa — il prodotto da riconoscersi, secondo noi, senza esita-
zione, nella merce di « Bartolomeo fllaro » del 1597 - risulta per
la prima volta in fiera durante il XVII nel 1664. In quest' anno son
tre canapini — uno di Senigallia, uno di Cesena, il terzo di provenienza
non dichiarata, ma con tutta probabilità romagm)lo anche lui — che
hanno in fitto botteghe comunali. È la Romagna che nella sua (junsi
totalità e in quantità ingente invia alla fiera il prezioso arboscello pre-
parato per la filatura e anche già filato.
(1) Appendice N. 7.
(2) « La mancanza dell' arte della seta in questa città di Iesi è causa
« che tanti miserabili periscono di fame per non avere occasione di faticare,
« se non che attendere all'arte tanto civile delle calzette quasi distrutta... »:
18 luglio 1710. Debbo la notizia alla cortesia del prof. C. Annlbaldi, che
vivamente ringrazio.
Mcldola .
. . 1
Ri in ini
. . 4
Fano . .
. . 1
Senigallia
. . 2
?
. . 1
— 336 —
Nel 1665, compresi i tre detti, che come tutti hanno contratti
d' atiìtto dai tre ai sei anni, ne troviamo ben 29.
Rappresentiino otto e forse nove centii di Romagna e due della
regione. Sono cioè :
di Bndrio .... N. 9
Medicina ... » 3
Moli nella ...» 1
Cesena .... » 3
Mellolara ... » 1
Forlì » 3
La scliiera s'accresce di altri (iiiiittio — e precisamente: uno di
Cesena e tre di Rimini — nel 1668; raggiunge il massinio di 36 nel
1669; indi — secondo che appare dni contratti d'affitto che si cessa
di stipulare nel 1675 e l'ultimo dei quali scade colla fiera del 1681 —
scende come qui sotto :
fiera 1670, canajiini N. 21 fiera 1674, canapini N. 22
» 1671 » » 27 '■> 1675 » » 8
» 1672 » » 26 » 1676 » » 7
,> 1673 » » 27
Sui primi del sec. XVIII vedremo di nuovo la canapa in (luantità
ingenti.
Quanto ai lini ne troviamo alle fiere 1665-69 recati con canapa
contemporaneamente da ui\ meldolese e due forlivesi; alle fiere 1668-70
e 1673-75 da due veneziani pure contemporaneamente, ma non come
assortimento sussidiario della canapa.
Data così abbondante quantità, non è dubbie) che buona parte,
forse gran parte di canapa venisse esportata, precisamente là donde
venivano lane, salumi e legnami. Pure in quantità notevole doveva
restare nella regione a dar lavoro ai domestici telai sparsi per la cam-
pagna, a fornire ricchi e poveri corrodi alle spose laboriose.
7. Cappelli. — Non risulta che venissero da Urbino, come già nel
sec. XVI, a meno che si vogliano supporre nella merce non specificata
di un Pietro Papini urbinate, che dal 1672 al 1674 occupa il lavatore
— debitamente tenuto all'asciutto, s'intende, dal fontaniere, che abu-
sivamente nel 1640 ne intascava il nolo spettante al comune (1) — là
(1) Consigli, v, 29", e. 76.
— 327 —
presso appunto dove i suoi concittadini del precedente secolo solevano
esporre la stessa merce. Dal 1668 al 1670 ve li recava invece nu An-
drea Malatesta da Fano.
8. Carni salate. — Nel 1673 i « ministri camerali » intendono
colpire di una tassa le carni salate e precisamente le mortadelle —
non c'è bisogno d'aggiungere : di Bologna ! — da recarsi in fiera e
il legato card. Altieri sostiene e difende in Roma la « piena libertà »
della tìera stessa (1) : con che esito, non sappiamo. Sulla fine
del secolo, del pari che nel successivo, carni salate invia la regione
in genere ; Iesi le novera tra i pochi prodotti che vi spaccia.
9. Cera. — Uno stesso bando camerale colpisce nel 1664 la fab-
bricazione e l'introduzione del sapone — il quale poi è anche escluso
fino al 1673 dal beneficio delle franchigie di fiere — con un baiocco
la libbra, e la cera con due bai. la libbra (2). Non ci risulta però
che fosse essa pure esclusa dallo stesso beneficio. Non pochi accenni,
oltre 1' ovvia considerazione del consumo nelle funzioni di chiesa, ci
rivelano non solo lo smercio, ma la fabbricazione in Senigallia stessa
della cera. Alla fiera non ne abbiamo documentata la presenza che re-
lativamente al 1667, nel qual anno — e si tratta evidentemente di
cera vergine — vi è recata con vari altri prodotti dalmatini, per sole
30 libbre, da un parone di Cattare.
10. Cristalli. — La fonte donde attingiamo la notizia li denomina
invero più volgarmente « bicchieri » ; ma si tratta di un carico di
biccliieii che giungon per mare, il 12 luglio 1647, da Venezia (3) e
non riusciamo perciò a dissociarli dai prodotti delle fabbriche di Mu-
rano.
11. Droghe. — Non ne abbiam altra notizia se non che sono arti-
colo caratteristico del commercio veneziano e sono relativamente pre-
sto e largamente taglieggiate dai castellani. Alla tìera del 1666 infatti
un Iacopo Capitani di Venezia, con droghe, gravato insieme con altri
concittadini dal Fiuinaggioli, « protestava volerne esporre i ricorsi a
(1) Leti, d' Udienza, v. 17, e. 1.38.
(2) Bandi, e. 105.
(3) Congreg. di Sanità, v. A, e. 27.
— 328 -
<< quel Senato, acciò sieno fatti giiingeie all' oveccliio di nostro Si-
« gnore » (1).
12. Ferrarecce. — Oltre il ferro, sia in verghe che in lamiere, in
pezzi e in articoli d' nso, la «lenoniinazione comprende, come oggi, an-
che ottone, rame e piombo non lavorati. D' importanza primaria nei
bisogni della vita, non è dubbio che fosseio largamente rappresentate
in fiera. E nel 1659 di fatto sono annoverate tra le merci caratteri-
stiche di essa.
Dal regolamento sanitario del 1577 apprendiamo che venivano o
j)otevano venire da Chioggia: nel 1635 ne troviamo venuti, fuori di
fiera, da Trieste (2). Molto verisimilmente nell' uno e nell' altro caso
provenivano dalle vicine miniere di Stiria e di Carinzia. La loro espor-
tazione da Senigallia è gravata in tempo normah; del doppio in con-
fronto all'entrata dalla tariffa di dogana del 1663. E nel 1687 subi-
scono altra carezza dal fisco, che le colpisce, all' entrata, di un altro
quattrino per libbra, non comportabile franchigia di fiera (3). Nessuna
altra notizia specifica, nei nostri documenti.
13. Formaggi. — Rientrano nella categoria delle « grascie » in-
viate, almeno verso la fine del secolo, da tutta la regione in genere
e esplicitamente da Iesi. Nel 1650, insieme con doghe, reca formaggi
una barca da Fiume (4) ; in (piantità complessiva di 1200 libbre son
portati da paroni dalmatini nel 1667. Sui primi del XVIII (1713) vi
troveremo anche il sempre famoso parmigiano. Son soggetti alle regalie
del castellano.
14. Lane. — Poche notizie anche su di esse, che pur costituivano
sulla fine del secolo un prodotto primario della fiera. Le più dovevan
essere lane schiave e venivano dalla Dalmazia : complessivamente, nel
1667, tre paroni ne recarono, oltre a salumi e pellami, 7800 libbre e
2 sacchi, quantità che altro documento dello stesso anno asserisce
«poca» (5). Nel 1673 altre «barche di Ragusa e d'altre parti vicine
(1) Regalie, r. 3>^, e. 232t.
(2) Lett. d' Udienza, v. 2°, e. 85.
(3) Lett. d' Udienza, v. 29, e. 80.
(4) Congreg. di Sanità, v. A, e. 43.
(5) Congreg. di Sanità, v. B, e. 28.
— 329 —
ai luoglii sospetti di contagio » hanno parimenti « lane et altre merci » (1).
La più volte citata lettera d' Iesi del 1694 ci apprende die contributo
non disprezzabile dava in lane la Marca in genere: e queste, colle altre
clie seguono, si filavano e tessevano. E alla fieia non celebrata del
1606 sono effettivamente portate « cinque some », o carichi a mulo,
tra carta e lana dii alcuni di Visso (2), che certo anclie allora, come
nel sec. successivo (3), doveva avere il primat() nella qualità. Certo
ne inviava anche 1' Umbria, se nel 1652, il 6 agosto, a francliigia
bensì spirata, ma nei giorni che si tenevano i « bazarri >>, molte balle
a soma di mulo giungevauo da Foligno (4K La difesa di Ancona in-
fine, nello stosso 1694, ci informa ciie lane venivano in fiera anche
dal Tavidiere pugliese e dalle maremme romane, « di fiera di Foggia
e di Koma ». Così che quasi tutti i piincipali distretti d'allevamento
ovino vi troviamo rappresentati.
15. Legnami. — Ce n' è attestata la presenza per la prima volta
nel 1636. Ma è fuor di dubbio che, date le relazioni ben più antiche
di Venezia, d.ille cui terre e porti viene la maggior parte del prodotto,
con Senigallia e tenuto presente che legnami, grossi e sottili, son men-
zionati nel regolamento sanitario del 1577 e risultano gravati d' un
leggero dazio di vendita nel 1578, frequentassero la fiera sin dai pri-
mordi di essa. Nel detto 1636 vi son portati, naturalmente per mare,
da almeno ciiuiue mercanti : uno da Pesaro, due da Castello — certo
1' allora sobborgo e ora sestiere di Venezia, — due da Fiume. Da Fiu-
me una barca reca doglie insieme con formaggi nel 1650 (5).
Nel 1656 — fiera proibita — è respinta una barca, che con legna-
mi veniva da Moutefalcone (6) ; mentre ne è ammessa, ma assoggettata
a quarantena, un' altra che ne ha recati da Fiume (7).
In quantità b(Mi più lilevante li troviamo alla fiera del 1666, du-
rante la quale il castellano aggrava in lor danno le sue colazioni : un-
(1) Letf. (V Udienza, v. 17, e. 139.
(2) Congreg. di Saìiità, v. A. e. 69.
(3) De Cupis, Le vicende d. agricoli . e d. paMorizia nelV Agro Romano.
Roma, 1911, p. 362.
'4) Congreg. di Sanità, v. A, e. 51.
(5) Congreg, di Sanità, v. A, e. 43.
(6) Congreg. di Sanità, v. A, e. 79.
(7) Congreg. di Sanità, v. A, e. 87,
— 330 —
dici barelle, e forse anche quattordici, se la provenienza di altre tre,
con merce non indicata, consente di credere che ne fossero cariche esse
pure. Provengono tutte da porti veneti, e cioè : una da Polesella, una
da Venezia, tre da Castello, due da Burano, tre da Latisana, una da
luogo indeterminato del Friuli.
Un mercante veneziano con legnami appare alla fiera del 1690;
uno da Fiume e altro da Pesaro in quella del 1700 (1).
Prodotto primario in fiera sin dalla metà del XVII e indispensabile
ad una vita appena civile, è fin superfluo osservare che non vi nian-
cassaro mai, vi fossero anzi recati in quantità ingenti. « Legnami, sa-
lumi, sete, lane, maioliche » erano valutati in blocco a più centinara
de migliara de scudi » per fiera sulla fine del secolo. Da Senigallia si
diffondeva largamente per tutta la regione e per le vicine. « Ricono-
sciamo — così la comunità di Iesi il 1" giugno 1694 a quella di Seni-
gallia, a proposito della contrastata fiera di maggio d' Ancona — au-
« Cora il danno della provincia, eli' in cotesta loro insigne fiera si pro-
« vedeva comodamente e con vantaggio de' prezzi, di droghe, legnami.
« salumi et ogn' altra specie di robbe venetiane e lombarde, come fa-
« cevano 1' altre circonvicine provincie di Romagna e; del ducato d'Ur-
« bino.., e... (piando si è impedita cotesta fi<'ra p(!r sospetto di con-
« faggio, habbiamo ])rovato estrema penuria di h'guami da edifltio, di
« droghe et altri capi lombardi e venetiani con estrema alterazione de'
« prezzi... » (2).
Comprendiamo sotto la stessa denominazione di legnami due oggetti
d' uso, con essi fabbricati e che, specie il primo, vedremo andar con
essi nel secolo successivo. Sono mantelli e ruote, che negli anni intorno
al 1666 occupano in fiera aree del castellano. I primi son recati da
Fano.
16. Maioliche. — Sono un alti-o prodotto caratteristico ed essen-
ziale della fieni. Ve le abbiam viste già nel 1580 e nel 1597 ; ve le
ritroviamo nel 1636, 1652 e 1659, e non solo come tradizionalmente
frequentanti, ma occupanti anche una lor propria area, il « sito della
fonte ».
Notizie abbastanza ampie ne abbiamo relativamente al 1606. Cin-
que mercanti esplicitamente designati « vasari » protestano contro le
(1) Regalie, v. 3° e. 96.
(2) Fiera d' Ancona, v. 1°, e. 17.
— 331 -
note gravezze del castellano. Ma se 1' ordine con cui nel documento
seguono altri nomi e so[)ratntto la provenienza dichiarata in luogo
della merce possono essere indizi siiftlcienti, non meno di quindici fu-
rono in quest' anno tra mercanti e fabbricanti di ceramiche. E tra essi
è un vero pnncipe dell' arte, Nicola Cappelletti di Castelli (Teramo),
non sappiamo se capostipite, certo lontano ascendente di una gloriosa
dinastia di ceramisti, che in Castelli stesso ha rinnovato ai giorni no-
stri 1' onore della geniale industria. «
Castelli, in questo 1666, avrebbe dato il maggior contingente : sei
vasari, uno dei quali, G. C. Nicolini, paga per due posti ben 60 paoli,
che fanno dieci scudi in moneta d'Urbino; mentre il Cappelletti è il
primo ad esaurire il suo xfock, fino a poter subaffittare il suo posto
ad altro mercante, se non fosse 1' ingordigia e la prepotenza del ca-
stellano che glielo vieta. A Castelli — se il ninnerò di 15 mercanti da
noi congetturato risponde al vero — seguirebbe Urbania con cinque
vasari, due dei quali pagano 40 paoli 1' uno. Buona terza verrebbe
Serra (de' Conti) con tre. Di altro, esplicitamente qualificato, non e' è
indicata la provenienza.
Mercerie — Due soci imcdesi, Betti e Polucci, sono con mercerie
alle fiere 1665-73; im fanese a quelle 1660 69; un veneziano a quelle
1673-75. Probabilmente mereiaio era anche il « centuraro », che in-
torno al 1666 occupava per cinque poveri paoli un' area sotto la so-
lita porta vecchia.
Mobili — Si tratta in complesso di modesti arredi domestici, desi-
gnati (piali « hivori in noce e abete », o, più specificatamente, « cas-
se; di noce » e « casse dipinte ».
Le casse o arche di noce, dal coperchio e pareti esterne liscie o
anche intagliate, ma sempre rifinite da cornici e modanature, son fab-
bricate e recate in fiera da falegnami, « niarangonì », delle vicine Fa-
no e Pesaro. Sei falegnami di Pesaro con « lavori in noce » appaiono
alla fiera del 1663-64; nove di Pesaro e dieci di Fano a quelle del
1665-68. Tutti han contratti d' affitto col comune per cinque o sei
anni. E spirati i primi contratti, troviamo altri dodici marangoni nel
1669; due nel 1670, uia uno di essi occupa <f il sesto posto tra gli
artefici di Fano » sino alla fiera successiva; cinque nel 1673-74; tre
nel 1675 , due nel 1676-77. Sul significato dei quali dati abbiamo già
avuto occasione di far le dovute avvertenze.
— 33^ -
Anclje le casse di noce dovevauo essere in buona misura esportate.
Sono precisamente mercanti di Pesaro, clie nel 1659 dicliiarano:
« mercantie nostrane,., da barche straniere e mercanti stranieri si
trasportano altrove ».
Di più lontano venivano i fabbricanti delle più povere casse d'abete di-
pinte. Costitnivan queste, sino a non molti anni fa, l'indispensabile compi-
mento del corredo di ragazze povere. Di dimensioni più modeste delle
casse di noce, avevano coperchio e parete anteriore ornati di figure e
fregi inverisimili, a colori prevalentemente giallo e verde, su fondo
rosso mattone : una vera... ira di dio estetica ! Gli artieri ne ve-
nivano da Murano e da Venezia. Uno di Murano risulta in fiera dal
1664 al 1669; tre di Venezia, rispettivamente dal 1666 al 1669, dal
1666 al 1675 — un atlitto di ben 10 anni! ~, dal 1672 ni 1676.
Senza dubbio son questi i continuatori di quei « cassellari » che
abbiamo trovati alle due fiere del sec. XVI, dei quali non e' è indi-
cata la provenienza: mentre continuatori di questi veneti sono nel
mestiere, almeno sulla fine del secolo XVIII, artigiani di Senigallia^
Vale la pena, per qualche cosa di più che per jjura curiosità erudita,
riferire la notizia così come ce 1' offre una memoria manoscritta del
1784 sulla fiera:
« Da tempo immemorabile portavano in Senigaglia diversi mercanti
« veneziani due o tre mila casse dipinte, che si comprano dai mer-
« canti per riporci le merci, e poi le vendono ai loro paesi senza di-
« scapito. Provaiono li falegnami di Senigaglia di farne qualche quan-
« tità, ma non essendo eguali in bontà ed in appparenza a quelle di
« Venezia, doverno venderle a molto minor prezzo. Perfezionatasi que-
« sta manifattura, in pochi anni li Veneziani sono stati costretti a
« tiiilasciare di portar più casse ed i soli falegnami di Senigaglia sup-
« pliscono con sommo loro vantaggio a tutto il bisogno della fieia » (1).
Mobile di lusso dovevano essere le « lettiere dipinte e dorate »,
senza dubbio di legno, verniciate a smalto, filettate d' oro e forse or-
nate anche di fregi o scene dipinte^ che troviamo recate alle fiere
1665 70 da un Paolo Fantinelli di Venezia.
Oggetti (V oreficeria. — Non e' è mai detto, lungo il secolo, donde
fossero recati : nel successivo XVIII verran da S. Angelo in Vado. Sin
(1) Libro di Fiera, v. 5, e. 180t : meni. nis. « Dell' utile della fiera di
Senig. » .
- 333 —
oltre la metà del XVII non ci risulta neanclie la loro presenza in fiera,
clie tuttavia non può escludersi, dato il carattere della fiera stessa, di
grande emporio, cioè, pel rifornimento così domestico come commer-
ciale e industriale.
Nel 1670 abbiamo che il console degli orefici pretende dagli orefici
che vengono in fiera quattio paoli per ciascuno (1). Nel 1679-81 tro-
viamo costruite per gli orefici botteghe apposite, in piazza, le quali,
dovendo rispondere a condizioni di maggior sicurezza, venivano a co-
stare sensibilmente di più di <]nelle comuni. E il numero non è pic-
colo : 16 botteghe nel 1680, 18 nel 1681 (2). La quantità degli oggetti
d' oreficeria contenutivi doveva pertanto essere rispettabile.
Pegola — Non e' è attestata che pel solo 1667, che un parono ne
recò con altre merci da Cattaro per 1000 libbre.
Pellami — Con salumi e lane costituiscono 1' ordinario contingente
mercantile della Dalmazia. Alla fiera proibita del 1656 ha recato una
balla di cordovani insieme con salumi un parone da Ragusa (3). A
quella del 1667 sono state portate complessivamente 42 balle e 400
libbre di cordovani da Spalato, Cattaro e Ragusa ; 4000 libbre di pelli
di montone da Spalato ; quattro balle di cuoi comuni da un parone
di Fermo.
Neanche essi doverono mancare n»ai alle fiere, sia grezzi — e for-
ni van lavoro alle numerose concie sparse in tutta la regione » (4) —
sia conci.
Proftimi — Un « Arabo con odori » intorno al 1666 occupa tra-
dizionalmente, per 12 paoli, un' area sotto porta Vecchia, di spettanza
del castellano.
(1) Leu. (V Udienza, v. 14, e. 174.
(2) Repertorio d. Bollettari, voce « fiera ».
(3) Congreg. di Sanità, v. A. e. 79.
(4) Con vallonea e hiiia godevano eseuzione dal dazio dei colli quelli
sbarcati in porto e destinati a Pergola. Una concia, che per ragioni igieni-
che gì' illustrissimi o sapientissimi signori nobili del consiglio si apprestarono
a far togliere appena impiantata, era anche a Senigallia, a S. Sebastiano, nel
1688 : Consigli, v. 47, e. 106t e seg.
- 334 ~
(Quadri — Il trovare un pittore sotto la stessa porta Veccliia, in-
torno agli stessi anni, rivela la presenza — che non oseremo però dire
consuetudinaria — anche di quadri, sul cui valore e natura )»on ab-
biamo assolutamente indizi.
Kami — Son naturalmente rami da cucina, come già nel secolo
precedente. Anch' essi, già nel 1636, hanno in fiera una lor propria
area capace di 3 botteghe, a sinistra uscendo di porta Vecchia, area
che non tarda a diventar proprietà del castellano e dove infatti intor-
no al 1666 troviamo i « calderari », che pagano al detto signore sei
scudi.
In botteghe comunali collocano i loro rami un Luca Provasi di Ri-
mini nelle fiere 1665-67, e un Michele Scarsi di Iesi in quelle 1672-74.
Salumi. — Costituiscono il prodotto principale tributato in fiera
dalla Dalmazia; in quantità assai più modesta ne invia il vicino porto
di Fermo. Due barche da Ragusa, di cui una con 260 barili, e una
terza da Fermo, recan sardelle alla fiera del 1647 (1); una barca da
Cherso porta sgombri salati a quella del 1650 (2); altre sardelle da
Ragusa reca una barca alla fiera proibita del 1656 (3); salumi in ge-
nere, parimenti da Ragusa, hanno altre barche alla fiera del 1660 (4).
Nel 1661 sono cinque, e forse sei, i mercanti di salumi, tutti dal-
mati, e cioè : (luattro da Tran, uno da Ragusa, il probabile sesto da
Cattaro. In quantità più notevole ne troviamo alla fiera del 1667. Li
han recati almeno sedici mercanti ; dei quali, uno di Fermo ; un se-
condo di provenienza non indicata, ma dal nome di schietta impronta
italiana: Francesco Marinello, forse di Fermo anch'esso; tutti gli altri
d;ilmati. Cinque vengono da Ragusa, due da Cattaro, due da Spalato,
due da Lesina, due da Perasto, uno da Sebenico. Complessivamente
sono 1102 barili di sardelle e 20 barili di tonnina in questa fiera 1667.
Un Giacomo Zaiatino da Rovigno, abitante nello stato di Bnccari,,
con salumi, è tra i mercanti, che nella fiera 1700 protestano contro
nuove gravezze del castellano.
Anche questo prodotto, come dalla lettela di Iesi del 1694, si spar-
n
(1) Covfjreg. di Sanità, v. A, e. 26.
(2) Congiecf. di Saiìità, v. A, e. 43.
(3) Congreg. di Saiiifà, v. A, e. 79.
(4) Congreg. dì Sanità, v. B, e. 16t.
— 335 —
geva per le pvoviiicie vicine, « et anco (in) Lombardia e Regno di
Napoli ». Costituiva 1' ordinario e forse unico companatico della po-
vera gente e non è a dubitare del suo largo smercio e della sua pre-
senza a tutte le fiere.
Sapone. — Un Alessandro Bortolotti senigalliese nel giugno 1665
ne introduce in città, da Foligno, 2000 libbre per rivenderlo, eviden-
temente in fiera; e poicliè rifiuta di pagar la gabella, contro lui, come
contro « altri che hanno introdotto simile robba » ricorre il sub-ap-
paltatore della gabella sul sapone stesso (1). Verso la fine del secolo
è anch' esso, con tanti altri prodotti, taglieggiato dalla regalia.
Scotanello. — Alla fiera del 1667 è recato, con vari altri prodotti
dalmatini, da due paroni di Perasto in quantità di 17 migliara (di
libbre).
Sete. — Figurano, nella memoria della difesa di Ancona del 1694^
tra le meici costitutive della fiera. E fuori di questa menzione non
abbiamo altro cenno esplicito intorno ad esse lungo tutto il secolo.
Ma pensando che, in seguito alle cure illuminate di Enrico IV e al-
l' opera del Colbert, la patria classica di questa vecchia industria luc-
ch.'se e fiorentina è diventata la Francia e particolarmente Lione, e
trovando tra i mercanti, che prendono normalmente posto sotto porta
Veccbia, il centro per eccellenza della fiera, intorno al 1666 un « fran-
zese », molto veiisimile si presenta la spontanea ipotesi che dalla Fran-
cia esse venissero per la maggior parte e seterie per l'appunto fossero
le merci non specificate del mercante francese.
Sui primi del secolo XVIII le vedremo prodotte in vari centri del-
lo stato e protette con alti dazi.
Stacci e crivelli — Alle fiere 1662-67 espone quest' umile e pur
utile merce intorno al primo pilastro di sinistra del palazzo comunale
verso la Croce, un milanese residente a Cesena, da un cognome fa-
tidico: Mazzini. Gli succede nello stesso liu)go dal 1672 al 1978 un
forlivese da un nome ben ])iù prosaicamente commerciale. Angelo
Turciana^ che riesce a fare così buoni aftari, da potersi estendere an-
che a due altri posti comunali, sotto la loggia del Porto.
(1) Lett. d' Udienza, v. 16, e. 124 e 131.
— 336 -
Stoffe — Si tratta di lueice che prendeva posto ii\ magazzini e
botteghe di privati, e nei nostri documenti non troviamo cenno die
di un « mercante di panni pergolesi >>, i famosi mezzohmi di Pergola,
il quale intorno sii 1666 soleva anche lui espor la sua merce sotto
porta Vecchia, area già comunale, poi attribuitasi al castellano. Non
è però a dubitare che mercanti di panni, i « panigellari » del secolo
XVI, sia di Pergola, Cagli, Fossonibrone, Fabriano, importanti centri
manifatturieri della regione, sia di Foligno, Perugia, sia infine bolo
gnesi e lombardi • quali troveremo nel secolo successivo — non
siano mai mancati alle fiere.
Nel 1667, in una delle frequenti riprese di febbre protezionistica,
si proibisce in modo assoluto V introduzione e vendita nello stato di
panni e altri prodotti di lana farastieri, . . , salvo ad ammettere « in
considerazione dell' uso e delle necessità del clero e della curia ... le
saie di Fiandra e di Milano » (1) e a prorogar 1' anno dopo, sino a
tutto aprile, lo smaltimento di quelli che si trovassero ancora nello
stato (2). Da ciò che sappiamo in proposito relativamente al secolo
XVIII, si può esser sicuri che la proibizione « assoluta » non valesse
per la fiera.
Stuoie. È un articolo che ricorre con certa frequenza nel non largo
movimento commerciale di Senigallia, fuori di fiera, a cominciare dal
sec. XV. E « storari » trovammo effettivamente alle due fiere del 1580
e 1597. Lungo il XVII non abbiamo notizia che di due mercanti di
Ravenna, che lo recavano insieme alle fiere del 1671-7.3. Ma sin dal
1666 risultano largamente taglieggiate in tutta la loro categoria di
store, storoli, storini, grisole. Infine una specificazione apposta al nome
in un documento del 1725, « store da letto », ci rivela 1' uso, cui, se
non tutte, le più erano destinate.
Tabacco. — Durante gli anni 1658 62 è coli' acquavite oggetto di
« appalto » comunale ; appalto che, se vale 1' analogia con quello del
sapone del secolo stesso e quello dello stesso tabacco nel sec. XVIII,
non doveva escludere una, sia pur condizionata, vendita da parte, di
introduttori sia forastieri che sudditi. Nel 1667 ad ogni modo ne
troviamo recato ia fiera per 400 libbre da Cattaro e per 500 libbre
(1) De Cupis, Le vicende d. agricolt. ecc., p. 357 ; Bandi, e. 96.
(2) Bandi, e. 50.
- 337 —
da Pei'asto. Il castellano Olivieri sulla fine del secolo 1' assoggetta a
regalia (1).
Tele. — La difesa di Ancona nel 1694 le annovera tra i prodotti
caratteristici della fiera e ci dà la notizia che vengono dalla fiera del
Corpusdoniini di Bolzano. La notizia può essere messa in relazione con
1' altra conservataci altrove, che uno « svizzero di Lugano » fu nel
luglio 1656 chiuso per sospetto di peste nel lazzaretto, ove proprio il
22 venne a morire (2), e dar luogo alla congettura che egli avesse
recato per 1' appunto tele del non lontano Tirolo. Fuori di questo, nes-
sun altro dato ci offrono i nostri documenti.
Si può inoltre presumere che frequentassero la fiera, per-
chè non forniti o forniti non sufficientemente dal territorio e
tuttavia ricorrenti con maggiore o minor frequenza tra i pro-
dotti di consumo della città, tra altri che sarebbe facile ma
ozioso elencare :
a) Allume — Nel gennaio 1660 i tintori cittadini ricorrono al le-
gato contro il prezzo esorbitante fatto dagli appaltatori dì allume di
rocca, in spregio di bandi in vigore e in danno della loro professione.
« Contro gli ordini . . . dell'anno 1635 ... le conviene pagare baiocchi
nove per libra, benché fosse o sia ordinato il pagamento di esso al-
lu.-ne rocco a baiocchi sette e mezzo. . . » E il legato fa ragione al loro
reclamo (3). Era oggetto di privativa e indubbiamente veniva dalle
miniere pontificie di Tolfa, scoperte il 1461 e subito sfruttate (4).
b) Olio — La provvista di questa derrata, che il territorio di Se-
nigallia produceva, ma insufficientemente pel consumo, era incombenza
di un vero e proprio ufficio pubblico, 1' « abbondanza dell'olio », che
(1) Regalie, v. 3", e. 35t. Vera e propria privativa di stato risulta, al-
nieuo dal 1643, fosse il sale, che veniva da Cervia e il cui prezzo di ven-
dita era fatto dal tesoriere generale. Tuttavia il lamento che troviamo sul
prezzo piti alto e il colore più scuro del sale di Cervia in confronto col sale
di Trapani, può ragiouevolmeute far supporre che anche il sale fosse un ar-
ticolo commerciabile, sia pure con certe condizioni.
(2) Congreg. di Sanità, v. A, e. 69 e 76.
(3) Leti, d'udienza v. 8. e. 42 e 43.
(4) G. ZiPPEL, L'allume di Tolfa e il suo commercio, in Arch. d. Soc.
Romana di storia patria, voi. XXX.
22 — itti ( Menorie delia R. D«p. di Storia Patria p«r le larek 1912.
— 338 —
aveva la privativa assoluta della rivendita al minuto nella città. Olio
all'ingrosso vi poteva per«) esser venduto dai forastieri (l). Nei primi
del secol» successivo ne troveremo in fiera, proveniente dalla Puglia
e, con paroni greci, molto probabilmente dall'Arcipelago.
e) Vallonea — Ricorre spesso in capitoli e tariffe di dazi e tasse.
Una deliberazione consigliare del 1643 concede esenzione dall' allora
istituito dazio dei colli alle vallonee, pellami e lane, che approdano
in porto e son destinate alle concie e alla fiorente industria tessile di
Pergola.
(1) Leti, d' Udienza, v. 13, e. 167.
«<^ fe^
PARTE II.
Il secolo XVII.
Capitolo i.
Contagi e concorrenza
La vigilanza sanitaria e la concorrenza commerciale di Ancona - L' episodio del
1721 - Le preoccupazioni sanitarie di Venezia e l' incidente del 1743 - La
sospensione della fiera del 1 784 e il tentativo di boicottaggio del 1 785.
Secondo la distanza del luogo dove insorge e la gravità con
che si manifesta, nn contagio può determinare o la proibizione
della fiera, o la interdizione dal commercio in essa della re-
gione colpita e di quelle piìi direttamente minacciate, o la im-
posizione di quarantene a provenienze sospette.
Non è bisogno di spendere parole per dimostrare come 1' u-
na o l'altra di queste misure danneggi la città, che ormai vive
sulla fiera: immediatamente, pei mancati o ridotti guadagni,
su cui nell'anno essa ha fatto assegnamento; mediatamente,
pel non improbabile e non rimediabile disvio, dal suo ad altro
mercato, di merci temporaneamente proibite o sospese. È pari-
menti facile a intendersi, come — in tempo che per le diffi-
coltà dei trasporti e delle comunicazioni è vivamente sentito il
bisogno di periodici convegni commerciali — l' interdizione o
sospensione del commercio sia per nuocere in uguale o forse
maggior misura alle regioni colpite. S' aggiunga infine la scarsa
fiducia nelle non sempre efficaci precauzioni sanitarie; e ci ai
renderà facilmente conto del fatto, per nulla strano, che in Se-
— 340 —
nigallia, centro del maggior convegno commerciale dell'xVdriatico,
come in quella qualunque regione infetta o minacciata d'infezione
che al convegno ha interessi, vivace e irresistibile si manifesti
la tendenza a passar sopra ad ogni precauzione, a sfidare il
pericolo del contagio, a violare ogni misura sanitaria restrittiva
del commercio.
Ma siccome la violazione delle misure sanitarie, per quanto
operata su vasta scala, non può mai consentire la larghezza
dì traffici dei tempi normali, e poiché, sopratutto, all' osservanza
delle imposte cautele vigilano interessati vicini, cosi prima cu-
ra di Senigallia, appena si manifesti nell' hinterland della sua
fiera un pericolo di contagio, è di... dissimularne o attenuarne
la gravità e pretendere che non siano adottate Tiiisure, dalle qua
li il commercio abbia a soffrire limitazioni, ostacoli, impedimenti.
E contro bandi di proibizione del commercio — quindi anche
della fiera —, contro bandi di contumacie, essa — pronta del
.resto a violarli ogni volta che può — invariabilmente insorge,
ne combatte la opportunità, ne chiede la revoca o tempera-
menti tali da distruggerne ogni possibile efficacia.
Durante il sec. XVII, quando la fiera era tanto più mode-
sta e 1' arrendevole legato aveva competenza anche nella ge-
losa materia della sanità, gli interessi della città e quelli della
pubblica salute, non s' erau trovati così spesso di fronte. In
caso d' imposizione di quarantene, del resto, queste si consuma-
vano nel locale lazzaretto^ cioè sotto quella qualunque vigilanza
che si credeva di dovere esercitare, e ai cittadini, in anni ca-
lamitosi, restavano, alla men peggio, i non trascurabili profitti
derivanti dal soggiorno dei contumaciandi e dalle pratiche con-
tumaciali.
Ma nel secolo XVIII le cose camminano per ben altra via.
Già nel 1680 la giurisdizione in materia di sanità dal legato
della provincia è passata al tribunale della Consulta (1), e que-
sto, deliberando da Eoma e avendo l' occhio all' interesse di
tutto lo stato, non doveva presumibilmente mostrarsi altrettan-
(1) Lett. d'udienza, v. 25, e. 78,
— 341 —
to accomodante. Sui primi del secolo, inoltre, guardiane della
pubblica salute nel!' Adriatico si costituiscono Ancona e Vene-
zia, e Senigallia passa sotto una . . . tutela né desiderata, né
precisamente adatta a promuovere il suo materiale^ immediato,
tangibile interesse. Per quanto riguarda piìi specialmente An-
cona, poi, i i)recedenti del sec. XVII non potevano non dare
al fatto un significato e un' importanza speciale.
Quali con precisione fossero agli inizi del 1700 le condi-
zioni economiche della rivale di Senigallia, i nostri documenti
e gli storici e scrittori locali non ce ne informano: certo, a
l)o(;lii anni di distanza dalla plorante e deplorata « miseria »
del 1694 05, non ancora così buone, come si faranno in seguito:
non tali ad ogni modo, da non mantener vivo il proposito di
comunque migliorarle (1). In attesa di ritentare l' istituzione
della fiera franca in stagione propizia — Ancona pare non ve-
desse altra via per la riconquista del primato commerciale —
le condizioni della pubblica salute nell' Adriatico le offrivano
intanto il destro di attivare un maggior movimento nel suo porto.
In presenza alla quantità di bandi di sospensione del com-
mercio, di i)roibi/.ione di fiere, d' imposizione «li quarantene ; a
scorrere sopratutto la raccolta di sanità, si ha F impressione
che, dalla fine del XVII a tutto il XVIII, sul bacino Adria-
tico, anzi sull' intero bacino orientale del Mediterraneo, incom-
besse un unico immane contagio, che, serpeggiando ovunque
allo stato endemico, prorompesse ad ogni breve intervallo in
questa o quella regione, ma segnatamente nella Balcania, le
cui provenienze, da un certo momento, troviamo invariabilmente
assoggettate a quarantene in tutti i porti italiani (2). Ora, con-
ci) Un passo d'nua memoria, « Motivi contro la gabella del 12 ^/q » del
1708, accenna colle seguenti parole alle condizioni d' Ancona: « Dalla gra-
« vezza delle gabelle per lo più ne risulta la mancanza del commercio, e
« pnò darne qualche esempio le dogane di Roma e quella di Ancona, che
« per un semplice uno o due per 100 fa sentirne alla Rev. Camera nella
« risposta quel danno, che è noto alla medesima, potendosi quasi dire esset
« divenuta già una piazza senza negotio »: Not, Div., v. 17. e. 85.
(2) Negotia Sanitatis, v. 8, e. 43, lett. d. Sanità di Venezia, 10 agosto 1743.
— 342 —
tro l' immanente minaccia d' infezione, lo stato iwntificio non
aveva fatto altro sino allora che concentrare nel tribunale della
Consulta la giurisdizione sanitaria, L' applicazione delle misure
sanitarie prescritte, le modalità nell'ammissione a pratica, nella
operazione degli « spurghi », nella consumazione delle quaran
tene, restava ancora abbandonata alla iniziativa, al capriccio,
o — come in Senigallia — all' interesse dei singoli luoghi.
Mancava insomma un centro di sorveglianza diretta; un ufficio,
che, almeno lungo il tratto di confine costiero, applicasse, in
dipendenza dalla Consulta e sotto 1' eventuale i)ropria respon-
sabilità, le prescritte misure con criterio uniforme, costante e
rigoroso; un lazzaretto di stato, infine, senza del quale restava
sempre aperto, spalancato, l' adito al pericolo.
Una simile istituzione, oltre che rispondt-re alle superiori ra-
gioni della pubblica salute, avrebbe significato non indifferente
profitto all' eventualmente designato centro di tale polizia sani-
taria. Le insopprimibili esigenze commerciali, infatti, vi avreb-
bero promossa un' affluenza considerevole di legui infetti o so-
spetti e, sotto forma di consumi, richieste d' opera, diritti con-
tumaciali, una sorgente di lucri non disprezzabile. Coli' intuito
della gente d' affari, Ancona dovè avvertire il vantaggio offerto
da quello stato di cose, e ne profittò. Già dal 1624 disponeva
di un lazzaretto, che, costruito col concorso della provincia,
serviva anche al bisogno della provincia stessa (1) : nel 1701
lo promosse a lazzaretto di stato (2). Il governo non potè tro-
var la cosa altro che conveniente e da questo momento la « pri-
vativa delle contumacie » è un diritto riconosciuto ad Ancona.
Ormai legni e imbarcazioni provenienti da luoghi sospetti non
sono ammessi a pratica nei porti pontifici dell' Adriatico, se non
(1) E. D'Akchise, Una pianta d'Ancona, Anc. 1884, p. Ili, n. 1.
(2) « Suppongono i Proveditori alla Sanità d'Ancona, che non si possino
« amettere alla quarantena in altri porti di questa spiaggia i legni, che
« provengono da luoghi sospetti, se non in quello della medesima città, sì
« per il commodo dello spurgo, coni' anche per haver il ius privative, a
« tenore degli ordini di Roma.... »: Lett. d'udienza, v. 4©, e. 69, lett. d.
legato al luogot. di Senig., 6 maggio 1701.
— 343 —
sono munite delle fedi di sanità di Venezia o non hanno scoii-
tate le imposte quarantene nel lazzaretto d' Ancona (1). Coll'an-
dar degli anni, poi, a vigilare sulla salute pubblica per lo stato
pontificio resta sola la sanità d' Ancona, la quale, per di piìi,
finisce col raccogliere ed esercitare, se non una vera e propria
giurisdizione sanitaria, per lo meno un diritto d' iniziativa : non
solo cioè segnala casi sospetti, invoca e addita provvedimenti ;
talora anche ne adotta senz' altro e la Consulta non manca di
dar la propria sanzione.
Conseguenze del nuovo ordine cose : non solo Senigallia in-
contra maggiori difficoltà ad ottenere la licenza di fiera in anni
di sospetti ; non solo, a fiera proibita o ridotta, si trova rese-
cata la più modesta sorgente dei diritti e delle pratiche sani
tarie, ma — e questo è specialmente doloroso, intollerabile —
le sorti della sua vitale istituzione ormai dipendono — essa è
persuasa — dal beneplacito, dall' arbitrio, dallo spirito d' invida
rivalità della sanità d' Ancona. Qualunqne atto compia quest'uf-
ficio, dal quale derivi un intoppo, una difficoltà, un ostacolo
alla celebrazione della sua fiera, è, ai suoi occhi, una bassa ma-
novra, un' insidia tesa ai suoi danni.
« Non susiste — risponde il suo ufficio di sanità al legato
nel 1701, Quando Ancona ha avanzato la pretesa alla privativa
delle quarantene — non susiste la pretensione d' Anconitani
« d' bavere il ius di far fare la quarantena alle barche, che
« provengono da luoghi sospetti privative agi' altri luoghi e porti
« della spiaggia, mentre quando si è data 1' occasione, sanno
(1) Così, dal 1713, dispongono tutti i relativi baudi di sanità: Repertorio
d. Congreg di Sanità, voci « fiera », « Ancona », « contumacie ». Sotto
Clemente XII, su disegno e colla direzione del Van vitelli, che vi riconosceva
« l'occasione di fare acquisto di buon nome », sorgeva nell'acqua, al lato
occidentale del porto anconetano - ancora non munito di molo - il magnifico
lazzaretto, in pianta pentagonale, compiuto nel 1738.
— ui —
« bene gì' istessi signori Anconitani le diligenze esattissime che
« sono state fatte in questo porto per esservi il comodo del laz-
« zaretto e di far i spurghi necessari . . . Non è meravigliia che
« si facciano contro Senigallia queste doglianze, mentre essendo
« vicina la fiera non si procura dagl' Anconitani che di trovar
« modo di sviarla » (1).
E, pili esplicitamente e gravemente, alla Sanità di Venezia,
presso la quale, scagionandosi, ritorce contro la Sanità d' An-
cona accuse di trafugamento e furto di merci soggette a contu-
macia : « Non è zelo de' signori d' Ancona d' impedire questa
« fabrica — il disegnato nuovo lazzaretto di Senigallia, — ma
« si muovono dal proprio interesse, giacché . . . buona parte di
« quei particolari si mantiene con la dilai)idazione totale di
« quelle povere genti, che sono obbligate nella persona e nelle
« robbe soggettarsi colà alla contumacia, a segno che, esigendo
« da essi grossissime contribuzioni, aspettano tante e tante
« volte di rilasciarli al commercio, doppo d' averli consumati
« affatto (2) ».
Ma il suo lungo tentativo d' impedire ad Ancona il privile-
gio esclusivo del lazzaretto cade nel vuoto.
La i)rivativa delle contumacie però, nei disegni di Ancona,
non è che un passo verso più alto fine : il rinvigorimento del
traffico nel suo [)orto. L' aumentata affluenza di legni carichi
di merci in cerca di collocamento è intanto buon avviamento.
Un nuovo breve pontificio, che consenta di conimerciarvele in
regime di favore, una nuova fiera franca, insomma, e . . . Ancona
tornerà la florida piazza commerciale d' un tempo.
E il solito breve, colla solita franchigia, viene finalmente
nel 1720. « Ci hanno fatto rappresentare — così papa Cle-
mente XI il 20 luglio 1720 al card, camerlengo — li negotianti
« e mercanti della nostra città d' Ancona, che per concessioni
« apostoliche fatteli da nostri predecessori esser solito farsi in
« detta città una fiera ogni anno dal 1. novembre a tutti li 15
(1) Congreg, di Sanità, v. C, e. 23-25.
(2) Ivi, e. 38-40.
— 345 -
« decembre di ciascliedim anno e percliè la maggior parte delle
« merci si fanno venire in quel istante o poco prinia di detta
« fiera per mare, nel qual tempo la stagione è assai pericolosa
« per la navigatione, per la qual cosa ogn' anno pericola qual-
« che bastimento, ci hanno fatto supplicare a volerli commutare
« il tempo di detta fiera per li mesi di aprile e maggio, qual
« istanza... liabbiamo deliberato fargliene la gratia... Vi ordi-
« niamo che in nome nostro e della nostra Camera... la detta
« fiera e franchitia. . . gliela comuìutiate e rispettivamente re-
« stringiate... per un sol mese, da principiare il dì 15 aprile
« e da continuare sino a tutto il dì 15 maggio... » (1).
Keso possibile il rifornimento della regione in Ancona, in
aprile-maggio, ecco resa inutile, ecco quindi di nuovo in peri-
colo la fiera della Maddalena e con lei ed in lei di nuovo mi-
nacciati la vita di Senigallia^ gli interessi della legazione, quelli...
dello stato. Senigallia, appena sulla fine dello stesso 1720 ha
notizia del breve, fatta leva di tali interessi minacciati — città
vicine tradizionalmente avverse alla Dorica e uno stuolo di
cardinali e ])ezzi grossi del governo la sostengono e la secon-
dano — sorge anche una volta ad impugnare ed oppugnare la
« grazia » fatta alla rivale (2).
La ragione addotta da Ancona — sostiene — per ottenere
il nuovo breve di fiera, è « senza fondamento di verità > ; quin-
di il breve di concessione è « surrettizio ». Sua santità o vo-
glia ritirarlo o consenta a Senigallia, non men devota suddita
e figlia ecc., « di poter dedurre giudizialmente le sue ragioni »,
come le fu consentito al tempo di Innocenzo XII, quando per
1' appunto sua santità regnante, allora cardinale Albani, era
(1) Fiera d'Ancona, v. 2, e. 83.
(2) Per Senigallia contro Ancona si schierano Iesi, Fermo e Recanati e
interpongono i .loro uffici, tra altri, i card. Tanari, Eiviera, Barberini,
Corsini. Deputato a sostenere lo ragioni a Roma è il gonfal. cajjitano Eusebio
Cavalli, coadinvato dall'arv. Capocaccia e dal conte Agostino Beliardi,
l'opera del quale ultimo è preziosa e decisiva: Fiera d' Ancona, v. 2, e. 92
e aegg.
— 346 —
suo protettore e così efficacemente la difese contro uguale mi-
naccia della stessa avversaria (1).
Non bisognò « adoprare grande esagerazione » per convin-
cere il vecchio Clemente XI che la concessione fatta ad Anco-
na sarebbe riuscita « del tutto distruttiva » per la sua ex pu •
pilla. Contro il solenne disi)osto del breve stesso, rimette la
questione, per un giudizio, alla congregazione camerale e questa,
nella seduta 17 febbraio 1721, ])roibisce i)er queir anno, agli
Anconitani, « ogni innovazione intorno alla fiera ». In una suc-
cessiva — 4 marzo — « benché persistesse nel voto di rivo-
care il chirografo come suretizio », rimanda di otto giorni la
sentenza, per dar tempo alla parte avversa di <- avere da An-
« cona una nota giurata di alcune merci, che pretendono —
« gli avversari — poter sgravare dalla gabella (durante i mesi)
« d' aprile e maggio, a tenore del patto stipulato da quel do-
« ganiere colla Camera ».
Già i rapi)resentanti di Senigallia in Eoma si apprestano a
intonare il peana, quando, prima che la congregazione camerale
possa tornare per la terza volta sulla questione, il 19 marzo
1721 Clemente XI viene a morire. E il doganiere d' Ancona
allora stampa e diffonde in proprio nome un Invito, 5 aprile
1721, col quale fii sapere a chi voglia come qualmente « la
franchigia, da celebrarsi per le merci in questa città dalli 15
corr. alli 15 maggi© pross., si effettuerà conforme ecc. ecc. » (2).
Ma il tentativo di eludere la decisione camerale è troppo
audace, j)erchò il governo dell' interregno (3) non debba pron-
tamente intervenire a im[)edirlo. E un editto dei tre (;ardìnali
capi d^ordine, 23 aprile, dichiara infatti << il sudetto invito ipso
facto et ipso iure nullo abolito e casso e come se fatto non
fosse » (4).
(i; Fiera d' Ancona, v. 2, e. 77.
(2) Ivi, e. 114-5, 118-9, 174.
(3) I tre cardinali capi-d'ordine, due dei quidi son legati da vincoli d'in-
teresse o di protezione con Senigallia, il Barberini e il Paracciani: ivi, e. 120,
(4) L' editto fu « minutato » dallo stesso rappresentante di Senigallia,
conte Beliardi e ad opera sua « fatto spedire da Capi d'Ordini »: ivi, e. 125.
— 347 -
Pare così che la vittoria lesti ancora una volta a Senigallia.
Se non che, s'è andato nel frattempo manifestando un fatto
nuovo, che dà nuovo e più grave alimento all' aspra lotta di
concorrenza.
' Quando, in quella primavera 1721, pareva ormai mitigata
la furia della terribile peste, che dall' anno innanzi desolava
Marsiglia, e le già rigorose misure sanitarie degli stati italiani
s'erano andate rilassando, alcune navi, soggette a sorveglianza
nel porto stesso di Marsiglia, riuscivano colla fuga a sottrarsi
alla clausura, facevan vela per l'oriente e, col terrore, sparge
vano ovunque sospetto d' infezione. Si ripristinarono pertanto,
anche nello stato pontificio, le adottate precauzioni: cordoni ai
contini terrestri e chiusura dei porti alle provenienze per mare,
anche da luoghi immuni, a meno che, relativamente all'Adria-
tico, non si fossero munite delle fedi di sanità nel lazzaretto
d'Ancona (1).
Ottenere di celebrar la fiera in simili circostanze doveva
essere ed effettivamente era impresa disperata. L' obbligo fatto
ai legni immuni di toccar prima Ancona, era per sé solo, agli
occhi di Senigallia, un preventivo divieto. Chi avrebbe impedito
a quella sanità di trattenere nel suo porto le imbarcazioni di-
rette a Senigallia, per costringerle ad un commercio in esclu-
sivo vantaggio dei j^ropri mercanti e concittadini 1 Senigallia
pertanto si volge al legato supplicandolo a revocare, temperare
almeno, 1' ostruzionistica disposizione, permetterle insomma, in
considerazione della sua... « specchiata vigilanza », di ricevere
direttamente le imbarcazioni non sospette. (3on tutta la buona
volontà di compiacerla, il legato non può far altro che sospen-
dere la pubblicazione del relativo bando; pel resto, la città deve
rivolgersi a Roma.
Ma già a Roma, qualche giorno prima, è pervenuta denuncia
dalla sanità d'Ancona che Senigallia attenti alla pubblica salute,
dando pratica, senza le dovute cautele, a due barche, di cui
una da Fiume con legnami, materia particolarmente « suscet-
(1) Fiera d'Ancona, v. 2, e. 123: editto d. legato, 2 maggio 1721.
— 348 —
tibile di peste ». Ecco, dunque, da Roma l'ordine al legato di
« ])rocedere contro i ministri » del porto senigalliese, e poco
dopo, non ostante le piìi calorose sollecitazioni del rappresen-
tante della città, appoggiate e avvalorate dalle premure del
card. Pico e dell' ambasciator veneziano, il divieto assoluto di
celebrare la fiera (1).
È ora Ancona, che sta prendendosi la rivincita. Speculando
apertamente sulla mala ventura della rivale, essa invia deputati
a Roma per chiedere di far lei la fiera e spera, fidando « nella
memoria dello zio di Sua Santità », il neo eletto Innocenzo
XIIT. Questa baldanza esaspera il Beliardi, rapi)resentante in
Roma di Senigallia. Il 31 maggio deve tenersi seduta di con-
sulta, per trattare, tra l'altro, anche la denunciata trasgressione
di Senigallia. Nei giorni che precedono, il Beliardi si mette ai
panni dei poiporati. « Per ottenere in ogni maniera 1' intento
« nell'importantissimo affare delle barche non sospette, mi son
« dato tutto il movimento che le SS. VV. 111. me possino im
« magiiiarsi. Ho fatti distribuire li memoriali a tutti li sig.
« cardinali e prelati di Consulta, e per due giorni intieri gl'ho
« infoiinati, con esaggerare altamente su li motivi dedotti.... e
« specialmente su 1' esempio degli altri ì)orti ecclesiastici del
« Mediterraneo... Si fa questa esorbitanza nell'Adriatico ])er le
« imjìosture degl'Anconetani, quali guidati dall'odio e dal pri-
« vato interesse, non dalla causa della comune salute, conti-
« nuamente esclamano ed inventano bugie, per rendersi padroni...
« Ho sollevato gl'agenti di altri cinque porti a ricorrere uni-
« tamente... Di \m\ questa mattina per tempo mi sono trovato
« a Monte Cavallo ed n ciascun prelato, e cardinale che andava
« giungendo, io dal scender di carrozza sino alla porta della
« congregazione son andato rinovando i motivi e le preghiere,
« toccando a tutti li propri interessi e singolarmente al card.
« Barberini et alli legati delle tre legazioni... »
Breve: la Consulta, in quella seduta, non solo purga Seni-
gallia di ogni colpa, ma permette « che le barche straniere....
(1) Ivi, e. 126, 137, 140-47.
— 349 —
da luoghi nou sospetti possino venire a dirittura in cotesto
I)orto » (1).
Non è davvero la licenza di fiera; anzi, la fiera è di nuovo
e severissimamente proibita. Ma, data ormai la funzione che
essa esercita nel bacino adriatico^ « V indispensabile necessità
economica » che è divenuta, basta a Senigallia la revoca del
divieto di commercio. Avrà un bel proibire e minacciare la
sacra consulta, un bell'ammonire il longanime legato, un bel
consigliare prudenza cardinali amici. Senigallia non ha che
annunciare che il commercio entro le sue mura - sia pure senza
franchigia - non è proibito e uomini e merci vi si avviano.
Dietro un apparato sanitario formidabile - il cordone presso le
porte, battitori per la spiaggia, barche armate al largo e can-
noni al molo - quietamente, discretamente, « a fondachi chiusi »,
cioè senza apposizione di insegne, e chiudendo il benevolo le-
gato un occhio, anche in quell' anno si fanno a Senigallia i
soliti contratti, i consueti scambi, si celebra insomma la fiera,
che, a credere ad affermazioni tardive, sarebbe riuscita una
fiera « spaventosissima » (2).
*
* *
Ispirata a tutt'altro fine che a una concorrenza commerciale
pare la condotta della sanità di Venezia, le cui relazioni -
sappiamo - risalgono ai primordi della fiera e - meno incidenti
(1) Ivi, e. 155-59.
(2) Libro di fiera, v. 7, e. 37 d. docum. - L' ulteriore svolgimento della
contesa nou ha altro valore che... psicologico. Aucona accusa Senigallia di
aver pubblicata, come iu tempi normali, la sua fiera e di avere quindi com-
messo un nuovo attentato alla pubblica salute, recando a prova una circo-
laTe-reclame d'un negoziante veronese. Roma ordina un'inchiesta, affidandola
al... benevolo legato. Senigallia, dimostrando la sua... candida innocenza,
prova che tutto è frutto delle « imposture » e « basse calunnie » dei signori
Anconetani. E questi soli rischierebbero di restar nelle peste, se, avvisati in
tempo, 1 provisori di sanità non si salvassero « in chiesa » da nn arresto
ordinato da Roma: Fiera d'Anc, v. 2, e. 168 e segg.
— 350 —
transitori - ci si son presentate costantemente larghe e cordiali.
Mercanti veneziani e sudditi della repubblica lian sempre co-
stituito finora il gruppo più importante, il « nervo » principale
della fiera, sì per prodotti che per capitali. La loro partecipa-
zione, sui primi del XVIII, è ancora di tale entità, che per
bocca del legato, nel 1713, Senigallia ha a dichiarare che, venendo
a manc^are i sudditi della repubblica alla fiera, « mancarebbe
ancora una delle parti più principali delle mercanzie » (1).
Se non che, proprio in quell' inizio di secolo, 1706, c'è la-
sciato notizia che « Veneziani pensano d'introdurre una fiera a
Chioggia per la festa della Maddalena » (2). E la voce ricorre
nel 1713.
Se realmente la repubblica di S. Marco, che già disponeva
di tre fiere in Terraferma - Bergamo, Brescia e Cremona, -
adombrata della crescente prosperità della fiera senigalliese o
per altro motivo, pensasse effettivamente ad una concorrenza
in suo danno, non abbiamo elementi sufficienti né per affermarlo
né per escluderlo (3). La nota saliente, è vero, del suo carteggio
di sanità con Senigallia é una sollecitudine estrema, una i^reoc-
cupazione talora ossessionante per la pubblica salute (i). D'altra
(1) Libro Fiera, v. 2, e. 19.
(2) Lett. d'udienza, v. 26, e. 68.
(3) Nel 1721 l'ambasc. venez. appoggia a Roma la causa della fiera di
Senigallia: Fiera d'Ano., v. 2, e. 145, lett. lìeliardi 17 maggio; uel 1739
inrece il rappresentaute di Senig. diffida, ma a torto, che il cardinale ve-
neziano in Consulta, la osteggi: Libro Fiera, v. 1, e. 50.
(4) La Sanità di Venezia a « Sinigalgia », 25 maggio 1720: « Accostan-
« dosi il tempo della consueta fiera di Sinigalgia teniamo recenti avisi che
« comincino già li negozianti Turchi a far calare eifetti, per spedirli possia
« opportunamente all'esito in essa fiera. Dubio non v'ha che racolti li me-
« demi ne' più interni paesi della Turchia e passando sempre per luochi o
« infetti o almeno sospetti, non siano soggetti a quelle più importanti ispe-
« zioni, che ricerca la gelosia della comune salvezza; e pur ci ha certezza
« per ciò che diede occasione di rilevare l'anno decorso la riflessibile quantità
« de cordovani, che colà concorssero, che molta parte di tali effetti vi
« pervenga senza passar per li soliti espurghi.
« Rintracciato da noi il modo, sapiamo che alle marine di Scuteri e
— 351 —
])arte sono, in un ventennio, quattro incidenti, quattro tentativi,
che, per ragioni sanitarie, Venezia solleva, contro la celebra-
zione della fiera. I primi due - 1722 e 1724 - ci sono appena
ricordati e non doverono aver conseguenze gravi (1). Meglio
noti e seguiti da ben sensibili effetti sono quelli del 1728 e
del 1743.
Nel 1728 - peste a Smirne, Costantinopoli. Zante: quindi
interdizione dal commercio di tutti i luoghi infetti e imposizione
di rigorose quarantene alle provenienze dal litorale adriatico
orientale, in maggior parte veneziane - la sacra Consulta
])ermette che si celebri la fiera. Venezia, che già in precedenza
s'è affrettata a manifestare parere contrario, pi'otesta contro
l'« attentato » alla solita salute pubblica e con editto 12 giugno
« non solo proibisce a tutti li di lei sudditi, sotto pena della
« vita, l'intervenire o mandar mercanzie alla medesima fiera,
« ma di più... passa a proibire il commercio con tutte quelle
« Nazioni che vi andaranno o mandaranno mercanzie, come
« se la povera città fosse attualmente infetta in sommo grado ».
La misura colpisce naturalmente, più che altri, Senigallia, che
paventa di veder la sua fiera disertata. Implora quindi dalla
« d'Antiveri vengono imbarcati senza riguardo Passeggeri e merzi di tal
« natnra da Patroni dei Bastimenti, che secretamente callano a quella parte,
« quali poi con le fedi carpite a qualche ufficio... giungono in grado di
« liberi a quel concorso... Di troppo gravi conseguenze può esser causa
« qualche ommissione (nell'osservanza delle cautele)... e fa maggiore V ap-
« prensione la licenziosità et accortezza de' legni Dulcignoti indocili a qua-
« lunque legge di cautela e troppo studiosi di provechiarsi a qual si sia
« costo. Perciò eccitati noi dal pericolo abbiamo proventivamente rilasciato
« ordini a tutte le parti di questi Publici Stati, onde restino a tutto potere
« di vertire le insediose fraudi e reputiamo conveniente partecipar altresì
« a V. S. 111. me la contingenza; acciò provedano a quelle cautelle ohe
« ricerca la materia, con vigilanza e studio, che non possono mai esser
« soverchie »: Negolia Sanitatis, v. 4, e. 59. E informazioni del geneie -
senz'essere così importanti per la conoscenza delle condizioni sanitarie e della
navigazione nell'Adriatico - si incontrano nella stessa raccolta, si può dire,
ad ogni anno.
(1) Avvoc. e Procur., v. 3, e. 96.
- 352 —
consista o una proroga di venti giorni sulla normale durata
della franchigia, o la traslazione della franchigia stessa ad
agosto, « affinchè frattanto si possano opportunamente avvisare
« i merca»iti, che senza attendere il predetto editto (proibitivo
« di Venezia) si farà la fiera » (1).
Ma il papa e la consulta fanno ormai questione di dignità.
s< Hanno essi - i cardinali - ben conosciuto che i Veneziani
« hanno operato per picca, quasi volendosi vendicare della ne-
« gativa data loro dalla Consulta ». E « disposti a bandire i
« Veneziani, quando quelli a conto della fiera volessero inter-
« dire il commercio coi sudditi della santa Sede, dichiarandosi
^< che lo stato veneto ha più bisogno dello stato ecclesiastico,
« che non ha questo di quello », contro i rinnovati piatimenti
di Senigallia, contro reiterate pressioni e minacce di Venezia,
contro il pericolo infine che a Venezia s'unisca nella rappresaglia
anche la Toscana, tengon ferma la decisione presa: la fiera di
Senigallia si farà, e nel tempo e della durata normale. Venezia
con editto 9 luglio sospende il commercio collo stato pontificio
e non lo « restituisce » se non il 4 settembre successivo (2).
Anche più grave è l'incidente del 1743. È l'anno della ter-
ribile peste di Messina e l'anno, inoltre, che dalle terre del-
l' Impero scendono e accampano in Italia e nelle terre della
Chiesa milizie tedesche, a sostenere contro i Borboni le ragioni
di Maria Teresa. Appunto in i)revisione del « prossimo ingresso »
di queste truppe e permanendo il contagio in Ungheria, sin
dal marzo Venezia, nella sua continua paura di infezioni, s'af-
fretta a chiedere alla consulta di prendere provvedimenti atti
a tutelare la pubblica salute, minacciando « chiaramente di voler
sospendere in caso contrario il commercio collo stato pontificio ».
La consulta e il regnante Benedetto XIV sono invece di parere
« di non innovarsi cosa alcuna nel medesimo stato di S. B. o
« con apposizione de rastelli o con altre cautele, che impedi-
« scano il libero commercio, non solo per le nuove migliori
(1) Negotia Sanit., v. 5, e. 81 e 83 e Avvoc. e Frocur., v. 3, e. 96.
(2) Avvoc. e Procur., v. 3, e. 95, 99-102 e Negotia Sanit., v, ó, e. 86 e 89.
— 353 —
« rispetto al contacio avute da Mons. Nunzio in Vienna...; ma
« perchè le truppe sudette |>rovenj>ono, come si credo, dalla
<■ Baviera o da altra parte certamente non infetta ■• (1).
Ma ecco nel giugno, da Venezia e (la Ancona in particolare,
le i)rinie allarmanti notizie del male di Messina; notizie, che
di « ordinario in ordinario », ad ogni arrivo di corriera postale,
si fanno sempre i)iù gravi, impressionanti, catastrofiche: cento-
cinquanta, duecentoventi, trecento, fin cinquecento morti il
giorno !.... Seimila vittime entro il solo mese di giugno !....
Lo stato pontificio deve adottare anch'esso le sue cautele.
Interdice Messina; impone contumacie di 40 giorni da consu-
marsi in Civitavecchia o in Ancona a tutte le provenienze dal
resto dell'isola; ordina guardie armate nei poiti e ronde alle
spiagge; stabilisce il cordone sanitario, i « rastelli », lungo il
confine terrestre col legno di Napoli. Per ciò che riguarda
Senigallia, jìoì, non solo proibisce in modo assoluto la fiera, ma
ne chiude il porto e la spiaggia ad ogni comunicazione ]ìer
mare (2). « Il troppo austero ripiego » nella convinzione di
Senigallia è ispirato da Ancona e non tende « ad altro se non
« alla i>rivativa di ricevere - lei sola - tutti i legni, che tro-
« vansi in viaggio alla volta di questa fiera e di fare essi
« solamente - i signori Anconetani, antichi contradittori ecc.
« ecc. - quel commercio, che viene ju'oibito a Senigallia ». Se
per tanto essa strepiti e metta in moto tutte le forze di cui
juiò disporre, ])er premere sulla consulta e ottenere di far la
fiera, anzi di |)rolungarla anche « ad altii otto giorni dopo il
<.< 26 (luglio), per compensare la città e i mercanti del danno
« recato dalla emanata sospensione », è superfluo dirlo.
La sacra consulta sembra commoversi alla prospettatale mi-
seria incombente sulla città e con editto 30 giugno 1743, pur
lasciando nel suo rigore il decreto di chiusura del porto, con-
sente che, osservate le debite cautele, si possa contrattare colle
solite esenzioni le merci già introdotte in città. Il magistrato
(1) Negotìa Saint., v. 8, e. 3.
(2) Ivi, e. 14, 20 e segg.; Libro Fiera, v. 3, N. 35, e. 8t.-9.
23 — Kitì e memorie della R. Dep. di Storia Patria per le marche. 1912.
— 354 —
cittadino s'affretta allora a pubblicare che, « non essendo stato
proibito d'introdurre nella città... le merci per via di terra ,
la fiera avrà luogo nei soliti giorni e colla solita franchigia (1).
Già il bando di proibizione della fiera, i)el silenzio serbato
al riguardo delle merci precedentemente introdotte a Senigallia
aveva lasciato tutt'altro che soddisfatta Venezia, la quale nei
casi veramente tristi e gravi di Messina, nell'incerta e tardiva
applicazione di misure sanitarie da parte dello stato pontificio,
nell'invasione delle truppe imperiali, vedeva addirittura il fini-
mondo. «.... Non può non essere risultato di comune sodisfa-
« zione - scrive il 6 luglio alla Sanità di Senigallia - la so-
« spensione della fiera... già publicata; ma cosa sia delle merci
« precedentemente concorse dalle parti resesi in seguito infide,
« solite non disimbalarsi se non all'apertura di essa, e di quelle
^< capitate da Missolungi ?... »
Quando poi ha notizia della consentita celebrazione con
queste merci già introdotte, quando sopratutto constata la larga
interpretazione, che alla concessione ha dato il magistrato cit-
tadino, allora non si tiene piìi. Tra la deplorevole negligenza
generale manifestata di fronte alla peste di Messina, « restando...
« ogn' uno libero di appigliarsi a quei provedimenti, quali
« reputa a sé i)iìi confaòevoli, Noi imperturbatamente andiamo
« prendendo quelli, quali riputiamo piìi adattati. E sul non
« essere stata presa in Romagna alcuna precauzione sopra le
« n)erci i)recedentemente ammesse, procedenti dal Levante in-
« fetto et espurgate ne porti resosi essi medesimi in seguito
« sospetti; anzi sull'essere stata ritirata o mal interpretata con
« stampa di Senigaglia la precedente solenne publicata sospen-
<' sione di quella fiera... abbiamo resoluto di separarsi dallo
« Stato Pontificio, siccome viene spiegato dall' acclusa che ac-
« campagnamo a W. SS. 111. me », ai deputati cioè della sa-
nità di Senigallia (2).
Il suo esempio è subito seguito da Firenze, Lucca, Milano
(1) Libro Fiera, v. 1, e. 81 e segg.; v. 3, N. 35, e. lOt.
(2) Negotia Sanit., v, 8, e. 29 e 34.
-~ 355 —
e Torino. Lo stato pontificio quindi, ])cr qualclie tempo, resta
coiii[)letainente isolato. Non jìereiò il mite e fiero Benedetto
XIV recede dal i)rovveiliinento preso: il 18 hijjlio anzi colpisce
di rimando Venezia e gli altri stati della stessa misura, e il
20 luglio proroga la durata della fiera (1). La quale così anche
in quest'anno calamitoso è celebrata; ma non è affatto ricor-
data tra quelle « spaventosissime > fiere, che sarebbero state
il 1721 e il 1728. La sosi)ensjone del commercio, per quanto
di breve durata, danneggiò gravemente — che è peggio —
tutto lo stato e, ammaestrati dalla dura lezione, papa e sacra
consulta nel successivo 1744, jìermanendo in parte le stesse
circostanze, si guardarono bene dallo sfidare allo stesso modo
le... ])aure di Venezia.
Al « venerabde fratello il vescovo di Senigallia », che ac
compagna delle sue istanze le pratiche della città per ottenere
la licenza di fiera anche in questo 1744, scrive sua santità
Benedetto XIV in persona: « Non si fece, come Ella ben sa,
« la fiera 1' anno passato, e i)er quattro casse venute alla fiera
« di Sinigaglia, i)er le quali contro il nostro pensiero si ebbe
« dalla Consulta qualche indulgenza, riuscì ai Veneziani d' in-
« fiammare talmente le truppe estere, che tutto il commercio
« dello stato Ecclesiastico coi paesi forastieri fu tolto ed in-
(1) lui, e. 43; Libro Fiera, v. 3, N. 35, e. 11. - La ritorsione della
rappresaglia dolse a Venezia, che in nna... venezianamente molle recinisitoria
vuole spiegare alla sanità di Senigallia il perchè della sua condotta e finisce:
« Da altra parte osservasi interdetto lo stato di Fiorenze per essersi il primo
« separato dal Pontificio et interdetti questi Pnblici Stati, per non essersi
« dalla Toscana separati in tempo che nessuno stato d'Italia s'è uniformato
« alle direzioni della Sacra Consulta di Roma, né i)ur lo stesso Regno di
« Napoli, con una novità di massima, la quale non ha luoco uè stessi Stati
« Ottomani, ne quali non facendosi imaginabile caso della peste, si soffre
« però con indifferenza che per tal causa quel commercio a perpetua con-
« tumacia resti condannato, dirigendosi quella Nazione come piìi li aggrada
« e lasciando che gli altri si dirigano come più loro accomoda »: la San.
di Ven. a quella di Senig., 10 agosto 17-13. Dal che rilevasi che per Venezia
lo stato pontificio poteva e doveva lasciarsi interdire dal commercio, non
già esso interdire a sua volta... gli altri 1
— 356 —
« terrotto con tale pregiudizio, che siamo soliti di dire, aver
« dato pili danno allo stato Ecclesiastico un capriccio della
« Consulta, che la pesante dimora di due armate in esso.
« Abbiamo voluto che la materia — concessione o pioibi/ione
« della fiera — s' esamini nella stessa Consulta, e tutti, ne-
« mine discrepante, ammaestrati pur tropi)o del nostro danno,
« infertoci da essi loro, hanno risposto che non si faria... » (1).
*
• *
Dopo quest' incidente del 1743, Venezia non ha più occa
sione, secondo i nostri documenti, di opporsi alla fiera. I
suoi sudditi continuano a intervenirvi numerosi sino all' ul-
timo, e un provvedimento — vero atto di ostilità commer-
ciale — preso nei suoi riguardi dal governo pontificio il
1768, non provoca da parte sua — a quanto gli stessi docu-
menti ci permettono di sapere — altra misura che un'opportuna
specializzfizione in una categoria di merci del suo contributo.
Ancona, al contrario, non cessa di essere la spina nell' oc-
chio di Senigallia. Non paga della posizione preminente che
ogni anno piìi va prendendo in fiera, non paga neanche d' un
innegabile e considerevole incremento della sua prosperità per
privilegi industriali e commerciali ottenuti, essa non rinuncia
all' aspirazione di deviare a proprio vantaggio il movimento
d' uomini e merci, che ogni anno affluisce alle sponde del Misa.
Così per Senigallia è fuori di dubbio che alla minacciata sop-
pressione della fiera nel 1736 — la vedremo a suo luogo —
avessero parte i maneggi d' Ancona. Ispirato esclusivamente
da Ancona fu, nella sua convinzione, 1' impegno preso da
« qualcuno », nel 1755, di <,< far trasportare la fiera altrove »,
cioè in Ancona stessa (2).
(!) Lett. di personaggi^ t. 2, e. 117.
(2) L' impegno - non è detto da chi preso, uia ammesso anche dal card,
segret. di stato - sarebbe fallito di fronte alla fermezza di Benedetto XIV:
« vivente lui, non si sarebbe certamente levata » la fiera da Senigallia:
Avvoc. e Procur., v. 7, e. 100, 109, 122-23; Libro Fiera, v. 1, e. 86-90,
97; V. 2, e. 275.
— 357 —
Ma ciò che mette continuamente di fronte le due vicine
sono i sempre ricorrenti pericoli di contagio nell' Adriatico e i
provvedimenti presi da quella sanità. ]!^on li seguiremo ancora
questi altri casi di contagio, che fatalmente si acconipagnano
con altrettanti episodi o, meglio, con altrettante nìanifestazioni
della i)er8Ìstente sorda rivalità tra le due. Ci basti accennare
rapidamente ai due che chiudono la serie nel secolo e avver-
tire, per tutti, che da parte di Senigallia è invariabilmente la
stessa, uniforme, monotona sequela di proteste contro le insidie
di Ancona e di pratiche affannose e dispendiose in Roma: in-
vio di deputati, suppliche, esposizione di miserie, appelli al
sentimento o all' interesse di quanti sono in grado di giovare,
di premere sul governo, per ottenerne « giustizia o grazia * (1).
E grazia o giustizia, ])iù spesso quella che questa, Sejiigallia
quasi semi)re riesce ad ottenere dal paterno governo dei papi,
a si)untarla cioè contro « l'emula vicina » e... contro le rigo-
rose misure sanitarie, restrittive del commercio, sia pure - come
nel 1 784 - che la sua riesca una vittoria di Pirro.
Kel 1784 - ])este in Albania e Dalmazia, con centro d'in-
fezione a Spalato - dopo <;he la sacra consulta ha debitamente
messe al bando le regioni infette, la sanità d'Ancona, di sua
iniziativa, il 16 aprile sottopone a quarantena di 40 giorni le
provenienze dal Litorale austriaco e veneto e di 14 giorni quelle
da ogni altro punto dell'Adriatico. Si è alla vigilia della fiera
e, manco a dirlo, il provvedimento assume subito, agli occhi
di Senigallia, carattere di espediente insidioso per impedirla.
« Eccoci ad un nuovo fastidioso incidente, per cui si minaccia
« la sospensione al generale commercio, per renderlo poi pri-
« vativo nel solo porto d'Ancona ». E si mette mano al solito
armamentario, si mobilitano le solite forze (2).
Ma il contagio dice davvero. A Roma ne sono spaventati
(1) Presso che esclusivameute di pratiche svolte a questo tìiie, in Roma,
sou formati gli otto voli. d. Libro di Fiera.
(2) La relativa pratica in Libro Fiera, voli. 3, 4, 5; in quest'ultimo, le
minute d. lett. scritte da Seuig.
- 358 —
tutti, la beatitudine di Pio VI compresa; la « petulanza de'
sinigagliesi » fastidisce, e la sacra consulta, non solo sanziona
l'opera della sanità d' Ancona (27 ai)rile), ma i)roibisce anche
la fiera (5 maggio), e ordina persino la più rigorosa cliiusuia ,
del porto e della spiaggia di Senigallia ad ogni commercio: un
blocco in piena regola !
La città non sa credere ai propri occhi. « È il solito stile
« tenuto altre volte dagli Anconitani a danni della nostre fiera ».
Han da alimentare la gabella di baiocchi 25 su ogni cento
scudi di mercanzia da introdursi, per fare « la nuova strada » (1)
e la nostra fiera ne deve far le si)ese. È un' ingiustizia intol-
lerabile.
Cardinal-protettore, nobili deputati, avvocati e agente - sei
persone in moto continuo dal maggio all'agosto per le vie di
Roma, da un ufficio all' altro, dall' una all' altra « corte » (car-
dinalizia ! - insistono, premono, supplicano: ottengono solo che
...la disavventura di Senigallia sia resa comune gli altri porti
adriatici, la proibizione di ogni fiera. Magra consolazione anche
questa ! Ancona, in barba a tutti i divieti, si prepara a tenerla
lei una fiera. Le merci giacenti [)er la contumacia nel suo porto
o custodite nei suoi magazzini, vi si vanno più o meno clan-
destinamente commerciando. Senigallia deve assistere allo spet-
tacolo di carri carichi di menn che transitano per le sue vie,
persino dei suoi ebrei che vi si recano (2). E nel suo porto non
(1) La strada cioè lungo il mare, dal Piano S. Lazzaro a S. Agostino:
Libro Fiera, v. 5, e. 23 e 34.
(2) Oltre a queste, Senigallia ne vede e crede d'averne cento altre prove:
ivi, e. 60, 70, 72, 79, 80. Due suoi cittadini, il 23 giugno, han sentito dire
da alcuni anconetani, in Ancona stessa, presso il casino della sanità, a
proposito del bando di proibizione d'ogni fiera: « Cosa vogliamo dar mento
« quel bando ! Continuiamo a scaricare e fare quello che occorre, che quando
« abbiamo dato un'altro poco di sbruffo a Roma, il bando lo buttiamo giù ».
Tutto ciò ossa s'affretta a segnalare a Roma. Ma ciò che a un certo momento
le toglie ancheil coraggio di continuare le... sue denunzie, cui a Roma non
si vuol prestar fede, è la notizia che anche la R. Camera ha preso in fitto
magazzini, in Ancona, « per lo smercio delle sue calaucà », le tele fini
— 359 -
possono penetrare barche neanche con viveri e legne pei bisogni
della popolazione, nemmeno colla jiietra d' Istria e di Pesaro
per prosegni re la costrnzione del vescovado !
Solo quando il periodo normale della franchigia (14 31 luglio)
è bene spirato, la Consulta s'induce (3 agosto) a restituirle il com-
mercio per mare. E... Jìche de consolation, sulla fine d' agosto,
le concede anche di poter celebrare la fiera colla solita fran-
chigia, nei giorni dal 9 al 27 settembre. Ma allora le merci
già destinate a Senigallia si sono smaltite in Ancona e in An-
cona la regione ha potuto trovare tutto il necessario per il suo
rifornimento....
Tranquillatesi appena le acque da questo fortunale, ecco,
l'anno dopo, una nuova tempesta, che finisce però... in un
bicchier d' acqua.
« Cessato in quest' anno — i gonfalonieri al card. Anto
« nelli, 5 maggio 1785 — il colore della peste, il quale som-
« ministrò nel 1784 agli Anconetani il pretesto di attrarre a
« loro privativamente il commercio, conforme riconobbe la stessa
« sacra Consulta, hanno ora inventato altro rijnego i)er indiretta-
« mente annichilire la fiera. Ed è di avere tra loro sottoscritto un
« foglio penato, per cui scambievolmente si obbligano di non
« venirci, di avere a tal partito tirati i Folignati, e finalmente
« di far girare per diverse piazze estere la notizia di questa loro
« risoluzione, perchè gli amici e corrispondenti, piuttosto che a
« Senigaglia, si determinino di andare in Ancona — ». (Congiura
dunque, o — piìi modernamente — organizzazione di boicot-
taggio ! E il male che i signori Anconetani posson fare, è in-
calcolabile. « Trattasi che dagli Anconetani e Folignati for
<' masi un buon terzo di fiera, che questi sono gli unici a
« portarvi gli zuccari, cannelle, pepe, altre droghe e provenienze
« di Ponente, e che quelle di Levante, dovendo per necessità
« afifacciarsi al porto d' Ancona, per essere ammesse alla pra
delle fabbriche dello stato istituite da Pio VI: il che invero era stato nel-
l'iuteuzione del pro-tesoriere, prima però che anche ad Ancona si estendesse
la proibizione « del commercio e concorso »: Libro Fiera, v. 3, e. 59.
- 360 —
<< tica, sarebbero nella magoior parte colà commerciate, per il
« che la fiera cessarebbe di esser tale... e rimarrebbe ancora
« senz' alcnn effetto la graziosa concessione fatta dal Principe
« a questa città della fiera... » (1).
Del « colpevole disegno », del « complotto delittuoso » Se-
nigallia ha le prove... irrefragrabili. K denuncia. E invoca
punizioni e i>rovvedimenti i)el caso in corso e ])er eventuali
casi a venire. Se la cosa danneggia la città - ha 1' aria di
soggiungere — essa offende non meno le prerogative del prin-
cipe.
Vero è che, in un lampo di lucida percezione, essa intuisce
il debole del suo atto d'accusa. E s'affretta a... parare. Se
mai il santo padre fosse stato « prevenuto dagl'Anconetani che
« in tanto essi e i Foliguati hanno pensato a tale ripiego, in
« quanto che ai trovano angariati in questa città dal daziere
« de' colli e si aspettano di essere condannati al doppio paga-
« mento dei noli, cioè a quello del 1784 ed al presente del-
« l'anno corrente,... sappia Vostra Eminenza che il daziere
« istesso de' colli ha annualmente ammesso gli Anconetani e
« Foliguati ed anche altri... ad un concordato...: che inoltre
« ninno pensa di pretendere i noli già scorsi... ».
A Roma si piglia la cosa sul tragico. Quel che ])er pudore
era nella denuncia senigalliese discretamente sottinteso, diventa
il punto sostanziale per gli zelanti prelati. <' Lo stabilire e il toglie
« re le fiere è un dritto privativo del Principe; chiunque con-
« traviene o in qualsivoglia modo si oppone a tali stabilimenti,
« offende la sovranità del Principe. Sarà quindi parte del suo
« debito — debito del governatore d'Ancona, e di quello di Fo-
ligno parimenti — e del suo zelo il verificare se una tale
<• convenzione sussista, e, quando sussista, di procurarsi il te-
« nore di essa, come delle supposte circolari, e i nomi altresì
« dei negozianti... ».
Si voglion dunque le prove, quelle famose decisive prove,
che Senigallia dice di avere e... si affanna invano a procurarsi.
(1) Libro Fiera, v. 8, ci. Per tutto il resto, uello stesso e nel voi. 6.
— 361 —
La sua denuncia pertanto corre niobio di passare i)er calunnia.
« Ma il nostro E.nio Protettore - card. Leonardo Antonelli -
« ha avuto cura di porre sotto gli ocelli del Sovrano un do
« (Cimento tanto certo ed autorevole, che non solo ba smentito
« la sud<letta informazione - il risultato dell'inchiesta comi)iuta
« <lal governatore d'Ancona - .... ma ba fatto tale impressione
« nel di lui animo, che ne ba avanzato... i suoi giusti risen-
« ti menti al detto prelato » (1).
Cile e' era finalmente di vero nella « maccbinazione » an-
conetana ! Semplicemente questo. « Quatti'o bottegari » ■ se
condo l'incliiesta del governatore d' Ancona, ancbe lui tenero
dei suoi polli, come dei jìropri il legato d' Urbino - si)azientiti
o sdegnati sia dell'eccessivo fiscalismo ormai dominante in fiera,
sia di « qualcbe insulto » subito da parte di quella « scilin-
guatji Plebe », si erano di fatto accordati, « uniti a non in-
teivenire » alla fiera e sulla fine d'aprile avevan già cominciato
a disdire gli affitti di qualcbe magazzino. Senigallia vi vedeva
già il principio dei... finimondo. E mentre moveva a Roma de-
nunzie e lamenti, si dava subito da fare per sostituire l'even-
tuale assenza del contributo in drogbe per parte di Ancona.
A uiezzo dei consoli i)ontificì ufficiava, perdio ve ne recassero,
mercanti delle ])iazze di Ferrara, Venezia, Trieste, Livorno,
Genova (2).
(1) Libro Fiera, v. 6, e. 34, lett. Contini, Roma 28 maggio 1785. -
« Aggiungo in foglio a parte - lo «tesHO Contini, in pari data - da tenersi
« segreto per ogni buon fine e riguardo, che il documento fatto presentare
« ili Papa dal sig. card. Protettore è stato la stessa lettera scritta di pugno
« dell'E.mo Altieri da costì al sig. ab. Bassi, in cui lo ragguagliava distiu-
« tamcnte di quanto Egli aveva operato ed era coerente alla Pro-memoria
« inviatami dalle SS. VV. Ill.me... »: ivi, e. .34 bis.
(2) La sostituzione però non pareva facile. Quei di Ferrara temono che
gli Anconetani cambino idea e lamentano gli aggravi fiscali in fiera e l'an-
gustia del tempo concesso al ricarico, « Pnltimo giorno di franchigia, sia
tem[»o buono o burrascoso »; quei di Venezia hanno le stesse preoccupazioni
e inoltre, « pei gravi dazi d' ingresso e d' uscita non potrebbero mai stare
al confrontò con quelli d'Ancona, ad onta anche di essere esentati costì dal-
l'aggravio del 15 ''/q », di cui son colpiti, vedremo, i prodotti esteri uou
— 362 —
(Quando l'affare minacciava di prendere la brutta i>iega clic
abbiam visto, s'intrometteva paciere il card. Altieri protettore
di Ancona. Senigallia per suo mezzo assicurava gii Anconetani
« che venendo alla fiera sarebbero ricevuti e trattati con di
« stinzione e amorevolezza, usandogli quelle facilità clie fossero
« compatibili coli' interesse publico e col privato » - e poco
dopo chiedeva ed otteneva la revoca del dazio veramente ves
satorio sulle piccole quantità di merci in uscita per via di
terra; • i mercanti d' Ancona a lor volta davano parola che
sarebbero « intervenuti con le persone e con le merci » e la « mal
fondata avversione o grossezza insorta tra due città finitime >■»
era, almeno pel momento, « scemata..., se non tolta affatto ».
Fu solo questa conciliazione che indusse il governo di Roma
a « trascurare l'ulteriore indagine » intorno alla... cospirazione
catalinaria e sua santità Pio VI a riservare per miglior tempo
i fulmini della sua sacra indignazione (1).
coperti dalla bandiera pontifìcia. Delle risposte da Trieste e da Genova
non abbiamo notizia. Qiui di Livorno invece, che già sogliono ref.are droghe,
« i vari generi ricchi », in liera, fan sapere che è già partita da Marsiglia,
« una tartaua con droghe e altre mercanzie, colà provviste per loro conto »:
Libro Fiera, v. 6, e. 9, 15, 18.
(1) Non tanto però che non apparissero nel momento almeno i lampi:
« Sig. Cardinal Nostro Stimatissimo - comunica direttamente al card. Ho-
« norati, vescovo di Senig. - Non potrà mai riuscire ai mercanti d' Ancona
« d'impedire la solita fiera in codesta città, né che abbia effetto il complotto,
« che diceai fatto dalli medesimi. Al nostro ritorno che facessimo ieri l'altro
« dalla Bonificazione Pontina, trovassimo la di Lei lettera ed insieme i
« ricorsi fatti in nome di cotesti cittadini, avvalorati dagP uffìzi del card.
« Antonelli; Abbiamo dopo saputo le premure datesi dal card. Altieri per
« distornare V unione dei mercanti sudetti, e di averli ridotti al dovere.
« Noi facciamo scrivere per Segretaria di Stato a Mons. Governatore d'An-
« cona, che esprima le nostre intenzioni affatto opposte alle mire degl' An-
« conetani, colla minaccia dei più forti espedienti, che possan prèndersi a
« loro discapito, e per verità siamo determinati di prenderli, qualora non
« si ricredino, essendo troppo maligna la cabala di voler guadagnare una
« privativa dall' accidentale necessità di essersi dovuta nelP anno scorso
« proibire codesta fiera. Ciò è quanto potiamo dirle in risposta... ecc. Datum
« Rome... 25 Maij 1785... »: copia autenticata in Libro Fiera, v. 6, e. 29.
Capitolo II
Franchigia e aggravi locali
Durata della franchigia. — Le regalie. — Il dazio dei colli. — Altri dazi minori.
La durata della franchigia continuò ad essere di 13 giorni
(l4-2fi luglio), come sulla tìne del XVIT, sino al 1744; fu di
18 giorni 14-31 luglio) dal 1745 al 1786; di 40 giorni (1 lu-
glio-9 agosto) nel 1787 ; di 3(> giorni (l luglio-5 agosto) dal
1788 in poi.
Autori dei considerevoli prolungamenti del 1744 e 1786 fu-
rono i due pai)i romagnoli, Benedetto XIV e Pio VI, 1 pivi
benemeriti di Senigallia, i)articolarmente il primo.
Più che di un i)rolungamento puro e semplice del periodo
di franchigia, doveva essere sentito a Senigallia il bisogno di
un « breve perpetuo », di una costituzione sovrana (1), che,
confermandola, assicurasse definitivamente la fiera contro inte-
ressi e tendenze avverse. Parve buona occasione a chiedere
1' una e l'altra cosa, il danno subito i)er la mancata celebrazione
del 1744, che seguì, per di più, alla non prospera fiera del
1743. Inviata a Roma una delle solite deputazioni, mercè il va-
lido patrocinio del concittadino card. Nicola Antonelli, si ottenne
da Benedetto XIV, in data 24 agosto 1744, la bolla sull'osser
vanza dei giorni festivi, la quale nella storia della fiera è tra
gli atti più importanti.
Per far trovare tempo ai signori mercanti di attendere, sen-
za scapito della « negoziazione », ai doveri del buon cristiano,
(1) Sin dal 1659, al primo mauifestarsi della concorrenza anconetana
1' agente senigalliese in Roma ne aveva lamentato la mancanza : Ambasc,
Avvoc. e Procur., v. 1», e. 79.
- 364 —
alnieuo nei giorni di festa (the cadono entro il periodo della
franchigia, la tìera, con annessi diritti e privilegi, è prolungata
di cinque giorni (1).
Mentre pensiamo suona in rapido riassunto il dimesso latino
<lel papa teologo — clic è nostro dovere, vegliale alla salute delle
anime e al bene di questa vita mortale, con nostro dolore abbiamo
appreso come nei giorni di festa, che cadono durante la fiera di Seni
gallia, « aliqui i)ravi liomines, Dei et Catholicae Ecclesiae praecep
« torum immemoies, et turpi lucro... inhiantes... in operibus ser-
<.< vilibus et commerciis obeundis negociisque temporalibus tra-
« ctandis... occupati sunt... Detestandam liane aborainationeui...
« auferre cupientes, volentesque etiam indemnitati et perpetuitati
« iurium et privilegiorum... civitatis, eiusque ac totius tempo
« ralis status nostri comìno<lo atque utilitati.... consulere ac
« providere... decernimus... »: nei detti giorni festivi, e special-
mente dalle ore tredici (9 antim.) a mezzogiorno e dalle ventuna
(5 poni.) al calar del sole, durante le quali si celebrano nelhi
maggior chiesa gli uffici divini, si chiudano botteghe e taverne,
sia sospesa ogni e quiilsiasi operazione e transazione commer-
ciale e si attenda da ciascuno ai doveri religiosi, pena le cen-
sure ecclesiastiche del caso. In compenso delle ore sottratte
per tal modo alla negoziazione, la durata della franchigia è
prolungata di altri cinque giorni, ai quali sono estese « omnes
« gratias, immunitates ac privilegia, liberum ac tutum commei-
« cium, accessum ac recessum et promissam sub fide publica
K< securitatem omnibus et singulis ad dictas Nundinas acceden-
« tibus ibique commorantibus ». Infine, « omnia et singula
« iura, privilegia, indulta, statuta, consuetudines, sententias ac
« rescripta, quomodocumque a Nobis nostrisque praedecessoribus
« praesertim Urbano Vili et Innocentio X..., contra quoscum
« que emanata et a praefata civitate nostra Senogalliensi ob-
« tenta atque impetrata super iure privativo celebrandi praefato
« tempore Nuudinas praedictas », son confermati e convalidati.
(1) L' origiuale in Bolle, N. 3, e. 14 ; pubblio, in Benedìctl P. XIV Bul-
larium, Tomo I, p. 378.
— 365 — ♦
La fiera per tal modo, oltre essere prolungata, è ancbe
assicurata, garantita contro eventuali ulteriori tentativi di isti-
tuirne altre nel periodo della sua celebrazione (1).
Giustificato con ragioni semplicemente commerciali è invece
il prolungamento concesso da Pio VI nel 1787. Coordinato, con
una serie di altri provvedimenti, alla grande riforma doganale
di cui vedremo a suo luogo, esso ha l'evidente intento di mettere
la fiera in grado di provvedere e bastare al più elevato tono
di vita economica dello stato, che legittimamente si sperava
dalla liberale riforma. Ma nel primo esperimento la durata di
40 giorni non portava altro etfetto pratico che un y)iìi forte
aggravio finanziario allo stato e alla comunità; la franchigia,
con le conseguenti oi)erazioui commerciali, anche in quel 1787,
« ebbe principio e ri8i)ettive compimento soltanto nei consueti
giorni degli anni passati », e il governo, riducendola di quattro
giorni, tornava a fissare il periodo delle vere e proprie con-
trattazioni all'antica durata di 18 giorni (14-31 luglio), liberi
però i mercanti di disporre delle merci nei giorni che la pre-
cedono, a cominciare dal 1. luglio, e nei giorni che la seguono,
sino ài 5 agosto (2).
Ma se andava guadagnando in durata, la franchigia - la
franchigia reale, ben inteso (3) - andava continuamente perdendo
(1) A teatimoniare la sua riconoscenza, il Consiglio decretava, 16 sett. 1744,
1' erezione in marmo dell' arma pontificia con acconcia iscrizione e in onore
del card. Antonelli un' opera di pietà ; 100 scudi annui da erogarsi in doti
per due fanciulle povere della città : Consigli, v. 60, e. 33.
(2) Decreti, voi. L, e. 70t-75 e 81-83.
(3) In quanto riguarda le persone, i pochi indizi offerti qua e là dai
nostri documenti ci mostrano che nel fatto è presso che caduta in disuso.
L' ha ben ricordata e confermata nella sua bolla 1744 Benedetto XIV, ac-
cennando ad essa colla formula vaga : « promissam sub fide publica securi-
tatem ». Ma più d' una lettera dei legati ci dà notizia di banditi o di ricer-
cati — anche per altri delitti che non fossero 1' omicidio e la ribellione —
ai quali era, doveva essere interdetto 1' accesso in fiera o che in fiera do-
— 366 —
ili efficienza. Quel jìiocesso di erosione, elie vedemmo iniziato
a suo danno e ]iortato così sollecitamente innanzi nel XV^II,
in questo XVIII continua ininterrotto, più vasto e più intenso.
E l'elenco delle merci, che sotto questo o quel titolo restano
escluse dal beneficio della fiancliigia nella fiera « franca », si
allunga ^utoiuaticaiuente, regolarmente, anno per anno, jier cosi
dire. Ai castellani eme;:iti^ alla comunità bisognosa, s' unisce,
buon terzo, lo stato protezionista.
Vero è che dei larghi redditi ritratti dagli svariati dazi la
comunità si vale per opere di pubblico decoro e utilità, delle
quali in definitiva si vantaggiano anche i mercanti. Vero anche
che la maggior i>arte dei dazi governativi, volti a promovere
questa o quell' industria, si giustificano - secondo le 0])inioni
del temjio, e non di quel tempo soltanto... - con un interesse
sui)erioie e generale. Ma la legittimazione <legli uni e la giu-
stificazione degli altri non tolgono proprio nnlla al gravame,
che coljiisce la merce un tempo esente e che, ormai allettata a
concorrere in fiera dalla sola sicurezza dell' esito, è pronta a
disertarla, appena la stessa sicurezza le si ofifra altrove. Nessuna
meraviglia quindi, se in questo secolo, che segna l'apogeo della
fiera, è possibile scorgere qualche segno di decadenza.
Dei tre iioteri, che esercitano cosi... prodigalmente il diritto
di imposta sulle merci in fiera, quello che non trova giustifica-
zione se non in un jireteso maggior lavoro, del resto lautamente
compensato dallo stato, è il solito emerito signor castellano. Le
regalie, che sulla fine del secolo si prelevano dai castellani su
10 voci — però largamente comprensive — nel 1725 col))iscono
53 articoli, minutamente specificati e nel 1730, ben 98. Dopo
quest'ultimo anno, non abbiamo più notizia di ulteriori... espan-
sioni.
Tra i prodotti più largamente rappresentati in fiera esse gra-
ve vano essere ricercati. Con tutta sicurezza, la franchigia personale ormai
non assicura più che i debitori contro i rispettivi creditori, nel solo caso,
tuttavia, che sia intervenuta sentenza di tutt' altro tribunale che quello spe-
ciale di fiera.
— 367 -
vano — in ragione dell' 1 % fuori di franchigia e ^/j ^/^ du-
rante la franchigia — a) prodotti della pesca in genere e i co-
piosi salumi in ispecie, recati nelle maggiori quantità dai Dal-
inatini ; b) legnami d' ogni sorta con 1' infinita dinastia degli
articoli derivati, che vejigono con Fiumani, Istriani, Veneti ;
e) frutta di tutte le specie, si fresche che secche, tra le quali
alcune di alto prezzo fmandorle secche, anici, cornino) e di evi
dente uso industriale, fornite più particolarmente dalla Puglia;
d) maioliche, sapone, formaggi, paste di Puglia, riso, tabacco,
« libàni - o lime (1).
Naturalmente piìi ricco e variato è 1' elenco dei ])rodotti e
delle merci soggette al dazio comunale dei colli.
Istituito, come sapi)iamo, nel 1650, per estinguere il debito
di 10.000 scudi romani contratto pei lavori portuari, e applicato
appunto alla cassa del porto^ doveva esso cadere, appena avesse
col suo gettito raggiunta la somma mutuata e i relativi inte-
ressi. Viceversa, la necessità di nuove spese indusse la comu-
nità a chiederne una prima e una seconda proroga durante il
(1) Regalie, v. 3», e. 170 e 328. — Nel solo periodo 2 giugno — 13 lu-
glio 1725, il periodo di preparazione cioè della fiera, il reddito delle rega-
lie fu di se. 104 : 88 ; compresi i giorni di fiera, di se. 216 : 90 : ivi e. 177
e segg. Dopo un' ultima causa, che si svolgeva ancora nel 1736, le regalie
non fornirono piìi occasione ad altre contese : i castellani continuarono a
prelevarle sino alla loro abolizions nel 1787. Quando anzi la celebrazione
della fiera è compromessa, i castellani non sono meno solleciti dei nobili del
consiglio a muovere in Roma... le pedine di cui dispongono. Per qualche
anno ancora continuò invece a far sorgere liti e contestazioni la questione
della aree, finché nel 1746, al tempo della prima ampliazione, il castellano
rinunciò alle aree di sua competenza sul Lungomisa, ma la Comunità si ini-
])egnò a corrispondergli annualmente ben 187 scudi ! Consigli, v. 62, e. 195t ;
Notizie Diverse, v. 30, e. 7.5. Trascuriamo le contese minori, sia per altre aree
secondarie, wia per la pesa, di che ci fan parola a ogni pih sospinto le
raccolte dei Consigli e delle lett. Avvoc. e Procur., e che ci dimostrano, oltre
1' insaziabile avidità di questi signori, la loro concezione della fiera - con-
cezione, del resto, comune a tutta la città: - una cuccagna cioè, una gran
curée, di cui fosse da stolti non profittare sino ai limiti del possibile,
— 308 —
secolo (1). Passò così in eredità al secolo XVIII e da questo,
pei' altre successive proi-oghe, sarebbe senza dubbio j)assato al
sec. XIX, se in buon punto la riforma doganale di Pio VI non
ne avesse fatto giustizia. Non basta. Nel 1719 subì un inaspri
mento, che lo portò senipliceinente al doppio : da un grosso o
mezzo paolo per balla o collo di 250 libbre, a due grossi, ossia
un paolo, ai)plicaiidosene 1' autnento alla cassa della comunità
per sopperire a spese occorse in quel torno di tempo e ad altre
a venire (2). Finahnente alle 141 voci, die ne risultano colpite
nello stesso anno, se ne aggiungono 38 altre nuove in un ri-
maneggiamento del 1259 (3). «
Il dazio dei c<dli, si ricoi-derà, coli' annesso dazio dell' « al-
boraggio » — un grosso ])er barca — non consente esenzioni
o riduzioni per fiancliigia o altri [ìrivilegi all' infuori di abboiui-
menti o accordi o anche agevolazioni, che agli appaltatori piac-
<'.ia di fare o acconsentire. E si jireleva senza distinzione da
tutte le merci che vengono per mare, anche se non soiu) con-
fezionate in colli^ anche se il collo o la qualsiasi quantità in-
trodotta non raggiunga le 250 libbre.
In base alla tariffa del 1719 e avuto riguardo alla loro im-
portanza in fiera, queste merci e prodotti possono essere distri-
buite nelle seguenti i)rincipali categorie, alcune delle quali, co-
me si vede, coincidono con quelle soggette a regalia :
1) legnami e og^jfetti di legno iV ogni forma e per ogni uso : tavole,
travi, doghe, botti, subbi, remi, timoni ecc. ;
2) salumi poveri : sardelle, sgombri, aringhe, saraclie, tonnina, aghi,
anguille salate, oltre ad anguille fresche e seppie secche ;
3) materie tessili e alcune poche confezioni : canapa, lino, lana, ca-
scami, e : cappotti, rascie di Fiume, corde, canovacci, calzette e fa
sce di cotone ecc. ;
(1) Nel 1675 0 1B92, e, lungo il XVIII, noi 1713 e 1732: rrivil. e Chirof/r.
Div., doc. N. 50, breve di Cloni. XII, 10 maggio 1732.
(2) Libro Fiera, v. 7, e. 47.
(3) Le relative tiriffe in Porto e suoi dazi, e. 18 e 19 e iu Repert. d.
Porto, foglio a stampa.
— 369 —
4) pelli gregge; di conce, i soli cordovani, e di confezioni, selle e
sc;uj)e ;
5) maioliche e vetrami ;
6) metalli utili da lavorare e lavorati: ferro, piombo, rame, lime ecc.
7) terre e vegetali da tinta : terra di Vicenza, nerofumo, vallonee,
scotano, campeggio. Terzino ecc. ;
8) resine ed essenze : pece^ pegola, catrame, trementina ecc. ;
9) arredi domestici : casse, sedie, canterani, quadii, specchi ;
10) grasce: carni salate, formaggi, burro, olio, riso, paste, vino;
11) frutta fresche e secche: agrumi, carrubi, mandorle, anici ecc.;
12) animali vivi ;
13) oggetti di giunco o di vimini : cesti, stuoie da letto, stuoini,
14) e tutta una folla d' altri articoli e prodotti i più eterogenei,
dal tabacco ai libri, dal sapone agli strumenti musicali, allo zolfo.
Ad esse la tariffa del 1755 aggiunge merci prevalentemente
e considerevolmente più ricche :
a) ai salumi : botarghe, baccalà, caviale, moscinianno, salmone,
stoccafisso, tara n tei lo ;
b) alle materie tessili: coton sodo e filato, stoppa di lino e di ca-
napa ;
e) e inoltre : pelli conce d' ogni sorta e in particolare suola, vi-
telli, vacchette ;
d) salami e mortadelle ;
e) zucchero, zibibbo, uva passa ecc.
Di questo « maggior dazio » comunale, an(ilie durante il
sec. XVIII, non ci son note che le corrisposte d' nppalto, due
terzi circa delle quali equivalevano sempre al gettito del dazio
stesso nel ])eriodo della fiera. Esse, in generale, continuano a
salire, ma il progresso non è così rapido né così considerevole
come nel 000: verso la metà del secolo anzi le aste si rendono
deserte.
Dopo aver rapidamente raggiunto e superato i 2000 scudi
in moneta d'Urbino durante l'ultimo ventennio del XVII, nel
primo ventennio di questo XVIII oscillano, con sbalzi irrego-
lari, tra i 2601 (nel 1707 09) e i 2205 (nel 1716 18). Raddop-
piatasi la quota per collo nel 1719, non per questo la corri-
24 — itti « Henorie della R. Dep. di Storia Patria per le March*. 1912.
— 370 —
sposta d'a[)i)alto risulta aumentata in proporzione: da un miuiiuo
di 4451 nel triennio 1722 24, raggiunge con lento aumento i
4784 nel 1734 36, per ridiscendere, nel 1738 40, a se. 4527,
che a moneta romana equivalgono a se. 3004. Risale ancora a
3101, moneta romana, nel 1742 44; ma nelle aste del 1745 e
1752 non si presentano offerenti e sino al 1563 il dazio è ge-
stito in amministrazione. Per 3800 scudi annui è di nuovo
affidato, non più però per via di appalto, alla gestione privata,
finché nel ventennio precedente la sua abolizion», 1768 87, il
suo reddito è calcolato in media a se. 3921:37 annui (1).
Ma soddisfatto all' obbligo verso il castellano, o verso il
daziere dei colli, o verso 1' uno e 1' altro insieme, una merce
introdotta alla fiera « franca », non sfugge ad ulteriori.... i)re-
mure del fisco locale. Se all' atto della vendita ha bisogno di
essere ])esata, paga il suo bravo diritto di pesa o alla comunità
o al doganiere, secondo che ha preso posto, in terra o col legno
in acqua, a destra o a sinistra della linea mediana del ])orto
canale (2): un baiocco per ogni 100 libbre, se trattasi di mer-
canzie ordinarie; dieci 1)aiocclii, per la stessa quantità, se trat
tasi di « generi fini, come seta, endaco, coralli, garofani, osso
di balena od altro •> (3).
Se, dal 1758 in poi, viene esposta in vendita in una qua-
lunque via coperta di tendato, paga all' appaltatore la tassa
(1) Ed ecco le cifre, conservateci in repert. d. Strumenti, e. 45, sino al
1738; Incanti, v. 3, 103t, 128 e 146; v. 4, e. 1 e 91t; Decreti, v. L, e. 167:
an. 1701 03, se. annui (mon. Urb.) 2507 au. 1728-30, se. (mon. Urb.) 4725
1704-06, » 2251 1731-33, » 4777
1707-09, » 2601 1734-37, » 4784
1710-12, » 2501 1738-40, » 4527
1713-15, » 2502 1742-44, » (mon. rom.) 3101
1716-18, » 2205 1745, asta deserta
1719-21, » 2257 1752, id.
1722-24, » 4451 1763-71, lic. priv. se. annui 3800.
1725-27,» 4602 1768-87. media annua, se. 3921:37,
(2) Avvoc. e Proc, v. 3, e. 79 e seg., N. 3 d. sommario.
(3) Raccolta di tutti gli editti che si osservano nella fera... di S., Pesaro,
1875, p. 37-8.
- 371 —
del tendato, in inisurti di venti baiocchi per ogni braccio lineare
occupato di spazio coperto; dal 1781, baiocchi venticinque (1)
e più tardi, ventisette e mezzo.
Se, venduta che sia, vuol essere estratta per terra, in qua-
lunque quantità, dal carico di 50 libbre che il compratore si
reca <;on se sulla carrozza o il calessino, anzi dalla « somella »
caricata a schiena d'asino, al carro da 2000 in 2400 libbre,
pajj;'a ancora alla comunità da baiocchi due e mezzo a baiocchi
venti (2).
E non è il caso di accennare qui ai pesi locali indiretti:
facchinaggi, senserie, fìtti e consumi, automaticamente e co-
stantemente anch'essi montanti, in ragione diretta del continuo
incremento, della sempre piìi larga richiesta.
I pesi locali colpiscono indistintamente merci estere e merci
dello stato. Con essi, premettemmo, vsi cumulano durante il-
secolo, dazi e gabelle camerali o governative, le sole che finora
abbiano rispettato la franchigia, e queste naturalmente gravano
merci e prodotti esteri. Così la serie, il cerchio delle limitazioni
alla franchigia reale si chiude presso che completamente; la
fiera, in altre parole, già innanzi alla metà del 700, non è i)iù
« franca », che pei non molti prodotti, che vi invia lo stato,
])er tutti quei prodotti dello stato cioè che vi pervengono i)er
via di terra: tutti gli altri incappano o nelle regalie, o nel
dazio dei colli, o in dazi doganali.
Dazi e diritti di stato i)resentano la netta distinzione in
fiscali e protettivi.
Della prima specie sono: 1") un mezzo paolo, che paga indi-
(1) Strumenti, v. 31, e. 153-6.
(2) È la famosa tassa sui carri, istituita il 1761, che per le perquisi-
zioni, gli abusi e gli arbitri cui dava luogo, laute proteste sollevò e non
ultima causa fu del pronunciamento anconetano del 1785, appunto allora
mitigata, poi nel 1787 soppressa con quasi tutte le altre: Deereti, v. J, e.
165-6 e V. L, e. 41.
— 372 —
stintamente all'approdo ogni barca insieme coU'alboraggio, 2) il
diritto di spedizioneria, di origine abusiva, clie si preleva - in
nua misura che nel 1763, pel ferro, è di bai. 25 per collo -
sulle merci estere in arrivo o in partenza, anche se chi riceve
o spedisce è il proprietario stesso o un suo delegato (1).
Numerosi invece, vari di natura e di durata, son quelli della
seconda specie. Parecchi preesistono al secolo; i i)iù risultano
istituiti nel secolo stesso. Quale si sia i)erò il tempo della loro
istituzione, tutti hau questo di comune: che si propongono di
avvivare le sorgenti della ricchezza pubblica; hanno la loro
origine e spiegazione, insomma, in un sistema di politica eco-
nomica, che in riguardo allo stato pontificio non è convenien
temente messa in luce e della quale pertanto abbiamo creduto
non affatto inutile occuparci nel capitolo che segue.
(1) Come dazio camerale, avrebbe dovuto couseiitire franchigia : così
infatti pensavano e i mercanti e il legato Salviati, che nel 1723 scrive al
luogot. di Senig.: « Sono a noi ricorsi alcnni negozianti di Pesaro sul timore,
« che da codesto doganiere possa pretendersi d' esercitare la privativa di
« spedizioniere, che ha ottenuto dalle sentenze di Koma, rispetto a quelle
« mercanzie, che essi mercanti medesimi, o da loro stessi o per mezzo dei
« loro ministri, accompagnano o conducono e ricevono in cotesta città per
« la fiera e di esiggerne 1' emolumento di spedizioniere, oltre li quattro
« soliti grossi per ogni carro di merci che s'introducono prima della fran-
« chigia, ed al loro ricorso abbiamo ordinato, che si osservi il solito :
« quelle merci, che per il passato sono state ricevute in città e in fiera
« dagli stessi mercanti che l'hanno condotte e fatte condurre, né sono state
« solite passare per la via di spedizione, non puole il doganiere soggettarle
« all'obbligo della spedizione... » Identico avviso ripeteva due anni dopo:
Decreti, v. D, e. 136t e 156. Lo stesso anche pensava nel 1763 il leg. Co-
lonna-Branciforte: Lettere di udienza, v. 121, e. 68. Ma i doganieri tennero
sempre duro e trovarono sempre a Roma chi dava loro ragione, special-
mente... quando avevano torto. Il perpetuarsi dell' abuso porta alla solita
consuetudine e questa... al riconoscimento legale: l'identica storia delle regalie
e delle aree, attribuite alla propria carica dai signori castellani. Non altro
titolo infatti che « l'antica consuetudine, anche più volte canonizata in giu-
dizio » sa addurre nel 1763 il doganiere, per prelevare la tassa di spedizione
di bai. 25 al collo sul ferro, non ostante che il ferro, oggetto d' appalto
camerale, goda franchigia da ogni altro gravame: Leti, d' udienza, v. 121,
e. 80 e 96.
Capitolo ìli.
La politica economica del governo e la fiera.
La tendenza protezionista e i dazi di protezione ani tessuti di lana e di seta
esteri. - La difesa della fiera contro il protezionismo e la minacciata soppres-
sione del 1736. - Altri dazi di protezione e privative. - La fine della franchigia.
■ - La riforma doganale di Pio VI e il definitivo ordinamento della fiera.
Dalla seconda metà del XVII in avanti, lo stato pontificio
pare preso, a tratti, da una febbre di rinnovamento, da un
ardore di instaurazione economica, clie, non priva di qualche
buon effetto pel paese, non resta senza conseguenze per la
fiera (1). Esso sembra fiimlmente sentire il peso e l'umiliazione
delle troppe braccia inoperose sulle sue terre, del grave debito
pubblico che l'oi)prime (2), della miseria della sua agricoltura
e delle sue industrie, di tutta insomma la sua vita economica
])rofondamente depressa. E vuol dare lavoro « ai poveri e alla
plebe », vuol introdurre industrie nuove e ravvivare le vecchie,
(1) Buone notizie su questo argomento, che meriterebbe di essere meglio
e più compintamente studiato, in De CuPis, L'annona di Roma, Roma 1911,
p. 292 e st'gg., Seghe, Manuale di storia d. commercio, voi. I, Torino 1913,
p. 416 e scgg., e, per gli anni tra la fine del XVIII e i primi del XIX,
Madelin, La Rome de Napoléon, Paris, 1906, p. 36 e segg. Per le dottrine
economiche e le riforme di Pio VI, ved. Kicca-Salerno, Storia d. dottrine
finanziarie in Italia, 2^ ediz., Palermo 1896, p. 366 e segg. A noi servono
principalmente i soliti docnm. dell' ant. archivio senigall.
(2) Nel 1751, sotto Benedetto XIV, che con legittima compiacenza si
vantava di non « aver incomodato d' un baiocco la Camera, eccettuato il
« nostro scarso mantenimento », il debito pubblico ammontava a « 60 mi-
« lioni di scudi romani, de' quali si pagano tanti frutti, che 1' entrata non
« arriva che per una stretta economia » : Lettere di Benedetto XIX all'aroi-
« diacono I. Storani, pubbl. da A. Maroni, Foligno 1885, p. 81.
— 5t4 —
bastare da solo, per certi prodotti almeno, a se stosso, tratte-
nere i)resso di sé il suo scarso denaro, che inevitabilmente esce
« agli esteri ». È per l'appunto questo il tempo che in Francia,
per opera del Colbert, fa il suo primo grande esperimento il
rovinoso mercantilismo, e alla sua influenza, meglio, alla sua
sfida, non può sottrarsi o restare indifferente neanche lo stato
dei papi.
Da prima è la industria decaduta della lana, che si vuol
risollevare, perfezionare, sviluppare. E, j^onti Beando Alessandro
VII Chigi, un editto 21 febbraio 1667, confermato a i)iù ri
prese sotto Clemente IX, proibisce infatti 1' introduzione nello
stato dei pannilani esteri, ad eccezione soltanto delle saie di
Fiandra e di Milano e di alcuni si)eciali tessuti di Olanda,
« in considerazione dell'uso e delle necessità del clero e della
curia ». Quindi un successivo del 12 marzo ingiunge « a mer-
« canti fabricieri e lavoranti dell'arte della lana per 1' avenire
<i debbino lavorare panni di qualità perfetta e migliore de'
« panni forestieri già proibiti » (1). Nello stesso tempo s' invi-
tano le comunità a dichiarare quali « arti » ossia industrie si
possano introdurre i)re8S0 di esse, di quali mezzi dispongano per
« porle in esecuzione » e sino a che punto abbiano bisogno
« dell'aiuto et autorità della sacra congregazione del Sollievo » (2).
Si pensa anche di invitare, a spese dell' erario, maestranze
dall'estero.
Se non che, fossero - come in ])osterif)re occasione - inte-
ressi minacciati che insorgessero, fosse - (!ome in Senigallia -
supina indifferenza, per non dire decisa avversione da parte di
l)rivati e di comunità, fosse 1' eterna scarsezza di numerario
affliggente lo stato ])ontitìcio, o infino qiieste ed altre causo
insieme operanti, il fatto è che il programma non fu attuato.
(1) De Cupis, op. cit., p. 357 e Bandi, e. 50, 51 e 96.
(2) Consigli, v. 42, e. 77 e 80t, 14 luglio o 18 ng. 1668. Con bolla 3 apr.
1669 poi Clemente IX assicura la nobiltà di Pesaro che 1' esercizio dell'arte
della seta non pregiudica ai suoi privilegi e prerogative, e Clemente X
estende la stessa... assicurazione alla nobiltà di tutto lo stato. Bullarium
romanum, v. VI, parte VI, p. 333 e v. VII, p. 124.
— 375 —
«.... Xel tempo di Alessandro VII e di Clemente IX - così uri
« memoriale di mercanti del 1708 a Clemente XI - si procurò
« tentare questa novità per l' introduzzione delle maestranze,
« ma esaminatesi bene le cose da quelli che avevano le mag^-
« glori esperieui^e del mondo e ritrovatala dannosa allo stato
« per tante conseguenze, fu tralasciata l'impresa... » (1).
Sulla fine del secolo stesso, senza per altro abbandonarsi il
proposito di rinvigorire l'arte della lana, è quella della seta, clie
pare attiri la maggiore attenzione del governo. E in questa
ripresa d'attività riformatrice, esso riesce a mostrare col fatto
il suo interessamento:.... rimette « sessantamila e piìi scudi »
nella erezione di setifici a Bologna e a Faenza, che dopo qual-
che anno, « per mancanza de' capitali », sarebbero « caduti a
terra » e nel 1708 avrebbero servito « a poco o nulla ».
Il poco incoraggiante precedente non distoglie però 1' urbi-
nate Clemente XI Albani (1700-1721) dal ritentare la prova,
ritentarla anzi su più vasta scala. Sono in genere tutte le in-
dustrie tessili — della lana, del lino, del cotone, della cana-
pa — che egli intende promuovere. Ma, disegnando valersi
anche lui e di sovvenzioni e di maestranze straniere, per pri-
mo tra i pa|)i vuol rijiunciare a quella che è l'arma tipica del
mercantilismo, le proibizioni, le quali del resto — ce ne assi-
curano le rijìetute bolle - come altrove, così nello stato pon-
tificio non han fatto che moltiplicare contrabandi e contra-
bandieri (2). E nel 1708 prepara e divulga un piano di riforma
economica, la cui novità è per l'ai)punto costituita da un uni-
co, uniforme diritto d' entrata del 12 % su tutti i manufatti
esteri, di cui intende promuovere la fabbricazione nello stato (3).
(1) Notizie diverse, v. 17, e. 103t.
(2) Bullarium romanum, v. XII, p. 309, bolla di Bened. XIII, 1728, che
ne richiama ben altre quattro di predecessori conti o i contrabandieri.
(3) Detto diritto si prelevava già sui manufatti esteri alle dogane di Roma;
si trattava dunque di estenderlo a tutto lo stato, unificare cioè le dogane,
ciò che non riuscì che a Pio VI, nel 1786. Ma oltre a questo intento, il
disegno di riforma — ci apprende un memor. a stampa Alla S. di N. S.,
P. Clemente XI, per li mercanti e negoz. d. et. eccles., in Not. div., v. 17,
376
L' attuazione di un tale disegno, che « sconvolge 1' ordine
economico con cui per tanti secoli si è vissuto », che espone
l'erario a rischi come quelli dei setifici di Bologna e di Faenza, che
sopratutto offende interessi consolidati e imperniati attorno al
vecchio, complicato, babelico sistema delle dogane è vivace-
mente combattuto dai « uìercanti », cioè esercenti delle indu-
strie tessili, e negozianti dello stato. I quali, in un lungo me-
moriale — cusioso e tipico impasto di princijn audacemente
liberisti e di tendenze ferocemente conservatrici - si movono
a vsostenere e, con esempi recenti e vicini, a dimostrare « l'in-
susistenza et impossibilità di potersi effettuare » (1) e di dazi
e. 99-106 si propone di sviluppare, all' ombra della protezione, le indu-
strie interne. « Un simile «lazio — premette detta interessantissima memo-
ria — non Tia altra mira che 1") di ovviare alle fraudi che giornalmente si
fanno in pregiudizio delle dogane di Roma, attesa 1' apertura di molti fon-
dachi fatti nelle vicinanze », 2") « 1' introdnzzioue delle Magistraiize di
quelle robbe, che conviene provedere dalli stranieri », 3") « la i)roibizione
d' introdurre le merci estere dentro lo stato » , 4") ottenere che « la moneta
pontificia in congiontara di tali trafichi non possa uscire, ma debba restare
nello stato ».
(1) Elencati gli scopi che il progetto di riforma vuol raggiungere (ved.
nota preced.), 1' interessante memoria osserva : al 1°, che è troppo si)ropor-
zionato al mezzo escogitato : a impedire le frodi alla dogana di Koma, ba-
sta 1' esatta e severa applicaz'one dei relativi editti. Ì5 ingiusto inoltre trat-
tare lo stato alla stregua di Roma, che i tessuti forastieri destinati a Roma
non 8on gravati di altre spese che di quelle minime del trasporto j)er mare
e, per la larga dìsponibilitii del denaro, vi sono subito esitati ; mentre quelli
destinati ad altri luoghi dello stato, son gravati di spese di trasporto per
terra, via via piti elevate, secondo la distanza da Civitavecchia e da mol-
teplici dazi ; hanno un esito stentato ; debbono spesso girare ancora per
le fiere. — Sul 2°, che 1' introduzione di maestranze forastiere richiede
l'anticipo, anzi il rischio, di larghi capitali, « cui l'erario apostolico esau-
sto non può in conto alcuno soccombere » e, in ogni caso, dev' essere
preceduta, come si è fatto in Toscana, dall'istituzione di consolati, collegi
e università, coi loro privilegi, con capitali e conoscenze tecniche e deve
trovar nello stato sussidio di materie prime, mentre « il bombace non
</i vi nasce, i lini sono ordinari e pochi, le lane sono in gran parte
« di qualit.\ inferiore e non bastanti e le sete ognun sa che vengono ancora
« oggi in maggior copia da Napoli e da altrove ». — Sul 3" : la proibizione
— 3f7 —
})rotettivi, nei nostri documenti, per vari anni, non troviamo
])iù cenno. Anzi, sulla fine del pontificato dello stesso Clemen-
te XI, avvertiamo nn ritorno alle proibizioni mercantilistiche
pure e semi)lici (1).
Ma ormai il principio è posto : le proibizioni assolute, al
r intento che è loro ])roposto, si rivelano ancora e costante-
mente inefficaci, e sotto il imntiticato di Clemente Xll Corsini
(1730-1740) trionfa decisamente la tendenza protezionistica. Da
questo tem])o in poi, dazi che hanno il conscio, dichiarato,
])reciso scopo di proteggere contro la concorrenza estei'a le in-
dustrie dello stato, costituiscono il numero d' obbligo dei prò
grammi d' azione economica di quei pontefice, che, tra le furiose
couipetizioni coi principi riformatori, han tempo e modo di at-
tendere alle miserie del loro temporale. Non con questo che
non si ricorra più, luugo il secolo, alle famigerate proibizioni.
Ne troviauio anzi, per così dire, ad ogni pie sospinto; lua, o ri-
vestono carattere di provvedimenti suntuari (2), o son liuiitate a
iV introdurre merci estere provoclierà rappresaglie da parte degli stati colpiti,
con danno, per lo stato, ben maggiore che (piello della concorrenza. « L'eB-
« sere stato interdetto il commercio alla Francia, alla Spagna con le parti
« marittime dell' Inghilterra, Olanda e 1' altre provincie, che rovine non ha
« ap])ortato a questi regni ?... Quanti fallimenti sono segniti in Londra, ii
« Parigi, et in altre piazze di bancherotti ricchi di trenta e più milioni!... »
Passando sotto silenzio il 4" jmnto, la memoria conclude, prospettando la
« rovina totale », che la j)rogettata imposizione del 12 "/q recherà alle fiere
dello stato pontilicio, « nelle qnali consiste il maggior risalto della n(^gozia-
tione di esso ».
(1) Dk Cupis, op. cit., p. 3.59.
(2) Nei nostri documenti son chiamati la « prammatica », ripetntamente
prescritta nel secolo. Così il legato al luogo t. di Senig., 3 agosto 1703: « De-
« siderando sommamente la S.tà di N. S. per solievo de suoi sndditi s'intro-
« duca la Pragmatica per esimerli volontariamente dalle spese superflue...
« vi ordiniamo di partecipare a cotesti Comunisti questo benigno sentimento
« della medesima, aiinehè dal pnblico magistrato e consiglio si rifletta seria-
« mente qual riforma e moderazione di lusso possa costì stabilirsi... » :
Lett. d' ud., V, 41, e. 88. Merci proibite dalla prammatica, ammesse però per
speciali concessioni alla fiera, erano « robbe con oro ed argento filato »,
ermellini, zibellini, lupi cervieri, gioie di alto prezzo: ivi, v. 95, e. 70;
Decreti, v. D, e. 280 ; Consigli, v. 50, e. 186 e segg., v. 57, e. 255.
^ _. 378 —
favorire, più che questa o quella industria in genere, questo o
quell' industriale in is))ecie, entro i confini di una o jiivi jiro-
vince dello stato, quasi mai entro i confini di tutto lo stato :
si trasformano insomma in privative, delle quali jìure avremo
a vedere.
Intanto sotto Clemente XII è una vera gragnola di dazi
protettivi. Con editto del tesoriere 31 maggio 1731 si coliù-
sce del 20 °/o la vendita < clie i uiercanti esteri .... faranno,
« anco in tempo di franchigia, alli mercanti dello stato eo-
« (desiastico, delli i)anni dell'Isola, Arpino, Piedimonte, Cer-
« reto di Régno, Morcone, alti e bassi; panni di Germania e
« Francia ordinari, detti di Sebro, C^arcassoni, di Bristol e del
« Nort; delle rascie di Bergamo e salmicchi, e di ogni altra
« specie di panni di valore sopra li scudi quattro e sotto li
« cinque la canna, come ancora dei veluti e damaschi fora-
« stieri ». Con altro del 1 maggio 1736 si sottopone a un di-
ritto del 12 ^/o la vendita delle fettucce di tutta seta fabbricate
fuori dello stato. Con un ultimo infine, 20 marzo 1738, si gra-
va del 10 °/q la vendita, entro lo stato di v< stoffe e drappi ed
•' ogni altra manifattura di seta lavorata fuori dello stato non
« eccedente il valore e prezzo di scudi sei la canna » (1).
Dato il fine loro proposto, questi dazi non consentono ec
cezioni né per privilegi di persone né per franchigia di fiere.
Se quindi Senigallia si agiti per conservare alla sua fiera quel
che le è rimasto di imnninità, 1' esenzione dai soli dazi ca-
merali, non è bisogno di dire. E assistiamo a episodi di vera
e proiu'ia lotta tra protezionismo e liberismo, tra interessi che
vogliono essere, e in quel momento sono, generali, e interessi,
che potrebbero essere generali e sono i)articolaristici. Senijìallia
difende a tutto potere la libertà commerciale per la sua fiera,
che sottoposta al regime comune di vincoli, restrizioni, proibi-
zioni, non avrebbe più ragion d' essere. Il governo di Roma,
con altrettanto fervore, i)ersegue il suo disegno di avvivare
(1) Libro Fiera, v. 1°, e. 58.
— 379 —
e intensificare le industrie dello stato, die all'infnori della prò
tezione non vede come possano reggere alla concorrenza estera.
E tra i due, i)er quanto si venga a compromessi, non è
assolutamente modo a intendersi. La fìeia, in conseguenza, en-
tra con queste lotte nel periodo j)iù critico della sua vita.
Giacché, a un certo momento, non solo per lei è questione di
lib«^rtà, ma di esistenza addirittura. Non ostante, infatti, le
gravi restrizioni recate alla franchigia, i prodotti esteri si osti-
nano, per mezzo della fiera, a penetrare nello stato e, viceversa,
il denaro dello stato a uscirne: bisogna quindi sopjirimerla. E
di s()pi)rimerla i)er l'appunto si pensa^ per la prinia volta sotto
i i)api, in questo decennio (1730 1740) del pontificato di Cle-
mente XII.
Pubblicatosi il primo dei tre editti ricordati, nel maggio,
quando di solito gli inviti per la fiera sono diramati, a Seni-
gallia non dovè riuscire diffìcile ottenere, come ottenne, che le
merci « proibite », cioè colpite del 20 7oi fossero ammesse, a
quella fiera 1731, « per transito »: ossia introdotte e contrat-
tate liberamente^ salvo a pagare il dazio, se dalla fiera pas-
sassero in altri luoghi dello stato o, a fiera finita, restassero
in città (1).
Le difficoltà cominciarono l'anno dopo. Senigallia chiedeva
non già il semplice temperamento <lel 1731, ma il riconosci
mento esplicito e integrale del suo secolare privilegio. Papa
camerlengo e camerali, invece, consideravano dannoso, inconci
liabile coli' interesvse dello stato quel modesto temperamento
disdegnato da Senigallia. Il cjimerlengo - scriveva da Koraa
31 maggio 1732 l'avv. Martini al magistrato cittadino - « non
« sapeva capire qual'interesse potessero avere lor signori in
« questo negozio, se non fosse il volere indirettamente tener
« mano ai contrabbandi ed eludere gli ordini di S. fe.tà e de'
(1) Avvoc. e Proeur,, t. 4° e. 16 e 17.
_ 380 —
« superiori. E pur più e più volte gli ho fatto toccar con mano
« 1' interesse grande di lor signori, senza neppur pensare a
« contrabbandi; ma questo benedetto signore cammina con un
« principio, che non gli si può levar di testa, ed è che la fiera
« sia piuttosto di grave pregiudizio al paese e allo stato, che
« di vantaggio... Fui ancora dall' Ecc. Banchieri segretario di
« stato e appunto mi divsse che il papa su questo ])unto starà
« forte e (die il detto card, camerlengo, per le cui mani voleva
« N. S. che si passasse, era anche più fisso e più fermo » (1),
Ma agli uffici del modcvsto avvocato unisce le sue validissime
istanze il card, legato Salviati, e camerlengo e i>apa si piegano
a concedere di nuovo ♦ la introduzione delle merci proibite per
puro transito ». Il legato insiste ancora: camerali, camerlengo
e papa calano ancora all'estremo delle concessioni: la città, per
quel 1732, può far la fiera « con tutta quanta la libertà » (2),
come se l'editto 31 maggio 1731 non la riguardi.
Ohe avvenisse negli anni immediata?nente successivi, non ci
è noto. Allo stesso modo non ci risulta che contro il dazio del
12 7o sulla vendita di nastri, velluti e drappi di seta esteri
(1736) la città facesse grande opposizione. Pare anzi, che, fa-
cendo buon viso a cattiva fortuna, si limitasse a chiedere, certe»
ottenne, che l'esazione non fosse vessatoria (3).
Ma per ben altro va segnalato quel 1730 nella storia della
fiera. Da due giorni appena s'erano iniziate e fervevano intense
le oi)erazioni commerciali, quando d'improvviso - 16 luglio -
si sparse la voce emozionante « che in Roma si stava pensando
« di i)roibire per sempre la fiera come dannevole allo stato
« ecclesiastico, e che talvolta quella sarebbe stata l'ultima che
« si celebrasse in Sinigaglia. Non potè tal voce se non produrre
« in tutta -quanta la mercatura d'Europa e di parte dell' Asia
« ivi radunata, un dispiacimento e sconvolgimento tanto sen-
« sibili, che i)arevano tutti sbalorditi, ed in ispecie gì' Italiani
(1) Ivi, e. 15.
(2) Ivi, e. 16, 17, 19.
(3) Ivi, e, 99 e V. 5», e. 34.
— 381 —
« e sudditi <li S. Chiesa, quali uuitaniente coll'Oltrauioutaiii et
« Oltrcniaiiui andarono a truppe a palazzo, per pregare i Ma-
« gistrati della città, ad oggetto che scrivessero a Roma, per
« rendere informata S. B.ne di questa gran novità, e per sin-
« cerarla della insussistenza di cotale calunnia, dicendo essi
« die talmente è lontano dal vero, apporti allo stato ecclesia-
« stico danno alcuno la fiera di S. Maria Maddalena, che all'in-
<' contro rende al medesimo incontrastabile vsollievo e decoro... (1).
A parte lo sbalordimento della mercatura, è un fatto che
in città la « strepitosa risoluzione ■> produsse emozione pro-
fonda. « Proibire la fiera era distruggere la città di Senigal-
lia ». Immediatamente si adunano gonfalonieri e nobili del
consiglio; si spedisce a Pesaro, al legato i)er invocarne prote
zione e averne facoltà di provvedere, spendendo come la gra-
vità del caso richiede: si delibera di raccogliere dai mercanti,
prima che i)artano, dichiarazioni « confacevoli alla verità et
intento » ; si affida ad una commissione speciale « l'incarico
di procurare ogni mezzo per ottenere il mantenimento della
fiera ». E la commissione scrive a destra e a sinistra, a mon-
signori influenti e a cardinali amici; raccoglie attestati — su
traccie appositamente inviate — da città e da mercanti dello
stato; incarica uno dei suoi, 1' avv. Giov. Paolo Monti, di re-
digere una memoria storico economica sulla fiera (2).
(1) Memoria del Monti, e. 6, in Libro Fiera, v. 7".
(2) Libro Fiera, v. 1°, e. 2 e segg., ove seguono, e. 1.^-39 risposte fli
cardinali e di città. Alcune di queste (Faenza, Fano, Iesi, Fabriano, Assisi,
Camerino e S. Severino) sono favorevoli senza condizioni ; altre (Imola, Ce-
sena, Macerata), favorevoli con riserve ; altre ancora (Osinio, Recanati, Ascoli,
Montalto) rispondono evasivamente; Perugia si disinteressa. Le dichiarazioni
ufficiali delle stesse e di altre città dello stato, quasi tutte importanti per
notizie sulle loro industrie, e quelle dei mercanti, pure dello stato, sono rac-
colte, quasi in forma di appendice alla memoria del Monti, in Libro Fiera
V. 7", Ct 77-131 e 147-271. — La notizia della soppressione della fiera era
stata comunicata in via ufficiosa dall' agente Clementini all' avv. Monti e
non ai gonfalonieri, solo « per non eccitare confusioni ». L' impressione però
non ne fu men viva e dolorosa: Avvoc. e Procur., v. i", e. 100; Giornale
del Pesaresi, v. 2**, e. 75.
— 382 —
Glie e' era di vero nella grave « diceria » ! Notizie esidicite
non ce ne son pervenute; ma in congregazione camerale —
riferiva il card, segretario di stato a mons. Antonelli — s' era
di fatti parlato della fiera; « ma non si era mai risoluto di
])roibirla uè si era per fare simile cosa ». Se n' era ])arlato
e, si può esser sicuri, non con animo ben disposto. « Ogni
qual volta — a questione già cliiusa scriveva ai gonfalonieri
lo stesso card, segretario con toscana compitezza — ogni qual
« volta abbiamo elleno dimostrato... che la fiera sia di pro-
« fìtto e di vantaggio non solamente alla città, ma ancora a
« tutta la Provincia, non poteva esservi dubbio che N. S.
« avesse mai proibito il bene de' suoi dilettissimi sudditi » (1).
La cosa i)ertanto finì lì, senz' altre conseguenze immediate, che
la viva apprensione dei senigalliesi e qualche inevitabile mi
sura di prudenza adottata dai mercanti. Dei quali, « pochi si
« sono rischiati a dar le loro merci a credenza, confoime il
« solito, e molti anno sospeso di fermar case, botteghe e ma
« gazzini i)er un altr' anno » (2).
Il danno che da tempo, abbiam premesso^ si attribuiva alla
fiera dagli uomini del governo di Roma, consisteva in ciò, che,
permettendo o facilitando l'introduzione di inodotti esteri nello
stato, impediva e ostacolava lo sviluppo di industrie similari
interne e in conseguenza, determinando 1' uscita del deiìaro
dallo stato, lo impoveriva semjìre ])ivi. 11 motivo è continuamente
ripetuto lungo il secolo, e invariabilmente controbattuto da
tutte le menìorie comj)ilate a difesa e celebrazione della fiera.
Ne apre la serie quella stesa dal Monti in questo 1736.
— Dato che non omnis feri omnia tellus e che i sudditi
pontificii, se vogliou vivere da uomini civili, debbono, come
tutti gli altri poveri mortali, fornirsi di prodotti e manufatti,
che lo stato non è in grado di dare, la fiera non solo non è
di danno, ma anzi è di vantaggio, in quanto mette a loro dispo-
sizione, con risparmio, con larga libertà di scelta e in regime
(1) Libro Fiera., v. 1", e. 5 e 14 e v. 2°, e. 276.
(2) Giornale Pesaresi, v. 2", e. 80.
— 383 —
di concorrenza, tutti quei prodotti esteri, di cui hanno bisogno.
E lungi dal favorire 1' esodo del denaro dallo stato, la fiera
attira anzi il denaro estero, sia sotto forma di utili delle
contrattazioni, che si fanno entro lo stato, sia sopratutto me
diante lo scambio che essa facilita tra denaro estero e produ-
zione interna. Non è « la poca moneta de' sudditi ecclesiasti-
ci », che circola in fiera; essa « non forma neppure la cente-
sima paite ». Sono « le gran borse di zecchini, ongari e dop-
« ])ie, che vuotansi da quei del Litorale Austriaco, Veneto e
« Turco, da Greci dell' Arcipelago, da quei di Cefalonia, di
« Corfù, del Zante e di Costantinopoli, di Lucca e della Tosca-
« na, nelle botteghe de' nostri mercanti pa[>alini . . .; è il con-
« tante de' Regnicoli e della Lombardia... ».
Le buone ragioni del Monti — c'è bisogno di dirlo? —
non hanno efficacia di distogliere il governo di Roma dall' in-
tento propostosi e neppure di creare alla fiera, la cui sorte
resta sospesa sino alla costituzione benedettiana (1744), almeno
un regime, un ordinamente compatibile col nuovo indirizzo
di politica economica e rispettoso delle sue ragioni. E si pro-
cede ancora con espedienti e compromessi.
Nel marzo 1738, vedemmo, si colpisce del 10 7o '«^ vendita
nello stato di tessuti di seta, non eccedenti in valore sei scudi
la canna. Neanche il nuovo dazio non comporta franchigie. Se
nigallia invece ottiene anche una volta l' ammissione « per
transito » (1).
(1) Avvoc. e Procur., v. i°, e. 124. — Preziosa informazione sulla sa-
pienza onde questi dazi erano preparati e 1' arte di eluderli, ci offi-e il se-
guente passo di lettera dell' agente Sindone al gonfalon., Roma 10 maggio
1738 (ivi, e. 126): «... Per buona fortuna mi son oggi incontrato in uno
«e (che non vuol esser nominato) — ma che è un « deputato » della congregaz.
« sulle dogane — il quale dopo avermi palesato gl'infrascritti segreti, mi ha
« anche dato 1' annesso consiglio, che lo stimo assai utile. Il secreto è che
« il bando è stato fatto a suggestione di uno, che non sa dove ha la testa,
« e gì' istessi camerarii s' accorgono, che in cambio di render utile, renderà
« gravissimo danno per diversi motivi : cioè che sarà fraudata più che non
« prima la dogana, e già in Roma ve ne sono le prove. In oltre, che non
— 384 —
Mh finalmente anche la paterna longanimità del governo
l)a|)ale lia un limite. Nel successivo 1739 un ordine perentorio,
declinato dal prefetto del buon governo al legato e dal legato,
per la trafila del luogotenente, al magistrato cittadino, ingiunge
di « apporre negl' inviti, die secondo il solito si mandaranno
« fuori per la celebrazione di codesta prossima fiera della Mad-
« dalena,... l'espressa dichiarazione che i mercanti esteri, i)er
« la vendita che faranno etc..,. », dovranno pagare a norma
degli editti 1731, 1736 e 1738, « affinchè... non abbiano ad
« allegare il solito titolo di buona fede, derivata in loro da-
« gì' inviti fatti liberamente e senz' alcuna riserva negli anni
« scorsi, uè possino addurre ignoranza delle imposizioni mede-
« sime, pubblicate d'ordine esy)resso di N. S. » (1).
L'ordine non ammette replica. Ma, i)roprio la città dev'essere
a nabottare con quella dichiarazione la sua fiera? La paternità
governativa liconosce anche lei che è un chieder troiijx) e su
questo punto lascia correre. « Mi sono indotto, non senza
(]ualche renitenza, a consentire che non si alteri la detta for-
inola d'invito »: i mercanti saranno informati in fiera.
Ma quanto all'altra richiesta, che in pari tempo Senigallia
ha ])resentato, « liberare la franchigia medesima dalle sudette
nuove imposizioni », questo, assolutamente no (2). Invano Se-
« essendovi nello stato lavori di seta sufficienti, o se ne patirà gran penuria
« o bisognerà prendere risoluzione contraria. Iteni, che attese queste difficoltà
« quantunque il bando sia stato pubblicato li 20 di marzo, nientedimeno
« sopravencndo da Napoli li 20 aprile gran quantità di calzette e altre sete,
« e dicendo i marinai haverle portate sub bona fide, senza aver avuto noti-
« zia del bando, bisognò farle passar libere da questo dazio, et in appresso
« usque ad presentem diem per 1' i stessa raggione della mancanza della robba,
« si è sottomano minorata la gabella, in contravenzioue del bando, dall' i-
« stessi ministri camerali ». L'annesso consiglio è... di russare: il bando en-
tra in vigore nei singoli luoghi 15 giorni dopo la sna attìssione : i gonfalo-
nieri aspettino dunque che sia anche colà affisso ; si sarà alla vigilia della
fiera; le merci saran già venute ; quelle che verranno dopo potranno invocare
la... bona fide e la gabella non le colpirà.
(1) Libro Fiera, v. 1", e. 58.
(2) Lett. d'udienza, v. 99, e. 81.
— 385 —
nigalli.i i)r<>trae insistenze e sni^pliche; invano vanta le inesi-
stenti benemerenze dei «ìnchi e il favore dei j)ai)i preileeessori;
invano anclie mostra iL danno, che alla fiera, alla città, allo
stato deriverà dall'ai)pIicazione delle {jravi glabelle. « Basta il
« considerare che. nel tempo die li mercanti nell' angustia di
« soli 13 giorni,... nelhi ])rodigiosa. continenza di grandissimo
« ])opolo, nella strettezza di sito che si soffre in tempi cal-
« dissimi, invece di attendere a' loro traffichi, debbono ai)pli-
« carsi a soffrir esami, constituti, processi, onde riconoscere la
« qualità delle merci, il loro giusto prezzo, d'onde venghino e
« da che mani deiivino, cose tutte impraticaVuli in quei po-
« cliissimi giorni (1). Se dunque Vostra Santità ama lo stabi-
le limento ed ampliazione del commercio... è supplicata umilis
« simamente a compiacersi di ordinare che la esazione mole-
« stissima di essa gabella del 10, Ili e 20 per cento resti
« sospesa ])er li soli tredici giorni, che dura il ])rivilegio e la
« franchigia, tanto piìi che il fine del dazio egualmente avrà
« lo stesso effetto, mentre jìossono obbligarsi quelle merci me-
« desime, che introdotte sono nelli tredici giorni di franchigia,
« o che restino nella città o che si diffoiidino per lo stato
« ecclesiastico, a pagare allora quel pcvso, dal quale solo per
« rendere il commercio e privilegi di fiera intatti, saranno
« esentate » (2).
Il fine, che il governo si ripromette, non è assolutamente
(1) Auche il vice-doganiere in una sua scrittura 1708 contro la gab. d.
12"/,,, era ricorso, tra gli altri, a questo argomento dell' impossibilità mate-
riale, anche con numeroso personale, di procedere iUla verifica, stima e bol-
latura delle merci estere recate alla fiera : « ancorché la Rev. Camera de-
« putasse trenta ministri... tutti i soddetti ministri non potrebbero supplire
« in due gioinii m un solo negotio, a seguo tale che sarebbe terminata la
« fiera prima che si fossero stimate e bollate le mercantie soggette di soli tre
« negotii, nò in una sola settijnaua supplirebbero alli soli uegotii di B«r-
« gamo, Verona, Padova; altrettanto tempo richiederebbero li uegotii di
« Foligno ; molto maggiore ne vorrebbe il solo Ghetto, dove concorrono
« ebrei d'ogni parte con mercantie tutte sottoposte... »: « Motivi controia
« gab. del 12 per 100 » in Not. Div., v. 17, e. 83-86.
(2) Libro Fiera, v. 1°, e. 74 e segg.: meinor. al ptipa.
25 — itti e Venorie della R. Dep. di Storia Patria p«r le Marcke. 1912.
— 386 —
quello che Senigallia si ostina a credere. « II fine di N. S.
« nell'ordinare la esigenza delle gabelle non è stato di facilitare
« 1' introduzione delle merci estere, o di volere che le dogane
« facciano un pingue introito; ma che in opposto sia 1' introito
« stesso tenue, non facendosi l'introduzione delle merci estere,
« affinchè abbiano sempre maggior progresso le arti di seta e
<' di lana lavvivate nel suo stato ». E ancora: «.... ha recato
« meraviglia... che (i gonfalonieri di Senigallia) non capiscliino
« il loro vero e proprio interesse e che si lascino così sedurre
« da' mercanti forastieri. In effetti, come può credersi che la
« disi>osizione del 12 per cento non sia utile ai mercanti dello
« stato ecclesiastico, quando i mercanti di Venezia e di Livorno
« ne mostrino tanto risentimento? (1)
In breve, questa volta il governo tien duro; le tre gabelle
son prelevate; la franchigia è ormai dal governo irremissibii
mente annullata in confronto di i)rodotti della maggiore impor-
tanza commerciale, delle manifatture estere cioè di lana e di
seta.
Vero è che, parecchi anni dopo, il dazio del 12 " q, imposto
nel 1736 sui nastri di seta esteri, è revocato (2). Vero anche
che, nel 1760, da quello del 20 % sui panni di lana esteri, vso
no esentati i panni detti « saguni » (3). Sta di fatto infine
(1) Lett. d'udienza, v, 99, e. 85; Libro Fiera, v. 1", e. 71. A sua volta
Senigallia grida all'ignoranza del governo e dell' opinione pubblica romana,
« in materia di utilità publica che dal commercio e fiera si ricava » ; Libro
Fiera, v. l». e. 70, lett. Baldassini 6 giugno 1739.
(2) L'ultimo accenno ad esso è in una scrittura sul danno delle priva-
tive datata dal Pesaresi del 1750, in Miscellanea, v. A., e. 55. Forse allude
precisamente a questo dazio, facendo però confusione di data, un inciso di
relazione consigliare 25 febbr. 1758 contro un nuovo dazio del 15 ^/q sopra
le mercanzie di Levante e Ponente introdotte con legni battenti bandiere
estere e che afferma : « n«l 1738 si emanò da Roma una gabella di un do-
deci per cento simile a quella del 15 p. cento... e si ottenne, dalla Sag.
Congregazione del commercio del Porto Franco di Ancona, la deroga di quella,
mediante un ricorso di più Piazze e di parecchi mercanti »: Consigli, v. 63 e. 238t.
(3) Dal sagum latino? — Lett. d'udienza, v. 118, «. 126.
— 387 —
che nel 1785 — forse a datare dal 1777 (l) — troviamo in
vigore due soli dazi doganali sn tessuti esteri : uno, del 25 ^o?
sui tessuti (ini, « sete, calancà ecc. », e un altro, di uno scu-
do la pezza, sui panni ordinari (2).
Ma il cerchio delle i(istrizioiii s' è andato nel fratteni])o
(ìontinuamerite rinserrando intorno alla franchigia, sia mediante
le numerose i)rivative di vecchia o iiuova istituzione, sia me
diante la i)rotezioue, estesa dalle industrie ai trasporti marit-
timi.
« Le privative... sono appunto quelle che vanno disviando
« il concorso de' negozianti e la fiera medesima, in modo che
« al giungere di jìoco in poco... si conosce manifestamente
« che la fiera va a declinare... L' istesse privative riescono
« altresì pregiudiciali a tutti i sudditi dello stato, e solamente
" utili ai particolari, che le im])etrano, mentre la esperienza
« di più anni fa toccar con mano il disvantaggio universale...
« sì per la cattiva qualità delle robbe, sì per i prezzi piìi ri-
« gorosi, sì finalmente ])er la necessità di dover per forza ca-
<< dere in mano di quell'unica bottega che le vende..., coar-
« tandosi in tal guisa la libertà de' poveri com))ratori in poter
« scegliere le dette robbe a lor piacimento e sentirsi dire con
« comune ribrezzo: — O vi i)iacoia o non vi piaccia, ne vo
« gliamo tal prezzo, e quando non vi aggrada", andate ad altro
« fondaco, se vi dà l'animo. — E questa è la ragione per cui
« la fiera si diminuisce, perchè la gente non viene... » (3).
(2) In questo anno infatti il più recente storico di Pio VI, Gendry,
Pie VI, Paris, 1905, v. I, p. 131, ci informa che il neo-pontefice colpisce
d'un' imposta del 24 *>/o tutte le stoffe estere.
(2i Raccolta di tutti gli editti... nella fiera, p, 37. Ma sta anche di fatto
che noi 1740 risulta proibita 1' estrazione dallo stato, e quindi anche dalla
fiera, delle « bassette o pelle ajrnelline »: Relaz. fiera 1740, in Libro Fiera,
V. 2., e. 282, e nel 1760, 1' introduzione dei lini forasticri conci : Leti,
d'udienza v. 118, e. 142.
(3) Miscellanea, v. A, e. 55.
— 388 -^
E questa ariclie è la ragioue per cui Senigallia, sempre tenera
della sna fiera quando ne veda conipromtìsse le sorti da altri
che da lei, combatte le privative e i conseguenti monopolii.
Non è il caso di entrare in particolari suU' argomento, che del
resto nei nostri documenti non abbondano. Basti accennare
che — non ostante l'opposizione di Senigallia, talora fian-
cheggiata da altre città, compresa la rivale Ancona (I) — i)ri
vative e mono^jolì, lungo questo XVIII secolo, spuntaao...
come funghi.
Quasi sempre e quasi tutte sono concesse a privati e, pel
prodotto cui si riferiscono, alcune si estendono a una sola pro-
vincia— quella diella carta, ad esempio, è limitata alla sola lega
zione d' Urbino - ; altre — come quella sui vetri d' una fab-
brica di Pesaro — a inii province; quella sola delle spille
d' Urbino risulta estesa a tutto lo stato. Ma, più o meno estese
territorialmente, quasi tutte, come il passo su riferito ci infor-
ma, si esercitano -- in evidente violazione del privilegio di
franchigia - anche in fiera, nella quale pertanto limitano o
eliminano addirittura, colla libertà commerciale, la concorrenza,
relativamente al prodotto che ne è oggetto.
Così, dal 1703 al 1773 — entro la legazione e in fiera di
Senigallia — è privativa della cartiera di Fermiguano d'Urbino
la rivendita, insieme con quella di sua fabbricazione, della carta
forastiera, la quale invece nel 1785 è assoggettata a un dazio
doganale del 12 'V^ [2).
(1) Nel 1728 promove una larga agitazione vittoriosa contro la progettata
gabella del ferro, cui partecipa in prima linea Ancona e parecchie altre città
così della Marca che della legazione d'Urbino: Xot. div., v. 17, e. 109-27;
Leu. d. Comunità, v. 1°, e. 98-105 ; Lett. udienza, v. 89, e. 31, 107, 118-21.
Il 1748 ricorre contro quella delle vallonee, sollecitata dal Trionfi e dal
Morpurgo d' Aucoua, Consigli, v. 61, e. 124. Nel 1760, contro quella della
canapa, sollecitata parimenti da negozianti di Ancona : Avvoc. e Procur., v.
8, e. 108.
(2) Lett. udienza, v. 41, e. 57, 58, 73 v. 42, e. 141 e 229, v. 134, e. 86; Noi.
div., T. 14, e. 24; v. 28, e. 147-9; Raccolta di tutti gli editti, p. 36. — Con-
seguenza della privativa è naturalmente ... « carta di cattiva qualità et a
- a89 ~
Relativamente al 1729 abbiamo notizia di una ristabilita o
\nò. probabilmente continuata privativa del sapone (1).
Da « molti anni innanzi » al 1740, forse dal 1733, sino al
1786, son i)rivativa di Anconetani da una parte e di Folio'nati
dall' altra, la raffinazione e lavorazione dello zucchero ; di soli
Anconetani e sino verso 1' ultimo ventennio, la fabbricazione e
quindi anche vendita di « migliarole » o pallini da caccia e
del « piombo brusiato > o nnnio (2).
Da qualche anno innanzi allo stesso 1740, sino al 1778, ma
a periodi saltuari, una « vetrara » di Pesaro gode la privativa,
oltre che di fabbricare vetri, di rivendere vetri e cristalli esteri,
comi)resi i famosi cristalli di Boemia, entro le province di Ur-
bino, della Marca, dell' Umbria e della Romagna (3).
In anno anteriore al 1750 è, non sa])piamo se istituita o
rinnovata, la privativa della cera, che nel 1773 è pur essa abo-
lita con quella della carta e nel 178^ la cera è soggetta a dazio
doganale (4).
Urbino, sino dal 1740 almeno, goJe la privativa della fab-
bricazione e vendita delle spille, che nel 17(52 è concessa, per
tutto lo stato, alla famiglia Albani (5).
E semplici accenni ci denunciano, a tratti e a sbalzi, 1' esi-
stenza, non sappiamo da quando e per che durata, di privative,
prezzo rigoroso », onde i privati preferiscono farla venire dall' estero, spe-
cialmente da Venezia e i ministri della cartiera fanno tutti i loro affari, in-
cettando gli stracci e inviandoli all' estero, contro le esplicite disposizioni
degli editti.
(1) Leti. d. Comunità, v. 1», e, 106.
(2) Relaz. fiera 1740, in Libro Fiera v. 2», 282t ; Lett, udiema, v. 110,
e. 19; V. 117, e. 190; v. 135, e. 34.
(3) Lett. udienza, v. 116, e. 189, 200, 201, 211, 213; v. 139, e. 112.
Ma la vetrara di Pesaro non riscuote precisamente la maggior fiducia e sim-
patia delle loro eccellenze, i legati.
(4) Miseellanea, v. A, e. 55 ; Lett. udiema, v. 134, e. 86 ; Raccolta di
tutti gli editti, p. 36.
(5) Relaz. fiera 1740, loc. eit.; Moroni, Dizion. di erudiz. sfor.-ecclesiast.,
V. LXXXVI, p, 241.
— 390 —
sia neihi fabbricazione e rivendita sia nella sola rivendita di:
zolfi (1), vetrioli (2), acqua di Nocera (3), acquavite (4), tele
cerate (5), pietre argillarie (6), calancà (7).
A sua volta lo stato — mediante l' inevitabile appalto per
la riscossione — esige per suo conto e ad esclusione di ogni
franchigia : un dazio sul ferro e sul i>ionibo, clie risale al secolo
precedente e monta a un quattrino la libbra, ossia due scudi
il migliaro (8) e un altro sul tabacco, di non sappiamo che en-
tità, che troviamo in vigore dai primi del XVIII e abolito nel
1758, consentendosi da quest' anno « la libera introduzione dei
tabacclii forastieri » (9). Sul finire del secolo poi, nel 1785 (a
cominciare forse dal detto 1773, che pare anno di considerevoli
innovazioni in materia) esso esige direttamente, oltre i ri-
cordati dazi sui tessuti, i dazi su articoli e prodotti esteri già
di [U'ivativa... privata e cioè: piombo lavorato, ossia munizioni
da caccia e minio, scudi 4 il migliaro ; cera, bai. 4 e 72 '♦'
libbra; carta e rosoli, il 12 7o (10).
Quanto, infine, di prodotti esteri recati in fiera sfugge a
privative... i)rivate, a privative di stato, a dazi di protezione,
dal 1758 in poi paga il suo bravo tributo alla protezione dei
trasporti marittimi. Con editto del Camerlengo 13 luglio 1757,
reso esecutivo al riguardo di Senigallia e la sua fiera nel marzo
successivo, sono colpiti d'un dazio d'importazione del 15 7o **^
(1) Lett. udienza, v. 102, e. 2 e v. 131, e. 222 ; rispettivamente, anni
1743 e 1770.
(2) Ivi, V. 121, e. 185 ; an. 1763.
(3) Ivi, y. 127, e. 50 ; an. 1767.
(4) Ivi, V. 127, e. 53; an. 1767.
(5) Lett. udienza, v. 130, e. 171 ; an. 1769.
(6) Ivi, V. 137, e. 216 ; an. 1776. ^
(7) Ivi, V. 138, e. 272 e v. 139, e. 164 : anni 1777 e 1778.
(8) Ivi, V. 29, e. 80 ; Raccolta di tutti gli editti, p. 36.
(9) Ivi, V. 114, e. 89, 177, 235. Con sapienza... che non può essere de-
finita, 1' abolizione della gabella sul tabacco forastiero, è compensata alli» Ca-
mera apostolica con 1' aumento - leggero, sì, ma aumento - del sale, di mezzo
quattrino la libbra.
(10) Raccolta di tutti gli editti, p. 36.
— 391 —
valorem, « generi e merci originari di Levante e Ponente, cìie
« s' introdurranno nello stato pontificio, compresa eziandio la
« fiera di Sinigaglia, per mezzo e ])rovenienza dai luoghi e porti
« esteri situati nel Golfo Adriatico » (1).
È un vero e proj^rio piccolo Atto di navigazione, rivolto —
per ciò che riguarda 1' Adriatico — ai danni di Venezia, an-
cora arbitra del commercio in questo mare. E poiché Venezia
coi suoi sudditi ha così Inrga parte alla fiera, anche la fiera,
essa anzi in ispecie, ne resta sensibilmente danneggiata. Ve-
nezia, a quel che sembra, ripara al danno, specializzando il suo
commercio alla fiera in droghe d'uso industriale, particolarmente
in colori minerali, che già costituivano parte non secondaria del
l'assortimento dei suoi mercanti e rinunciando a quello delle
più ricche droghe voluttarie. Quest' ultimo passa quasi per in-
tero nelle mani di Anconetani e Folignati, che finiscono col
costituire un vero e proprio monopolio, o qnel che oggi direm-
mo un trust, come ce ne ha dato la prova 1' incidente del 1785.
A che si trovasse ridotta la famosa franchigia reale in se-
guito all' imposizione anche di questo nuovo dazio, non è dif-
ficile pensarlo. Da questo momento in poi, essa non importa
più esenzioni che per l'introduzione di prodotti dello stato per
via di terra. Nessuna meraviglia pertanto che in anno non pre-
cisato, ma di poco posteriore al 1775, la città stessa, preoccu-
pata del « traffico snervato » in conseguenza di tutti questi
pesi, chiedesse al governo — e il governo assentì — che du-
rante la fiera funzionasse senz' altro la dogana come nel resto
dell' anno, secondo la tariffa del 1643 (2). Era un atto di sin-
/
(1) Consigli, v. 63, e. 338t e 8eg. ; Lett. udienza, v. 114, e. 323 ; Not.
div., V. 21, eie 4-5.
(2) Della novità, che, date le numerose limitazioni poste alla franchigia,
non presenta gran che di straordinario, non abbiamo trovato traccia nei do-
cumenti dell' archivio. Ce lo segnala però esplicitamente la più volte citata
Raccolta di tutti gli editti, che a p. 38, all' artic. « Tassa della dogana »,
nota : « In vigore di due decisioni emanatesi dal Snpr. Trib. di Piena Ca-
mera, la prima nella ponenza deli' Emo Massei allora decano, e la seconda
di mons. De Pretis, a favore dell' 111. ma Comun. di Sinig., si dovrà esser-
— 392 —
cerità, ma soj)ratiitto una semplificazione e nn alleviamento ;
poiché, se la tassa di dogana colpiva indistintamente tutti i
prodotti esteri, li colpiva in compenso in m'isura assai più mite.
E così, per qualche anno, la fiera ha cessato di essere
« franca », <li fatto e di diritto.
*
Che intanto tutta la sequela di dazi imposti sui prodotti
ef^eri, a protezione delle industrie interne, fosse rimasta senza
qualche buon eflfetto, non si può affermare. Anche dal poco
die si può desumere dai nostri documenti, lo stato pontificio
sulla fine del secolo appare sensibilmente diverso, economica-
mente più sollevato di quel che era agli inizi e alla metà del
secolo stesa<^. Vi persisteva però una condizione di cose pregiu-
diziale addirittura di qualsiasi sensibile progresso. Ed erano,
tra altri mali, sopratutto gli ostacoli interni, le barriere econo
miche tra provincia e provincia, tra legazione e legazione, tra
comune e comune, che, aggiungendosi ai trasporti, elevavano
a prezzi inverisimili il costo delle cose, a poche miglia dai cen-
tri di prodnzione o dagli scali marittimi (1), inceppavano ogni
vare il seg. bando... 12 settembre 1643... ». Il card. Paolo Massei fu decano
dei chierici di camera dal 1775 al 1785 : lyioKONi, Dizion. d' erudiz., v. XLIII,
j). 236. E la notizia concorda col fatto che il dazio del 15 '^/o snilo prove-
nienze estere, in vigore ancora nel 1767, nel 1785 non appare pih.
(1) La ricordata memoria 1708 dei mercanti e negozianti dello stato diretta
a Clemente XI, contro la proposta gabella del 12 "/o sui tessuti esteri, ci con-
serva in proposito i seguenti interessantissimi particolari : « L'istesse niercan-
« zie (forastiere) che si portano a Roma per Ripa si caricano dentro le bar-
« che in colli grossi, per li quali le spese del trasporto sono 5 in 6 paoli
« per collo da Civitavecchia sino a Roma, dove per le merci, che «i traspor-
« tane per lo stato (cioè per altri centri delio stato), da ognuno de sndetti
« colli grossi si cavano in Civitavecchia almeno 6 balle da soma, che per
« componerle richiedono subito 6 paoli per il legatore e 9 per la provisione
« dello spedi Jsioniere, oltre la compra de i canavacci, spaghi e corde ; poi,
« convenendo eseguire il trasporto sempre per terra e per schiena., ascendono
« le spese di quello a 8 scudi la soma da Ci v ta vecchia sino a Sinigaglia,
« di modo che per qnel collo di mercanzia, per cui Roma paga 5 in 6 paoli
— 393 —
circolazione, d«[)rinìevano miseramente commercio, agricoltura,
industria.
L' onore di aver dato coraggiosamente al tronco del seco-
lare, caotico, oppressivo, sistema finanziario, spetta, come si sa,
a Pio VI, che con chirografo 9 aprile 1777 abolisce tutti i
pedaggi e diritti di transito interno, e con altro 25 aprile 1786
tutti gli altri dazi e gatielle comunali e di stato e istituisce le
dogane ai confini (1).
Anche per Pio VI, il grande intento da raggiungerei è
quello sinora inadeguatamente perseguito dai suoi ])redeces8ori:
lo sviluppo della ricchezza pubblica, mediante la libera circo
lazione all'interno e una ragionevole protezione, non disgiunta
da premi d' incoraggiamento, contro la concorrenza estera. E
pertanto — stabilisce il chirografo sulle dogane ai confini —
non si riscuoton gabelle nello stato per altri titoli che per
1' importazione e 1' esportazione ai confini e per 1' introduz^io»e
in Koma. Dette gabelle, regolate con apposita tariffa compren-
dente oltre 600 voci ed esigibili in dogane stabilite ai confini
di terra e di mare e alle porte di Roma, colpiscono in una-
misura che è generalmente del 6 "/(,, 1' esportazione 4i materie
gregge dallo stato e in una misura, che dallo stesso 6 "/^ si
eleva al 12, 14 e 15 7oi l'iniportazione di prodotti e manufatti
esteri. Di questi ultimi tassi sono colpiti gli articoli di lusso;
di tassi anche \)m alti, il 60 '^/q, quegli altri (calancà, bombacine,
fazzoletti di cotone, di lino, di seta, tele Nankin, giaconette,
coperte ecc.), che lo stato ha già cominciato a produrre di-
rettemente. Libera a^l contrario, o appena gravata da -un iimzzo
« pet il trasporto, lo stato paga almeno 24 scudi di solo trasporto, oltre
« 1' altre spese dinotate di sopra... » Cioè : « Le medesime 'mercanzie fora-
« stiere cominciano a pagare detto passo nel primo ingresso nello stato e
« poi in ogni territorio locale seguitano a pagare il medesimo passo, fino che
« giungono al luogo destinato, e se recedono... tornano a pagare la stessa
« gabella del passo per ogni territorio che transitano... » : Notitie diverse,
V. 17,, -e. lOOt-101.
(1) Ricca 8ai,erko, Storia d. dottrine finanz., p. 374 e F. FantoZzi, Del-
l'ulile d. fiera, ms. in Libro Fiera, v. 5°, e. 180.
-^ 394 —
t)er cento, è l'importazione di materie i)rime; libera del pari, e
in alcuni casi « gratificata >> o premiata con un 72 7o? l'^^^por-
tazione di manufatti dello stato. Le merci estere, che traversano
lo stato stesso, pagano i)er diritto di transito un paolo, per
ogni 100 libbre; tutte le privative e proibizioni nocive sono
virtualmente abolite (1).
L' attività riformatrice dei ])api aveva così da Pio VI il
l)iù ami)io, razionale e benefico coronamento e il protezionismo
la pili piena e, in complesso, non esagerata espressione. Ma, a
differenza dei predecessori, Pio VI non è un bigotto del prò
tezionismo. Egli riconosce i beneficii, che le fiere franche re-
cano allo stato, col facilitare lo smercio e promuovere una fe-
conda emulazione. E superando il pregiudizio da tempo diff'uso
nelle sfere governative, le mantiene e crea loro una situazione
di fatto e di diritto, finalmente consona colla loro natura e col
nuovo ordinamento finanziario.
Già un articolo dell' editto di applicazione della legge sulle
dogane provvede al loro ordinamento sulla base del transito,
esteso anche alla fiera di Senigallia. Ma, [)er la sua importanza,
la fiera di Senigallia è oggetto di altro speciale editto (2(5
febbraio 1787), che ben protremmo chiamare la definitiva sua
costituzione, in quanto le fondamentali disposizioni in esso
contenute, restano sostanzialmente in vigore finché la fiera non
sia soi)pre8sa (2).
In primo luogo le è resa tutta o quasi 1' antica libertà. So-
no infatti per sempre aboliti tutti i dazi doganali, tutti i dazi
diretti comunali, tutte le regalie. Restano solo in vigore la
tassa del piombo e del ferro, quest' ultima però ridotta a mez-
zo quattrino j)er libbra; l'ancoraggio, i dazi di consumo sui
comestibili e la privativa di spedizioneria, da esercitarsi dal
doganiere, contro pagamento di bai 25 per collo, non « a ti-
tolo di dazio, ma di semplice mercede ».
(1) Cenni sulla riforma, in Ricca-Salerno stesso, p. 381, ed esempi di
aliquote, tratti da scrittori contemporanei, ivi, jiota 1. Il relativo editto colla
tarifla è trascritto in Decreti, v. L., e. 43t e segg.
(2) Decreti, v. L, e. 70t e segg.
— 395 —
Durante la fiera, Seiiij;:allia è considerata città extraterrito
liale 0 le sue mura, confini dello stato. In conseguenza, libera
l'introduzione dei prodotti esteri e l'estrazione degli stessi i)er
fuori stato, è invece colpita a nonna della tariffa di dogana
(30 aprile 1786) la loro introduzione, dalla fiera, in qualunque
altro luogo dello stato. 1 i)rodotti dello stato, al contrario, vi
accedono liberamente, se libera è la loro esportazione ; mediante
il pagamento del relativo tasso — salvo a Cwssere indennizzati
in caso che rientrino nello stato stesso — se la loro espor-
tazione ò colpita di dazio. ^
^^ %^
Capitolo IV.
U hinterland e il carattere della fiera
Cenh'i ii fornitori ». - Centri « tributanti » dell'estero e dello siato pontificio. -
Esportazione. - Carattere della fiera.
A tener conto dell'origine di tntte indistintamente le merci
e di tntti i prodotti, die lungo il secolo troviamo piìi o meno
assiduamente e in più o uìen larga misura rapprcvsentati in
fiera, bisognerebbe dire che la zona ad essa interessata, il suo
hinterland, coincidesse con quello che era allora 1' hinterland
del commercio eur<)i)eo. Accanto infatti ai baccalà di Novergia
e ai caviali di Russia, vi troviamo thè e cannella, pepi d' 0-
landa e pepi d' Inghilterra, che ci riportano all' India, all' Ar-
cipelago Malese, alle Antille; mentre la produzione dell'Africa
vi era con tutta verisiraiglianza rappresentata dai datteii e
dal caffè.
Ma se si considerano, come è più ragionevole, i paesi donde
il pili direttamente, cioè col minor numero possibile d'interme-
diari, merci e prodotti calano in fiera, allora 1' hinterland si
restringe a più modesti limiti. Oltre l' Italia, esso abbraccia,
in senso largo, tutti i paesi che affacciano all' Adriatico, al
Ionio, all'Egeo e alcuni tra i centri più industriali della Sviz-
zera, della Francia e della Germania. Tutti questi paesi, sia
pure a tratti, intermittentemente, vi hanno lungo il secolo « rap
presentanti » diretti, cioè mercanti proi)ri (1).
(1) Tutte le notizie del presente capitolo derivano : 1") dai documenti
diretti e dalle scritture che pubblichiamo, alcuni per intero, altri nei loro
passi relativi, nell' Appendice, ai numeri 8-13 ; 2") dalla memoria storico-le-
gale di G. P. Monti (1736) nis. in Libro Fiera, v. 7», N. 1 ; 3°) dalle di-
chiarazioni di città e di mercanti d. stato (1736), conten. ivi e. 77-133 e
— 39T —
Entro questa zona però - Io ricliicdoiio il criterio in base
al quale 1' abbiamo delimitata e il carattere saliente della fie-
ra — dobbiamo subito distinguere paesi e regioni, che col mezzo
e per conto di mercanti o di paroni locali tributano, o almeno,
tributano in i)revalenza,, prodotti toro propri ; e centri di com-
mercio internazionale, che m phi larga misura forniscono rek^cci
e prodotti di più lontana e diversa origine, già passati tra.V€B-
so una seri* più o meno lunga di precedenti scambi.
Di questi centri « fornitori » i pochi e saltuari documenti
dell' archivio senigalliese non, annmo parlare. Dovevano essere
parecchi. 1 i)rincipali tuttavia, da indizi e notizie esplicite, ri-
sultano, in ordine d' imi)ortanza: Ancona, Bologna, Venezia»,
Livorno, Verona, Milano.
L'entità del contributo mercantile estero fornito da Ancona
alla fiera ci è dimostrata ad evidenisa dallo sgomento messo in
iSenigallia dal tentativo di boicottaggio do! 1785. Ancona attira
a se le imbarcaziooi del vicino Levante e del basso e in«dio
Adxiatico, non solo per la conquistata prerogativa del lazzaretto
di stato, ma. anche e sopratutto per l' ampiezza e profomiità
del suo porto, ove i carichi dei legni di eojisiderevole portata»
debbono trasbordare su imbarcazioni minori, se vogliono rag-
giungere il modesto porto canale di Senigallia. La potenzialità
finanziaria delle sue case di commercio inoltre, mediante com-
missioni fuori di stato, le permette di partecipare attivamente
al grande commercio internazionale. Nessuna meraviglila, quindi,
147-271 e nel v. 1», e. 17-39 ; 4") dalla Relaz. d. fiera di Sinig. ceìebr. nel-
Vanno 1740, stesa da A. Roberti, ms. iu Lihro Fiera, v. 2", e. 279-87;
5'') da altre dichiarazioni di mercanti d. stato (1784), iu Libro Fiera, v. 5,
e. 29-43 e (1786) in Xotiaie Diverse, v. 27°, e. 251-336.
È superfluo avvertire che la nostra delimitazione, tracciata in base ai
pochi (lati certi contenuti nei lacunosi docuui«oti, non ha e non può aver©
valore di schema rigido ; non è escluso cioè che alla fiera tributassero anche
altri luoghi, l' Egitto, p. e., secondx) la meuioria del vice-doganier« 17X)8,
Ma di luoghi e di prodotti solo sporadicamente ricordati nei documenti, ab-
biam creduto pruxiante di non tener conto iu questo, che vuol essere,.. ì'allM
della fiera nel sec. XVIII.
~ 398 -
clic la niercatnta (V Ancona fosse, per certi i)iO(lotti, arbitra
della fiera.
1 generi più ricchi, che pel tramite d' x\ncona, lungo tutto
il secolo e nel seguente, calano in lìera, sono le droghe: pej)!
d' Inghilterra e pepi d' Olanda, zucchero, cacao, cannella, ga-
rofani, thè. Seguono immediatamente i prodotti del Levante
vicino e lontano, dalla costa dalmata a quella dell' Asia Mino
re: lane, pelli, resine, cotone, vallonee, caffè; e infine: le gene
riche « merci », conche i nostri documenti designano tessuti di
cotone e di canapa; piombi e stagni della Brettagna; ferro,
colori e alcuni saluuìi di maggior pregio, come salmone, baccalà
di Norvegia, caviale di Russia e di Belgrado. Sono quasi tutti,
insomma, i così detti « generi del Ponente e del Levante , o
commessi presso gli emporii inglesi e olandesi, o calanti per
ragioni geografiche e sanitarie al suo porto.
Oltre al ricco contingente di provenienza estera, Ancona
invia anche prodotti delle industrie delle quali, vedemmo, ha
la privativa: zucchero raffinato, zucchero in pani, zucchero can-
dito, cioccolata e grosse partite di « migliarole ». Nella seconda
metà del secolo aggiunge calzette e guanti di seta e cappelli,
anch'essi articoli di sua fabbricazione.
Partecipa finalmente alla fiera con un largo lavoro nei tra
sporti marittimi — solo per numero di imbarcazioni, non di
viaggi, è superata, in questo secolo, da Chioggia — e col niag-
gior numero di sensali (1).
Quanto a Bologna, non è facile dire se inviasse in preva-
lenza prodotti esteri o delle «me varie, attive e pregiate industrie.
A confessione dei suoi stessi mercanti, questi commettono
(1) Sui 174 sensali patentati che sono alla fiera del 1754, ben 52 sono
di Ancona, contro 35 di Senigallia e 25 di Pesaro. Sui 139 del 1774, sono
44 di Ancona, 29 di Senigallia e 10 di Pesaro. A proposito di sensali : essi
vengono quasi tutti dai vari centri dello stato (Bologna, Lugo, Ravenna,
Urbino, Loreto, Fermo ecc.); non vi mancano però sensali esteri, di Firenze,
Bergamo, Venezia, Trieste, Ragusa, Corfù, qualche armeno. Sudditi ponti-
ficii o esteri che siano, in maggioranza sono ebrei : Sensali, registro delle
patenti (1754-1775).
— 399 —
all' estero per la fiera e vi smerciano — in maggior quantità,
aggiungono anche, ad altri esteri — tessuti di lana, di seta, di
cotone, sia d' Inghilterra che di F'rancia, Germania e Olanda;
telerie d'ogni sorta e per ogni uso; calancà, merletti, oggetti
di chincaglieria e oreficeria.
Ma con questi vi recano: in prima linea, i loro tessuti di
seta d'ogni specie — taffetà, rasi, seta liscia, amoer, damaschi,
velluti e una specialità tutta locale, veli cres[>i bianchi e colo-
rati, ricercatissimi dai Levantini gre<ìi e turchi e che da soli,
secondo lo Stefani, avrebbero dato lavoro, verso la fine del
secolo, a 12000 operai ! (1). Inoltre: confezioni di canapa, tra le
quali le « borazine » o « tele di Bologna »j cioè canovacci;
tele cerate, bastoni, ombrelli, oggetti d'ottone; e, con parmigiano,
le famose, immancabili mortadelle.
Venezia, come Ancona^ fornisce in prima linea droghe; non
tanto le droghe voluttuarie, quanto quei generi di drogheria,
che entrano come ingredienti e sussidiari in certe industrie:
legni e terre coloranti e colori preparati, essenze, resine e anche
medicinali. Di prodotti propri, invia ancora i ben noti lavori
in legno, specchi, cristalli e vetri, specialmente in lastre, delle
fabbriche di Murano e, almeno sulla fine del secolo, chincaglie.
Livorno, Milano e Verona risultano le grandi piazze donde,
come da Bologna, muovono alla fiera, per via di terra, gli stessi
pregiati e ricchi tessuti dell' industria inglese (saie imperiali e
saie scarlatte, scottini, camelotti, droghetti, pannine; baiette e
vitelli; osso di balena), olandese (tele), francese (rasi di Baiona,
broccati, galloni d'oro e d'argento) e tedesca (tele). Alle dette
stoffe, Livorno aggiunge anche droghe; come droghe recano, le
IMH'Jie volte che avremo occasione di incontrarli, mercanti di
Genova e di ISapoli.
Meno avari di notizie sono i nostri docunienti al riguardo
(3) G. Stefani, Dizion. corograf. d. Italia: Stato pontificio, Milano e Ve-
rona, 1856, p. 149.
— 400 -
(UU «©«tributo Uei i)aesi, ch« inviano la piodiizionc proi)ria o
(l'è! retroterra, con ])ro|>ri mercanti o i)aroiii.
Le province egee dell' Asia Minore, dai porti di Smirne e
di Patmos, e col' mezzo di mercanti turchi, ma aopratutto greci,
non escluso qualche armeno, inviano vallonee e cotone, i « ge-
neri del Levante » per eccellenza. E il cotone — eoton sodo e
cotone filato — e tessuti di cotone, i così detti « borghi » di
Smirne o « bordati », cioè rigatini, figurano normalmente in
fiera coi Greci, sempre numerosi e turbolenti, in partite che
pei nostri vecchi erano addirittura co^lossali.
Gon oasi e recati dagli stessi Greci sono minori quantità di
caffè, e i)rodottf industriali parimenti tipici del Levante : co-
perte « schiavine », cappotti, « papuccie » o pantofole.
L' Arcipelago a sua volta invia — e sono ancor Grecti che
li recano' — olio, frutta secche, spugne.
P;a Grecia continentale e le isole Ionie : formaggio salato
del Pelo[)onneso, lana, pelo, pelli e ancora gli stessi cotoni e le
stesse frutta secche.
La Turchia europea, dai i>orti o marine di Durazzo, Scutari,
Dulcigno, Antivari ecc. : pelli gregge e i)elli conce — tra que-
ste ultime i pregiati cordovani, marocchini, cremisi e gialletti —
e di più : peci d^ Albania, catrami, pegole, scotano e qualche
l)oca quantità di sardelle.
Sardelle e salumi in genere, compreso il caviale, e pelli,
lane, rasce (1) invia Ragusa colle dipendenti Oarzola e Meleda.
La Dalmazia o Litorale veneto, da Cattare, Perasto, Castel-
nuovo. Lesina, Lissa, Spalato, Traù, Sebenico, Zara, Pago, Arbe,
Veglia, da tutti insomma i piccioli e mediocri porti e ajiprodi,
annualmente presso che tutti rappresentati, manda le maggioii
partite degli stessi salumi, di lana schiava e di i)elh', cui ag-
giunge, si può dire normalmente, tabacco, animali vivi, formag-
gio salato, e — «lai porti più al nord — legname.
Prodotti analoghi, sebbene in quantità minore, ma non meno
assiduamente, invia il Litorale austriaco, cioè Carlopago, Segna,
(1) Panni di lana grossolani.
— 401 -
Fiume e 1' interposto principato <li Bucciiri. Particolarità del
contributo di Segna e, anche più, di Finnie, sono seiniinannfatti
e mannfatti di legname, come doghe e caselle di botti, mastelle,
botti ecc. (1).
L' Istria veneta, dai ])orti di Rovigno, Pareuzo, Pirano, Isola,
Capodistria : ancora salumi, oggetti di legno, lana e prodotti
evidentemente calativi dalle regioni piìi interne, come ferrarecce,
filati, tele, tele da stacci, che sembrano preferire inìi si)ecial-
mente lo scalo di Capodistria.
Anclie Trieste, natnrabnente, raccoglie e invia prodotti del-
l' interno : ferrarecce di Lubiana e Gorizia e lavori in ferro,
cristalli di Boemia -- quando sono ammessi alla fiera, — le
gnami e oggetti di legno, articoli di drogheria. Verso la fine
del secolo il suo contingente risulta anche i)iù copioso e vario,
aggiungendo ai precedenti articoli : pellami, drapperie, chincaglie.
Il dominio di terraferma di Venezia partecipa alla fiera non
meno largamente e assiduamente della Dalmnzia.
Accanto al contributo già visto della « dominante » e di
Verona, le città del litorale, e in prima linea Latisana sul Ta
gliamento e Caorle, inviano grosse partite di legname da co
struzione ; Brescia, ferrarecce e lavori in ferro; Padova, drappi
di seta e di lana, stami e il suo famoso lino ; Bergamo, pan-
nine e rascie, famose queste ultime non meno del lino padovano.
Ciascuno, inoltre, dei numerosi centri costieri o fluviali, in
quantità più modeste, ma, un anno per l'altro presso che normal-
(1) Coi detti manufatti Fiume invia anche la . . . mano d' opera per la
coufezioue e poiché, a un certo momento, i bottai e mastellai fiumani si
trattengono in città dopo la fiera a lavorarvi ancora, i colleghi senigalliesi,
danneggiati dalla concorrenza, se ne dolgono col legato e il legato li sfratta:
« Si dolgono a ragione i mastellari e bottacchiari di questa città, perchè
« dagli artefici esteri venga a loro tolto quel poco di guadagno che può
« farsi in tale arte, mentre vengono qua non solo a lavorare nel corso della
« fiera, ma si trattengono anche tre o quattro mesi dopo ». Il luogotenente
intimi loro di partire, finita la fiera : Lett. udienza, v. 122, e. 174 e 182,
lett. 19 luglio e 16 agosto 1764 ; e. 183-4, memor. relativo d. bottai seni-
galliesi.
26 — itti e Hemorie della R. Dep. di Storia Patria per le Marche. 1912.
— 402 —
mente, tributa gli umili prodotti del suolo acquitrinoso all'intorno,
modesti manufatti delle povere industrie del legno e del giunco,
geniali merletti o altri articoli. Cosi, Portogruaro manda « pa-
stieri » (1); Burano, vetri in lastre ; Pellestrina, gli stessi pa
stieri e, di piìi, mastelle, terra di Vicenza, borra, chiodi, mer-
letti ; Cavàrzere, sgarza e scope; Loreo, canapa e corde;
Adria, stuoie, borra, sgarza, cerchi ; Ariano Polesine, anche ca-
napa e poi, lino greggio, lino lavorato e fustagno, che in fiera
tiene uno dei primi posti. Marano, in fondo alla sua higuna,
fornisce come la capitale i)rodotti di evidente seconda mano :
droghe, resine, formaggi. Chioggia infine, prodotti presumibil-
mente propri : sgarza, cappelli di stecco, cesti, pesce salato e
jjesce secco. Ma la sua partecipazione più intensa e remunera-
tiva è per via dell' industria dei trasporti. I suoi numerosi pa
roni caricano da tutti i porti così del dominio come degli altri
stati, sia per conto di mercanti, che per conto pro[)rio.
Del vario contributo lombardo — tessuti di cotone e di lana,
lini greggi e lavorati, oltre, s' intende, quello estero fornito da
Milano - pregiatissimi erano i fustagni di Cremona, che sino
alla fine del secolo non avevano rivali.
La Toscana pare fornisse a preferenza, suU' esempio di Li-
vorno, prodotti di seconda mano : droghe, pelli conce, cotoni ;
ma, per una volta almeno, troviamo anche tessuti d' origine
fiorentina. Il suo contributo però no)i pare copioso ; piìi larghi
piuttosto sembrano i suoi acquisti.
Il regno di Napoli, o meglio, le province adriatiche del re-
gno, tributano, largamente e assiduamente, prodotti propri, siano
agricoli che industriali. Così 1' Abruzzo continua a smaltirvi in-
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(1) Il Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, definisce pastiere :
« galloccia, tacchetto, castaguola » e « galloccia: specie di galletto maggiore
(cioè dado, come quello da vite, ma ad ali) fermo sulle pareti del bastimento,
che serve a raccomandarvi le manovre correnti e a dar volta ai capi ». Noi
dubitiamo si tratti di questi ordigni, perchè troviamo talora specificati « pa-
stieri di bue », « pastieri di montone » e, nei primi anni del XIX, anche
« polvere » e « raschiatura di pastieri ». In fiera appaiono sempre tra i le-
gnami e in quantità più che discrete.
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genti i)artite delle ricche, geniali e ricercate maioliche di Ca-
stelli. E dai porti o marine di Giulianova, Pescara, Ortona, Va-
sto, Termoli, vengono normalmente, in quantità non semjjre mo-
deste : sapone, <^< libàni » o lime, feccia bruciata, vino, olio,
formaggio, frutta secche.
E scorze d' arancio, con aranci e limoni e, di più, mandorle,
olio, riso, invia la Puglia dai porti di Rodi e di Viesti. Ma la.
produzione tipica e più ricca della Puglia sono : sapone, for-
maggio e sopratutto pasta, dai porti di Taranto, Bari e special-
mente Brindisi.
Di fuori dal bacino Adriatico han relazioni, non sappiamo
quanto larghe e costanti, la Sicilia, che da Messina invia for-
maggi, e Malta che vi manda i cotoni più piegiati per finezza
e candore, oltre a confezioni di cotone e di lana e mandorle,
anici, datteri.
Anche il contributo diretto della Francia, della Svizzera e
della Germania è, sin verso la fine del secolo, per lo meno
scarsamente documentato. Certo doveva essere saltuario e so-
pratutto meno copioso di quello che veniva per commissioni e
a mezzo dei negozianti italiani. Durante l'ultimo ventennio però
abbiauio più frequenti e sopratutto dirette notizie di negozianti
francesi, svizzeri e tedeschi, accorsi coi ricchi articoli delle
tanto superiori industrie dei rispettivi paesi.
E cioè: mercanti di Lione e di Parigi vi recano seterie e
mercanti di Lilla le così dette, sin d'allora, bigiotterie; svizzeri
di Ginevra, i classici orologi e i loro connazionali di Neuchatel,
bigiotterie e tele; tedeschi di Metz, di Augusta e di ÌSTorim-
berga — non ancora ricordata, quest' ultima, pei suoi famosi
giocattoli — chincaglierie e, in quantità superiori, tele.
Nornialmente infine, nello stesso ultimo ventennio del secolo,
risultano rapi)resentate da i)ropri mercanti: la Boemia, pei suoi
famosi cristalli; la Moravia, per le pannine; Lubiana e Gorizia,
per le ferrarecce; Karlstadt, pei tabacchi.
Al confronto di questo ricco e variamente importante con-
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tributo estero, lo stato schiera anch' esso una lunga serie di
prodotti, sui quali le rnemorìe della fiera si soffermano con
manifesta compiacenza. Quelli tuttavia che, ò per quantità o
per pregio intrinseco e valore commerciale possono reggere al
paragone dei principali tra gli esteri, risultano: canape, lane e
sete.
Le canape è sempre la Romagna in genere che le invia, in
ispecie ' Lugo e le adiacenze », cioè Budrio, Castel San Pietro,
Molinella, Cento, Medicina ecc. E si tratta di i)artite realmente
ingenti. « Dalle legazioni di Boh>gna, Romagna e Ferrara ven
gono ogni fiera sopra ottocento migliaia di canei)e » — oltre
2600 dei nostri quintali! — dichiarano nel 1764 i pubblici
sensali. Ma l' assortimento dei canapini non consta esclusiva-
mente di canapa, sia greggia che pettinata. Quei di Lugo re-
cano insieme cordame grosso e minuto, tela da vele, bisacce;
gli altri, brolla e borra; tutti, stoppa.
La maggior quantità di lane — lane da filare e tessere, di
contro alle levantine « per uso di stramazzi » — vengono <lalla
Campagna di Roma e da Rieti; in minore quantità dall' Umbria
e dalla Marca. Ma, fuor di qualche dato parziale, nessuna in
dicazione, neanche approssimativa, consente di farci un'idea delle
quantità complessive.
Anche meno sappiamo intorno alle sete, che dobbiamo di-
stinguere in sete lavorate e sete semplicemente tirate. Centri
più o meno attivi di lavorazione della seta, che hanno interessi
in fiera o sono, comunque, ricordati nei nostri documenti, oltre
Bologna, la Lione dello stato pontificio, sono: Perugia, che sin
dal quarto decennio vi manda « stoffe di seta di varia fattura »
in genere, e velluti, damaschi, baracani e — più tardi —
« faie » in specie; Camerino, che fa